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Autore: Maqry    14/11/2016    4 recensioni
Harry è morto, la Battaglia di Hogwarts è stata persa e Voldemort ha vinto.
Ma, nonostante sembri tutto perduto, qualcuno non vuole arrendersi.
L'Ordine c'è ancora, decimato ma determinato a combattere perché il mondo torni libero.
"Dobbiamo allontanare i Mangiamorte da Ottery St. Catchpole e arrivare prima di loro a qualsiasi cosa stiano cercando a Hogwarts. Ne va della salvezza di tutto il mondo, Merlino solo sa cosa stanno cercando tanto forsennatamente e a cosa possa servir loro. Con l’intero Ordine a portata di mano, pronti a sfidarli in campo aperto, se ne infischieranno di Hogwarts per una volta. E quando noi due avremo finito là, gli altri daranno il colpo di grazia e se ne andranno. È solo un modo per distrarli, giusto il tempo per entrare nell'Ufficio del preside. Torneranno, sanno quello che fanno.
A dirla tutta è un ottimo piano.”

{La storia fa parte della serie "Cosa tiene accese le stelle"}
[Seconda classificata al contest "-But there's a tree, of many, one- quando Harry Potter incontra la poesia inglese" indetto da Phae. sul forum di EFP.]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Ordine della Fenice, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
- Questa storia fa parte della serie 'Cosa tiene accese le stelle'
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Questa storia rappresenta la sesta parte della serie Cosa tiene accese le stelle. Si tratta di una What if? in cui Harry è stato ucciso da Bellatrix. Sappiamo che, quando la Mangiamorte sta combattendo contro Ginny, Harry è nei paraggi e cerca di darle una mano, fino a quando non interviene Molly e la uccide. Beh, e se invece fosse intervenuto lui, avendo visto che aveva colpito Ginny? Bellatrix non aveva certo la bacchetta di Sambuco e non poteva essere salvato come accade invece nel vero scontro con Voldemort. Morto Potter, avendo vinto il Signore Oscuro, i membri dell’Ordine sopravvissuti sono dovuti scappare e sono finiti nuovamente in clandestinità. Hanno organizzato un tentativo di resistenza, più che altro sporadici attacchi qua e là per uccidere Mangiamorte o sventare i loro piani, e hanno nascosto i Nati Babbani in vari luoghi sotto il Fidelius, soprattutto i bambini. A questo punto devo segnalare che ho ucciso molta gente che la Rowling aveva risparmiato, e fatto resuscitare altri. Giusto perché alcune morti non mi sono mai andate giù (leggasi Tonks, Remus e Fred). Due parole da spendere sui personaggi originali, che hanno un’importanza relativa, giusto per dare un’idea di chi siano. ​Charlotte e Nathaniel sono entrambi Grifondoro, dell’anno di Fred e George, e irlandesi. Fabian era il migliore amico dei due e Tassorosso, mentre Connor è il fratello gemello della ragazza, morto quando erano bambini. La signora Doherty è la nonna di Charlotte, Medimaga, e quindi infermiera a Shell Cottage.






 

Dove sono la gloria e il sogno?







 
24 ottobre 1999

 
Ti ricordi, Hermione, la prima volta che ci siamo incontrati, sul treno per Hogwarts? Tu eri solo una massa informe di capelli cespugliosi, un nasino perennemente all’insù con aria di superiorità e quel tuo ineccepibile (vedi che qualcosa ho imparato in questi anni?) accento londinese. Un perfetto concentrato di tutto quello che più mi irritava.
Io, probabilmente, un idiota insignificante che sembrava non mangiasse da secoli, con l’ultimo morso di Cioccorana tra i denti. Tutto ciò che, con buona approssimazione, non sopportavi. Vedi di capirmi e perdonarmi, se mi avessero detto che quel giorno, oltre a mangiare quante merendine volevo per la prima volta in vita mia, avrei incontrato anche la donna della mia vita, avrei quantomeno evitato di ingozzarmi.
Invece mi ero tranquillamente fermato alla vecchietta con il carrello.
Le erbacce stavano inghiottendo la sua tomba, Remus le ha tolte poco fa. Dice che è sempre stata gentile con lui, quando era un bimbo solo e spaventato.
 
 
 
Qualsiasi guida turistica, acquistata in tempi migliori, vi avrebbe calorosamente raccomandato di visitare la Cornovaglia in autunno. I mille colori che svolazzavano pigramente tra le folate di vento, i tramonti sull’Atlantico che incendiavano il cielo, l’odore pungente della pioggia e del terriccio umido.
Una vera magia, la descrivevano gli anziani seduti al vecchio pub, giù al porto del villaggio, la pipa tra i denti e il viso incrostato di salsedine come chi, l’oceano, l’ha solcato per tutta la vita.
La vecchissima guida di suo padre, quella appoggiata con religiosa devozione sul tavolino del salotto, pronta per la successiva gita di famiglia, si azzardava addirittura a definirla una delle sette meraviglie d’Inghilterra. Motivo più che sufficiente per passarvi almeno un fine settimana all’anno, nell’hotel in riva al mare con le imposte azzurre e i vasi di gerani ormai quasi appassiti alle finestre. Ricordava ancora la zuppa di pesce che la cuoca preparava tutte le domeniche, quel sapore particolare che, per quanto ci tentasse, sua madre non era mai stata in grado di ricreare.
Nemmeno Voldemort e il suo regime del terrore erano riusciti a prosciugare del tutto quell’atmosfera, quell’angolo di magia incontaminata. Le foglie ingiallivano ancora, i tramonti rimanevano mozzafiato e il respiro caldo delle onde solleticava la pelle. Certo, l’avevano resa di una bellezza sfatta, un po’ sciupata, annacquata dalla paura e dai Dissennatori che scivolavano silenziosi sulle loro teste. Ma l’antica scintilla brillava ancora, resisteva ancora, piccola ma viva.
“Più o meno come noi,” sospirò Hermione, lasciando scivolare nuovamente le tendine candide al loro posto e voltando le spalle alla finestra.
Damnù air1, Granger! Le Passaporte partono tra dieci minuti, credevo fossi pronta. E poi hai il coraggio di lamentarti che sono sempre in ritardo…”
Charlotte Sheridan fece irruzione nella stanzetta al piano terra di Shell Cottage, che ormai era la loro camera da più di un anno, con la sua proverbiale grazia, sbattendo la porta con una certa irritata noncuranza che scosse l’intera casa e il letto perfettamente e meticolosamente rifatto di Padma Patil.
Hermione si scostò una ciocca di capelli dal volto, lanciando una veloce occhiata all’orologio ammaccato che portava al polso. Doveva averlo rotto quando l’insegna di Ollivander’s le era crollata addosso per uno degli incantesimi di Rosier. Non se lo ricordava nemmeno più. Scosse la testa e si avvicinò al proprio letto per afferrare la borsetta di perle che vi era gettata sopra.
“Io sono pronta, Sheridan,” commentò con un vago e malcelato sorrisino di vittoria sulle labbra, squadrando la ragazza che si infilava un maglione troppo grande per lei, preso dal mucchio scomposto di vestiti che teneva sulla sedia accanto al letto. Come se non avesse avuto a sua volta, come Hermione e Padma, posto nell’armadio addossato a una delle pareti della stanza.
Is ea2, ovviamente,” borbottò l’altra in risposta, lasciandosi cadere sul letto.
“Potresti anche smetterla di insultarmi in irlandese ogni volta, lo sai? Non è per nulla educato, né democratico…” solo dannatamente irritante, continuò nella propria testa Hermione, alzando stancamente gli occhi al cielo. Sapeva già che si trattava di una battaglia persa in partenza, farle smettere di parlare in irlandese. Così come essere perennemente in ritardo, maniacalmente precisa quando si trattava di piani e magia, compulsivamente disordinata e disorganizzata in tutto il resto, e perennemente sarcastica. Erano caratteristiche tanto radicate in lei da non poterci fare proprio nulla. Solo imparare a sopportarle pazientemente.
“Ma certo che no, girseach3,” rispose la ragazza, cercando il calzino destro nella confusione che regnava sovrana nella sua parte di stanza.
“Allora dammi un buon motivo per non lanciarti una maledizione qui e ora.”
Charlotte, esasperata per il calzino irrintracciabile, ne prese uno rosa pallido da sotto il letto e se lo infilò velocemente. Non che fosse una cosa strana, per lei, indossarli spaiati o accostare vestiti che non avessero un minimo di senso assieme. Tonks e Luna, pensò Hermione con una fitta al cuore, potevano diventare stiliste di successo a suo confronto.
“Ti servo per riuscire a sciogliere l’incantesimo con cui Piton ha sigillato l’Ufficio del Preside per chiunque non fosse Potter,” spiegò tranquillamente l’altra. “Bisogna essere in due per il rito di Am Bealach. Le maledizioni lasciale per quando il tuo ragazzo non tornerà dalla sua missione, e tu mi darai giustamente la colpa.”
Hermione la guardò tristemente, mordicchiandosi nervosa il labbro superiore.
“Era l’unica soluzione, Charlotte. Dobbiamo allontanare i Mangiamorte da Ottery St. Catchpole e arrivare prima di loro a qualsiasi cosa stiano cercando a Hogwarts. Ne va della salvezza di tutto il mondo, Merlino solo sa cosa stanno cercando tanto forsennatamente e a cosa possa servir loro!”
“Stiamo parlando di uno scontro dell’Ordine e dei Mangiamorte in campo aperto, non sono più le solite incursioni in cui ne attacchiamo uno o due.”
La voce della ragazza era piatta, svuotata di ogni speranza, troppo stanca quasi per ribattere.
“Durerà solo un’ora o poco più," tentò ancora Hermione, cercando in ogni modo di convincere anche se stessa. "Giusto il tempo necessario a noi due per entrare nell’Ufficio del Preside e portare via qualsiasi diavoleria vi abbia nascosto Piton. L’intero Ordine li attaccherà nel Devon, sicuramente i Mangiamorte se ne infischieranno di Hogwarts, per una volta. E quando noi due avremo finito, gli altri daranno il colpo di grazia e se ne andranno. È solo un modo per distrarre i Mangiamorte. A dirla tutta il tuo è un ottimo piano."
"Lo era anche quello per prendere Grayback, poi mio zio e Fabian sono stati massacrati senza che potessi fare nulla per salvarli..."
"Torneranno questa volta, Charlotte. I ragazzi sanno quello che fanno.”
Ma in quel torneranno, a dirla tutta, nessuna delle due credeva più di quanto fosse concesso in guerra. A volte era inutile pensare che la sorte fosse a loro favore. Avevano solo l’effetto sorpresa dalla loro: per una battaglia era fin troppo poco. Ma nell’ultimo anno avevano imparato a farselo bastare.
Charlotte si alzò dal letto con un gran scricchiolio di molle, avviandosi con il suo solito passo pesante alla porta.
“Sbrigati, ne sono rimasti solo tre, adesso, di minuti,” le sorrise irriverente, riprendendo la sua abituale determinazione, mentre le passava davanti.
Childish, pensò Hermione chiudendosi la porta alle spalle e invocando un qualsiasi santo magnanimo che la trattenesse dal lanciarle seriamente una qualche maledizione almeno fino a quando non saremo riuscite a entrare nell’Ufficio del Preside. E fa che Ron torni, salvo, se non proprio sano.
 
 
 
Ti ricordi, Hermione, quando arrancavi per le scale, curva sotto il peso dei libri, una borsa a tracolla? Eri così buffa, mentre ti lamentavi per l’ennesimo compito in cui eri sicura di aver scritto una vera idiozia. Buffa ed irritante, perché tanto lo sapevamo tutti, te compresa, che sarebbe stata un altro Eccezionale, e la McGonagall ti avrebbe sorriso soddisfatta, privilegio concesso solo a pochi eletti. Eppure, nonostante tutto non ti si poteva odiare, perché tu eri anche quello: una petulante signorina So-tutto-io dalla mano sempre alzata.
Chissà quanti sorrisi ti avrebbe regalato ora, la McGonagall, per la donna coraggiosa e forte che sei stata costretta a diventare.
Neville, sulla sua tomba, ha lasciato come al solito un mazzo di cardi da parte di sua nonna. Come facesse a ritenerlo un bel fiore resterà sempre uno dei misteri più grandi della mia vita.

 
 
La quiete prima della tempesta.
Così doveva averla definita un qualche poeta Babbano: se non ricordava male Hermione doveva averlo citato una volta. Sarebbe stata fiera di lui, rifletté Ron, facendo vagare lo sguardo lungo il profilo dolce delle colline, sfiorate dal pallore stanco della luna e sparse di viole e foglie secche. E se proprio non era stato un poeta Babbano – ricordarsi tutti i “riferimenti dotti” di Hermione era pressoché impossibile – lo faceva lui ora, gli occhi persi nella notte d’ottobre e l’Ordine che dormiva, o almeno ci provava, buttato sull’erba bagnaticcia, aspettando l’alba per affrontare l’esercito dei Mangiamorte e scatenare l’Inferno.
Rabbrividì per l’ennesima folata di vento e si strinse nel cappotto, rialzando il bavero e stringendo il foglio a sé, prima che volasse via nella pallida luce lunare che illuminava quel fazzoletto di mondo.
Insomma, come altro si potevano definire una distesa di prati umidi di un piccolo paesino e un albero solitario sulla cima della collina che, con il fruscio malinconico del vento tra le fronde, sembrava proteggere i corpi addormentati ai suoi piedi?
L’alterativa era inquietante, come si era ostinato a sostenere per giorni, considerato che quella collina, su cui per anni si era erta nella sua strabiliante e assurda eccentricità casa Lovegood, ora era il cimitero per tutte le vittime di quella guerra, che ormai guerra più non era, dato che Voldemort aveva vinto.
Un’altra folata di vento li travolse, portando con sé un turbinio di foglie e l’odore dei funghi, con cui sua madre preparava la zuppa che tanto odiava, e della pioggia, che come ogni inglese aveva imparato a sopportare pazientemente. Fred, pochi passi più in là, si girò sul fianco, assumendo la stessa posizione di George.
Oppure la si poteva sempre vedere come Charlotte: drammaticamente ironica. O meglio, lei l’aveva definita un chiaro esempio di umorismo, poi Nathan gli aveva spiegato che si trattava del pensiero di un qualche scrittore (ce ne erano migliaia nella sua lista) che le piaceva, Babbano pure lui, secondo cui dietro ogni fatto, che a prima vista poteva sembrare comico, si celava il tragico. E viceversa. Non che ci avesse capito molto – nemmeno Nathan a dire il vero – ma non aveva tutti i torti. Stavano dormendo sulle tombe dei loro amici, tra le croci che davano nome, cognome e poche altre cifre al loro passato. E dove, con molta probabilità, sarebbero finiti a marcire per il resto dei loro giorni entro poche ore. Ironico e tragico lo era, senza dubbio. Perché sì, l’intenzione era quella di scatenarlo, ma la realtà era che la maggior parte di loro ci sarebbe finita, all’Inferno. Non era sicuro che esistesse il Paradiso, non per loro per lo meno, poteva tranquillamente essere un’altra delle bugie che il mondo gli aveva propinato da ragazzo. Una di quelle belle illusioni come altro non era stato che il loro passato. L’unico modo per saperlo era chiedere alle ossa, corrose dal tempo e divorate dai vermi, sepolte sotto la terra su cui aveva corso da bambino, dove Luna aveva piantato l’albero di Prugne Dirigibili che ora vegliava sul suo sonno eterno. Ma forse loro avevano fatto in tempo a vederlo, il Paradiso. Non avevano dovuto sporcarsi le mani di sangue, non quanto erano stati costretti a fare tutti quelli che erano sopravvissuti e avevano deciso di non arrendersi. Dicevano che affinché il male trionfasse era sufficiente che i buoni smettessero di lottare. Si erano dimenticati di aggiungere che, lottando, finivi per assomigliare ai cattivi. Che poi, buoni e Mangiamorte era una divisione del mondo esistente solo nelle fiabe4, non certo nella vita vera, ma dettagli.
Tornò a concentrarsi sulla sua lettera, mordicchiando il mozzicone di matita che Nathan gli aveva prestato. La luce della bacchetta colpiva il viso del ragazzo accanto a lui, in un macabro gioco di luci e ombre sulle cicatrici e i miseri tentativi di innesti di pelle, mentre questi osservava il cielo, le braccia intrecciate dietro la testa.
“Ti serve un'altra bella citazione poetica da inserire nella lettera per Hermione? Penso di averne imparate migliaia, ascoltando Charlotte negli ultimi diciotto anni,” chiese il giovane, voltandosi verso l’amico con uno scricchiolio di foglie accartocciate che si sbriciolavano.
“Non al momento. Riflettevo sull’ironia della situazione, per dirlo come la tua ragazza.”
Nathan alzò come sempre il sopracciglio destro, tagliato ora però da una cicatrice, per esprimere il proprio scetticismo.
“Non credo proprio che ironico sia l’aggettivo che userebbe lei. Oh no, Ronald Weasley, non guardarmi così, sai anche tu come lei ed Hermione ci tengano a certi particolari per noi insignificanti! In ogni caso ormai è fatta, e comunque non avevamo molte alternative. Oltre alla Tana, il cimitero è l’unico luogo protetto dall’Incanto Fidelius, e non sarebbe stata una gran trovata nasconderci da tua madre. Avremmo solo messo in pericolo i bambini. Piuttosto, se Bill non avesse tanto insistito a voler studiare il terreno d’azione non saremmo dovuti venire qui un giorno prima e avremmo dormito nei nostri letti, questa notte. Quando mai avremmo ispezionato la zona dello scontro, nell’ultimo anno?”
Mai, pensò Ron. Non avevano tempo. Dovevano sempre attaccare velocemente, cogliendo l’effetto sorpresa e sfruttandolo al massimo, per poi fuggire via come se non ci fossero mai stati. Ma quella volta era diverso, sarebbe stato uno scontro in capo aperto, tutti contro tutti, una carneficina come la Battaglia di Hogwarts.
“Lo so. Eppure non riesco a smettere di pensare che sembri davvero una di quelle pessime battute a cui non riderebbe nessuno. Dormire in un cimitero…”
“Beh, Tonks e Charlotte l’hanno trovato divertente,” puntualizzò Nathan, stringendosi nelle spalle e sistemandosi la sciarpa. Era quella di Hogwarts, le strisce oro e bordeaux, e lo stemma che si stava scucendo.
“Questo perché hanno un senso dell’umorismo decisamente macabro. Solo loro farebbero battute su cose simili,” ribatté Ron.
I due ragazzi ricevettero una scarpa a testa, lanciata da Fred e George, che li colpì sulle gambe.
“Vorremmo dormire, se non vi dispiace. Avrete tutto il tempo di questo mondo per chiacchierare, una volta sepolti vicini,” borbottarono in coro, abbassandosi le cuffie sulle orecchie, probabilmente più per il freddo che per loro.
“Hai dimenticato i gemelli,” fece notare Nathan, increspando le labbra e le cicatrici nella macabra imitazione di un sorriso.
Ron scosse divertito la testa, tornando alla sua lettera ancora scritta solo per metà, mentre Nathan si abbassò il berretto a coprire gli occhi socchiusi nel vano tentativo di assopirsi.
 
 
 
Ti ricordi, Hermione, tutti quegli sguardi, a volte inconsapevoli, che ci siamo lanciati per tutti questi anni, senza saper dar loro un nome?
Merlino, se eravamo idioti! Aspettavamo silenziosi che l’altro si voltasse, non ci prestasse più attenzione, per sbirciarlo con la coda dell’occhio. All’inizio forse per convincerci che l’altro era ancora lì, magari con la scusa che dovevamo assicurarci che andasse tutto bene. Perché, insomma, è questo che fanno gli amici, no? Proteggersi a vicenda. Amici, sì.
Ci abbiamo messo anni per smettere di essere ciechi e aprire gli occhi, mentre il mondo, attorno a noi, lo aveva già capito da un pezzo. Lo aveva detto, Luna, durante una riunione dell'ES. Quasi per caso, con la sua disarmante sincerità che sapeva vedere in profondità.
C’era una lumaca solitaria che scalava la sua croce. L’ho fatta tornare a terra. Meglio che la smettesse di guardare inutilmente il cielo, come me. La vita è quaggiù. Siamo tutti nel fango, le stelle si possono vedere di rado.
 

 
Hogsmade faceva quasi paura di notte, sotto quella coltre di abbandono e oscurità che la rivestiva. Era animata solo dagli inquietanti scricchiolii del vento che si intrufolava tra le fessure, dagli stridii di civette in lontananza che sembravano profetizzare nulla di buono e dai tonfi di porte che sbattevano. Per il vento, si augurò Hermione.
Anzi, senza quasi, si corresse. Faceva paura e basta. Non fosse stato che erano in missione ed era concentrata nel portarla a termine, non sarebbe stata tanto immune all’ombra minacciosa che aleggiava sul villaggio.
Sussultò per l’ennesimo scricchiolio indistinto alle sue spalle, voltandosi a cercarne l’origine. Un altro, dannatissimo, gatto. D’accordo, forse non ne era tanto immune, ma era comprensibile. Dovevano stare attente a non farsi scoprire: si trattava di prudenza, non certo di paura. Vigilanza costante, l’avrebbe definita Malocchio, se fosse stato lì. Chissà cosa pensava della resistenza, ora. Probabilmente stava criticando la loro tendenza ad attaccare appena se ne presentasse l’occasione – senza prendere tutte le giuste misure di sicurezza – picchiettando la gamba di legno al suolo, con quel ticchettio irritante che avevano ben presto imparato a riconoscere come segno di disapprovazione, guardandoli da dove si trovava. Oppure era semplicemente troppo impegnato a guardarsi le spalle e sondare il terreno là dove era finito, incurante delle loro decisioni. Se poi era davvero finito da qualche parte.
Le mancavano i suoi modi bruschi, si ritrovò a pensare con grande sorpresa, mentre avanzava per le vie ciottolate sotto il Mantello dell’Invisibilità. Le mancava la smorfia appena accennata che rivolgeva a chiunque ritenesse imprudente e avventato, o anche solo troppo fiducioso, nonostante volesse dire che stavano sbagliando. Ma soprattutto la sensazione che la sua presenza le aveva sempre dato: sicurezza, fiducia. Lui una guerra l’aveva già fatta, l’aveva già vinta. Era stato, come Harry, la possibilità, la certezza che la vittoria c’era, da qualche parte in fondo al tunnel. In un presente più o meno vicino era stato il simbolo della gloria. Poi il presente era diventato passato e la gloria ammaccata di Malocchio Moody era diventata solo un’effimera illusione che era volata via con lui ovunque fosse andato, anche nel nulla. Anzi, soprattutto lì.
“Non sembra un granché, ora, Hogsmade. Non trovi?” sussurrò Charlotte, girandosi attorno per osservare i tetti spioventi e mezzi diroccati delle casupole, grigie e opache, che si specchiavano nelle pozzanghere che lastricavano la via.
Hermione annuì, lentamente, la mano che si strinse convulsamente attorno alla bacchetta per l’ennesimo rumore. Volse rapidamente gli occhi attorno, alla ricerca di un Mangiamorte spuntato da dietro l’angolo. Invece era solo una vecchia porta mezza ammuffita che il vento continuava a far sbattere. Sospirò sollevata, giusto per poi tornare a tendere l’orecchio. Non si fidava di quel fantasma pallido della vecchia Hogsmade, quella che era stata il simbolo della loro libertà, delle Burrobirre fra amici, dei pomeriggi a Mielandia, della neve soffice che ricopriva il villaggio e lo rendeva simile al presepe che faceva ogni anno con i suoi genitori. Nonostante nell’ultimo anno e mezzo avessero più volte combattuto sui loro passi di ragazzini sereni, tra i vicoli sdrucciolevoli, di quella nuova Hogsmade era meglio non fidarsi. Era diventata la tana del nemico, non più il loro scrigno dorato dei ricordi felici. Le ombre degli studenti che vagavano a gruppetti, quella piccola gioia di chi non ha nulla da fare e può godersi ogni attimo negli occhi, ora non scivolavano più sui muri di pietra. Nei primi tempi le vedeva ovunque, sembravano quasi schierarsi con loro, supplicando che li riportassero a correre da una vetrina all’altra. Poi, pian piano, erano scomparse. E Voldemort aveva definitivamente portato via anche la felicità che il passato aveva fatto loro assaggiare e aveva promesso per il futuro.
“Non ci resta più nemmeno Hogsmade...” rispose malinconica all’amica, o forse solo a se stessa, come per impedirsi di pensare a ciò che era stato e non poteva più tornare, ora che lo aveva detto ad alta voce e quel pensiero si era concretizzato.
“Strano come ci si possa affezionare tanto a quattro case dove passi, sì e no, dieci pomeriggi all’anno, elevandole a simbolo della tua massima libertà e felicità. Soprattutto quando basta un soffio per portarti via tutto, e ti resta solo la sofferenza e non la consolazione del ricordo. E lo sai, cha andrà a finire così, ma ti affezioni ugualmente.”
L’ennesimo scricchiolio sinistro le scosse dal torpore dei loro pensieri – crick, crack.
Regolare, preciso. Un altro stupido gatto, cercò di convincersi Hermione, o un’imposta che sbatte. Ce ne erano molte, di porte e finestre a pezzi, da quando i Mangiamorte si erano impossessati del villaggio e lo avevano ripulito da chiunque si fosse opposto – crick, crack. 
Sentì un fruscio di stoffe al suo fianco, lento e soffocato. Charlotte afferrò la bacchetta, negli occhi le si poteva leggere chiaramente la paura. Lo sapeva, lo sapeva: non erano state abbastanza attente, non erano bastati il Mantello dell’Invisibilità, il Muffliato. Le avevano trovate comunque. Dietro l’angolo le aspettavano i Mangiamorte: quello era solo il rumore della ghiaia calpestata, delle foglie che si sbriciolavano sotto i loro piedi – crick, crack.
Entrambe avanzarono lentamente, le bacchette in pugno davanti a loro, lo scricchiolio che martellava amplificato nelle orecchie.
“Al tre,” sussurrò Hermione, lasciando perdere ogni paura – crick.
“Uno…” Fa che almeno Ron ce la faccia – crack.
“Due…” Fa che sia veloce ed indolore – crick.
“Tre.” Crack. 
La maledizione già pronta sulle labbra cadde nel vuoto, come le foglie d’autunno – crick, crack.
L’insegna dei Tre Manici di Scopa, attaccata solo per un gancio, cigolava in un lugubre canto di morte. Dovevano essere decenni che non veniva oliata come doveva. Un tempo, però, era un cigolio dolce ed invitante, come un campanello che li richiamava tutti ad entrare. Ora ripeteva solo il suo agghiacciante memento mori – crick, crack.
Attaccata all’altro gancio, la testa mozzata di Madama Rosmerta penzolava nel vuoto – crick, crack.
Neville aveva detto che era stata uccisa, ma vederla era tutta un’altra cosa.
Una folata di vento le colpì in faccia, sibilando tra i vetri rotti delle finestre e lasciandosi alle spalle l’eco lugubre dell’interno, i tavoli distrutti e rovesciati a terra. Non fece in tempo a voltarsi che Charlotte era già crollata in ginocchio.
“No no, non adesso…” borbottò Hermione, chinandosi per sostenere l’amica e passandosi una mano tra i capelli, nervosamente, quasi esasperata. Proprio nel mezzo di una missione? Il mondo era contro di loro, quella notte, non c’erano dubbi.
Appoggiò una mano sulla spalla di Charlotte, scostandole i lunghi capelli scuri dal viso. Tremava, sostenendosi a malapena sulle gambe. Eccolo lì il suo punto debole: il passato. Quello stesso passato che gli altri evocavano come consolazione, finendo solo per sentire ancora di più il peso del presente – crick, crack.
Un altro tremito la scosse, le lacrime amare che le solcavano le guance. Negli occhi senza vita della donna rivedeva quelli azzurri di Connor. Era colpa sua se non poteva più ridere. Era stata tutta colpa sua. Se non avesse insistito per andare a giocare nel bosco, nonostante i divieti degli adulti, se fosse stata meno sconsiderata, nulla sarebbe accaduto. Guardava il sangue rappreso sul collo della donna e vedeva quello che incrostava il corpo del gemello. Era stata solo colpa sua.
E davanti a Madama Rosmerta, che per anni aveva associato al profumo aspro dell’idromele e a quello zuccherino delle sue torte, rivedeva tutti i suoi incubi. Con quel passato non aveva mai saldato i conti, ed ogni volta tornava a riscuotere il suo tributo di dolore – crick, crack.
“Va tutto bene,” ripeté Hermione, quasi fosse un incantesimo. “Va tutto bene, tranquilla.”
Non poteva mollare proprio ora. Con tutti i momenti possibili per farsi soverchiare dai ricordi doveva scegliere proprio quello? Dovevano ancora entrare a Hogwarts attraverso il passaggio segreto dalla Testa di Porco, eludere la sorveglianza che sicuramente ci sarebbe stata, nascondersi il più vicino possibile all’Ufficio del Preside e aspettare l’ora concordata con gli altri. Aprire la porta con il rito di Am Bealach e prendere tutto – crick, crack.
Charlotte si strofinò gli occhi con la manica della felpa.
“Non aveva nemmeno compiuto sei anni. Aspettava ancora i primi incantesimi involontari, non ha mai avuto nemmeno quelli...” sussurrò, inghiottendo le lacrime.
Poi si rialzò, tentando di scrollarsi di dosso le ombre dei morti.
“Forza Granger, abbiamo ancora poco più di un’ora per arrivare all’Ufficio del Preside.”
Crick, crack.
 
 
 
Ti ricordi, Hermione, la Burrobirra e come ti rimanesse sempre un baffo chiaro sulla guancia destra, vicinissimo al labbro? Ti rendeva più umana, quel baffo dolciastro. Anche la perfettissima Hermione Granger non era così perfetta come si pensava. O forse solo più perfetta nella sua imperfezione, come ho sempre pensato.
Tentavi sempre di pulirlo, inutilmente, con il tovagliolo bianco dei Tre Manici di Scopa, quello con sopra ricamante tre Tornado Cinque. Che dicesse pure quello che voleva, Harry, ma non erano certo due Tornado Sette, quelle. Sono disposto a scommettere sulla mia maglia dei Cannoni di Cudley.
Sono andato a trovarlo, prima. Fa così male, Hermione, ogni volta di più. Pensavo di essermici abituato, e invece niente. Ma forse, lui, è più felice di noi.

 

“Stupeficium!”
Il lampo rosso venne disperso senza fatica e Ron si buttò a destra per schivare l’incantesimo successivo. La vampa verde di un Avada Kedavra gli passò sopra la testa, così vicino da rizzargli i capelli. Un Mangiamorte a pochi passi da lui cadde a terra, le mani strette attorno alla gola, emettendo un gorgoglio roco e soffocato. Si rialzò, la bacchetta davanti a sé, e lanciò lo Schiantesimo seguente. Un incantesimo ancora e uno dei mannari che erano passati dalla parte di Voldemort gli balzò addosso. Neanche gli servì dirlo, Sectumsempra, ormai era diventato bravo con gli incantesimi non verbali. Mosse rapidamente la bacchetta dall’alto verso il basso e poi rotolò di lato, mentre il sangue del lupo gli schizzava in viso. Non aspettò nemmeno di sentire il tonfo del corpo che cadeva a terra, e si alzò in fretta. Probabilmente nemmeno lo sentì, coperto dallo sfrigolio degli incantesimi e dalle urla indistinte che rimbombavano tra le colline di Ottery St. Catchpole.  Non lo avrebbe sorpreso se i morti, tranquilli sotto la cupola del Fidelius e la terra umidiccia, si fossero risvegliati. Magari avrebbero anche potuto aiutarli, il che non avrebbe guastato.
Si pulì il viso dal sangue del lupo mannaro con la manica del maglione granata – regalo di sua madre per un Natale lontano – e tranciò di netto le gambe del Mangiamorte che stava attaccando alle spalle Neville, impegnato a combattere con Dolohov. Una Maledizione Cruciatus andò a schiantarsi contro il sortilegio Scudo innalzato alla bell'e meglio, mentre si voltava verso il lampo, che fece piegare e tremolare per l’impatto le barriere dell’incantesimo che si sbriciolò poco dopo.  Miseriaccia, e dire che di solito gli uscivano decisamente meglio. Agitò rapidamente la bacchetta: “Expelliarmius!”
L’incanto andò a vuoto, mentre il ruggito quasi diabolico dell’uomo lo travolse.
“Incendio!”
La veste nera del Mangiamorte prese fuoco, giusto il tempo necessario perché un colpo di bacchetta rapido e deciso lo spegnesse. Il tempo necessario perché Ron lanciasse l’anatema successivo e lo colpisse in pieno petto.
“Avada Kedavra!”
Si voltò velocemente, l’ultimo lampo di cosciente terrore negli occhi dell’uomo che non era ancor evaporato, e tentò di evitare un incantesimo. Sentì qualcosa di rovente strusciargli contro lo zigomo e l’occhio destro. Metà del campo visivo si annerì nell’esplosione di dolore incandescente. Gridò, per la rabbia e il dolore, l’incanto che spezzò la vita dell’uomo che gli stava davanti. Sentiva l’occhio sciogliersi, sfrigolante, il bruciore che colava all’interno, sotto la pelle, fino alle ossa. Sarebbe finito anche lui a far parte del Club degli Sfregiati, insieme a Bill e Nat (e George che era stato nominato membro onorario), come il gemello li aveva soprannominati. Incredibili i limiti fino a cui si spingeva il suo sarcasmo. O forse era solo quell’umorismo di cui parlava la Sheridan. Dietro il tragico si poteva anche trovare il comico.
Tentò di avanzare, barcollando, le orecchie che ronzavano troppo perché potesse sentire altro che non fosse il suo sangue che pulsava martellante. Intravide un’ombra che si muoveva e puntò la bacchetta istintivamente, l’incantesimo sulla punta della lingua. Poi l’ombra prese forma, evitandogli di lanciare una maledizione a Lupin.
“Forza ragazzo, resisti. Ci siamo quasi,” gli sussurrò l’uomo, armeggiando di fretta e furia attorno al suo occhio.
“Dovrebbero avere quasi finito,” mormorò, più rivolto a se stesso, sfiorando la tasca dei pantaloni per controllare che la moneta fosse ancora al suo posto e non scottasse. Diede un ultimo colpetto di bacchetta e poi entrambi fecero esplodere l’aria attorno a loro. Due corpi sfrecciarono in aria contorcendosi, i mantelli gonfiati come vele dal vento d’ottobre. Ron e Remus si separarono, buttandosi di nuovo nella mischia.
L’occhio continuava a sfrigolare, ma quantomeno riusciva a vedere davanti a sé. Bastava solo che non lo colpissero da destra, tentò di rincuorarsi il ragazzo. Evitò accuratamente di pensare al calcolo della propria probabilità di salvezza. Doveva solo sperare che Hermione e Charlotte finissero a momenti.
Scagliò l’ennesimo Avada Kedavra e se ne infischiò totalmente delle probabilità. Sembrava non avessero mai fatto altro in tutta la vita. Non avevano mai fatto altro, dopo tutto. Se mai l’avessero fatto, ormai se ne erano dimenticati.
 
 
 
Ti ricordi, Hermione, quando andavamo a studiare sotto il salice, quello in riva al Lago?
O meglio, tu studiavi, io e Harry facevamo esattamente l’opposto. Stavi lì, seduta, un libro aperto sulle ginocchia e una ciocca di capelli che ti scivolava continuamente davanti agli occhi. E tu, ogni volta, ti ostinavi imperterrita a spostarla dietro l’orecchio.
Eri così bella, Hermione.
C’erano il sole alto nel cielo, la brezza tra le fronde, pensieri leggeri come piume e sogni da realizzare. Era primavera e noi aspettavamo la luce dell’estate ignari di cosa ci aspettasse. Adesso è autunno e non resta che l’inverno.


 
“E così siete sicure di aver fatto tutto per bene?”
Charlotte alzò le sopracciglia fin quasi a farle scomparire sotto la frangia irregolare, a Hermione non servì nemmeno guardarla per saperlo.
“Ti pare una domanda da fare, Neville?” rispose infatti seccata, stringendo il pugno tanto forte da far divenire le nocche bianche.
Hermione immaginò lo sguardo vibrante tra i due, mentre continuava a tenere il suo fisso sulla lettera che Melissa Doherty aveva trovato nella tasca di Ron, mentre gli dava un’occhiata velocemente. Tranquilla Hermione, le aveva detto, consegnandole la lettera sulla porta dell’infermeria, quando era andata a chiedere notizie del ragazzo, per poi chiudergliela in faccia mentre correva dai feriti più gravi. Sarebbe passata a visitarlo per bene più tardi.
“Charlotte…” la ammonì Nathan, seduto poco più in là con il braccio legato al collo. La sua dose di Ossofast sarebbe arrivata dopo aver fatto il giro di tutti gli altri feriti: faceva parte dell’elenco dei graffi. Se non fosse finito prima, ovviamente, altrimenti avrebbe fatto alla vecchia maniera Babbana fino a nuove scorte.
Hermione sentì il sospiro della ragazza mentre si lasciava cadere sul letto a fianco, sfinita.
“I ritratti sono stati abbastanza espliciti. Non c’era più nulla. Questo è quanto custodiva la stanza.”
Non che fosse poco, pensò Hermione. Se solo gli altri avessero letto qualche libro in più, non le avrebbero guardate così. L’Olio di Nathair5 non era una pozione da niente – una goccia e ti scioglievi come neve al sole –, la spada di Grifondoro, decine di libri proibiti per ovvi motivi. In mano a Voldemort avrebbero sancito la fine di ogni loro speranza di salvezza. Definitivamente.
“D’accordo…” si arrese il ragazzo, passandosi una mano tra i capelli scompigliati. Sembrava quasi Harry, pensò Hermione, cercando di cancellare subito quel pensiero.
Si alzò, probabilmente intenzionato a farsi una bella dormita fino a nuove notizie dall’infermeria. Fino a quel momento non sarebbero stati di alcun aiuto.
“Se avete voglia di aiutare Remus e Kingsley con quello che avete trovato…” suggerì, guardandole sconsolato. Ce l’avevano fatta, sì, ma a che prezzo. Poi scomparì oltre la porta, lasciandole a fissarsi silenziose.
“Andiamo noi,” decise Charlotte alzandosi dal letto di Padma, che aveva irrimediabilmente sfatto, tendendo la mano verso Nathan. “Ho bisogno di fare qualcosa o esplodo, ora come ora.”
Era stata male di nuovo, arrivati a Shell Cottage, davanti ai morti. Colpa sua, come con Fabian, zio Duff e Connor, come sempre.
Hermione annuì vagamente, tornando subito a concentrarsi sulla lettura della sua lettera da cui l’avevano distratta poco prima.
 
 
 
Il vento sibila tra le foglie del vecchio albero di Prugne Dirigibili, in cima alla collina, la stessa nenia malinconica del salice, i fiori appassiscono sulle croci di ferro. Appassiremo anche noi, come loro, in un lampo verde e freddo. Così, come i fiori vecchi, come le foglie d’autunno che cadono dagli alberi e muoiono.
Cadremo, ma nonostante tutto, davanti a queste croci, l’unica cosa a cui si può pensare è la luce di quell’estate che ci avevano promesso e non abbiamo mai visto. Quella gloria in cui sognavamo di spegnerci anziani e rugosi.
Forse non vedrò che una manciata d’ore, domani, e ti lascerò qui, come Harry ha fatto prima di me, e Ginny e Luna, e tutti gli altri.
Forse io me ne andrò, Hermione, non potrò più baciarti fino a che non passa tutto il dolore.
Ma tu, tu ricordati così, anche quando non ci sarò più. Seduta sotto un salice, un libro sulle ginocchia e il vento tra i capelli.
Io ti aspetterò, sempre.
 
Ron
 
 
 
 

 
NdA
 
Salve a tutti!
Se non avete capito un granché, non preoccupatevi, è solo che vi manca la parte iniziale della serie (che poi iniziale non si può nemmeno definire, ma immagino di volta in volta scene separate e piuttosto limitate). In ogni caso le due storie sono solo ambientate nello stesso mondo in cui Voldemort ha vinto e quel poco che resta dell’Ordine cerca di resistere, e si possono, più o meno, leggere autonomamente. La storia è stata scritta per il contest "But there's a tree, of many, one - quando Harry Potter incontra la poesia inglese" indetto da Phae. sul forum di EFP, e il titolo riprende un verso della poesia di Wordsworth presente nel pacchetto che ho scelto di sviluppare. (Ode all'immortalità).
Per quanto riguarda la storia, l’unica nota che ho (strano siano poche) riguarda la lettera di Ron. È stato un parto decidere che farne: troppo poetica, troppo corretta. Alla fine, ho deciso di lasciare le parti "poetiche" (in fin dei conti Nat dice di suggerirgliene alcune) dato che stiamo pur sempre parlando di una lettera scritta pensando di morire alla propria fidanzata e ritengo che Ron sia maturato notevolmente, in questo contesto. Spero renda bene l’idea che volevo trasmettere.
Ringrazio chiunque si sia soffermato e abbia letto questa mia piccola storia, i lettori silenziosi e chiunque vorrà lasciare un piccolo commento
A presto!
Maqry


[1] Gaelico irlandese: maledizione!
[2] Gaelico irlandese: sì.
[3] Gaelico irlandese: ragazza.
[4] Rivisitazione di “"Il mondo non è diviso tra persone buone e Mangiamorte! Tutti abbiamo sia luce che oscurità dentro di noi." (Sirius Black, OdF)
[5]Ho preso ispirazione a mani basse dal Ciclo dell’Eredità di Christopher Paolini, con il suo olio di Sethir.
   
 
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