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Autore: _Dynamis_    20/11/2016    0 recensioni
 {AU – contenuti forti - tematiche delicate}
[VanVen – RiSo- Akuroku – Altre]
***
[Tratto dalla storia]
Non è più tempo di tacere. 
E' arrivato il momento di narrare la storia così per com'è davvero. 
E' arrivato il momento di svelare su cosa si basa realmente il sistema governativo di questa città. E' arrivato il momento di parlarvi dei fantasmi che si aggirano silenziosi nei vicoli di periferia, delle ombre nascoste dietro gli angoli delle strade: i Crownless.
Nessuna delle sfortunate persone coinvolte in questa vicenda sa esattamente quando tutto questo ebbe inizio, tanto meno io. Forse l'unica a saperlo sul serio è scomparsa, avvolta in un mantello di mistero sotto cui ha nascosto anche la verità. Quindi, potrete capire benissimo se vi dico che posso raccontarvi con sicurezza, senza cadere preda di dubbi o inganni, solo l'inizio della fine.
I fatti si sono susseguiti in una caotica corsa verso il traguardo. Ma non ci sono stati vincitori, solo sopravvissuti: succede questo a voler sfidare il tempo per salvare qualcosa di insalvabile.
La speranza non è sempre quello che resta alla fine.
Genere: Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Sora, Un po' tutti, Vanitas, Ventus, Xehanort
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Nessun gioco
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crownless


Crownless

 


Capitolo primo            

- Sangue al tramonto e ombre nella pioggia -         

 

 

Più o meno cinquant'anni fa, la Regione fu teatro di un evento che avrebbe segnato per sempre la sua storia: i sovrani reggenti morirono in un tragico incidente e, nonostante i tentativi del Consiglio di preservarla, la monarchia, infine, cadde.

Coloro che fino a quel momento erano stati tenuti sotto controllo dall'autorità regia iniziarono a contendersi il potere: una profonda crisi dilagò, portando ovunque povertà e morte. Dopo pochi mesi, però, un gruppo di giovani rivoluzionari riuscì a prevalere, mettendo fine ai disordini sociali che si erano creati e ristabilendo un'apparente pace. Venne instaurato un governo oligarchico, ma ancora oggi resta un mistero come abbiano fatto di preciso queste persone ad assumere il controllo: molta gente, di cui poi non si seppe più nulla, sparì, molte azioni vennero cancellate.

La crisi che c'era prima fu resa solamente invisibile, nascosta sotto luccicanti promesse e ammalianti parole. Alcune zone della Regione restano attualmente divorate dalla miseria, la criminalità dilaga indisturbata, arrivando anche in posti in cui non dovrebbe arrivare. In particolare, nell'ultimo decennio, un gruppo di criminali si è imposto sugli altri. Alcuni sostengono siano solo una leggenda metropolitana, nessuno ne conosce l'identità o la posizione. Sono  anime corrotte che vagano silenziose in un mondo ancor più corrotto di loro, eppure non c’è bambino che non ne conosca il nome: Crownless.

 

Twilight Town

 

Il sole stava calando - come può qualcosa che muore avere una bellezza tanto profonda?

La luce rossastra abbracciava ogni cosa, i colori che in quel momento dipingevano il cielo variavano dal rosso intenso al rosato, creando un'armonica cacofonia di tonalità. Nessuna definizione sul dizionario avrebbe mai potuto definire le forti sensazioni che scuotevano l'anima in certi attimi, nessuna spiegazione scientifica avrebbe mai potuto spiegare l'emozione che commuoveva il cuore quando gli occhi venivano riempiti dalla luce che calava oltre l'orizzonte, nessuna legge avrebbe mai potuto stabilire quando o con quanta intensità un tramonto ti avrebbe colpito con la sua suggestione.
Quando era più giovane, Axel andava a guardare il crepuscolo quasi ogni giorno: era il suo momento. Un momento in cui spariva il caos della città – quella città che non lo comprendeva, quella città così distante –, un momento in cui si immergeva nella sua interiorità, nei suoi luccicanti sogni, nelle sue grandiose idee riguardo al futuro – non avrebbe permesso al suo nome di finire nel baratro della dimenticanza. E mentre contemplava il calare del sole, si riprometteva ogni volta che avrebbe trovato le risposte a tutte le domande irrisolte che teneva prigioniere in un angolino della sua mente.
A distanza di anni, però, una delle poche cose che era riuscito a scoprire era stata la vera ragione per cui il cielo diventava rosso al tramonto: non c’entrava assolutamente nulla con la storia che quello era il colore che arrivava più lontano di tutti. Scontrarsi con la realtà dello scellerato mondo in cui era nato gli aveva fatto aprire gli occhi su una verità meno accademica ma molto più amara: il sangue che bagnava quelle terre era talmente tanto da arrivare a macchiare anche il candore delle nuvole.
“Questo è già l’Inferno” pensò, distogliendo lo sguardo dal cielo e tornando a concentrarsi sul biglietto stropicciato che stringeva tra le dita. Lesse il nome scrittovi sopra con una calligrafia dai tratti spigolosi, per poi controllare la via riportata sul cartello: si trovava nel posto giusto . Appallottolò il foglietto di carta e lo buttò a terra, imboccando un viale spazioso e alberato.
“Una vera rottura.” Si guardò intorno mentre procedeva con passo sicura verso la sua meta: le villette a schiera tutte uguali, gli alberi perfettamente potati. Era così incredibilmente noioso. 
La sua “passeggiata di piacere” – così l’aveva definita Saix -  terminò davanti ad un cancelletto in ferro battuto dietro cui si ergeva una villetta di due piani, bianca, con un verde giardino all'inglese e una breve stradina di ciottoli che portava fino alla porta d’ingresso.
Scavalcare la recinsione non fu un grosso problema, ne aveva affrontate di peggiori, l’intoppo arrivò quando, dopo la terza volta che suonava il campanello, nessuno gli rispose. Era certo ci fosse qualcuno in casa, altrimenti Xemnas non lo avrebbe mai mandato lì a quell'ora, ma non capiva il motivo per cui non gli aprissero. Che sapessero del suo arrivo? No, impossibile, i loro movimenti erano praticamente imprevedibili, senza contare il fatto che quel particolare incarico era stato deciso solo poche ore prima. Decise di attendere qualche altro secondo prima di passare alle maniere forti, mentre l’irritazione cresceva ogni attimo di più: aveva rinunciato a schiacciare il suo riposino pomeridiano per andare lì, e non accettava di tornare indietro a mani vuote.
Proprio mentre stava per tirare fuori l’attrezzatura necessaria a scassinare la serratura, la porta si aprì, rivelando un uomo basso e tarchiato. E così, era quello il suo obbiettivo? Gli venne quasi da ridere: avrebbe potuto stenderlo con un dito. Senza troppe cerimonie lo spostò con una spallata ed entrò, ritrovandosi in un grande salone in stile vittoriano, arredato con pezzi d’antiquariato dall'aria costosa. Fece un leggero fischio d’approvazione davanti a tutto quel lusso, facendo un rapido calcolo di quanto avrebbe potuto guadagnare vendendo solo un quarto degli oggetti lì presenti. Non ascoltò minimamente nessuna delle gracchianti proteste che il padrone di casa gli stava rivolgendo: un sottofondo davvero sgradevole mentre fantasticava su possibili soldi da intascare. Tirò fuori la pistola dai jeans logori e, come per magia, le labbra dell’uomo si sigillarono - dovette trattenersi dall'increspare le labbra in un sorriso soddisfatto.
<< Xemnas mi ha mandato a ricordarle che lei ci deve ancora molto, onorevole Smith. >>
Ogni volta era uguale a quella precedente: gente che si metteva in debito con Xemnas, faceva storie infinite per ripagarlo e toccava a lui, alla fine, andare a sistemare le cose.
<< Una settimana, datemi solo una settimana … >> balbettò l’uomo, asciugandosi il sudore sulla fronte con un fazzoletto ricamato. Axel sospirò, chiedendosi perché individui già carichi di denaro stringessero accordi oltremodo assurdi con Mansex per ottenere ancora di più:  lui non si sarebbe messo in affari con il Superiore nemmeno se fosse stato l’unico sulla faccia della Terra a poterlo aiutare.
<< Avanti, dimmi dov'è la cassaforte >> ordinò con tono annoiato, mettendo in canna il primo colpo. Il padrone di casa dovette capire che la sua pellaccia molliccia e pelosa era davvero in pericolo, poiché si affrettò ad attraversare il salone per raggiungere un’imitazione  - anche abbastanza scadente - della Notte Stellata di Van Gogh. Tolse il quadro dal muro con mani tremanti, rivelando un quadratino grigio metallizzato incastratovi dentro. Sempre sentendo la minacciosa presenza della pistola puntata alle spalle, digitò il codice – dovette farlo due volte prima di indovinarlo, troppo preso dall'agitazione per riuscire a digitare un paio di tasti senza sbagliare. Nella stanza risuonò il soave “clic” della cassaforte che si apriva.
L’uomo si girò a guardarlo, un’espressione quasi sollevata nei piccoli occhi neri.
<< Ecco, qui ci sono tutti i  … >>
E Axel sparò.
Il suono del colpo si propagò nel salone, riempendogli le orecchie e la testa, trasformandosi in un urlo assordante: “assassino, assassino!”. Un pezzo della sua anima si spezzava insieme alla vita di chi aveva ricevuto la pallottola, mentre il sapore amaro  dell’omicidio gli rovinava la bocca. Sostituirsi alla Nera Signora era il suo lavoro e la sua condanna: era costretto a farlo fino a quando non si sarebbe infranto anche lui come uno specchio caduto in terra.

 

Traverse Town

 

La porta venne chiusa con forza, lasciando fuori la confusione che regnava quel giorno nella stazione di polizia. Nella piccola stanza calò un silenzio carico di domande e labili speranze.
Yen Sid si appoggiò alla scrivania traballante situata al centro, schiarendosi la voce e continuando a toccarsi la barba incolta: un gesto abitudinario che lo aiutava a pensare meglio. Eraqus Lee restò fermo a qualche passo di distanza, in attesa di ricevere il permesso di accomodarsi su una delle sedie nere presenti nell'ufficio. Accanto a lui, Cloud Strife se ne stava appoggiato al muro con le braccia incrociate al petto: sapevano tutti che sarebbe rimasto lì per l’intera durata del colloquio.
<< Abbiamo delle novità, anche se non sono quelle che ci aspettavamo… >> esordì il più anziano tra loro. << I nostri soggetti sono riapparsi dopo settimane di inattività, ma hanno colpito zone completamente diverse dalle solite.  >> Si avvicinò a una mappa piena di pallini di differenti colori: quelli rossi rappresentavano le rapine già avvenute, quelli verdi i punti in cui erano stati trovati dei collegamenti con esse e quelli gialli segnavano le aree a rischio. Yen Sid picchiettò il dito su un punto in particolare, dove un bel segno rosso circondava il nome di una località.
<< Radiant Garden? Leon e i suoi non avevano aumentato la vigilanza? >> chiese il biondo, osservando i luoghi segnati con sguardo criptico.
<< Sì, ma temevo non sarebbe bastato: abbiamo a che fare con un gruppo di professionisti, non con dei ragazzini alle prime armi. Sono organizzati ed estremamente bravi a non lasciare nessuna traccia. >>
<< Tranne quel simbolo* >> intervenne Eraqus, indicando con un cenno del capo uno dei fogli attaccati al lato della mappa. Era uno schizzo di una specie di cuore incompleto e capovolto, simile quasi ad una chitarra dalla forma bizzarra. << Questo emblema compare in ogni città colpita: è la loro firma. >>
<< O un modo per segnare il territorio. In natura gli animali marcano determinate zone per indicare che gli appartengono, così facendo tengono lontani visitatori indesiderati o possibili rivali >> ragionò Cloud. << Comunque, perché sono riapparsi proprio adesso? >>
<< Ne sappiamo troppo poco, ancora. Le loro azioni sembrano del tutto scollegate, non c’è niente che possa farci intuire quale sia il loro vero scopo. Quest’improvviso periodo di inattività potrebbe significare che si stanno riorganizzando, o che ci sono stati degli imprevisti che li hanno costretti ad abbandonare temporaneamente i loro piani. >>
<< E i nostri informatori cosa dicono? >> s’informò Eraqus., lisciandosi il pizzetto con due dita.
<< Grazie a loro abbiamo ottenuto un elenco di nomi che sono in qualche modo legati a questa banda >> rispose  Yen Sid, poi si rivolse al ragazzo appoggiato al muro. << Strife, voglio che tu scopra di più sul tipo di legame che lega le persone di questa lista e l’Organizzazione. >>  Il biondo annuì, poi uscì dalla stanza senza aspettare di essere congedato. Il più anziano, a quel punto, si rivolse al compagno rimasto. << Lee, tu continua con il progetto X. >> Eraqus annuì e si alzò, salutando l’altro con un rispettoso gesto del capo.
Quando fu sul punto di aprire la porta, la voce di Yen Sid lo bloccò per un’ultima volta. << Non c’è bisogno che ti dica di prestare attenzione, vero? >>
<< Stai tranquillo, so bene il rischio che corriamo. Ma sono anni che diamo loro la caccia, questa missione ci serve: non possiamo continuare ad aggrapparci a notizie superficiali.  >>.
Una volta rimasto solo, Yen Sid tirò fuori dalla giacca scura un contenitore bianco di piccole dimensioni. Lo scosse un po’ fino a quando due capsule azzurre non atterrarono sul palmo aperto della mano. Le mise in bocca con un rapido gesto, contraendo il viso in un’espressione disgustata quando le ingoiò: erano insopportabilmente amare, proprio come la situazione ingarbugliata in cui si trovavano. C’era qualcosa che non gli quadrava, e la sensazione di stare per scoprire un’informazione molto importante senza però riuscire mai a raggiungerla davvero non lo aiutava di certo a placare le sue angosce: ogni volta che credeva di averla afferrata, questa gli sfuggiva dalle mani come un pugno di sabbia tra le dita. E doveva ricominciare da capo. 
Era sempre la stessa, ridicola storia che si ripeteva da dieci anni.

 

 

La biblioteca dell’Università era visitata da molti studenti ogni giorno. I grandi tavoli venivano sommersi da libri, matite, quaderni e computer, c’erano file di teste chinate a studiare, dita che digitavano freneticamente su vecchie tastiere, evidenziatori consumati troppo presto, mani che sfogliavano, labbra che sussurravano. Il tutto, ovviamente, accadeva sotto lo sguardo vigile della bibliotecaria: la signora Taylor, infatti, era nota per essere una fedele guardiana del Silenzio. Lanciava sguardi agghiaccianti da sopra le spesse lenti dei suoi occhiali ed aveva l’innata capacità di scovare chiunque non rispettasse le regole del suo sacro tempio. Spuntava all'improvviso davanti ai malcapitati, colpendoli con il letale ventaglio che si portava sempre dietro – più per usarlo come arma che per rinfrescarsi.
L’unica fila che sfuggiva un minimo al suo ferreo controllo era quella vicino alle finestre: situata infondo a tutto, dietro a decine e decine di alti scaffali, era il posto perfetto per dire o fare cose che non dovevano arrivare ad occhi e orecchie indiscreti. Soprattutto, però, era anche l’unico punto abbastanza isolato in cui la voce squillante di Sora non attirava l’ira della vecchia custode, rischiando ogni volta di farli sbattere fuori a calci nel sedere.
<< … E quindi mi sono addormentato, ma non è stata colpa mia, davvero! >> Sora si agitò ancor di più, gesticolando animatamente mentre spiegava la sua disavventura avvenuta durante la lezione di quella mattina. Roxas si chiese, per la milionesima volta, come potesse un essere umano fare così tanto casino restando seduto su una sedia malandata.
<< E di chi è stata, del professore troppo noioso ? >> domandò con un pizzico di sarcasmo Ventus, distogliendo l’attenzione dal libro che stava leggendo: un tomo di circa cinquecento pagine sulla storia della psicologia dagli albori fino ai tempi odierni.
Roxas smise di ascoltare il loro battibecco, tornando a concentrarsi sul cielo plumbeo di quel Lunedì. Secondo le accuratissime previsioni meteo ci sarebbe dovuto essere un tempo magnifico, con tanto di sole splendente e uccellini cinguettanti, ma le uniche cose che vedeva lui, invece, erano delle nubi minacciose e un acquazzone in arrivo. Gli scappò quasi da ridere quando si rese conto che quella situazione era un po’ la metafora della sua vita: “Andrà tutto a meraviglia, vedrai” gli ripetevano. E poi la vita – l’ironica, sadica vita -  decideva di alzarsi una mattina e mandare tutto a puttane. Che fosse il Karma, il Destino o semplice sfortuna, a Roxas non importava minimamente: incolpava tutto e tutti. Ma, soprattutto, incolpava se stesso per quella dannata irrequietezza che gli agitava l’anima, portandolo a cercare di più, a volere di più, anche quando conduceva una serena e pacifica esistenza. Si sarebbe potuto accontentare delle giornate spensierate passate in compagnia delle persone a cui teneva, si sarebbe potuto far bastare la sua tranquilla routine come facevano gli altri: ma a quel punto la propria, irrefrenabile voglia di sapere – sapere perché si sentiva come se gli mancasse qualcosa, sapere perché le ombre nella sua testa non lo lasciavano mai – avrebbe finito per soffocarlo. Si affannava alla costante ricerca di qualcosa – della verità, forse - , e nel mentre non si accorgeva nemmeno di calpestare i sentimenti altrui.
<< Terra chiama Roxas, ci sei? >> Una mano comparve nel suo campo visivo. Si voltò, ritrovandosi Sora a pochi centimetri dal volto. Si era allungato sul tavolo per avvicinarglisi, con le ginocchia sulla sedia e il busto spalmato sulla superficie legnosa. Gli mise un palmo aperto sulla faccia, nel tentativo di spingerlo via.
<< Ritornati a sedere in modo umano, scemo >> lo rimproverò, anche se le labbra accennarono un sorriso: quel benedetto ragazzo non cambiava mai – il suo luminoso modo d’essere era una delle poche certezze che aveva visto resistere ai colpi del tempo.
<< Ci stavamo accordando per fare una maratona di Lord of the Rings questo Venerdì. Va bene? >> si intromise suo fratello.

Ah, già.
Si era del tutto dimenticato il loro abitudinario incontro nel fine settimana. Infatti, ogni Venerdì pomeriggio erano soliti riunirsi per fare cose totalmente da nerd: maratone di film, giochi di ruolo, partite infinite alla play station.
Quel loro particolare rito aveva avuto inizio in una giornata di Dicembre in cui il freddo non invogliava per niente a uscire e la prospettiva di restare chiusi in casa non era tra le più entusiasmanti. Dopo interminabili minuti passati ad escogitare un modo per salvare la serata, Ventus – il suo geniale fratellino - aveva avuto l’illuminazione divina che avrebbe cambiato per sempre le loro vite – va bene, adesso stava esagerando, però era stata davvero una grande idea. La cosa era iniziata solo come un “vediamoci un film in streaming per far passare il tempo”, trasformandosi progressivamente nel “Grande Momento”: da un film erano passati a intere saghe, dalle saghe erano andati a finire ai giochi di ruolo, poi ai videogiochi e infine a qualsiasi altra cosa andasse loro di fare – una volta Sora aveva proposto di inscenare una battaglia tra jedi e sith**: se ne erano date di santa ragione!
 Annuì. << Facciamo a casa tua, Sora? >>
<< Sì, non ci sono problemi. >>
Roxas lanciò un’ultima, veloce occhiata fuori dalla finestra: le prime gocce di pioggia erano iniziate a cadere, disegnando linee sottili sul vetro.
Nel cortile già si stava iniziando a creare un certo fermento, tra persone che si alzavano incamminandosi velocemente verso aree più riparate e altre che alzavano le mani al cielo, nel tentativo di capire se si trattasse solo di una pioggerella passeggera e innocua o di un nubifragio da cui scappare il prima possibile.
Si concentrò, immaginandosi le cortecce degli alberi inscurirsi per l’acqua, il terreno che pian piano si ammorbidiva fino a diventare fango – l’odioso fango che sporcava le scarpe nuove e ti faceva fare degli scivoloni assurdi se non stavi abbastanza attento. Gli parve di sentire il suono scrosciante del temporale, il rumore degli ombrelli che si aprivano, il tintinnio delle gocce nelle pozzanghere. Un nome gli balenò in mente come un fulmine a ciel sereno:

Petricore.

Era quella la parola con cui si definiva il tipico odore di quando piove: un aroma pungente e umido, che sa di terra e di pomeriggi passati con il naso affondato nei libri.
La pioggia era una benedizione. Lavava l’aria da tutte le impurità di quel mondo rarefatto, cancellava i segni dei grandi conflitti interiori e alleviava anime silenziosamente sofferenti, bagnava il volto per pulirlo dalle maschere sotto cui era stato sepolto e trascinava via qualsiasi umore macchiasse il cuore.
Non lasciava altro che cemento bagnato e grigie atmosfere.

A Roxas era sempre piaciuta la pioggia.

 

 

[3051 parole]

 

 

Spiegazioni:

     1.  Il simbolo a cui si riferisce Eraqus è il quello usato dall'Organizzazione XIII.

2.       Jedi (utilizzano la Forza per il bene) e Sith (appartengono al Lato Oscuro ) sono due “razze” – passatemi il termine - dell’universo di Star Wars.

 

 

Salve a tutti!

Come prima cosa, penso sia quantomeno doveroso da parte mia chiedervi umilmente perdono per il mio… Ehm… “Piccolo” ritardo nel pubblicare. Mi scuso davvero con tutto il cuore, ma ho avuto una serie di problemi e questo è il risultato. Comunque, d’ora in poi sarò molto più regolare!
Bene, una volta chiarito questo direi di passare al capitolo.
Sono comparsi i primi personaggi – ma non sono ancora finiti, tranquilli muhahaha – ed alcuni meccanismi della storia si sono iniziati a delineare – fidatevi, niente è lasciato al caso.
Abbiamo i misteriosi e  potenti Crownless, la polizia che indaga su di loro e che progetta piani pericolosi per cercare di dare una svolta al caso, la cotica interiorità di Roxas. Ma, soprattutto, e badate bene a non dimenticarvi certi pezzi, si inizia a conoscere qualcosa sul passato della Regione, il quale giocherà un ruolo fondamentale nel corso degli eventi!
Chi sono davvero i Crownless? In cosa consiste il progetto X di cui parlavano Eraqus e Yen Sid?
Io già lo so, se volete scoprirlo anche voi, continuate a leggere!
Inoltre, mi farebbe davvero piacere sentire le vostre opinioni. Sapere se c’è qualcosa che non vi è piaciuto, conoscere la vostra impressione generale fino ad ora, i vostri dubbi: tutto, insomma!

Vi aspetto al prossimo capitolo,

Dynamis.

Ps: mi scuso per eventuali errori, se ne trovate alcuni segnalatemeli e provvederò subito a correggerli ;) .  

   
 
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