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Autore: Antonio Militari    27/10/2016    3 recensioni
Era inquietantemente affascinante, per la sua semplicità e per... qualcosa, che lo attirava senza alcuna motivazione apparente. Se la rigirò nelle mani e la osservò da tutti i punti di vista, ma non sembrava esserci niente di strano se non l'assenza assoluta di qualsiasi indicazione, escluso quell'unico 'non giocare', evidentemente il titolo del gioco, che lo incitava ancora di più
Matteo si perde nei ricordi quando ritrova uno dei suoi vecchi giochi da bambino, ma nulla è più così innocente, e si ritroverà presto immerso in qualcosa di molto più grande di lui...
La storia prende spunto dal racconto 'The Game', pubblicato su EFP da Akira Yuki, con il permesso dell'autore.
Genere: Fantasy, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'opera è ispirata al racconto The Game di Akira Yuki con il consenso dell'autore.
Inoltre tutti i marchi e titoli registrati citati vengono utilizzati senza alcuno scopo di lucro.
L'autore della storia non fa propri gli eventuali diritti.
I
PROLOGO

«Che ci fa questa scatola in camera mia, ma'?» Matteo si tolse le cuffie, osservando la scatola davanti a se.
«Ho svuotato la cantina: quelli sono i tuoi vecchi giochi di quando eri piccolo: cerca quello che vuoi tenere e butta il resto!» Gli rispose la voce dal piano di sotto.
«E che dovrei tenere?» Non era più un bambino da molti anni.
«Ricordi! Vedrai che tra qualche anno avrai voglia di riprendere in mano qualcosa di quando eri piccolo!».
Matteo alzò le spalle, in fondo non gli costava niente tenersi qualcosa, no? E poi aveva ragione lei: è bello fabbricarsi ricordi della propria età migliore.

Alla fine si era lasciato prendere la mano: Aveva ritrovato oggetti che non credeva più di possedere, e di cui si era dimenticato anche dell'esistenza: un soldatino di piombo, una trottola da combattimento, una pistola ad elastici... E poi, da sotto tutta quella cianfrusaglia, spuntò fuori. Matteo aveva dimenticato quell'oggetto, che non vedeva da anni, e che aveva tenuto occupata circa la metà della sua infanzia, legandolo ad un piccolo schermo che, all'epoca, possedeva una risoluzione da paura, ma che oggi avrebbe perso contro il peggiore dei computer in circolazione... Il Gameboy.
Matteo passò circa cinque minuti con la faccia da ebete a ricordare le ore passate su quell'oggetto, principalmente per catturare pokémon ed esplorare città dai nomi improbabili, e un altro quarto d'ora buono lo passò a frugare nella scatola alla ricerca delle mitiche cartucce, quel cibo che, se dato in passo alla piccola console, rendeva veri i sogni di migliaia di bambini.
Dopo i venti minuti totali di perdita di tempo si lasciò cadere la console nella tasca e scese al piano di sotto dalla madre «Ma', non è che c'erano altri giochi, in cantina?».
La madre era in cucina, indaffarata nel preparare la cena «No, la cantina è totalmente vuota: tuo padre ci deve montare i mobili nuovi» non si voltò neanche per rispondergli.
«Non trovo le cartucce per il gameboy» sapeva che non avrebbe ottenuto niente, ma tentar non nuoce.
«Non ho visto niente del genere lì sotto. Forse le hai prestate a qualcuno, o le hai vendute» Quest'ultima cosa non era totalmente da escludere: Matteo aveva passato un brutto periodo per il gioco d'azzardo su internet, all'insaputa dei genitori, e molti dei suoi regali natalizi avevano trovato il loro posto nel paradiso degli oggetti: ebay.
Franco avrebbe avuto qualcosa per lui, però. Franco era un amico; strano, ma pur sempre un amico. Era fissato con i videogiochi e l'informatica, e con i soldi del padre, dopo il liceo, aveva aperto un negozietto tutto suo. Grazie al suo spirito inventivo e la sua conoscenza in materia, in soli due anni aveva restituito i soldi al padre e si era trasferito in un locale più grande.
Uscì di casa salutando appena la madre che gli urlava dietro che la cena sarebbe stata pronta per le 21 e si diresse verso il negozio dell'amico, fortunatamente poco lontano; lo trovò dietro al bancone, a leggere un fumetto dal dubbio contenuto sessuale.
«Matteo! Che mi prenda un colpo! Hai deciso di convertirti alla modernità?» Matteo era infatti un accanito sostenitore della carta contro gli e-book, del telefono solo per chiamate e messaggi e del computer al risparmio più che di qualità.
Sorrise all'amico «Tutt'altro, in realtà. Sono venuto per un pezzo d'epoca!» Esclamò soddisfatto, posando la console sopra al bancone come se fosse un antico manufatto fenicio.
A Franco gli si illuminarono gli occhi «Merda! Ma dove hai tirato fuori questa roba? Erano secoli che non ne vedevo uno! Ma lo sai le notti che ho passato sveglio per quella macchina infernale?» Con riverenza lo prese in mano e lo osservò sotto tutti i punti di vista «Funziona ancora?».
Effettivamente non aveva controllato; per un attimo temette di scontrarsi con una delusione enorme «Non lo so. Non l'ho ancora provato».
Franco premette la levetta di accensione e insieme aspettarono con ansia il responso dello schermo, quindi Franco scoppiò a ridere «Funziona perfettamente, ed è ancora carico il bastardo! è proprio vero che una volta le cose erano costruite per durare!» posò di nuovo l'oggetto sul bancone, dopo averlo spento «Credo di capire cosa vuoi adesso: qualche cartuccia per giocare e un cavo di alimentazione».
Al cavo non ci aveva pensato, ma effettivamente gli serviva anche quello «Puoi darmi qualcosa?».
Franco sorrise, dando una leggera pacca sul bancone «Aspettami qui, torno subito» e sparì verso una vecchia scala a chiocciola, scendendo al piano di  sotto.
Nel negozio, intanto, entrò un gruppo di ragazzini delle medie al massimo, che si avvicinò schiamazzando al bancone. Appena videro l'ingombrante console portatile sul bancone iniziarono a sussurrare tra di loro, ridacchiando. Matteo provò un vago senso di fastidio, se non di odio: che diavolo ne sapevano loro di quanto era innovativo e intrigante il gameboy ai suoi tempi d'oro? Che male c'era nel ricercare quei ricordi?
Franco risalì la scala con una grossa scatola rumorosa e la posò con poca grazia sul bancone, lasciandovi accanto un cavo d'alimentazione «Scegli quello che ti serve, tanto non le compra più nessuno, queste; basta che poi me le riporti» Lo sguardo gli cadde sul gameboy, avido «E che me lo presti per un po'».
Matteo sorrise, mentre l'amico si rivolgeva ai nuovi clienti, con il suo solito fare estroverso. La scatola conteneva una miriade di giochi, di cui la maggior parte gli era sconosciuta, e una piccola parte era il solito brodo cotto e ricotto. Scorse titoli come Bubble Bobble, Raymen, Earthworm Jim, Castlevania... Ne scelse due o tre più per curiosità che per interesse, finché non gli capitò una cartuccia in mano che non aveva mai visto, prima d'ora: era totalmente nera, senza alcuna etichetta, solo una piccola scritta, con il bianco, in un carattere alquanto horror, vergata come a matita: 'non giocare'.
Era inquietantemente affascinante, per la sua semplicità e per... qualcosa, che lo attirava senza alcuna motivazione apparente. Se la rigirò nelle mani e la osservò da tutti i punti di vista, ma non sembrava esserci niente di strano se non l'assenza assoluta di qualsiasi indicazione, escluso quell'unico 'non giocare', evidentemente il titolo del gioco, che lo incitava ancora di più.
Si mise le cartucce in tasca, vi ficcò anche il gameboy, prese l'alimentatore e salutò velocemente Franco, che ancora era alle prese con il gruppo di ragazzini, che da quel poco che riusciva a capire stava cercando di abbassare il prezzo di qualcosa in stile bazar arabo.
Si ritrovò sulla strada e istintivamente tirò fuori la cartuccia misteriosa, rigirandosela tra le mani. Improvvisamente gli vennero alla mente le parole di una canzone del suo musical preferito; iniziò a canticchiarla, osservando quel pezzo di plastica nero che teneva tra le dita: 'I have to know, I have to know my Lord'1...


Estratto del prossimo capitolo:
"NON SEI SODDISFATTO DELLA TUA VITA, MATTEO?
SENTI CHE TUTTO CIO' CHE HAI FATTO FIN'ORA COME UN FALLIMENTO?
IO POSSO CAMBIARE LA TUA VITA.
"

1 La canzone citata è «Gethsemane» di Andrew Lloyd Weber, i diritti non appartengono all'autore della storia.
   
 
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