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Autore: flama87    05/11/2016    3 recensioni
Ogni trecentosessantacinque anni, il Dio Sole sceglie una donna mortale da sposare e la indica ai fedeli con il suo Stemma. Quando il tempo è giunto, gli abitanti del regno di Lactea sono obbligati a consegnarla all'Ordine, il quale permetterà alla Dama Bianca di convolare a nozze con la divinità.
Eppure della Ventiquattresima Sposa non vi è alcuna traccia, il tempo del Viaggio di Nozze è oramai vicino. Impauriti davanti all'idea d'infrangere l'antica alleanza e non volendo incorrere nelle ire divine, il Sovrano di Gennaio e il Sommo Cardinale d'Agosto daranno il via a una caccia agli eretici sanguinosa e cruenta.
E se fosse la Sposa a non voler essere trovata?
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
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La porta alle spalle di Mizar produsse uno scricchiolio sommesso. Il servo la richiuse non appena gliene diede comando. Attorno a lui, il buio tentò un’avanzata trionfante e il proprio strisciare silenzioso portò con sé una nota di freddo e d’inquietudine. Eppure, al largo dei confini tracciati dalla candela tra le sue mani, non osò farsi avanti. Avanzò a piè sicuro. La piccola fiamma che reggeva strappò a malapena alle tenebre i bordi della mia scrivania. Anche se conosceva il suo studio a menadito, aveva bisogno delle candele sul mobile per scacciare l’ombra incipiente. Illuminato lo scrittoio, si sedette.
Il calore della fiammella gli sfiorò il viso. Abbassò lo sguardo verso la pergamena, che bianca e intonsa era in attesa. Afferrò la penna d’oca. Ma non scrisse subito, poiché il suo animo tremò. Nonostante le candele, sentii un brivido freddo corrergli lungo la schiena. Sobbalzò. Lei era in attesa e Mizar sapeva che stava osservandolo dall’alto del firmamento. Uno spiffero d’aria fredda si levò e quasi spense le luci che lo tenevano al sicuro dall’ombra strisciante. La Notte si era fatta impaziente.
Intinse la penna nell’inchiostro e scrisse:
 
Io sottoscritto Mizar Bordonn, destatomi a Ras Alhague il Sesto Pieno della Settima Ode durante la Danza Solare 9105, non avendo eredi a cui destinare il mio patrimonio, nel pieno delle mie facoltà e capace d’intendere e di volere, dispongo quanto segue: la somma mille Raggi a mio fratello Alcor; settecento Raggi e le schiave Fiona e Celine a mia sorella Hilda; di cinquecento Raggi e la libertà al mio servitore Aulix; duecento Raggi al giardiniere Aaron e allo stalliere Ygrid; lo schiavo Gregor e questa mia Casa all’Ordine.
Al Sommo Cardinale d'Agosto, Sua Santità Urbano VI, rivolgo invece questo mio atto di abiura, in ginocchio affinché siano accolte le mie suppliche. Possa il Custode della tradizione e della fede volgere il suo sguardo su di me; la vostra giusta parola abbia Cura delle mie mancanze. 
Giuro di aver sempre creduto, come da sempre credo, in tutto ciò che l’Ordine predica, insegna e tramanda. Ammetto di aver osato divulgare false nozioni, pur avendo già ricevuto ammonimenti al riguardo: ho parlato, difeso e insegnato falsa dottrina, sia a voce, sia per iscritto.

Avendo io mancato al rispetto delle sante leggi che ci governano chiedo a voi, magnifico e giusto vicario del Dio Sole, di non macchiare delle mie colpe anche coloro che hanno l'unico torto di avermi conosciuto. A voi, che siete il pilastro dell’umanità, con cuore sincero e sincera fede rivolgo questa mia abiura: io rinuncio e maledico le mie eresie! Giuro di non aver tentato, se non per sciocca frivolezza, alcunché contro la Santa Istituzione e di non aver avuto alcun contatto con eretici o ribelli.
Ma la mia colpa è grande e io desidero sincerarvi delle mie intenzioni: in nome delle giuste tradizioni, ecco che io verso il mio sangue. Questo martirio e queste mie parole siano prova inoppugnabile, davanti a Voi e al nostro radioso Dio, della profondità della mia devozione e della sincerità del mio pentimento. E possa il Dio Sole avere pietà di me.
 
Mizar Bordonn, nobiluomo di Settembre
Sesto Pieno dell’Ultima Ode
9149° Danza Solare
 
Puntellò i gomiti contro la scrivania. Si massaggiò la fronte con piglio nel vano tentativo di scacciare l’angoscia che lo attanagliava. Si alzò adagio. Di colpo ebbe tutto il tempo del mondo. Ma ebbe la sensazione di essere poco più che uno spettatore di ciò che era già stato e non di quel che sarebbe stato. I suoi occhi non avanzarono oltre i confini di quel testamento.
Un fremito lo travolse. Si piegò, sconfitto da un feroce prurito, ma non lasciò sfuggire nemmeno un lamento. I suoi servitori non dovevano sospettare o, peggio, intervenire. Arrancò, allontanandosi dal mobile. Aprì un cassetto. L’uomo che vide riflesso nella lama del coltello era poco più di uno spettro. I suoi occhi sofferenti anelavano meritato risposo.
Cercò ansante la vasca, unico rimedio contro i suoi patimenti. Lo schiavo Aulix l’aveva preparata poco prima, in previsione di uno dei suoi ormai noti attacchi. Non si svestì: non c’è n’era bisogno. Prima un piede, poi l’altro; l’acqua calda aggredì la sua malattia senza indugio e il sollievo rinfrancò lo spirito come un balsamo. Era per metà già dentro la vasca, quando il calore lo strappò alle ignobili sofferenze. In uno scatto di lucidità, il suo animo comprese che lei gli aveva offerto forse l’unica fuga possibile dalla sua situazione. Guardò il polso destro, poi il sinistro: la scelta era ininfluente, ma gli piacque pensare che nascondesse un qualche significato.
Incise con un gesto netto i polsi e l’interno coscia. Strinse i denti, mentre il sangue sgorgava copioso dalle ferite e tingeva di rosa l’acqua. Lasciò cadere il coltello oltre il bordo e affondò le braccia nella vasca. Scivolò in un languore imperante, cedendo poco a poco tutte le sue forze alla Notte. L’indomani sarebbero state ben chiare le cause della sua dipartita, ma non le motivazioni: quelle le portò via con sé.
 
*
 
Quando il mondo decise si crollare sulle deboli spalle di Aulix, lo fece senza avvisarlo. Gli si schiantò addosso con veemenza, ma senza fare rumore. Il suo era un silenzio atroce, come quell’urlo che abortì sul nascere.
A stento riuscì ad avanzare. Sentì le forze mancargli e il vassoio con la colazione del suo padrone cadde a terra. Non se ne curò, poiché anche lui scivolò sul pavimento.
«Padrone… che cosa avete fatto?» boccheggiò.
   
 
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