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Autore: Erule    04/11/2016    1 recensioni
POST 12X03
Dean e Sam vengono a sapere che la loro amica Jane è ricoverata in un ospedale di Chicago, perché le hanno sparato. Così guidano fino a lì per raggiungerla. Rivederla porta a galla nella mente di Dean dei ricordi, ma anche dei sentimenti.
Incipit:
Sono le cinque e mezza del mattino e Dean se ne sta appoggiato all’auto, sorseggiando un caffè, lievemente irritato per essersi dovuto alzare così presto di sabato. Insomma, è abituato a cacciare i mostri anche dopo la mezzanotte, dimentico degli occhi che bruciano per il troppo sonno o delle giunture che minacciano di cedere, ma lui e Sam si erano detti di prendersi un giorno libero. Invece, il suo fratellino adorato aveva cambiato improvvisamente idea, così ora si ritrovano all’esterno di un piccolo supermercato a qualcosa come cinque ore da Chicago, per comprare i rifornimenti - fra cui un po’ di torta - per affrontare il viaggio. Sam aveva preferito rimanere misterioso durante il tragitto: non aveva spiegato a Dean neanche se ci fosse un nuovo caso su cui indagare.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Mary Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La memoria dei muscoli
 
 
Titolo: La memoria dei muscoli  
Coppia: Dean x OC (original character - personaggio originale)
Parole: 7.7K+   
Avvertimenti: angst, romantic, (a little) fluff  
Sommario: Dean e Sam vengono a sapere che la loro amica Jane è ricoverata in un ospedale di Chicago, perché le hanno sparato. Così guidano fino a lì per raggiungerla. Rivederla porta a galla nella mente di Dean dei ricordi, ma anche dei sentimenti.    
Note: post 12x03.  
 





Sono le cinque e mezza del mattino e Dean se ne sta appoggiato all’auto, sorseggiando un caffè, lievemente irritato per essersi dovuto alzare così presto di sabato. Insomma, è abituato a cacciare i mostri anche dopo la mezzanotte, dimentico degli occhi che bruciano per il troppo sonno o delle giunture che minacciano di cedere, ma lui e Sam si erano detti di prendersi un giorno libero. Invece, il suo fratellino adorato aveva cambiato improvvisamente idea, così ora si ritrovano all’esterno di un piccolo supermercato a qualcosa come cinque ore da Chicago, per comprare i rifornimenti - fra cui un po’ di torta - per affrontare il viaggio. Sam aveva preferito rimanere misterioso durante il tragitto: non aveva spiegato a Dean neanche se ci fosse un nuovo caso su cui indagare. Lo aveva solo svegliato (dapprima chiamandolo, poi con un secchio d’acqua gelata), lasciato il tempo di farsi una doccia e successivamente lo aveva costretto a guidare seguendo le sue indicazioni. Non che a Dean non piacesse guidare, Dean amava guidare per chilometri e chilometri senza fermarsi con in sottofondo una lunga playlist di rock classico da ascoltare e cantare a squarciagola per far rilassare i muscoli e distendere l’animo, ma così l’unica idea che poteva venirgli in mente era che Sam gli stesse nascondendo qualcosa. E Dean, dopo tutto quello che era accaduto negli ultimi tempi, non faceva molto il tifo per i segreti.
<< Cosa diavolo stiamo facendo qui fuori alle cinque e mezzo del mattino, Sam? >> Dean chiede, vedendo Sam uscire dall’edificio con una busta in mano.
<< Andiamo. >>
<< No. >> Dean replica e Sam sbuffa, facendo scivolare la busta sul sedile anteriore dell’Impala. << Ho accettato di svegliarmi, guidare e bere quest’orribile caffè ad una stazione di servizio, ma adesso pretendo di sapere perché diavolo stiamo andando a Chicago. >>
Sam guarda altrove, evita gli occhi di Dean e già solo questo è un campanello d’allarme per il maggiore dei due. C’è qualcosa che non va, qualcosa di cui Sam non vuole parlare, ma ormai dovrebbe sapere che può aprirsi completamente con lui. Dovrebbe sapere che in una famiglia come la loro, bisogna essere trasparenti, raccontarsi ogni paura o preoccupazione.   
<< Avanti, Sammy. Dimmi cos’è successo. >>
Sam fa un respiro profondo e guarda Dean, le mani intrecciate sul tetto dell’auto, mentre l’altro riflette lo stesso gesto dall’altra parte. Sembra di guardarsi allo specchio, a volte, talmente si assomigliano.
<< Va bene, ma promettimi una cosa: anche se non dovesse piacerti quello che sto per dirti, noi andremo a Chicago comunque. D’accordo? >>
Dean alza le sopracciglia, confuso. Non gli sono mai andati molto a genio questi accordi, è come sancire un patto con il diavolo - e lui conosce bene Lucifero, sa di cosa sta parlando -, eppure Sam non ha altra scelta che ricorrere a quella frase. Dean assottiglia gli occhi e lo scruta, cercando di carpire qualche altra informazione, ma invano. Allora si arrende ed annuisce.
<< Va bene. Sputa il rospo. >>
<< D’accordo. Ieri sera mi ha chiamato un numero sconosciuto al cellulare. Ho risposto, perché pensavo fosse urgente, magari era Garth, ma non è stato così. Un uomo mi ha chiesto se io fossi te e ho mentito, così che potesse dirmi cosa volesse ed è venuto fuori che… che… >>
Dean sporge il viso in avanti, facendogli cenno di continuare, ma Sam balbetta. C’è una sola ragione per cui Sam fatica a parlare.
<< Allora? >>
<< Le hanno sparato, Dean. >> Sam replica, grave. Ora è il turno di Dean di guardare altrove, di perdersi nei ricordi, nei meandri della sua mente, di concentrarsi non più sul rumore delle ruote sull’asfalto, ma sul suo cuore che perde un battito. << Era il suo fidanzato. È ricoverata in ospedale. Non si è ancora svegliata, ma mormora il tuo nome di continuo e lui ha trovato il numero nel suo telefono. >>
<< Ha trovato il tuo. >> Dean gli ricorda, aprendo piano gli occhi, lasciando che il gelo del cuore si riversi nello sguardo, nel verde adesso spento delle sue iridi.
Era il suo fidanzato.
<< Credo che abbia cancellato il tuo numero per proteggerti. Forse il mio era solo salvato come contatto d’emergenza. >>
<< O forse è solo che non voleva avere più niente a che fare con noi. >>
<< Sai che non è vero. >>
<< No, non lo so, Sam. >> Dean ribatte, rabbioso. << Ciò che so, è che se n’è andata. Ci ha lasciati, proprio come ha fatto papà ed adesso anche mamma. >>
Sam deglutisce, silenzioso.
<< È successo dopo che Amara ti ha teoricamente ucciso, Dean. Non sa neanche che sei vivo. Le hanno offerto una promozione e lei ha accettato. Sai che sarebbe rimasta, altrimenti. >>
<< Perché avrebbe dovuto? >>
<< Perché ti amava. >> risponde Sam e qualcosa si rompe negli occhi di Dean, come il vetro. Cade in pezzi.
Per mesi, Dean aveva pensato che doveva lasciarla andare, che la rabbia l’avrebbe aiutato a fargli sentire di meno la sua mancanza, che doveva occuparsi di rimettere insieme la sua famiglia, ma adesso, adesso torna tutto a galla. Torna tutto fuori, come un fiume in piena. L’acqua esce dagli argini e torna tutto su, in gola. Fa quasi male, pensare che lei si è rifatta una vita ed è felice, ma lui è vivo a sua insaputa e se lei l’avesse saputo prima, forse ora Dean non avrebbe dovuto sentire quella frase.
<< Sali in macchina. >>
Forse ora lei sarebbe insieme a lui.
 
A volte gli sembra di risentirlo. È un dolore sordo al centro del petto, come un tonfo attutito. Dean ormai si è abituato e non lo trova più strano, perché lo avverte ogni volta che pensa a lei. Non è raro che lo faccia, ma a volte è più sopportabile di altre. Quando va a dormire, però, non riesce a pensare a tutte le cose che deve ancora fare, ma solo agli incubi che lo assaliranno una volta che avrà chiuso gli occhi. Lei lo aveva amato tanto, troppo. Non avrebbe mai creduto che una persona - al di fuori di Sam - potesse amarlo così tanto, malgrado tutti i suoi difetti e minacce di morire ogni giorno. Però lei lo aveva fatto, gli aveva donato il suo cuore e lui l’aveva calpestato. No, non per colpa sua, ma l’aveva fatto. È doloroso ricordare la sera in cui le aveva detto addio - forse per i suoi occhi rossi o per le sue labbra esangui o per i suoi singhiozzi -, però non riusciva a farne a meno. Mentre guida, si massaggia un braccio. Non è per la stanchezza, ma sente come il bisogno di riempire uno spazio vuoto fra le due braccia ed il petto. Dicono che la memoria muscolare non sia altro che la capacità acquisita attraverso la ripetizione costante di sequenze ed azioni, di eseguire le stesse attività in maniera automatica, riducendo al minimo il bisogno di essere vigili quando la si ripete. I suoi muscoli ricordavano il peso, lo spazio occupato, la posizione, di lei che lo abbracciava, della sua pelle, dei suoi di muscoli quando lo toccava.
<< Ne senti la mancanza, eh? >>
Dean non si volta per fissarlo, ma stringe la mascella e fa risaltare le fossette ai lati delle labbra. Sam conosce il linguaggio del suo corpo, sa già la risposta. Non glielo chiede un’altra volta. Non ne ha bisogno.
 
Sono le undici passate, quando arrivano a Chicago e chiedono una stanza nel motel più vicino all’ospedale dove lei è ricoverata. Lasciano le valigie e poi si dirigono all’ospedale. Non hanno intenzione di rimanere per molto tempo, magari per due giorni o finché non si sveglia. Sam lancia occhiate a Dean di tanto in tanto, mentre salgono le scale per arrivare al quarto piano. Finché non si sveglia è una frase che Dean non vuole sentire, perché presuppone che lei potrebbe svegliarsi anche fra due anni o trenta oppure per niente. E questo lo spaventa, anche se lui cerca di rimanere sicuro e forte come Batman, questo è l’unico pensiero che potrebbe distruggerlo dall’interno. Il pensiero di lei che non si sveglia. Sam sa che lo ucciderebbe.
<< Salve. Stiamo cercando Jane Dawson. >> Sam dice ad un’infermiera.
<< Siete dei parenti? >> lei chiede.
Dean si muove inquieto accanto a lui, lasciando scivolare il peso del corpo prima da una parte e poi dall’altra. Non sono parenti di sangue, ma è come se lo fossero. Le parole di Bobby gli risuonano in testa, mentre pensa a cosa risponderle. La famiglia non è solo una questione di sangue. Il punto è che i documenti parlerebbero per loro e non hanno preparato nessuna patente con su scritto il cognome di Jane. Non può mentire.
<< No, siamo suoi amici. Vorremmo sapere come sta. >>
<< Mi dispiace, ma allora non posso aiutarvi. >>
A quel punto la calma apparente di Dean va a farsi benedire e lui interviene, rabbioso, sbattendo un pugno sul tavolo.
<< Senta, mi dica subito qual è la sua camera o le giuro che… >>
<< Siamo dei suoi colleghi. >> Sam lo interrompe, mostrando il tesserino dell’FBI alla donna. << Per favore, ci dica dov’è. >>
L’infermiera lancia un’occhiataccia a Dean, poi gira intorno al tavolo e fa loro segno di seguirla.
<< Stanza 302. >>
<< Grazie mille. Deve scusare il mio collega, sa, lui e Jane sono molto legati. >>
Dean butta giù il malumore, senza replicare. Sa che ha esagerato, non c’è bisogno che Sam glielo faccia notare, ma il bisogno di vederla si fa sempre più impellente, mano mano che si avvicinano a lei. È come se avesse un metal detector che può condurlo a lei, ovunque lui sia. Come quando sale nell’Impala ed il tragitto troppo lungo a volte lo stanca così tanto da chiedersi quando arriverà al bunker, ma si calma pensando che tanto tutte le strade portano a casa.
Un uomo esce dalla stanza 302. Indossa degli abiti da civile, quindi non è né un medico né un collega dell’ufficio. Dean capisce subito chi è, senza neanche pensarci due volte.
<< Salve. >> Sam esordisce.
L’uomo li scruta con uno sguardo di genuina curiosità. Ha i capelli neri, gli occhi castani, un po’ di barba sulle guance ed indossa un maglione blu. Non ha niente di Dean, non gli somiglia nemmeno lontanamente.
<< Salve. >> replica, con un tono di voce quasi solenne. Qualcosa scatta nella mente di Dean: Avvocato. Al novanta percento si sono conosciuti sul posto di lavoro. Prevedibile.
<< Io sono Sam e lui è Dean. >> Sam si presenta ed indica sé e suo fratello. << Winchester. >>
<< Oh! >> l’altro esclama, stringendo loro la mano. Dean per un attimo è riluttante, ma non può sottrarsi a questo rituale. << Piacere. Il mio nome è Duncan. Grazie per essere venuti con così poco preavviso. Scommetto che Jane sarà felice di vedervi. >>
<< Si è svegliata? >> Dean chiede.
<< No, ma i medici sono speranzosi. Entro domani dovrebbe riprendere conoscenza. >> Duncan risponde, sorridendo. Sembra una persona così solare e positiva, l’opposto di Dean. C’è qualcosa che stona, qualcosa che lo disturba in lui. Eppure non lo conosce neanche. << Una volta mi ha parlato di voi due, i fratelli Winchester. Così ho pensato che voi foste qualcosa di più simile a degli amici che avesse e ho chiamato il contatto sul suo cellulare. Credevo che mi avesse risposto Dean, dato che continuava a pronunciare il suo nome nel sonno. >> Duncan spiega.
<< No, sono stato io. Dean stava dormendo e non volevo svegliarlo. >> Sam dice, stringendosi nelle spalle.
<< Sì, certo, è ovvio. >> afferma Duncan. << Quando mi hanno chiamato, è stato orribile. Mi hanno detto di precipitarmi qui, perché avevano sparato a Jane durante un arresto che sarebbe dovuto essere tranquillo e sono andato nel panico. Uno dei momenti più brutti della mia vita, lo giuro. Ho creduto di perderla. >> Duncan racconta. Qualcosa, forse un nodo, attorciglia lo stomaco di Dean e lo strattona a destra e a sinistra. << Scusate, ma adesso io dovrei tornare al lavoro. Ho pregato l’infermiera di contattarmi per qualsiasi evenienza, ma dato che ci siete voi… >>
<< Ci pensiamo noi. >> Sam replica, sorridendo.
Duncan dà una pacca sulla spalla a Sam e poi se ne va. Dean fissa il pavimento, le mani che sprofondano nelle tasche del giubbotto. Sam sa a cosa sta pensando, ma non vuole forzarlo a dire nulla. Resta in silenzio di fianco al fratello, gli occhi puntati sulla porta bianca di fronte a lui. Non riesce ad evitare di pensare a Bobby, al giorno in cui l’hanno perso. Non sarebbe lo stesso con Jane, lei non è mai stata una figura paterna per loro, non c’entra niente, ma dopo aver perso così tante persone - fra cui, a dirla tutta, sua madre - Sam non riesce ad accettare l’idea di dover lasciare andare anche lei. Gli fa troppa paura.
<< Se vuoi entrare… >> comincia a dire Dean, ma non termina la frase.
<< Siamo arrivati in tempo, Dean. >> le parole scivolano via dalla bocca di Sam. Dean annuisce, ma non ci crede fino in fondo e Sam lo sa. Non devono dire addio anche a lei.
<< Entriamo. >> Dean asserisce, prima di aprire la porta. Forse lo fa per tagliare corto quella conversazione o forse perché sa che è una cosa che deve fare, perché fino ad un momento fa non ne sembrava tanto convinto. In ogni caso, Sam attraversa la soglia della stanza insieme a lui.
E poi, il cuore cade nello stomaco. Jane è distesa nel letto, tubi ovunque intorno a lei e legati a lei, che corrono da tutte le parti come se creassero un labirinto. La coperta bianca la copre fino alla pancia. I capelli lunghi, neri, ricadono sciolti sul cuscino. Non si vede il punto in cui le hanno sparato, Sam non sa nemmeno dove sia, cosicché vista in questo modo, lei sembri un incrocio fra Biancaneve e la Bella Addormentata. È pallida, più pallida della luna di notte.
Per un secondo, Sam si era dimenticato di Dean al suo fianco, ma il suo respiro si fa sentire. È smorzato, trattenuto nella trachea. Ha gli occhi cerchiati di rosso, ma non per la stanchezza. Le sue fossette risaltano ai lati della bocca, la linea sottile delle labbra sembra una cortina di ferro. Sta male. Sam lo capisce, non riesce nemmeno a guardarla. Vorrebbe risparmiargli tutto questo dolore, tutti questi colpi che continua a ricevere durante gli anni, vorrebbe proteggerlo, ma non c’è niente che possa fare. Se Mary non se ne fosse andata, forse per Dean sarebbe stata meno dura, ma la vita non ti fa riprendere il fiato. E continua a togliere.
<< Dean… >>
<< Sto bene. >> Dean risponde, prontamente. Fin troppo. << Sta solo dormendo, giusto? L’abbiamo vista dormire altre volte. >>
Nel bunker, sulla poltrona, nel suo letto, in una camera d’albergo durante un caso, persino per terra (non erano riusciti a trovare una camera per tre, così lei si era offerta di dormire per terra, senza ascoltare le offerte cavalleresche di Sam e Dean, ma era finita che tutti e tre avevano dormito sul pavimento per farle compagnia ed il giorno dopo si erano svegliati con un terribile mal di schiena), nell’auto (ferita o mentre viaggiavano). Dean si ricordava il suo viso tranquillo nello specchietto, che lo faceva sorridere ogni volta, mentre anche Sam riposava alla sua destra. Era un po’ come se stesse proteggendo i suoi fratellini. Eccetto che, da un po’ di tempo a questa parte, Dean non riesce più a vedere Jane come una sorellina. Sarebbe troppo riduttivo denominarla in quel modo.
Sì, ma non così, vorrebbe controbattere Sam, ma le parole gli muoiono in gola. Dunque, lui annuisce, infilando le mani nelle tasche dei jeans, senza dire alcunché.
Escono pochi minuti dopo, per prendere un caffè ed un po’ d’aria. Dean vorrebbe la torta che ha dimenticato in auto, ma non ha il coraggio di abbandonare Jane proprio ora. Aspetta per un po’ seduto fuori dalla sua camera, la testa che piano piano si abbandona di lato, gli occhi che si chiudono, mentre osserva Sam parlare con l’infermiera scorbutica di prima. Sam annuisce un paio di volte, poi si volta e va da lui. Schiocca le dita di fronte al suo volto, cercando di svegliarlo.
<< Ehi, smettila, ci sono. >> Dean sbuffa, strofinandosi gli occhi. << Sono sveglio. >>
<< Allora, il medico dice che i parametri sono perfetti e che Jane sta bene. Ha solo bisogno di riposarsi. >>
<< Bene. Dove le hanno sparato? >>
<< All’addome. >> risponde Sam.
<< Che figli di… >>
<< Lo so. >> asserisce Sam, sedendosi di fianco a lui. << Anche io sono arrabbiato. >>
No, non è solo rabbia, quella che sente Dean. La rabbia da sola non ti pervade tutto il corpo, non gli infligge dolore ripetutamente con la punta di uno spillo. C’è il senso di colpa, nel profondo, perché lui non era lì a proteggerla. C’è la vendetta, nel caso quei maledetti non siano stati arrestati. Ma c’è anche qualcos’altro. Impotenza. Consapevolezza di non poterla aiutare. Certo, potrebbe chiamare Castiel e lui risolverebbe tutto dal nulla, senza chiedere niente in cambio e gli servirebbero solo due secondi, ma la situazione non è grave e lui non può sempre risolvere tutti i loro casini.
<< Vado a farmi un giro. >>
Deve schiarirsi le idee, Dean. Non si allontana troppo, va solo sul tetto dell’ospedale. Se Sam lo chiamasse, lui sarebbe lì in meno di cinque minuti. Ha solo bisogno di guardare il cielo per un attimo, di perdersi nei pensieri della gente che corre per Chicago, che sta male o ha paura o soffre come lui.
I ricordi danzano nella sua mente. Si rincorrono esattamente come i tubi che tengono in vita Jane e la controllano, qualche piano più giù. Si scontrano, si allontanano, si abbracciano, si tengono stretti. Da una parte c’è lei che ride, dopo avergli gettato una torta di panna in faccia; dall’altra c’è lei che lo ascolta parlare di Amara, la sua espressione lontana quando lui dice che la desidera, ma vorrebbe che non fosse così (e solo ora può capire cosa provava Jane); poi c’è il ricordo di lei che corre nel bunker, rossastra sotto la luce, i capelli che fluttuano nel buio, mentre lui le dà la caccia con un martello in mano; ma il pugno allo stomaco glielo infligge l’ultimo ricordo che ha di lei. L’ultima volta in cui l’ha vista, lei appariva spezzata come lo specchio del caso di Bloody Mary. Forse anche di più.
 
Jane sbatte le palpebre, le lacrime s’impigliano fa le ciglia. Vorrebbe venire con te. Non vuole che tu vada dove lei non può seguirti. Però non potete stare sempre insieme. Un singhiozzo la scuote, il labbro inferiore le trema. Di solito le dici Tornerò presto, non preoccuparti, peccato che stavolta tu non possa farlo. La stringi a te, la abbracci e lei ti stringe ancora più forte, aggrappandosi con le dita alla tua camicia. Pelle contro pelle, eppure non le basta. Il suo viso affonda nell’incavo del tuo collo, sta in punta di piedi, respira a fatica, ma non ti molla. È come se i pezzi tornassero insieme, come se stesse tentando disperatamente di incollarli fra di loro, ma non vogliono saperne di rimanere attaccati. Un solo abbraccio non può risolvere tutto, perché dura troppo poco.
Quando si stacca, i suoi occhi sono rossi ed il verde delle sue iridi si vede a fatica. Potrebbe davvero essere tua sorella, se non fosse che ha un altro cognome ed un altro gruppo sanguigno. Si morde le labbra, indecisa se parlare o meno. Vorresti avere più tempo da dedicarle, un’intera vita, ma non hai più niente da poterle donare. Vorresti darle solo le cose belle, solo quelle che ama, ma non hai quel potere e non hai altro.
<< Non è giusto. >> dice e la sua voce - rotta, triste, acuta come quella di una bambina - rompe il silenzio.
<< Lo so. >>
<< Non voglio che tu te ne vada. >>
<< Mi dispiace. >>     
<< Io ti amo, Dean. >> Jane replica. Sgrani gli occhi, stupito. Le parole le sono uscite dalle labbra come forzate, come se qualcuno le avesse spinte fuori, perché lei non avrebbe mai voluto pronunciarle, ma in questo momento sa che sono le ultime. Sono le ultime parole che tu sentirai nella tua vita. E lei vuole che siano le migliori. << E non te lo dico per ferirti, ma unicamente perché, se devi morire oggi ed io non ti rivedrò mai più, voglio che tu lo sappia. >>
Chuck solo sa quanto vorresti poterle rispondere Ti amo o Anch’io o Ti amo anch’io o tutte le varietà di quella dannata frase, ma hai un secondo e non riesci a pensare a niente e non riesci a realizzare se sono quelli i tuoi veri sentimenti, ma una voce nella tua testa ti dice che tanto adesso morirai e lei non saprà mai che tua abbia detto una bugia (sempre che lo fosse), quindi tanto vale parlare. Però fa paura e poi Castiel ti richiama all’ordine e poi ti ritrovi a perderti nei suoi occhi rossi, rossi da far paura e nel suo sguardo rotto che muore quando tu scompari nel vortice.
Vorresti morire anche tu lì dentro, per quello che le hai fatto, ma non muori. Non morirai neanche dopo, in realtà.
 
Dean torna in sé. È il momento di tornare di sotto. Prende l’ascensore e si dirige verso la camera di Jane. Sam non c’è. Sarà andato a prendersi un caffè o una boccata d’aria anche lui, in fondo se lo merita. Entra nella stanza, lei sta ancora dormendo ed il tormento dei bip gli fa compagnia. Si siede accanto a lei. Non la tocca, non le sfiora nemmeno la mano, anche se è invitante, abbandonata lì sul letto, immobile, le vene verdastre che risaltano sul pallore. Jane gli direbbe che va bene piangere, che se vuole può farlo, levarsi l’armatura come Orlando e mostrare le emozioni come un essere umano, ma Dean si trattiene. Non ha pianto quando se n’è andata Mary, né tantomeno lo farà ora.
La sera Duncan va e viene dalla stanza di Jane. Un suo cliente continua a telefonargli e non riesce a staccarsi da lui. Purtroppo è il suo lavoro (fa l’avvocato) e comunque Jane non si è ancora svegliata, quindi non è che abbia altro a cui badare. A Dean piace Duncan, perché a quanto pare non ha scheletri nell’armadio ed è davvero una persona solare, sorridente, ma sente lo stesso una spia nel cervello quando entra nella stanza. Forse è la gelosia. Forse è la stanchezza. Forse è solo che il sospetto fa parte del suo lavoro (infatti Sam ha controllato su internet, ma l’unica macchia è una multa contratta nel 2003 per aver parcheggiato sotto al cartello di un divieto di sosta). Potrebbero tornare al motel tranquillamente, l’infermiera li chiamerebbe se ci fossero delle complicazioni (e non ci saranno), ma Dean decide di rimanere lì e Sam fa lo stesso. Duncan, invece, torna a casa, perché di mattina dovrà lavorare e ha bisogno di riposare un po’. Passerà presto per salutare Jane. Non è preoccupato, ha fiducia nella medicina ed in loro. E sa che Jane è forte.
È un incubo, per Dean. Sembra non finire mai. Si addormenta esausto alle due di notte, dopo che non ha dormito per più di ventiquattr’ore e gli occhi hanno cominciato a pulsare. Si sveglia alle nove passate, con un ronzio nelle orecchie. C’è troppo rumore. C’è qualcosa che non va. Si strofina gli occhi e cerca Sam con lo sguardo.
<< Sammy? Sam? >>
<< Dean. >> Sam replica, arrivando dall’altro capo del corridoio. << Ehi. >>
<< Che succede? >>
<< Si sta svegliando. >>
Il cuore gli esplode nel petto. Sa che è il cuore, è per forza il cuore, quello che sta fra trachea e stomaco, protetto dai polmoni e dalla cassa toracica. Dean si alza, vuole vederla, vuole sapere come sta.
<< Dean, forse è meglio se non entri. >> Sam dice e non vorrebbe.
<< Cosa? >> chiede Dean, confuso.
<< Le hanno appena sparato e crede che tu sia morto. Non vorrai mica farle venire un infarto, vero? Fai entrare prima me, poi ti prometto che la vedrai anche tu. >>
Dean annuisce. Sam sa sempre che cosa fare, Dean si fida di lui. È solo che il tempo lo logora dall’interno. Sam entra cinque minuti dopo, mentre Dean rimane seduto ad aspettare. Stanno ancora parlando, quando Duncan arriva.
<< Ciao! >> Duncan esordisce, sorridendo. << Jane sta bene? >>
<< Oh, c’è Sam dentro. Credo di sì. >>
<< Allora vorrà dire che la vedrò dopo. Grazie al cielo sta bene. >>
<< Già. >>
Sam esce e Duncan entra. Dean non vuole sapere come l’abbia trovata, se era felice, se sta bene (perché sa che sta bene), se è bella come allora, se ha ancora quella cicatrice al polso sinistro (se l’è procurata durante un caso, somiglia alla coda di un serpente).
<< Non lo sa. >> Sam dice, in piedi di fronte a lui.
<< Cosa? >>
<< Che sei vivo. >> risponde. << Mi sembra felice, Dean. L’ho trovata… ecco, serena. Le faceva un po’ male l’addome, era pallida, ma è normale. >>
<< E questo cosa significa? >> chiede Dean, indispettito.
<< Puoi vederla. >>
La rabbia scompare e lascia spazio alla paura. Certo, l’ha già visto tornare dalla morte una volta, ma in quel caso sapeva che era vivo, seppure un demone. Non può semplicemente entrare nella stanza e dire Ehi, non sono morto! Però vuole vederla, deve vederla, anche se significa farsi odiare ulteriormente da lei (se lo odiava) o farle prendere un infarto. Duncan esce dalla stanza e gli sorride.
<< Ora tocca a te. Le ho detto di non addormentarsi ancora. >>
Dean annuisce, alzandosi.
<< Grazie. >>
E non è solo un Grazie di circostanza, ma è un Grazie per aver cercato di proteggerla il più possibile, per averla resa felice, per esserle stato vicino dopo che aveva perso un membro della sua famiglia. Per aver colmato il vuoto, dopo aver perso lui. 
Dean entra nella stanza. Lei ha gli occhi chiusi, un mezzo sorriso che le increspa il volto.
<< Allora, qual è questa sorpresa? >> chiede, divertita. Oh, se gli era mancata la sua voce. Quasi non se la ricordava più. Dean finge di tossire per richiamare l’attenzione, così lei apre gli occhi e lo scontro con i suoi occhi verdi è brutale. Dean ci annega dentro per un secondo. Annega nel suo sbigottimento, nella sorpresa, nella paura, nel respiro smorzato. Le sorride lievemente, non sapendo esattamente cosa dire. << Dean… >>
<< Ehi. Ben svegliata. >>
Jane sbatte le palpebre un paio di volte, per capire se sta ancora sognando o meno. Poi fa forza su di una mano per cercare di alzarsi, facendo perno contro il materasso e con l’altra si tiene l’addome. Dean corre subito verso di lei, le mani avanti per fermarla.
<< Che vuoi fare? Non alzarti. Hai bisogno di qualcosa? >> chiede Dean, sfiorandole una mano senza volerlo. Se ne accorge un secondo dopo e la ritrae, come scottato.
Jane lo guarda intensamente negli occhi e poi alza un braccio per circondargli il collo, incurante dei punti di sutura che potrebbero saltare sul suo addome, ancora incredula e con gli occhi aperti. L’odore di ospedale gli pervade le narici, lei è fredda, ma perlomeno è viva. L’incavo del suo collo si ricorda di lei, è come se quel posto esistesse solo per farle posare il viso, che affonda nella sua camicia sgualcita. Gli era mancata. Non aveva realizzato quanto, fino a questo momento. Però non riesce a gustarselo appieno, perché sa che dovrà andare via e la lascerà di nuovo e gli fa male da morire.
Poi c’è il sangue. Una macchiolina, ma si nota fin troppo. Dean la lascia andare con riluttanza, ma i punti si sono staccati. Va a chiamare il medico, mentre avverte lo sguardo di Jane che gli brucia addosso, sulla schiena. È come se potesse metterlo a nudo, come se potesse svelare tutte le sue bugie, strappandogli di dosso il velo che ricopre il muro. Il muro si sgretola sotto al suo sguardo, il muro che dovrebbe proteggerlo dagli occhi altrui (ma non dai suoi).
Il medico impone loro di poterla vedere solo dopo un paio d’ore. Duncan torna al lavoro e saluta i ragazzi, perché partiranno la sera stessa. Sam chiede a Dean come mai, ma Dean non gli risponde. È così e basta, bisogna tornare a casa. Non ci sono spiegazioni da dare. Dean rimette i vestiti in valigia con veemenza e Sam non riesce ancora a capire.
<< È andata male? >> chiede, ma Dean non gli risponde (di nuovo). << Avete litigato? Dean, dimmi qualcosa! >>
<< No. >> sibila, continuando a gettare le cose nella borsa.
<< No, cosa? >>
<< Non abbiamo litigato. È andata bene. >>
<< E allora perché ce ne stiamo già andando? >>
<< Perché se sto vicino a lei, rischio di metterla nei guai. >>
<< Certo, perché senza di te è stata benissimo, eh? >> Sam gli fa il verso, con ironia. Dean butta fuori l’aria, sedendosi pesantemente sul letto.
<< Non so che fare. >>
<< Non possiamo andarcene adesso. Fra l’altro ho appena chiamato Castiel, vorrebbe vederla anche lui. >>
Dean si morde l’interno della guancia, indeciso. Non è che abbiano altro da fare, in realtà.
<< D’accordo. Però lunedì ce ne andiamo. >>
<< Va bene. >>
 
***
 
Domenica sera, Jane sta un po’ meglio. È in convalescenza, ma continua a muoversi come un’ape operaia. Non è mai riuscita a rimanere ferma, in effetti. Prima che Duncan arrivasse per cena (vivono insieme), si è fatta raccontare per filo e per segno degli ultimi mesi, mangiando pop corn e fissando i ragazzi come se stesse guardando un film. Sam si immerge a parlare con Duncan della sua professione, dato che lui ha frequentato Stanford per un po’ ed è un cervellone. Dean sorride nel guardarli, ma gli viene anche un po’ di nostalgia. Jane lo sta fissando da un paio di minuti buoni, quando lui si volta ed alza un sopracciglio.
<< Che c’è? >>
<< Niente, è solo che… è strano averti qui, ad un palmo dal naso. Insomma, solo una settimana fa credevo che fossi morto. >>
<< Andavi in chiesa ad accendere un cero per me? >> Dean chiede, scherzando, sapendo che non sta offendendo nessuno, dato che Jane non è religiosa e nemmeno lui (ironico, dato che hanno avuto entrambi il piacere di conoscere Chuck).
Jane abbassa lo sguardo, chiudendosi nel silenzio per un attimo.
<< Pregavo. >>
Be’, in effetti avrebbe anche senso, dato che Chuck ascolta le preghiere, eppure Dean non riesce ad immaginarsela in quel modo: in ginocchio ai piedi del letto, le mani unite, le labbra che mormorano qualcosa, gli occhi chiusi. Gli sembra troppo lontana dalla Jane che conosce. Forse è cambiata.
<< Oh. >>
Sono tre ore che stanno insieme, giorni che sono stati vicini, ma sono stati troppo pochi. Dean ancora non riesce a carburare, non riesce a pensare che domani se ne andrà e forse non la rivedrà mai più e ricomincerà la routine e gli mancherà come una parte del corpo che senti assente, ma che non se n’è davvero andata. Può rivederla quando vuole, basta guidare dieci ore dal Kansas verso Chicago, ma non è che possa farlo tutti i giorni. Per non parlare del fatto che ci sono cose che non puoi raccontare di fronte a tutti, gesti che solo lei può vedere, nervi che solo lei può toccare.
<< Ve ne andate domani mattina, eh? >> chiede, cambiando argomento e Dean nota che il velo della tristezza cala sui suoi occhi.
<< Sì. >> risponde Dean, distrattamente. << Jane, dobbiamo parlare. >> aggiunge.
Jane sussulta leggermente, ma né Duncan né Sam se ne accorgono.  
<< Okay. >>
Jane fatica ad alzarsi dal divano, così Dean l’aiuta ed il contatto con le sue mani lo scotta di nuovo, come quel giorno in ospedale. Jane lo conduce nella sua stanza, che poi è una specie di studio ed aspetta che Dean parli. La porta è chiusa dietro di lui. La scrivania è piena di fotografie dei suoi casi, di fianco al computer, ma c’è anche una foto di lei, Sam e Dean attaccata con una puntina alla bacheca di sughero sul muro. Dean non si ricorda esattamente di quel giorno, forse non era accaduto niente di importante, ma gli procura comunque una fitta al petto.
<< Non ce la faccio. Non riesco ad andare avanti così. >>
<< In che senso? >> chiede Jane.
<< Non riesco a smettere di pensare a quel giorno. Non riesco ad immaginare altri mesi senza di te, adesso che ti ho qui davanti a me. >>
<< Dean, sto bene. Non devi preoccuparti per me. >> Jane risponde, rassicurandolo.
<< Ci credo, ti sei rifatta una vita. >> Dean replica, stizzito.    
Jane si sente accusata come i colpevoli che arresta e spedisce in tribunale.
<< Ne avevo il diritto. >>
<< Hai lasciato Sam da solo, che fra parentesi è stato rapito mentre tu te ne stavi su un aereo per Chicago o mentre ti portavi a letto l’avvocato. >>
Jane è sconvolta. Non si aspettava un’uscita del genere da parte di Dean (e neanche Dean stesso, in realtà). La rabbia l’ha accecato.
<< Vuoi dire che non potevo innamorarmi? >>
<< L’ultima volta che ho controllato, tu eri innamorata di me! >> Dean urla.
<< Sì, ma poi tu sei morto, Dean! Morire cambia le cose, sai? >> Jane risponde a tono. Dean si mette le mani sui fianchi, buttando fuori l’aria.
<< Non l’ho voluto io. >>
<< Lo so. >>
Adesso la situazione sembra che si sia attenuata.
<< Credevo che non volessi più saperne di noi. >>
<< Non è così. >>
Jane continua a fissarlo: vuole delle risposte, vuole sapere che cosa c’è che lo sta logorando dall’interno, ma Dean non parla e non le fa capire niente.
<< Duncan ha detto che continuavi a mormorare il mio nome, mentre dormivi. >>
<< L’ha detto anche a me. >>
Jane vorrebbe dirgli che è perché c’è ancora qualcosa che la lega a lui, che forse ci sarà sempre, che sarebbe rimasta indipendentemente dalla sua dipartita o meno. Dean vorrebbe che lei lo dicesse, che gli facesse capire quanto è importante per lei, perché lui crede sempre di non meritare di essere amato, ma forse, con le sue parole, lui riuscirebbe ad accettarlo una volta per tutte.
Ma il risultato è che entrambi rimangono in silenzio.
<< Mi sembra una brava persona. >>
<< Già. >> Jane replica. Si strofina il palmo della mano sulla fronte, stanca (non fisicamente, ma mentalmente). << Dean, che cosa vuoi? >>
Dean osserva la pioggia battere sulla finestra, mentre il buio della notte viene squarciato solo occasionalmente dai fari delle auto che passano. Jane è vicina a lui, così vicina che potrebbe fare un passo, prendere le sue guance fra le mani e baciarla, ma non lo fa. Resta immobile, mentre la mente vaga ed è già più in là di lui.
<< Non lo so. >>
<< Da quanto le chiacchierate fra di noi sono fatte più che altro di silenzi? >> Jane chiede, incredula e forse anche ironica. << Cosa ci è successo? >>
Ed è a questo punto che Dean non ne può più, che getta il peso del mondo a terra e smette di ricoprire il ruolo di Atlante, per una volta.
<< Mi sono reso conto che il mio desiderio più profondo non è Amara. >> Dean replica, aprendo lentamente gli occhi, focalizzandosi su di lei. Jane sente le ossa sciogliersi, sotto il peso della confessione che sta per arrivare. << Sei tu. >>
Gli occhi di Jane cercano i suoi. Vorrebbe capire cosa significa quello che ha appena detto, vorrebbe capire come andrà d’ora in poi far di loro, ma il tempo le sfugge dalle mani ancora una volta. Una voce nella sua testa le grida di dirgli che lo ama, che non ha mai smesso, che non vuole ferire Duncan ma il suo grande amore le sta di fronte e lei non riesce a separare i sentimenti dalla sua pelle. Vorrebbe che le lacrime non bruciassero gli occhi o che l’addome non le pulsasse dal dolore, ma c’è tutto e lei rimane interdetta, le parole interrotte in gola.
Duncan apre la porta, sorridendo.
<< Ehi. Io vado a dormire e Sam dice che dovete partire presto, domani. >> dice, poi nota l’espressione di Jane e si rabbuia. << Jane? >>
<< Sì, Sam ha ragione. >> Dean replica, togliendola da ogni impaccio, ma continuando a fissarla. Lui non può fare più di così. << Grazie di tutto, Duncan. >>
Non va neanche ad abbracciare Jane, non ce la fa e non sarebbe neanche giusto, ora come ora. Sam non sa cosa si siano appena detti, ma lo immagina. Saluta Duncan, poi Jane - che si riprende, fingendo di stare bene - con un abbraccio ed infine segue Dean verso la porta.
Non chiede niente a Dean fino all’auto, un po’ perché rispetta i suoi spazi ed un po’ perché teme che sia sconvolto, ma la curiosità lo sta uccidendo.
<< Jane sembrava che avesse appena visto un fantasma. >>
Dean sbuffa, a metà fra una risata ed un verso di stizza.
<< Le sarebbe piaciuto. >>
<< Credo che questa vita non le piaccia più, in realtà. Forse non le è mai piaciuta. >> commenta Sam, lanciando a Dean un’occhiata eloquente. Li seguiva solo perché c’era lui e quando lui se n’è andato, se n’è andata anche lei.
Dean finge di non averlo neanche sentito.
<< Avrebbe preferito questo, piuttosto che quello che le ho detto. >>
<< E cosa le avresti detto? >> chiede Sam. Dean allora gli racconta tutto per filo e per segno, fino all’albergo, finché non si stendono nel letto, un braccio dietro alla testa e gli occhi puntati sul soffitto, al buio. << Wow. >> dice solo, Sam. << Non l’ha presa bene. >>
<< Già. >>
<< Dici che ti avrebbe detto qualcosa, se non fosse stato per Duncan? >>
<< Non lo so. Credo di sì. >>
<< Tipo cosa? >>
<< Sam, non lo so. >> ripete Dean, esausto. << Adesso cerchiamo di dormire, okay? >>
Sam sbuffa. Suo fratello sa essere davvero testardo, a volte.
<< Okay. >>
 
***
 
La birra scende ghiacciata, nella gola di Dean. Sam è andato a dormire da mezz’ora ormai, ma lui non riesce a prendere sonno. Incrocia le gambe sulla sedia, seduto in salotto. Gli era mancato un po’ il bunker. Finalmente avevano una vera casa dove tornare dopo una caccia o dopo una specie di vacanza nostalgica come quella. Dean butta fuori l’aria, piano stavolta, tentando invano di riallineare i pensieri nella sua testa. Vorrebbe che Jane fosse qui con lui e non a dieci ore di distanza, ma sa che sta bene e questo è ciò che conta. Piove ancora e Dean sente questa specie di dolore sordo interno al petto che grava e grava e grava, fino a togliergli il respiro. Vorrebbe dimenticarla, ma è arduo. Vorrebbe evitare di ricordarla, evitare che il suo corpo si ricordi di lei, ma non può farci niente, è più forte di lui.
All’improvviso, sente degli schiaffi sulla porta del bunker. Forse sta sognando, forse è solo la pioggia. Però li sente di nuovo, più forti. Spera che non sveglino Sam. Magari è Castiel… no, lui si sarebbe materializzato lì e basta. Prende la pistola, la carica, lascia la bottiglia sul tavolo e sale le scale. Apre la porta con prudenza, mentre il rumore si fa sempre più forte. Chi diavolo può essere, all’una del mattino?
Dean apre la porta e se la ritrova lì, di fronte a lui, bagnata fradicia. I capelli le si sono appicciati al collo ed alle guance, arricciati sulla nuca; i vestiti le si sono incollati alla pelle; ha le labbra rosse, non è truccata ed una mano rimane posata sull’addome. Se ne sta sulla soglia della porta senza dire niente e Dean nemmeno, troppo incredulo. Si è fatta dieci ore in un taxi per arrivare fin qui? Per quale motivo?
<< Prima mi dici quelle cose e poi te ne vai? Non mi hai neanche salutata. >>
Dean si risveglia dallo stato di torpore e scuote la testa.
<< Frena, frena, frena: sei venuta qui solo per dirmi questo? Solo per sgridarmi? >>
Jane si morde il labbro inferiore, prima di parlare.
<< No, non solo per questo. >> replica, prima di prendergli il viso fra le mani e baciarlo.
È qualcosa che Dean avrebbe voluto fare quando l’ha vista così fragile, in quel letto d’ospedale; è qualcosa che Dean avrebbe voluto fare, quando le ha confessato di desiderarla più di ogni altra cosa al mondo, nel suo studio; ma si era sempre trattenuto. Le sue mani le percorrono la schiena, si fermano sulle scapole e le dita avvertono i vestiti bagnati, le ossa; mentre le sue labbra sono calde, invece.
Dean avverte il bisogno di sentirla vicina, più vicina di così. È come se i muscoli ricordassero ancora il suo posto fra le sue braccia, come se sulla sua schiena ci fosse uno spazio adibito alle sue dita, come se fosse familiare. In effetti, lei faceva ormai parte della famiglia da anni, ma fra loro non era mai successo niente. Allora, come diamine facevano i suoi muscoli a ricordarsi di lei? A ricordare più di un abbraccio, a ricordare la forma delle sue labbra o il freddo glaciale di un anello che portava al dito - un anello che lei non aveva mai portato prima d’ora, ma che non era una fede nuziale, Dean ne era sicuro -. Ogni fibra del suo corpo grida - supplica - di porre fine alla distanza che li separa, che persino il tessuto o la pelle stessa li dividono troppo, ma c’è qualcosa che ferma Dean.
<< Stai sanguinando. >> Dean dice, cercando di riprendere fiato. E poi è sbagliato, sbagliato, perché lei ha un fidanzato che l’aspetta a casa, che si starà chiedendo dov’è finita, se sta bene, se lo ama ancora.
Jane si guarda l’addome, ma non c’è niente.
<< Dove? >>
<< Qui, sul braccio. >> replica Dean, indicandole il punto ferito.
<< Oh, devo essermi fatta male scendendo dal taxi. Ero un po’… diciamo che ero un po’ sconvolta. >>
<< Arrabbiata. >>
<< Quello che ti pare. >>
Dean sospira, poi finalmente la invita ad entrare. Il bacio sotto la pioggia ha fatto un po’ Spiderman, ma adesso bisogna tornare alla vita reale. E poi, lui preferisce Batman. Così prende un po’ di garza ed una camicia pulita. Le mette un cerotto velocemente, poi si volta per lasciarle il tempo di cambiarsi.
<< Avrei preferito la maglietta degli AC/DC. >>
<< Quella è sacra. >> ribatte Dean, le braccia incrociate. Se di fronte a lui ci fosse uno specchio, adesso potrebbe vedercela riflessa dentro.
La sente sorridere dietro di lui, dal modo in cui butta fuori l’aria col naso. Riconosce ogni singolo tratto di lei, è pazzesco conoscere così bene una persona.
<< Mi dispiace per vostra madre. >>
<< Dimmi solo perché sei qui, Jane. >> Dean dice, voltandosi.
La sua maglia le ricade abbastanza lunga addosso, come un vestito. Le lascia le gambe nude. I piedi sono scalzi ed i capelli ormai le si sono arricciati completamente. Dean deglutisce, un senso di vuoto gli attanaglia lo stomaco. Forse è fame o forse è lui che è famelico.
<< Sono ancora innamorata di te. >>
Adesso è come se gli avesse sferrato un pugno dritto nello stomaco.
<< Wow. >>
Jane abbozza un sorriso ironico.
<< Wow? Solo Wow? >> domanda, incredula. << Inventa qualcosa, perlomeno. Fammi capire che tieni un po’ a me, santo cielo! Ci siamo baciati appena cinque minuti fa sulla soglia di casa tua e saremmo andati anche oltre, se non fosse stato per quel taglietto da niente, che tu hai chiaramente preso come un pretesto per fermarti, ma ti ostini a non rispondere alla domanda principale! >>
<< E quale sarebbe? >>
<< Sei innamorato di me? >> Jane chiede, abbassando la voce, quasi bisbigliando, come per paura di svegliare Sam o di cadere in quello che ha appena detto.
Dean deglutisce, fissando il pavimento. I sentimenti non sono mi stati il suo forte, a dire il vero. Una parte di lui sa cosa prova, ne è praticamente certa o non le avrebbe detto quelle parole, a Chicago; ma l’altra, l’altra teme che lei possa abbandonarlo proprio come sua madre o che potrebbe cambiare tutto il suo mondo e non vuole cambiarlo, ma non vuole nemmeno perderla. Non ci vuole un genio, per capire che la perderebbe nell’istante stesso in cui dicesse che non la ama. Però non vuole solo legarla a sé con un vincolo, vuole sentire il suo respiro nella cavità del collo o il suo corpo come pezzo di un puzzle quando l’abbraccia e vuole che i muscoli la ricordino così bene, da non dover neanche pensare chi ha a fianco in quel momento, loro semplicemente sanno che è lei.
Adesso Dean si trova al punto di partenza. Una volta ha detto a Lisa che gli unici momenti in cui si ricordava di essere stato felice erano quelli con lei, ma con Jane oserebbe dire molto di più. Oserebbe dire che è stato molto più che felice, si è sentito a casa, persino quando una casa ancora non ce l’avevano. Oserebbe dire che stare separato da lei fa più male del dolore fisico che gli procura il ricordo di tutte le persone che l’hanno lasciato (perché lei non l’ha mai effettivamente lasciato). Oserebbe dire che, senza che lei gli confessasse di amarlo, dall’espressione di pura sofferenza sul suo viso, lui aveva già capito quanto in realtà lo amasse, quella sera, prima di morire.
Quindi sì, lui è innamorato di lei.
<< Sì. >> risponde Dean, dapprima serioso, poi sorridendo lievemente. << Sì, lo sono. >>
Jane sorride, gli occhi lucidi di lacrime ed una mano ancora sull’addome per fermare i singhiozzi o le risate di felicità. Si porta l’altra mano alla bocca, nascondendo il sorriso, ma Dean in qualche modo lo vede lo stesso. Si avvicina a lei e Jane si alza in punta di piedi, gli getta le braccia al collo e lo bacia.
 
Dicono che la memoria muscolare non sia altro che la capacità acquisita attraverso la ripetizione costante di sequenze ed azioni, di eseguire le stesse attività in maniera automatica, riducendo al minimo il bisogno di essere vigili quando la si ripete. Però, nonostante a Dean fosse già capitato di baciare altre donne, di stringerle a sé, mai si era sentito più vigile di così, più vivo, come quella volta con Jane.
















Angolo dell'autrice:
Nello spirito di Halloween (ormai passato da un pezzo, ma non importa), ricompaio su EFP con questa OS sui Winchester (Dean in particolare)! L'idea è nata più che altro dal finale della 12x03 (spoiler!), perché diciamocelo, è stato piuttosto devastante. Non sono d'accordo con la decisione di Mary, perché ha lasciato da soli i suoi figli (l'ennesima persona che lo fa), esattamente come John. Ha tutte le ragioni di questo mondo per sentirsi confusa, inadeguata, strana, sconvolta, triste, ma ha preso armi e bagagli e se n'è andata. L'espressione di Dean (dolorante fin nelle ossa) lo dimostra bene. Penso solo che dovesse chiedere aiuto ai figli o comunque riflettere nel bunker, senza andare via (opinione personale, non voletemene). E poi avevo bisogno di scrivere qualcosa di un po' fluff/romantico/angst, perché insieme stanno sempre bene e di inventare un personaggio femminile che fosse compatibile con Dean. 
Spero che la FF vi sia piaciuta (ma parliamo della 12x04??). Ditemi cosa ne pensate, non mordo :)
P.S. Per i fan di Teen Wolf: il trailer è stato sensazionale!  
E. 
 
  
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