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Autore: Shadow writer    22/11/2016    3 recensioni
Dopo l'ultimo caso, che ha messo in discussione la sua carriera e la sua vita, il detective Harrison Graham credeva di aver finalmente trovato la pace insieme alla figlia, Emilia, e alla donna che ama, Tess. Ma un nuovo ed imprevisto caso lo trascina in un'indagine apparentemente inverosimile, in cui nulla è ciò che appare e nessuno appare per ciò che è. La ricerca lo costringe a collaborare con il suo acerrimo nemico, Gibson, ma soprattutto porta alla luce il fantasma del passato di una persona a lui molto, molto vicina, e a realizzare che forse, il detective non l'ha mai conosciuta veramente...
[AVVISO: "Smoke and Mirrors" è il seguito di "Blink of an eye", che potete trovare sul mio profilo]
Genere: Mistero, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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1_ Il primo omicidio
 
 






L'uomo aveva gli occhi sbarrati.
Erano di un azzurro delicato, vitrei come se fossero stati finti e fissi davanti a sé. Il resto del volto era paralizzato in una smorfia di terrore marmorea, le labbra dischiuse e le sopracciglia sollevate e avvicinate.
Pareva la statua di un sadico artista, che voleva generare una sensazione di disagio in chiunque avesse osservato la sua opera.
Ma quello era un uomo di carne, o almeno lo era stato, prima di diventare un freddo cadavere.
Il detective Graham era chino sul suo volto e lo stava scrutando con la fronte corrugata.
«Se si avvicina ancora, può baciarlo» commentò uno degli uomini della scientifica e il detective si sollevò rivolgendogli un sorrisetto glaciale.
«Quando avrò bisogno di chiedere come fare il mio lavoro, te lo farò sapere» replicò e l'altro riprese a lavorare, alzando gli occhi al cielo.
Il detective si guardò attorno, scrutando un'altra volta la stanza in cui si trovava. Si trattava di un salotto ben arredato, anche se vecchio stile, con le vetrinette che mettevano in mostra i servizi di piatti e bicchieri.
Il cadavere era riverso sul tavolino da caffè, con la gola tagliata e una pozza di sangue che si allargava sul tappeto sottostante. Intorno a lui la scientifica si stava dando da fare per trovare un qualsiasi segno che potesse aiutarli.
Il suono deciso di tacchi che battevano sul parquet della stanza attirò l'attenzione dei presenti. Dalla porta era entrata una donna di mezz'età in tailleur nero, con i capelli scuri che le circondavano il volto serio e deciso.
«Graham» esordì lei rivolgendo un cenno di saluto al detective «Devo ancora abituarmi a vederti lavorare a tempo pieno nella Omicidi. Aggiornami su quello che hai scoperto»
«Tenente Carter» replicò lui rispondendo al saluto «Sono arrivato anche io da poco. Per ora so solo che quest'uomo, Benjamin Collins, è morto dissanguato dopo che qualcuno gli ha tagliato la giugulare. Considerando i suoi abiti eleganti, o stava per uscire o stava rientrando, infatti l'allarme era disattivato. Dobbiamo aspettare l'esito dell'autopsia per sapere con maggiore precisione l'ora del decesso, ma si suppone sia avvenuto ieri sera. L'unico segno di combattimento è quella poltrona fuori posto» il detective indicò il mobile «Probabilmente Collins l'ha spinta per difendersi, ma la lotta non è durata molto. Suppongo fossero almeno due. Non hanno lasciato impronte, non evidenti almeno, e non hanno toccato la cassaforte»
Carter si guardò attorno: «Non è stato rubato nulla?»
Lui scrollò le spalle: «Aspettiamo i famigliari per sapere cosa manca»
L'uomo le indicò una fotografia appesa alla parete. Raffigurava Benjamin Collins accanto ad una donna e due ragazze più giovani: «La moglie e le figlie. Secondo i vicini erano fuori città ieri sera»
«Chi ha trovato il cadavere?»
«Un amico. Avevano un appuntamento per questa sera, ma Collins non si era fatto vivo. Non era da lui»
Il tenente fece un cenno di assenso con il capo: «Va bene. Lascio il caso nelle tue mani, so di potermi fidare»
Il detective accennò un sorrisetto sghembo.
«Ma togliti dalla faccia quell'espressione da spaccone, Graham, sono stufa di sentir lamentele per il tuo atteggiamento»
«Come il capo comanda» replicò lui e seguì con lo sguardo la donna che usciva dalla stanza.
Una volta rimasto solo -esclusa ovviamente la decina di altri uomini che lavoravano intorno a lui- lanciò un'occhiata all'orologio sulla parete del salotto.
Segnava le 20.12.
L'uomo prese velocemente il cellulare per assicurarsi che fosse corretto e imprecò quando realizzò che aveva perso la cognizione del tempo.
«Io devo andare» disse rivolgendosi ad uno degli altri agenti «Ma contattatemi per ogni novità» 
«Certo, detective»
Detto ciò, l'uomo si avviò a grandi passi verso l'uscita lanciando ultime occhiate alla stanza. Non c'era nulla di fuori dal comune in quel salotto e l'unico modo per aver altri indizi era aspettare che la scientifica facesse il proprio lavoro.
Il detective uscì nella strada già buia e raggiunse la propria auto, una Oldsmobile 88 rosso scuro.
Salì a bordo e guidò in fretta verso la propria meta, a più di mezz'ora di distanza. 
Fissò la strada con aria concentrata per tutto il viaggio, senza pensare ad altro che tornare a casa.
Cominciò a rallentare solo quando svoltò nella propria via e parcheggiò con cautela nel garage.
«Sono tornato!» annunciò entrando in casa.
«Papi!» trillò una vocina e una piccola figura comparve all'improvviso. L'uomo l'afferrò al volo e se la caricò in braccio.
«Ecco la mia piccola! Come stai, Emi?»
«Bene, papi, e tu?»
Prima che lui potesse replicare, nella stanza comparve una giovane donna dai corti capelli castani e l'espressione minacciosa negli occhi grigi.
«Sei in ritardo, Harrison» fece puntando con l'indice il detective.
Lui sbuffò: «Scusa, la prossima volta chiederò di anticipare l'omicidio»
Prima che Emi si mettesse a chiedere qualcosa sul suo lavoro e lui fosse costretto ad inventarsi di tutto al posto del cadavere dalla gola tagliata, Harrison rimise al bambina a terra e le sussurrò: «Perché non vai a metterti il pigiama, così poi vengo a leggerti una storia?»
Lei annuì, entusiasta, e corse via per fare come le era stato detto.
Una volta rimasti soli, Harrison si raddrizzò per fronteggiare la donna: «Avete già mangiato?»
«Sì, detective, secoli fa. È avanzato qualcosa per te, ma probabilmente è già freddo»
Lui scrollò le spalle: «Va bene comunque»
Si diresse in cucina, seguito dalla donna che continuò a parlare: «Emilia non la smetteva di chiedere quando saresti arrivato. Voleva raccontarti qualcosa che è successo all'asilo, ma tu non c'eri, così l'ha raccontato a me»
Harrison sbuffò mentre lanciava un'occhiata alla minestra avanzata nella pentola.
«Be', grazie, Nell» fece guardando di sottecchi la donna.
Lei alzò gli occhi al cielo: «Non lo faccio per te, lo faccio per Tess»
«Oppure per la mancia che ti diamo come babysitter?» commentò lui ironico mentre si versava la minestra in un piatto.
«Quei soldi bastano solo per comprare il regalo di compleanno di Tess, quindi consideralo come un investimento» continuò Nell sedendosi di fronte a lui.
Harrison si mise a mangiare la minestra, fredda, in silenzio, percependo lo sguardo di Nell su di sé. 
Non credeva che la sorella di Tess lo disprezzasse, ma era convinto che cercasse si dimostrare che se avesse fatto soffrire Tess, avrebbe dovuto vedersela con lei. Non si poteva certo dire che l'uomo le avesse fornito motivi validi per fidarsi di lui.
Tess si era trasferita in casa sua senza dire nulla ai famigliari, neanche alla sorella con cui condivideva tutto, almeno non inizialmente. E Nell era venuta a sapere la verità quando lui aveva deciso di scolarsi metà delle bottiglie del Rockin' Jokers, il pub vicino alla centrale, ed era toppo ubriaco per anche solo riuscire a capire dove si trovava.
Forse lo stava solo mettendo alla prova, ma lui odiava dover dimostrare qualcosa a qualcuno.
«È ancora buona la minestra?» domandò Nell interrompendo le sue rimuginazioni.
"Buona" non era esattamente l'aggettivo che il detective avrebbe utilizzato, considerando quando fosse fredda, ma rispose con un vago cenno di assenso del capo.
«Tess dice che sei un bravo cuoco, ma come puoi cucinare se torni sempre tardi?» continuò la donna. Harrison aveva notato che aveva la stessa lingua tagliente della sorella, ma molta più sfacciataggine ad utilizzarla rispetto a Tess.
«Sono solo stato molto impegnato con il lavoro ultimamente» replicò lui guardando la giovane con a fronte corrugata: «Hai intenzione di passare qui la notte o torni a casa?»
Lei mosse maliziosamente le sopracciglia: «Che proposta allettante! Ma credo che tornerò a casa, domani devo andare a lezione presto»
Harrison non aveva mai indagato a lungo, ma sapeva che Nell dormiva durante la settimana nell'appartamento vicino all'università e nei weekend in casa dei genitori. Questo non le impediva di trascorrere qualche notte fuori casa, come aveva fatto alcuni giorni prima, quando Harrison era tornato tardi dal lavoro e lei si era fermata a dormire nel divano-letto in camera di Emilia.
Da quando Tess era partita per la gita sulla neve con i suoi studenti, l'uomo aveva avuto bisogno di qualcuno che si occupasse della figlia mentre era al lavoro e così la scelta era ricaduta su Nell. 
«Bene, io vado» annunciò la giovane in quel momento «Buona notte, detective, salutami Emilia e anche Tess, quando la chiamerai su Skype»
«Perché non la chiami con il cellulare?» domandò lui perplesso e lei sgranò gli occhi, sorpresa dalla domanda: «Stai scherzando? Le chiamate costano! Buona notte»
Detto ciò, Nell uscì dalla stanza e poco dopo si sentì la porta d'ingresso aprirsi e richiudersi alle sue spalle.
Una volta rimasto solo, Harrison finì di mangiare, poi sparecchiò e lavò a mano le stoviglie.
La casa era immersa nel silenzio e gli ricordò il tempo in cui lui viveva solo con Emi. Loro due erano gli unici abitanti della casa e avevano bisogno di poche parole per capirsi. Tutto stava negli sguardi e nei gesti silenziosi.
Da quando Tess viveva nella casa, le stanze si erano riempiti di sussurri, risatine, passi, canzoni canticchiate. Tess era una cura per il buon umore di tutti e loro erano la cura per lei. La donna non amava contare sugli altri, ma aveva fatto un'eccezione per loro. Se lui ed Emilia vivevano in simbiosi perfetta, Tess sapeva scombinare quell'equilibrio e farne qualcosa di più eccitante ed entusiasmante.
Harrison finì di riordinare la cucina e salì al piano superiore, nella stanza di Emilia. La bambina era già seduta sul letto, con le gambe sotto le coperte e i capelli biondi che le circondavano il volto come un'aureola dorata.
«Mi leggi una storia, papi?» domandò, guardando l'uomo.
Lui annuì e si avvicinò al letto, prese un libro dallo scaffale accanto e si sedette sul materasso.
«Questo va bene?» chiese mostrando ad Emi la copertina. La bimba annuì e si sdraiò bene nel letto. Harrison le rimboccò le coperte, poi si schiarì la voce: «"Ogni pomeriggio, appena uscivano dalla scuola, i bambini avevano l'abitudine di andare a giocare nel giardino del Gigante. Era un grazioso e vasto giardino, con erba soffice e verde...»
Mano a mano che l'uomo leggeva la storia, Emilia passava dall'essere attenta al racconto, a lasciarsi cullare dalle parole, fino a che le sue palpebre lentamente si abbassavano sugli occhi e prima ancora che il Gigante capisse di essere egoista, la bambina era già nel mondo dei sogni. 
Harrison chiuse il libro e lo ripose, poi si soffermò a guardare quella piccola creatura addormentata. 
Emi era sempre stata una bambina seria, ma mentre dormiva il suo volto era rilassato, le sue labbra distese in un sorriso sereno. La guardò per qualche istante, con affetto e tenerezza, pensando che era la cosa più bella che avesse mai visto e che in nessun modo avrebbe permesso che qualcosa o qualcuno la rendesse diversa da ciò che era.
«Tu sei la mia bambina» le sussurrò «E io ti amerò per sempre»
 
 
Un quarto d'ora più tardi, Harrison si trovava sul divano del salotto, con il portatile accesso sulle gambe.
Guardava lo schermo, in attesa, fino a che lo sfondo azzurro venne sostituito dall'immagine in diretta di un'altra webcam. Sullo schermo c'era una giovane donna sorridente, con i capelli castani raccolti in una coda scomposta e gli occhi grigi che guardavano lo schermo dall'altro capo.
«Buona sera, Tessie Bear» salutò lui senza riuscire a trattenere un leggero sorriso.
Il filmato era in bassa qualità a causa della connessione e la donna si muoveva a scatti.
La sua bocca cominciò a parlare, ma l'audio arrivò in ritardo: «Buona sera, detective»
«Sembra che qualcuno abbia preso il sole» commentò lui accennando al volto arrossato della donna.
«Diciamo che più che altro il sole ha preso me» replicò lei «Mi sono scottata tutta la faccia!»
«Ti avevo detto di portare la crema solare, ma tu hai continuato a ripetere che in montagna non ti sarebbe servita»
Nonostante i fotogrammi poco fluidi, Harrison riuscì ad intuire che la donna aveva alzato gli occhi al cielo.
«Sì, mamma» commentò lei infatti «La prossima volta farò come dici tu»
Chiacchierarono per una decina di minuti, raccontandosi a vicenda come avevano trascorso il tempo dall'ultima volta che si erano parlati. Tess era partita cinque giorni prima e ad Harrison sembrava mancasse da un'eternità.
Da quando si conoscevano, non erano mai stati lontani più di due giorni e se lei non sarebbe tornata di lì a poco, l'uomo era certo che avrebbe cominciato ad affliggersi seriamente per la mancanza.
«Ora ti devo salutare, detective» disse la donna «Domani mi aspetta un'altra giornata passata a correre dietro ai ragazzini per assicurarmi che tornino a casa sani e salvi. Fai il bravo»
«Stavo per dirti la stessa cosa» scherzò lui.
Tess sorrise e si avvicinò alla telecamera con le labbra, mandando un bacio virtuale.
«Ti amo, Tessie, e non vedo l'ora che tu torni a casa»
«Anche io, Harrison. Tu ed Emi mi mancate un sacco. Buona notte»
Lui sorrise, lasciandosi avvolgere dalle parole dolci della donna.
«Buona notte» disse a sua volta.
 
 
«Buon giorno!» salutò la mattina successiva Harrison entrando in centrale. Il saluto era rivolto principalmente a Sadie, che se ne stava al di là della propria scrivania, nella sala affollata.
Da quando la donna aveva partecipato come assistente al caso Davis, quattro mesi prima, aveva continuato a chiedere di poter avere mansioni che andassero oltre il suo semplice ruolo di segretaria. 
Harrison l'aveva sempre trovata troppo in gamba per occuparsi solamente di gestire le telefonate o le persone che arrivavano alla centrale in cerca di aiuto, ma dato che Sadie non aveva le qualifiche per lavorare come detective, si occupava generalmente di semplificare il lavoro ai colleghi, aiutandoli a raccogliere informazioni utili per i casi.
«Buon giorno, oggi sembri di buon umore» replicò lei guardando sorpresa l'uomo «Cosa ti è successo?»
Lui scrollò le spalle: «Ho solo voglia di tornare al lavoro. Hai qualcosa per me?»
La donna annuì energicamente e si allungò per prendere dei documenti sulla sua scrivania: «Sì, riguardo la morte di Benjamin Collins.  È morto tra le 11.40 e mezzanotte circa, in modo piuttosto doloroso secondo i medici, perché era ancora cosciente, anche se agonizzante, mentre perdeva litri di sangue. La moglie crede che non abbiano rubato nulla, almeno non gli oggetti di grande valore, ma era troppo sconvolta dalla perdita per poter ragionare lucidamente. Ti aspetta tra meno di un'ora a casa sua per poterla interrogare»
«Grazie Sadie, sei un angelo» replicò lui e senza neanche togliersi la giacca di pelle, uscì dalla centrale per tornare alla propria auto.
Ripercorse la strada che portava a casa Collins e parcheggiò davanti all'ingresso dell'abitazione.
Trovò la porta socchiusa e notò un chiacchiericcio soffuso all'interno, così suonò il campanello e spinse la porta, che si spalancò davanti a lui.
Sulla soglia comparve una donna sulla cinquantina con un gomitolo di capelli in testa e un'espressione afflitta.
«La signora Collins?» domandò lui corrugando la fronte.
L'altra scosse il capo: «No, sono un'amica. Clara è di là»
L'uomo mostrò il distintivo: «Detective Graham, ho bisogno di parlare con la sua amica»
La donna lo condusse all'interno della casa, superarono il salotto dove la sera precedente c'era il cadavere del signor Collins e raggiunsero la cucina. Nella stanza c'erano quasi una decina di persone, che sembravano prodigarsi per non far mancare nulla alla donna che stava seduta al tavolo, affiancata da due ragazze simili a lei. 
Harrison si avvicinò a quest'ultima e dopo essersi presentato, esordì: «Volevo farle le mie condoglianze per la perdita di suo marito. So che questo non servirà a riportarlo indietro, ma posso assicurarle che faremo del nostro meglio per scoprire chi è stato, ha la mia parola»
La donna annuì, riconoscente, e lui dovette trattenersi dall'esultare per il successo. Si era allenato per sembrare la persona sensibile che Carter voleva e non poteva rovinare tutto con un sorriso di trionfo davanti alla vedova piangente.
«Ho bisogno di farle alcune domande di routine, è un problema?»
La signora Collins scosse il capo e si raddrizzò: «No. È quello che devo fare» 
Harrison lanciò un'occhiata agli altri presenti, poi tornò a guardare la donna: «Le dispiace se andiamo in un luogo più tranquillo?»
Lei fece ancora cenno di no e si alzò in piedi per condurlo in un'altra stanza.
Entrarono in un piccolo studio, la donna si appoggiò alla scrivania e indicò al detective la poltrona per accomodarsi, ma lui scosse il capo e rimase in piedi di fronte a lei.
«Prima di tutto» esordì l'uomo «vorrei sapere se qualcuno avrebbe avuto un motivo di uccidere suo marito»
Lei sgranò gli occhi: «Non si tratta di ladri?»
«Se non è stato rubato nulla, forse qualcuno aveva motivo di volere suo marito morto. Hai idea di chi possa essere stato? Ci pensi attentamente»
La donna fece come le era stata detto, abbassando gli occhi stracolmi di lacrime verso il parquet, con una smorfia di dolore sul volto.
«Io, n-non credo» replicò «Ben lavora...lavorava per un'agenzia di assicurazioni e, come lei sa, quando si parla di denaro, la maggior parte degli uomini pone l'interesse prima di tutto. Mio marito ha dovuto spesso gestire situazioni non piacevoli, ma si è sempre comportato onestamente. Forse qualcuno può aver percepito la sua correttezza come un torto, ma non riesco a capire come questo possa averli portati a volerlo uccidere» soffocò un singhiozzo deglutendo e guardò il detective «Chi può fare una cosa del genere, detective?»
Lui scosse il capo: «Ancora non lo so, ma ho intenzione di scoprirlo»
Fece poche altre domande alla vedova, poi la congedò, chiedendole di poter parlare con altri conoscenti della vittima.
Lei annuì, ma prima di uscire dallo studio, si fermò sulla porta e guardò il detective.
«Posso chiederle una cosa?» domandò.
«Certo»
«Ben...ha sofferto?»
Harrison le rivolse uno sguardo indecifrabile attraverso gli occhi verdi, poi rispose: «No, non ha sofferto»
Il detective parlò con amici, parenti e vicini per le ore successive. Scoprì che Benjamin Collins era un uomo dai valori saldi e che metteva prima di tutto i propri principi morali, non aveva mai fatto un favore se questo andava contro le regole e le uniche critiche che erano state mosse nei suoi confronti, erano causate da un rancore perché l'uomo aveva preferito la giustizia all'amicizia. 
Le figlie ne parlarono come un uomo severo, ma anche gentile e amorevole, dedito alla propria famiglia, l'unica cosa per cui avrebbe anche trasgredito alla legge.
Dopo aver parlato con tutti i presenti, il detective si recò sul luogo di lavoro del signor Collins e parlò con i colleghi. Tutti riportarono ciò che già sapeva, ma il suo responsabile gli promise che gli avrebbe fatto avere una lista delle persone con cui aveva lavorato l'uomo e che non erano state particolarmente riconoscenti nei suoi confronti.
Senza aver ricavato nulla di interessante, Harrison tornò in centrale.
«Buona sera, detective» lo salutò Sadie quando passò davanti alla sua scrivania, senza staccare però gli occhi dal suo computer.
«Buona sera» replicò lui fermandosi davanti al tavolo.
«Scoperto qualcosa di interessante?» domandò lei continuando a non guardarlo.
«Non ancora, neanche la scientifica ha trovato alcun indizio»
«Non essere scoraggiato» commentò la donna facendo scorrere la pagina che stava leggendo con il mouse.
Lui sbuffò: «Non lo sono»
Nessuno parlò per qualche istante, ma intorno a loro si udivano i rumori delle altre persone.
«Hai controllato la moglie?» domandò Sadie dal nulla «Magari Collins aveva un'alta assicurazione sulla vita, considerando dove lavorava, e la signora ha voluto incassare in anticipo»
Harrison ripensò a ciò che a donna gli aveva detto riguardo gli interessi economici delle persone, ma scosse il capo: «No, ha riferito di non trovarsi a casa quella sera e il suo alibi è stato confermato»
«Dove si trovava?» domandò Sadie «Alla mostra?»
Il detective corrugò la fronte, perplesso: «Quale mostra?»
Finalmente la donna staccò lo sguardo dallo schermo e lo spostò su di lui: «Stai scherzando?»
«Neanche un po'»
Lei sbuffò: «A volte mi chiedo se oltre il tuo lavoro e tua figlia, sai di vivere su questa terra. Sto parlando della mostra d'arte che si è tenuta alla Galleria giovedì sera, quando Collins è stato ucciso. L'evento è stato così pubblicizzato che pensavo che la moglie fosse stata a visitarlo»
Harrison scosse il capo: «No, si trovava fuori città con le figlie per assistere un famigliare malato. Collins era rimasto per degli impegni»
Sadie era tornata a guardare il suo schermo, ma commentò: «Sai cos'è successo a quella mostra?»
«Ne ho appena scoperta l'esistenza, ma sono piuttosto impegnato al momento per pensare all'arte» replicò lui e la donna sbuffò: «So che sei insensibile verso ciò che non ti riguarda, ma questo è interessante. Durante la mostra, quando la Galleria era piena di persone, c'è stato un breve black out, al termine del quale un quadro era scomparso»
Harrison sollevò le sopracciglia: «Un furto?»
Sadie annuì: «Un furto perfetto. Nessuna traccia, nessun allarme, nessun sospettato. L'unico modo per trovare indizi è perquisire ogni singolo luogo della città, sperando che il quadro non l'abbia già lasciata»
L'uomo fece un cenno di assenso: «È un caso interessante, spero sia stato affidato a qualcuno in gamba» lanciò un'occhiata all'orologio «Ora devo tornare a casa, buona serata»
«Anche a te» replicò lei, riprendendo il proprio lavoro.
 
 
Harrison sbadigliò e si sfregò gli occhi con una mano, irritati dalla luce del computer.
Dall'altra parte del divano, scorse Emilia sbadigliare a sua volta, ma continuare a guardare la televisione.
Sullo schermo si muovevano i personaggi dei cartoni animati e la bambina non si perdeva un movimento, nonostante la stanchezza.
Harrison ritornò a guardare il proprio computer, cercando di concentrarsi sul proprio lavoro. Era sabato sera, quindi erano passati tre giorni dalla morte di Benjamin Collins, ma ancora non aveva alcuna pista che valeva la pena seguire.
Aveva controllato i clienti più litigiosi con cui l'uomo aveva lavorato, ma i pochi che era riuscito ad incontrare non sembravano avere intenzione di fare seriamente del male all'uomo. La lista del detective era lunga, ma qualcosa gli diceva che in quel modo non avrebbe ricavato nulla, e lui si fidava del proprio intuito.
Eliminando quell'unica pista, però, non gli rimaneva altro.
Sbadigliò ancora, poi si decise a chiudere il computer.
«È ora di andare a letto, Emi» disse alla bambina e lei fece un vago cenno di assenso, troppo stanca per rispondere.
Harrison spense la televisione e prese in braccio la figlia mezza addormentata.
«Domani torna Tess?» mormorò lei biascicando le parole.
Lui sorrise: «Sì, domani»
 
 
 
 
 
Angolo autrice
Ciao a tutti, sono contenta di poter finalmente pubblicare il primo capitolo del seguito di "Blink of an eye". Per chi non avesse letto il primo racconto, vi informo potrebbe risultare più difficile seguire le vicende dei personaggi senza prima conoscerli :) 
Per chi invece avesse già letto il primo racconto, spero che questo primo capitolo vi abbia incuriositi, anche se solo nel seguente si comincerà ad entrare nel vivo della storia!
Alla prossima! :)
   
 
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