Crownless
Capitolo
primo
- Sangue
al tramonto e ombre nella pioggia -
Più
o meno cinquant'anni fa, la Regione fu teatro di un evento che avrebbe segnato
per sempre la sua storia: i sovrani reggenti morirono in un tragico incidente
e, nonostante i tentativi del Consiglio di preservarla, la monarchia, infine,
cadde.
Coloro
che fino a quel momento erano stati tenuti sotto controllo dall'autorità regia
iniziarono a contendersi il potere: una profonda crisi dilagò, portando ovunque
povertà e morte. Dopo pochi mesi, però, un gruppo di giovani rivoluzionari
riuscì a prevalere, mettendo fine ai disordini sociali che si erano creati e
ristabilendo un'apparente pace. Venne instaurato un governo oligarchico, ma
ancora oggi resta un mistero come abbiano fatto di preciso queste persone ad
assumere il controllo: molta gente, di cui poi non si seppe più nulla, sparì,
molte azioni vennero cancellate.
La
crisi che c'era prima fu resa solamente invisibile, nascosta sotto luccicanti
promesse e ammalianti parole. Alcune zone della Regione restano attualmente divorate
dalla miseria, la criminalità dilaga indisturbata, arrivando anche in posti in
cui non dovrebbe arrivare. In particolare, nell'ultimo decennio, un gruppo di
criminali si è imposto sugli altri. Alcuni sostengono siano solo una leggenda
metropolitana, nessuno ne conosce l'identità o la posizione. Sono anime corrotte che vagano silenziose in un
mondo ancor più corrotto di loro, eppure non c’è bambino che non ne conosca il
nome: Crownless.
Twilight
Town
Il sole stava calando - come può qualcosa che muore
avere una bellezza tanto profonda?
La luce rossastra abbracciava ogni cosa, i colori
che in quel momento dipingevano il cielo variavano dal rosso intenso al rosato,
creando un'armonica cacofonia di tonalità. Nessuna definizione sul dizionario
avrebbe mai potuto definire le forti sensazioni che scuotevano l'anima in certi
attimi, nessuna spiegazione scientifica avrebbe mai potuto spiegare l'emozione
che commuoveva il cuore quando gli occhi venivano riempiti dalla luce che
calava oltre l'orizzonte, nessuna legge avrebbe mai potuto stabilire quando o
con quanta intensità un tramonto ti avrebbe colpito con la sua suggestione.
Quando era più giovane, Axel andava a guardare il
crepuscolo quasi ogni giorno: era il suo momento. Un momento in cui spariva il
caos della città – quella città che non lo comprendeva, quella città così
distante –, un momento in cui si immergeva nella sua interiorità, nei suoi luccicanti
sogni, nelle sue grandiose idee riguardo al futuro – non avrebbe permesso al
suo nome di finire nel baratro della dimenticanza. E mentre contemplava il
calare del sole, si riprometteva ogni volta che avrebbe trovato le risposte a
tutte le domande irrisolte che teneva prigioniere in un angolino della sua
mente.
A distanza di anni, però, una delle poche cose che
era riuscito a scoprire era stata la vera ragione per cui il cielo diventava
rosso al tramonto: non c’entrava assolutamente nulla con la storia che quello
era il colore che arrivava più lontano di tutti. Scontrarsi con la realtà dello
scellerato mondo in cui era nato gli aveva fatto aprire gli occhi su una verità
meno accademica ma molto più amara: il sangue che bagnava quelle terre era
talmente tanto da arrivare a macchiare anche il candore delle nuvole.
“Questo è
già l’Inferno” pensò, distogliendo lo sguardo dal cielo e tornando a
concentrarsi sul biglietto stropicciato che stringeva tra le dita. Lesse il
nome scrittovi sopra con una calligrafia dai tratti spigolosi, per poi
controllare la via riportata sul cartello: si trovava nel posto giusto .
Appallottolò il foglietto di carta e lo buttò a terra, imboccando un viale
spazioso e alberato.
“Una vera rottura.”
Si guardò intorno mentre
procedeva con passo sicura verso la sua meta: le villette a schiera tutte
uguali, gli alberi perfettamente potati. Era così incredibilmente noioso.
La sua “passeggiata di piacere” – così l’aveva
definita Saix - terminò davanti ad un
cancelletto in ferro battuto dietro cui si ergeva una villetta di due piani,
bianca, con un verde giardino all'inglese e una breve stradina di ciottoli che
portava fino alla porta d’ingresso.
Scavalcare la recinsione non fu un grosso
problema, ne aveva affrontate di peggiori, l’intoppo arrivò quando, dopo la
terza volta che suonava il campanello, nessuno gli rispose. Era certo ci fosse
qualcuno in casa, altrimenti Xemnas non lo avrebbe mai mandato lì a quell'ora,
ma non capiva il motivo per cui non gli aprissero. Che sapessero del suo
arrivo? No, impossibile, i loro movimenti erano praticamente imprevedibili,
senza contare il fatto che quel particolare incarico era stato deciso solo
poche ore prima. Decise di attendere qualche altro secondo prima di passare
alle maniere forti, mentre l’irritazione cresceva ogni attimo di più: aveva
rinunciato a schiacciare il suo riposino pomeridiano per andare lì, e non
accettava di tornare indietro a mani vuote.
Proprio mentre stava per tirare fuori
l’attrezzatura necessaria a scassinare la serratura, la porta si aprì,
rivelando un uomo basso e tarchiato. E così, era quello il suo obbiettivo? Gli
venne quasi da ridere: avrebbe potuto stenderlo con un dito. Senza troppe
cerimonie lo spostò con una spallata ed entrò, ritrovandosi in un grande salone
in stile vittoriano, arredato con pezzi d’antiquariato dall'aria costosa. Fece
un leggero fischio d’approvazione davanti a tutto quel lusso, facendo un rapido
calcolo di quanto avrebbe potuto guadagnare vendendo solo un quarto degli oggetti
lì presenti. Non ascoltò minimamente nessuna delle gracchianti proteste che il
padrone di casa gli stava rivolgendo: un sottofondo davvero sgradevole mentre
fantasticava su possibili soldi da intascare. Tirò fuori la pistola dai jeans
logori e, come per magia, le labbra dell’uomo si sigillarono - dovette
trattenersi dall'increspare le labbra in un sorriso soddisfatto.
<< Xemnas mi ha mandato a ricordarle che lei
ci deve ancora molto, onorevole Smith. >>
Ogni volta era uguale a quella precedente: gente
che si metteva in debito con Xemnas, faceva storie infinite per ripagarlo e
toccava a lui, alla fine, andare a sistemare le cose.
<< Una settimana, datemi solo una settimana
… >> balbettò l’uomo, asciugandosi il sudore sulla fronte con un
fazzoletto ricamato. Axel sospirò, chiedendosi perché individui già carichi di
denaro stringessero accordi oltremodo assurdi con Mansex per ottenere ancora
di più: lui non si sarebbe messo in
affari con il Superiore nemmeno se fosse stato l’unico sulla faccia della Terra
a poterlo aiutare.
<< Avanti, dimmi dov'è la cassaforte
>> ordinò con tono annoiato, mettendo in canna il primo colpo. Il padrone
di casa dovette capire che la sua pellaccia molliccia e pelosa era davvero in
pericolo, poiché si affrettò ad attraversare il salone per raggiungere
un’imitazione - anche abbastanza
scadente - della Notte Stellata di Van Gogh. Tolse il quadro dal muro con mani
tremanti, rivelando un quadratino grigio metallizzato incastratovi dentro.
Sempre sentendo la minacciosa presenza della pistola puntata alle spalle,
digitò il codice – dovette farlo due volte prima di indovinarlo, troppo preso
dall'agitazione per riuscire a digitare un paio di tasti senza sbagliare. Nella
stanza risuonò il soave “clic” della cassaforte che si apriva.
L’uomo si girò a guardarlo, un’espressione quasi
sollevata nei piccoli occhi neri.
<< Ecco, qui ci sono tutti i … >>
E Axel sparò.
Il suono del colpo si propagò nel salone,
riempendogli le orecchie e la testa, trasformandosi in un urlo assordante:
“assassino, assassino!”. Un pezzo della sua anima si spezzava insieme alla vita
di chi aveva ricevuto la pallottola, mentre il sapore amaro dell’omicidio gli rovinava la bocca.
Sostituirsi alla Nera Signora era il suo lavoro e la sua condanna: era
costretto a farlo fino a quando non si sarebbe infranto anche lui come uno
specchio caduto in terra.
Traverse
Town
La porta venne chiusa con forza, lasciando fuori
la confusione che regnava quel giorno nella stazione di polizia. Nella piccola
stanza calò un silenzio carico di domande e labili speranze.
Yen Sid si appoggiò alla scrivania traballante
situata al centro, schiarendosi la voce e continuando a toccarsi la barba
incolta: un gesto abitudinario che lo aiutava a pensare meglio. Eraqus Lee
restò fermo a qualche passo di distanza, in attesa di ricevere il permesso di
accomodarsi su una delle sedie nere presenti nell'ufficio. Accanto a lui, Cloud
Strife se ne stava appoggiato al muro con le braccia incrociate al petto:
sapevano tutti che sarebbe rimasto lì per l’intera durata del colloquio.
<< Abbiamo delle novità, anche se non sono
quelle che ci aspettavamo… >> esordì il più anziano tra loro. << I
nostri soggetti sono riapparsi dopo settimane di inattività, ma hanno colpito
zone completamente diverse dalle solite.
>> Si avvicinò a una mappa piena di pallini di differenti colori:
quelli rossi rappresentavano le rapine già avvenute, quelli verdi i punti in
cui erano stati trovati dei collegamenti con esse e quelli gialli segnavano le
aree a rischio. Yen Sid picchiettò il dito su un punto in particolare, dove un
bel segno rosso circondava il nome di una località.
<< Radiant Garden? Leon e i suoi non
avevano aumentato la vigilanza? >> chiese il biondo, osservando i luoghi
segnati con sguardo criptico.
<< Sì, ma temevo non sarebbe bastato:
abbiamo a che fare con un gruppo di professionisti, non con dei ragazzini alle
prime armi. Sono organizzati ed estremamente bravi a non lasciare nessuna
traccia. >>
<< Tranne quel simbolo* >> intervenne
Eraqus, indicando con un cenno del capo uno dei fogli attaccati al lato della
mappa. Era uno schizzo di una specie di cuore incompleto e capovolto, simile
quasi ad una chitarra dalla forma bizzarra. << Questo emblema compare in
ogni città colpita: è la loro firma. >>
<< O un modo per segnare il territorio. In
natura gli animali marcano determinate zone per indicare che gli appartengono,
così facendo tengono lontani visitatori indesiderati o possibili rivali
>> ragionò Cloud. << Comunque, perché sono riapparsi proprio
adesso? >>
<< Ne sappiamo troppo poco, ancora. Le loro
azioni sembrano del tutto scollegate, non c’è niente che possa farci intuire
quale sia il loro vero scopo. Quest’improvviso periodo di inattività potrebbe
significare che si stanno riorganizzando, o che ci sono stati degli imprevisti
che li hanno costretti ad abbandonare temporaneamente i loro piani. >>
<< E i nostri informatori cosa dicono?
>> s’informò Eraqus., lisciandosi il pizzetto con due dita.
<< Grazie a loro abbiamo ottenuto un elenco
di nomi che sono in qualche modo legati a questa banda >> rispose Yen Sid, poi si rivolse al ragazzo appoggiato
al muro. << Strife, voglio che tu scopra di più sul tipo di legame che
lega le persone di questa lista e l’Organizzazione. >> Il biondo annuì, poi uscì dalla stanza senza
aspettare di essere congedato. Il più anziano, a quel punto, si rivolse al
compagno rimasto. << Lee, tu continua con il progetto X. >> Eraqus
annuì e si alzò, salutando l’altro con un rispettoso gesto del capo.
Quando fu sul punto di aprire la porta, la voce di
Yen Sid lo bloccò per un’ultima volta. << Non c’è bisogno che ti dica di
prestare attenzione, vero? >>
<< Stai tranquillo, so bene il rischio che
corriamo. Ma sono anni che diamo loro la caccia, questa missione ci serve: non
possiamo continuare ad aggrapparci a notizie superficiali. >>.
Una volta rimasto solo, Yen Sid tirò fuori dalla
giacca scura un contenitore bianco di piccole dimensioni. Lo scosse un po’ fino
a quando due capsule azzurre non atterrarono sul palmo aperto della mano. Le
mise in bocca con un rapido gesto, contraendo il viso in un’espressione
disgustata quando le ingoiò: erano insopportabilmente amare, proprio come la situazione ingarbugliata in cui si
trovavano. C’era qualcosa che non gli quadrava, e la sensazione di stare per
scoprire un’informazione molto importante senza però riuscire mai a
raggiungerla davvero non lo aiutava di certo a placare le sue angosce: ogni
volta che credeva di averla afferrata, questa gli sfuggiva dalle mani come un
pugno di sabbia tra le dita. E doveva ricominciare da capo.
Era sempre la stessa, ridicola storia che si
ripeteva da dieci anni.
La biblioteca dell’Università era visitata da
molti studenti ogni giorno. I grandi tavoli venivano sommersi da libri, matite,
quaderni e computer, c’erano file di teste chinate a studiare, dita che
digitavano freneticamente su vecchie tastiere, evidenziatori consumati troppo
presto, mani che sfogliavano, labbra che sussurravano. Il tutto, ovviamente,
accadeva sotto lo sguardo vigile della bibliotecaria: la signora Taylor,
infatti, era nota per essere una fedele guardiana del Silenzio. Lanciava
sguardi agghiaccianti da sopra le spesse lenti dei suoi occhiali ed aveva
l’innata capacità di scovare chiunque non rispettasse le regole del suo sacro
tempio. Spuntava all'improvviso davanti ai malcapitati, colpendoli con il
letale ventaglio che si portava sempre dietro – più per usarlo come arma che
per rinfrescarsi.
L’unica fila che sfuggiva un minimo al suo ferreo
controllo era quella vicino alle finestre: situata infondo a tutto, dietro a
decine e decine di alti scaffali, era il posto perfetto per dire o fare cose
che non dovevano arrivare ad occhi e orecchie indiscreti. Soprattutto, però,
era anche l’unico punto abbastanza isolato in cui la voce squillante di Sora
non attirava l’ira della vecchia custode, rischiando ogni volta di farli
sbattere fuori a calci nel sedere.
<< … E quindi mi sono addormentato, ma non è
stata colpa mia, davvero! >> Sora si agitò ancor di più, gesticolando
animatamente mentre spiegava la sua disavventura avvenuta durante la lezione di
quella mattina. Roxas si chiese, per la milionesima volta, come potesse un essere umano fare così tanto casino restando seduto su una sedia
malandata.
<< E di chi è stata, del professore troppo
noioso ? >> domandò con un pizzico di sarcasmo Ventus, distogliendo
l’attenzione dal libro che stava leggendo: un tomo di circa cinquecento pagine
sulla storia della psicologia dagli albori fino ai tempi odierni.
Roxas smise di ascoltare il loro battibecco,
tornando a concentrarsi sul cielo plumbeo di quel Lunedì. Secondo le accuratissime previsioni meteo ci
sarebbe dovuto essere un tempo magnifico,
con tanto di sole splendente e uccellini cinguettanti, ma le uniche cose che
vedeva lui, invece, erano delle nubi minacciose e un acquazzone in arrivo. Gli
scappò quasi da ridere quando si rese conto che quella situazione era un po’ la
metafora della sua vita: “Andrà tutto a meraviglia, vedrai” gli ripetevano. E
poi la vita – l’ironica, sadica vita - decideva di alzarsi una mattina e mandare
tutto a puttane. Che fosse il Karma, il Destino o semplice sfortuna, a Roxas
non importava minimamente: incolpava tutto e tutti. Ma, soprattutto, incolpava
se stesso per quella dannata irrequietezza che gli agitava l’anima, portandolo a
cercare di più, a volere di più,
anche quando conduceva una serena e pacifica esistenza. Si sarebbe potuto
accontentare delle giornate spensierate passate in compagnia delle persone a
cui teneva, si sarebbe potuto far bastare la sua tranquilla routine come
facevano gli altri: ma a quel punto la propria, irrefrenabile voglia di sapere
– sapere perché si sentiva come se
gli mancasse qualcosa, sapere perché
le ombre nella sua testa non lo lasciavano mai – avrebbe finito per soffocarlo.
Si affannava alla costante ricerca di qualcosa – della verità, forse - , e nel
mentre non si accorgeva nemmeno di calpestare i sentimenti altrui.
<< Terra chiama Roxas, ci sei? >> Una
mano comparve nel suo campo visivo. Si voltò, ritrovandosi Sora a pochi
centimetri dal volto. Si era allungato sul tavolo per avvicinarglisi, con le
ginocchia sulla sedia e il busto spalmato sulla superficie legnosa. Gli mise un
palmo aperto sulla faccia, nel tentativo di spingerlo via.
<< Ritornati a sedere in modo umano, scemo
>> lo rimproverò, anche se le labbra accennarono un sorriso: quel benedetto
ragazzo non cambiava mai – il suo luminoso modo d’essere era una delle poche
certezze che aveva visto resistere ai colpi del tempo.
<< Ci stavamo accordando per fare una
maratona di Lord of the Rings questo Venerdì. Va bene? >> si intromise
suo fratello.
Ah,
già.
Si era del tutto dimenticato il loro abitudinario
incontro nel fine settimana. Infatti, ogni Venerdì pomeriggio erano soliti
riunirsi per fare cose totalmente da
nerd: maratone di film, giochi di ruolo, partite infinite alla play station.
Quel loro particolare rito aveva avuto inizio in
una giornata di Dicembre in cui il freddo non invogliava per niente a uscire e
la prospettiva di restare chiusi in casa non era tra le più entusiasmanti. Dopo
interminabili minuti passati ad escogitare un modo per salvare la serata,
Ventus – il suo geniale fratellino -
aveva avuto l’illuminazione divina
che avrebbe cambiato per sempre le loro vite – va bene, adesso stava
esagerando, però era stata davvero una grande
idea. La cosa era iniziata solo come un “vediamoci un film in streaming per far
passare il tempo”, trasformandosi progressivamente nel “Grande Momento”: da un
film erano passati a intere saghe, dalle saghe erano andati a finire ai giochi di
ruolo, poi ai videogiochi e infine a qualsiasi altra cosa andasse loro di fare
– una volta Sora aveva proposto di inscenare una battaglia tra jedi e sith**:
se ne erano date di santa ragione!
Annuì.
<< Facciamo a casa tua, Sora? >>
<< Sì, non ci sono problemi. >>
Roxas lanciò un’ultima, veloce occhiata fuori dalla
finestra: le prime gocce di pioggia erano iniziate a cadere, disegnando linee
sottili sul vetro.
Nel cortile già si stava iniziando a creare un
certo fermento, tra persone che si alzavano incamminandosi velocemente verso
aree più riparate e altre che alzavano le mani al cielo, nel tentativo di
capire se si trattasse solo di una pioggerella passeggera e innocua o di un
nubifragio da cui scappare il prima possibile.
Si concentrò, immaginandosi le cortecce degli
alberi inscurirsi per l’acqua, il terreno che pian piano si ammorbidiva fino a
diventare fango – l’odioso fango che sporcava le scarpe nuove e ti faceva fare
degli scivoloni assurdi se non stavi abbastanza attento. Gli parve di sentire
il suono scrosciante del temporale, il rumore degli ombrelli che si aprivano,
il tintinnio delle gocce nelle pozzanghere. Un nome gli balenò in mente come un
fulmine a ciel sereno:
Petricore.
Era quella la parola con cui si definiva il tipico
odore di quando piove: un aroma pungente e umido, che sa di terra e di pomeriggi
passati con il naso affondato nei libri.
La pioggia era una benedizione. Lavava l’aria da
tutte le impurità di quel mondo rarefatto, cancellava i segni dei grandi
conflitti interiori e alleviava anime silenziosamente sofferenti, bagnava il
volto per pulirlo dalle maschere sotto cui era stato sepolto e trascinava via
qualsiasi umore macchiasse il cuore.
Non lasciava altro che cemento bagnato e grigie
atmosfere.
A Roxas era sempre piaciuta la pioggia.
[3051 parole]
Spiegazioni:
1.
Il simbolo a cui si riferisce Eraqus è il quello usato dall'Organizzazione XIII.
2.
Jedi
(utilizzano la Forza per il bene) e Sith (appartengono al Lato Oscuro ) sono
due “razze” – passatemi il termine - dell’universo di Star Wars.
Salve a tutti!
Come prima cosa, penso sia quantomeno doveroso da parte mia
chiedervi umilmente perdono per il mio… Ehm… “Piccolo” ritardo nel pubblicare.
Mi scuso davvero con tutto il cuore, ma ho avuto una serie di problemi e questo
è il risultato. Comunque, d’ora in poi sarò molto più regolare!
Bene, una volta chiarito questo direi di passare al
capitolo.
Sono comparsi i primi personaggi – ma non sono ancora
finiti, tranquilli muhahaha – ed alcuni meccanismi della storia si sono
iniziati a delineare – fidatevi, niente è lasciato al caso.
Abbiamo i misteriosi e
potenti Crownless, la polizia che indaga su di loro e che progetta piani
pericolosi per cercare di dare una svolta al caso, la cotica interiorità di
Roxas. Ma, soprattutto, e badate bene a non dimenticarvi certi pezzi, si inizia
a conoscere qualcosa sul passato della Regione, il quale giocherà un ruolo
fondamentale nel corso degli eventi!
Chi sono davvero i Crownless? In cosa consiste il progetto X
di cui parlavano Eraqus e Yen Sid?
Io già lo so, se volete scoprirlo anche voi, continuate a
leggere!
Inoltre, mi farebbe davvero piacere sentire le vostre
opinioni. Sapere se c’è qualcosa che non vi è piaciuto, conoscere la vostra
impressione generale fino ad ora, i vostri dubbi: tutto, insomma!
Vi aspetto al prossimo capitolo,
Dynamis.
Ps: mi scuso per eventuali errori, se ne trovate alcuni
segnalatemeli e provvederò subito a correggerli ;) .