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Autore: Elizabeth_Carre    12/11/2016    6 recensioni
"Ma in questo giorno più triste di altri, la certezza che due di noi potrebbero morire nelle prossime settimane ci fa sentire già tutti morti, e forse un po' lo siamo già."
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1
Quando mi sveglio non mi rendo subito conto di dove mi trovi. Respiro a fatica e il terrore provato per l'incubo da cui mi sono risvegliato non mi abbandona. Sicuro che non sarei riuscito a dormire, il giorno prima mi ero messo a letto agitato come non mai al pensiero della giornata di oggi. Non mi aspettavo però che la mente mi avrebbe giocato un tiro del genere. Non credevo che avrebbe scherzato con la mia paura più nascosta.
Ero immerso in un mondo diverso da quello che conosco e in cui vivo, non diverso strano, ma un diverso buono, migliore. Nuovo. Il verde intenso degli alberi e l'azzurro del cielo mi avvolgevano con le loro tonalità a volte più chiare a volte più scure. Il bianco delle nuvole e il giallo del sole mi riempivano gli occhi e le orecchie mi si beavano al suono di quella voce soave, chiara e decisa che mi sapeva incantare come nessun'altra. Ogni cosa si fermava quando lei cantava. Persino il vento restava ad ascoltare nella speranza di catturare quella melodia e portarla via con sé nel suo lungo viaggio attraverso i Distretti, dal Dodici all'Uno e così via fino a Capitol City. All'inizio tutto mi era sembrato così giusto che sono semplicemente rimasto sdraiato sull'erba ad ascoltare, fino a quando non ho pensato fosse un presagio di sventura all'alba di questo triste giorno. Allora il vento ha ripreso a soffiare e la voce ha cessato di cantare, ed io ero solo. Il pensiero di non poterla più sentire mi aveva svegliato lasciando in me un senso di abbandono che ancora fatico a scacciare.
Il desiderio di starmene ad oziare è allettante. Almeno oggi mi dovrebbe essere concesso credo, ma il dovere mi chiama e convinco le mie gambe a fare il loro lavoro così che io possa cominciare a svolgere il mio.
In cucina trovo tutta la mia famiglia già seduta al tavolo per la colazione e così mi siedo anche io, prendo il mio tozzo di pane bruciacchiato e duro e inizio a spalmarvi sopra quel poco di marmellata che ci è concessa. Mi sembra tutto così meccanico questa mattina. Ci muoviamo tutti un po' rigidamente con la tensione sulle spalle di chi ha il peso del mondo addosso. Mordo un po' ma il boccone fatica a scendere giù per la mia gola asciutta, così mi alzo e comincio il mio da fare. Il rituale di ogni giorno. Apro la panetteria, prendo l'impasto che c'è nella pentolaccia, lo sbatto con forza sul tavolo da lavoro e comincio a ripassarlo. Sento che la tensione mi sta lasciando e i muscoli cominciano a rilassarsi. Mio fratello Knead inizia a scaricare i sacchi di farina. Brad invece aiuta mio padre a riscaldare il forno portandogli il carbone necessario. Mia madre da la forma più carina possibile alle pagnottelle impastate il giorno prima.
Tutto è così uguale ad ogni giorno, ma se tutte le volte mi distrugge l'idea di sprecare così le mie giornate, oggi non è così. Oggi questo rituale così uguale e monotono, come ogni anno in questo periodo, mi tranquillizza e rassicura. Sento che potrei cullarmi in questo tran tran così noioso ogni giorno della mia vita se questo bastasse a tenermi lontano dalla mietitura. Meglio questo che l'arena.
Tutti i giorni qui sono cupi e grigi. La fame imperversa per le strade. La gente muore ogni giorno per le cose più banali. Un semplice raffreddore nel dodici può essere fatale. Ma in questo giorno più triste di altri, la certezza che due di noi potrebbero morire nelle prossime settimane ci fa sentire già tutti morti, e forse un po' lo siamo già.
Sono le sei quando arriva il nostro cacciatore. Porta con sé uno scoiattolo. Chissà quest'anno per cosa lo vuole barattare. L'anno scorso è stato per un po' di marmellata di arance. Molto rara anche per noi, ricordo di essermi stupito del gesto di mio padre quando gliene ha data più del dovuto. L'anno prima ancora da Sae La Zozza si era fatto dare un foulard un po' rovinato ma pur sempre qualcosa di unico. Da queste parti non vediamo molte stoffe pregiate. I nostri vestiti sono fatti di materiale grezzo, un po' di juta o cotone. E il foulard se non sbaglio era di seta.
Mi pulisco le mani e mi avvicino alla porta incuriosito dalla conversazione tra mio padre e Gale. Un bracconiere che ci rifornisce non solo di scoiattoli ma anche di erbe e frutti che qui non si troverebbero neanche a pagarli a peso d'oro. E' un ragazzo che abita nel Giacimento, uno di coloro che hanno imparato a sopravvivere come tutti gli altri in quel posto. Dovrei ritenermi fortunato a stare qui, nella zona commerciale, noi stiamo un po' meglio in questa parte del distretto, ma non ci riesco. Non oggi.
-Signor Mellark non accetterò niente di meno di una pagnotta calda. Potrebbero scarseggiare da oggi in poi gli scoiattoli da queste parti.
Mai parole furono più vere. Se alla mietitura dovessero essere sorteggiati lui o Katniss, qui nel Dodici molte famiglie dovranno fare a meno di uno dei cibi alla base dell'alimentazione dei propri figli. Prima che quei due iniziassero ad andare oltre la recinzione, oltre il nostro distretto, molti bambini morivano di fame o congelati, troppo magri perché i genitori non potevano permettersi più di quello che si guadagnavano con il loro lavoro, che era pochissimo. A malapena bastava a sfamare due persone, figuriamoci famiglie con tre o quattro bambini a carico. Ma da quando c'erano loro si poteva barattare uno scoiattolo con qualsiasi altra cosa. Se dovessero mandarli a morire negli Hunger Games non riesco a pensare a quello che potrebbe accadere alla gente di qui. Piano piano sono diventati essenziali per la sopravvivenza di tutti e non solo per quella della loro famiglia.
Con lo sguardo addolorato mio padre acconsente. Sappiamo entrambi con chi Gale dividerà quella pagnotta calda. Stanno per andare a caccia forse per l'ultima volta e oggi forse ci sentiamo tutti un po' più vicini, tanto che mio padre di solito schivo e taciturno, mormora addirittura un "buona fortuna" richiudendo la porta alle sue spalle. Siamo tutti al correnti del numero di volte che il nome di Gale o di Katniss è ripetuto nella boccia di vetro da cui ogni anno si estraggono i nomi dei tributi.
Iniziano ad inserire il tuo nome da quando compi dodici anni. A tredici inseriscono altri due biglietti che vanno ad unirsi a quello dell'anno prima, così che il tuo nome è già ripetuto tre volte in soli due anni, e così via. Ve ne aggiungono tre per i tuoi quattordici anni per un totale di sei e le probabilità che il tuo nome sia estratto aumentano. Fino a diciotto anni, l'ultimo anno in cui sei sorteggiabile. Ma il nome di Gale, anche se ha solo due anni più di me è ripetuto quarantadue volte a causa delle tessere. Se sei povero puoi decidere di farti nominare più volte in cambio di tessere. Ogni tessera vale una piccola fornitura annuale di cereali e olio per una persona e possono essere richieste anche a nome della propria famiglia, e lui ha dovuto sfamare da solo una famiglia di cinque persone per sette anni da quando è morto il padre per il crollo di una miniera. Katniss, che ha la mia età, invece ha venti nomine. Nella stessa situazione di Gale ha dovuto richiedere tessere anche per sua madre e sua sorella Prim. Per fortuna noi non ne abbiamo avuto mai bisogno.
A mezzogiorno esatto finisco il mio lavoro e vado a prepararmi per andare in piazza. E' lì che si terrà la mietitura. Davanti tutta Panem. Ci saranno telecamere da tutte le parti. I cittadini di Capitol City non vogliono perdersi neanche un secondo di vita del tributo da quando il suo nome verrà pronunciato, così possono trastullarsi di fronte alle espressioni di terrore o panico o disperazione che si dipingono sul suo volto. Diventi una loro proprietà da subito. Cercano di convincerci che questa sia la nostra tradizione, che questi Hunger Games abbiano origine da un periodo molto doloroso della nostra storia che ci ha permesso di guarire, che ci ha uniti. Ma che unione può nascere da un evento che genere altrettanto dolore?
I miei fratelli mi raggiungono e iniziano a prepararsi. Hanno entrambi la faccia da funerale ma immagino che anche la mia non sia delle migliori. Guardo Brad, di tre anni più grande di me, il suo fisico prestante e non posso fare a meno di pensare a come io sia diverso da loro. Di due anni più grandi di me, per Knead questo sarà l'ultimo anno. Somigliano molto a mia madre. Occhi verdi, naso aquilino e capelli neri, che Knead porta lunghi fino in vita anche se la maggior parte del tempo li lega a coda di cavallo e Brad con un taglio molto più sobrio. Un caschetto semplice e comodo. Alti e muscolosi entrambi quando camminano per strada tutti si girano a guardarli. Io sono un po' più basso e somiglio a mio padre. Occhi azzurri e capelli biondi tagliati corti. Niente di che. Accanto a loro scompaio.
Quando finiamo di prepararci, in silenzio ci incamminiamo per raggiungere la piazza e il Palazzo di Giustizia. Sono contento che la mietitura avvenga lì. E' uno dei miei luoghi preferiti e così posso pensare a tutti i momenti belli che ho vissuto con i miei amici dopo la scuola senza prestare attenzione alla storia di Panem che ci viene raccontata puntualmente dal sindaco Undersee. Ed è così infatti che non appena l'orologio batte le due il sindaco comincia il suo discorso di apertura. E nonostante le mie intenzioni di non ascoltare, mi ritrovo immerso negli eventi che hanno reso il nostro paese quello che è.
Panem. Una nazione sorta in un luogo che un tempo si chiamava Nord America. Nata in seguito ai disastri, le siccità, gli uragani, gli incendi, l'avanzare dei mari relativo allo scioglimento dei ghiacciai che inghiottirono la gran parte della terraferma, e la conseguente lotta per le ultime risorse rimaste. Attorniata da tredici distretti, la città di Capitol City portò pace e prosperità ai suoi cittadini. Poi vennero i Giorni Bui e i tredici si ribellarono alla capitale e dodici furono sconfitti e il tredicesimo distrutto. Il Trattato del Tradimento ci assicurò la pace, ma il prezzo da pagare per la rivolta furono gli Hunger Games. I giochi della fame.
Le regole sono semplici. Come punizione ognuno dei distretti deve fornire due tributi, un ragazzo e una ragazza, che verranno rinchiusi in un'arena pubblica che può contenere qualsiasi cosa, da deserti a ghiacciai. I concorrenti dovranno combattere ed uccidersi fra loro fino alla morte. L'ultimo tributo ancora in piedi vince. Così la nostra capitale ci ricorda che siamo alla sua mercé. Portandoci dai distretti verso morte certa e costringendo chi rimane, a guardare lo spettacolo.
-E' il momento del pentimento ed è il momento del ringraziamento.- Così termina il soliloquio del nostro sindaco. Soliloquio perché nessuno lo sta ascoltando a parte me. La pena per la sorte dei propri figli aleggia sui volti dei genitori costretti a guardare da lontano lo svolgersi della cerimonia. E la maggior parte di noi con la paura nel cuore sta qui ferma a pensare a tutto quello che lascerà morendo nell'arena.
Siamo divisi in due file: uomini e donne, in ordine di età. I più grandi avanti date le loro probabilità di essere sorteggiati.
Sento il sindaco elencare i nomi dei vincitori del nostro distretto. In settantaquattro anni di giochi ne abbiamo avuti solo due di cui uno solo ancora vivente. Haymitch Abernathy. Un uomo alto e panciuto di mezza età. Un ubriacone che proprio adesso arriva sul palco e biascica qualcosa di incomprensibile ad alta voce prima di sedersi su una sedia sul palco. Lo zimbello del distretto e in questo momento, ripreso dalle telecamere, anche di tutta Panem. Non c'è da chiedersi neanche il perché del fatto che dopo di lui nessuno del Dodici abbia mai vinto gli Hunger Games. Con un mentore così nessuno potrebbe vincere. Perché una volta usciti vivi dall'arena si diventa guida per i prossimi tributi. E lui non è per niente una guida. Potrebbe aiutare qualcuno soltanto ad attaccarsi ad una bottiglia. Non ricordo un momento in cui l'abbia visto sobrio. Ma infondo lo comprendo. Chiuso in un luogo sconosciuto a quattordici anni dopo una vita passata nel Giacimento e vedere ad uno ad uno tutti i partecipanti ai giochi cadere e a volte doverli uccidere con le proprie mani per la propria sopravvivenza. E' a questo che ci costringe Capitol. Uccidere per non essere uccisi. Non oso immaginare l'orrore che ha visto e mi auguro di non doverlo vivere mai.
Ritorno al presente al suono del trillo della voce di Effie Trinket. L'accompagnatrice ufficiale del nostro distretto. Sorriso smagliante, rossetto rosso fuoco e capelli rosa cipria, si avvia verso il microfono traballando sui tacchi vertiginosi. E' un'esponente della capitale. L'hanno assegnata al nostro distretto ma si vede lontano un miglio che vorrebbe essere altrove. Ad occuparsi magari di un altro distretto più importante di questo in cui siamo per la maggior parte minatori.
-Felici Hunger Games!- annuncia -e possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!- pronuncia queste parole convinta che la fortuna possa davvero essere dalla nostra parte anche se siamo qui, in attesa che il nostro o il nome di amici e parenti venga estratto dalle bocce in cui sono racchiusi. Poi penso che la colpa non è sua ma dell'ambiente in cui è cresciuta a farle credere che tutto questo sia giusto e smetto subito di avercela con lei.
La tensione aumenta mentre lei si dice onorata di essere l'accompagnatrice del Dodici e si avvicina al primo vaso di vetro contenente i bigliettini. -Prima le signore!- Il pubblico trattiene il fiato, io lo trattengo, mentre lei raggiunge la boccia e vi tuffa dentro la mano, rimesta un po' ed estrae il nome. Si avvicina al microfono e apre la strisciolina meticolosamente e troppo lentamente. Spero con tutto me stesso di non sentir pronunciare il suo nome.
La cerco con lo sguardo. So esattamente dove. Ha i Capelli neri intrecciati sulla testa e un vestito azzurro della stessa tonalità dei suoi occhi che deve essere stato di sua madre prima di arrivare a lei. Le sta un po ' largo ma non l'avevo mai vista cosi bella e con indosso un abito da ragazza. Generalmente va in giro con la giacca a vento del padre deceduto, pantaloni troppo larghi di chissà chi e con degli scarponi da trekking. Portamento fiero, sguardo duro. Guarda decisa davanti a sé e come tutti le si legge in faccia la preghiera silenziosa di non essere lei il tributo donna.
Tutto succede in un secondo e per la prima volta la vedo cedere dopo tanti anni. Non sento pronunciare il suo nome.
-Primrose Everdeen!- No. Non è lei.
Sua sorella.
   
 
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