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Autore: Myn_Khaaru    01/11/2016    1 recensioni
Negli ultimi istanti della vita del Decimo Dottore accadrà qualcosa di bizzarro, curioso e improbabile. Un qualcosa che lo metterà a confronto con sé stesso, con il suo vero io, mettendo a nudo la sua debolezza.
E mentre il passato si incontra con il presente, si delinea quello che è il passaggio per il futuro.
Una tappa necessaria, una pausa obbligatoria, grazie alla quale potrà finalmente fare i conti con tutti gli affari che aveva in sospeso.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doctor - 10, Doctor - 10 (human)
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Un’altra fitta di dolore insostenibile. Era il segnale.
L’improrogabile segno del tempo che non aveva più a disposizione, l’inevitabile fine di quel suo ciclo.
Non importava quanto fosse stato intenso quel ciclo, sarebbe stato sempre fin troppo breve in confronto a quanto poteva fare, a quanto voleva fare.
Quel pensiero lo tormentava, tanto che quel suo aspetto, oramai destinato a mutare, riusciva a nasconderlo a malapena.
Ma cosa poteva farci? Non importava quanto fosse potente. Essere un Signore del Tempo, o il Dottore, non avrebbe permesso a tutto quello di cambiare. Una sola volta era riuscito a ingannare gli eventi. Non ci sarebbe riuscito una seconda.
Che la rassegnazione stesse per giungere? Era probabile. La così tanto declamata “maledizione dei Signori del Tempo” consisteva anche in quello: sapere troppo.
La vista si annebbiò, e il tutto divenne indistinto, confuso, una macchia di colore incomprensibile che andò a decadere nel vuoto, nel nulla.
Strano… era la prima volta che gli capitava una cosa del genere. Solitamente avveniva dopo la rigenerazione, non prima.
Ma il tempo fu inclemente, ancora una volta, negandogli persino il tempo stesso di preoccuparsi.
 
Rinvenne poco dopo, o almeno lui così credette, in un posto buio che percepiva ampio, spazioso, familiare…ma che non riconosceva.
Dov’era?
Ma soprattutto, cosa era successo?
«Non agitarti, calmati. È tutto apposto.»
Quella voce, così familiare... troppo familiare… talmente tanto che avrebbe giurato fosse la sua voce.
«Beh si, effettivamente è in parte vero e in parte no.»
Quella frase lo sconvolse, fulminandolo all’istante per l’ovvio presupposto che ne seguiva. L’altro sentiva le sue riflessioni, e rispondeva ad esse.
«… ah scusa hai ragione. Per la fretta di stabilire una connessione, mi sono dimenticato di sistemarmi… aspetta un attimo… sì, così dovrebbe andare.»
Finite quelle parole, di fronte a lui evanescente come un fantasma comparve la figura del suo interlocutore, il quale prendeva sempre più corpo fino a diventare tangibile, praticamente reale.
Vedendolo, rimase ancora più allibito, e questo perché mentre un altro avrebbe potuto vedere in loro due gocce d’acqua, lui poteva riconoscere nell’altro la sua Metacrisi, quella parte di sé con la quale era riuscito a ingannare la rigenerazione una volta, quella parte di sé umana. Quella parte di sé che stava vivendo la sua vita con Rose.
«Cosa… cosa ci fai tu qui? Dovresti essere nell’altra dimensione, non dovresti essere qui.»
«Oh, ma io sono nell’altra dimensione… ricordi il trucchetto che usasti l’altra volta per parlare con Rose?»
«Ma io ho bruciato una supernova! Tu sei umano, senza T.A.R.D.I.S. e senza cacciavite sonico… questo… questo è impossibile.»
«No, solo improbabile. Vedi, siamo collegati geneticamente, oltretutto inconsciamente non solo hai desiderato, ma hai cercato ancora una volta il modo di ingannare il sistema di rigenerazione. Metti questo in correlazione al fatto che la tua rigenerazione scaturisce l’energia pari a quella di una supernova… e molto probabilmente anche il T.A.R.D.I.S. ci ha messo il suo zampino… ed eccoci qua.»
«Qua dove?»
«Nella tua mente.»
Questo spiegava alcuni dettagli che non comprendeva, quali il senso di familiarità e la reazione strana avuta prima della rigenerazione. Però non spiegava ancora tutto, come ad esempio il perché.
«È davvero così importante il perché, Dottore?»
A quella domanda non aveva risposta. Già, era davvero così importante? Alla fine di tutto, aveva davvero necessità di trovare un senso a tutto quello? Non era forse meglio approfittare un po’ di quel tempo, distrarsi, fuggire dall’inevitabile?
«Come sta Rose?»
«Una meraviglia. A volte è un po’ triste ripensando a te.»
«Già… immaginavo.»
«Però sta andando avanti. Stiamo andando avanti.»
Silenzio. Di quelli imbarazzanti, profondi, difficili da scalfire, di quelli che fanno sentire il rumore dei tuoi pensieri.
Secondi interminabili passarono, durante i quali i due si guardarono negli occhi, totalmente impassibili.
Ma la verità non era fatta di apparenze. E la Metacrisi sapeva, sapeva più di quanto dava a vedere, più di quanto il Dottore sospettasse. Ma era gentile, paradossale considerando quanto aveva preso da Donna Noble, e invece di tirare a forza da lui quello che aveva davvero intenzione di dire, attese pazientemente. Attese, fino a quando il Dottore non esplose in un pianto, lungo e straziato, praticamente interminabile.
«Io… io non ce la faccio…»
«Non ce la fai? A fare cosa?»
«A tenere tutto dentro, a stare in silenzio, a reggere il peso dell’intero universo sulle mie spalle da solo. È troppo per me, è troppo per un solo essere. Non sono così forte, non sono così speciale. Sono solamente un granello di sabbia che spazia in questo infinito. Io…»
Le parole gli vennero meno, in concomitanza a lacrime che rigavano copiose il suo viso. Un volto che non si sforzava più di nascondere tutta la fatica della sua esistenza, tutta la stanchezza che aveva accumulato, tutta la tristezza che serbava nel suo animo. Era stanco, troppo stanco, più di 900 anni di viaggio e mai un attimo di riposo.
Le sue gambe non reggevano più, tanto che crollò sulle ginocchia, mentre il suo lamento veniva interrotto solo da qualche sporadico singhiozzo.
La Metacrisi si avvicinò a lui, lo abbracciò, lo strinse a sé carezzandogli la schiena e cullandolo.
«Shh, sh, sh, sh… tranquillo. Va tutto bene. Sfoga tutto quello che hai dentro, ti farà bene.»
Sentì il suo abbraccio, le sue parole, il suo conforto. Il calore che lo avvolgeva era un dolce tepore che a poco a poco alleviavano il vuoto che sentiva, mentre si svuotava di tutta quella negatività che lo stava divorando da tempo all’interno.
Passò altro tempo, impossibile determinare quanto, ma fu tempo utile, usato saggiamente, tempo che se non risanò tutte le sue ferite, almeno le alleviò, rendendo il tutto quantomeno più tollerabile.
Il suo pianto finì, il suo respirò torno regolare. Si ricompose e ritornò in piedi, facendosi aiutare. Erano di nuovo faccia a faccia, il Dottore con un’espressione dolorante, ma oramai serena, la Metacrisi con uno strano quanto leggero sorriso, praticamente accennato.
«Dottore, sei e sei stato tante cose. Il tempo trascorso è stato tanto, troppo, lo ammetto. Ma non è mai stato tempo sprecato.
Vedi… quando prima dicevi di essere un piccolo granello di sabbia che spazia nell’infinito… si, dicevi la verità, ma una verità solo parziale. Perché seppure all’esterno somigli a un granello di sabbia, dentro c’è molto di più.
E quel granello di sabbia ha fatto molto, ha cambiato molto.
Non sei speciale, anche questo è vero, ed è questa la tua qualità più importante: sei come tutti gli altri. Avrai anche due cuori, ma riesci a essere comune, hai un aspetto ordinario e riesci a entrare nella testa di tutti, nel cuore di tutti. E sbagli, come sbagliano tutti. Queste sono qualità magnifiche, eccezionali, che un uomo speciale non potrebbe vantare.»
«I miei sbagli però vengono pagati a caro prezzo.»
«E così deve essere. Se non sbagliassimo mai, come potremmo imparare? Come potremmo determinare cos’è giusto e cos’è sbagliato? Sono gli sbagli che ci fanno crescere. L’importante è perdonare, e sapersi perdonare.»
«Però…»
«Lo so a cosa stai pensando. So anche che è triste, ma è necessario. Come i punti fermi nella storia. Non dico di non provare nulla quando capita, se capita, ma di accettarli per quello che sono. Perché gli sbagli hanno conseguenze negative, ma anche positive.»
Fece una pausa nel discorso, giusto per poggiargli una mano sulla spalla, fargli sentire il suo appoggio, il suo sostegno.
«E un’altra cosa. Tu non sei solo. Non lo sei mai stato, e non lo sarai mai. Pensaci. Pensa a Rose, a Donna, a Martha, a Jack, a Sarah Jane… e ce ne sarebbero molti altri da nominare, tanti altri. Oserei dire un universo di persone. Tu non sei solo Dottore, accetta questa verità.»
«…ho passato così tanto tempo a fuggire che, a un certo punto, ho iniziato a fuggire anche da me stesso.
Avevo paura. Ho paura.»
«Devi avere paura. Basta che non ti fai dominare da questa.
Dottore, se devi fuggire, fallo guardando sempre avanti, mai indietro. Non ti far fermare da cose come “la Maledizione dei Signori del Tempo”. È pericoloso? Allora tanto meglio. Il pericolo rende tutto meno noioso, no?
Promettimi che andrai avanti, e che non rimarrai a piangere sul latte versato se infrangerai qualche regola. Promettimi che tornerai a essere il Dottore che tutti cercano, quello che aiuta tutti e lo fa in maniera disinteressata, quello eccentrico, stravagante, imprevedibile. Non diventare l’ombra di te stesso per due tre cosucce andate a male. Sei meglio di così. Tu sei il fierissimo Dottore.»
Riuscì a strappargli un sorriso, un accenno di risata. Una piccola scintilla che riaccese a poco a poco il fuoco del suo animo, l’ardore del suo essere.
«Si… hai ragione… HAI MALEDETTAMENTE RAGIONE!» - gridò trionfante, in piena estasi mentre riscopriva la voglia di vivere, la voglia di andare avanti.
Aveva ragione, con una verità così semplice, così diretta che si meravigliava di come poteva essere stato così cieco da non vederlo prima. Quelle parole, dritte al cuore, erano tutto ciò di cui aveva bisogno per tornare a respirare, per cercare un motivo per vivere, e non quel continuo sopravvivere al quale stava facendo affidamento da un po’ di tempo.
Grato di tutto quello, in tutta risposta, emulò il gesto della Metacrisi, poggiandogli una mano sulla spalla e scuotendola leggermente, trasmettendogli quell’euforia che a stento oramai riusciva a trattenere.
«Ti ringrazio, amico mio, per avermi aperto gli occhi nel momento più buio della mia vita. Non riuscirò mai a ringraziarti abbastanza.»
«Penso che Rose sia un ringraziamento più che sufficiente.»
Risero entrambi.
«Trattala bene.»
«Ci puoi scommettere. Oh quasi dimenticavo. Prima dicevo di non sapere il perché fossi qui. Però… la conosci la prima regola, no?»
«Il Dottore mente.»
«Già. E anche se è vero che non sono veramente il Dottore… beh, sono comunque una parte di te.
Comunque, immagino che a questo punto tu sappia il perché io sia qui.»
«Si. Ed è per questo che apprezzo ancora di più.»
La Metacrisi estrasse un orologio da taschino, lo aprì e guardò l’ora.
«Credo non ci sia più tempo. Tra poco dovremmo dirci addio. E sarai un altro, quindi il nostro legame si spezzerà.
Pertanto, prima che io me ne vada, voglio dirti ancora un’ultima cosa.
Tu non sei solo. No more
Poche e semplici parole criptiche, dette negli ultimi istanti della sua vita, di quella vita. Qualcosa che in un altro momento, in un altro contesto non avrebbe avuto senso.
Ma quelle parole specifiche, dette in quel momento specifico, fecero scaturire molto più di quello che davano a vedere.
Il Dottore rise, prima piano poi di gusto, una risata allegra che partiva dal cuore, carica di sentimento. Una risata di gioia, come poche volte aveva riso. Era consapevole che lo avrebbe dimenticato, con la rigenerazione, ma poco importava.
La Metacrisi lo vide ridere, e di rimando sorrise poco prima di scomparire, felice di aver aiutato un amico nel momento del bisogno.
Con quella risata, nuovamente sentì venire meno, consapevole stavolta però del perché.
 
Risvegliatosi, era steso sul pavimento del T.A.R.D.I.S., in corrispondenza a dove era prima di svenire.
Se avesse sognato o se quel collegamento fosse stato vero non poteva dirlo con certezza, ma con certezza sapeva di non essere più triste. Certo, avrebbe cambiato aspetto, sarebbe stato un uomo diverso, avrebbe guadagnato tante cose come ne avrebbe perso molte altre, ma sarebbe sempre rimasto lui, il Dottore, pronto all’avventura, ad andare avanti, a continuare.
Un Dottore che non era più solo.
No more.
   
 
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