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Autore: Stria93    23/11/2016    1 recensioni
[Ventimila leghe sotto i mari]
(SPOILER per chi non ha letto il libro fino alla fine!)
Ed ecco che le tue dita si arrestano sulla tastiera, paralizzate da una consapevolezza tanto chiara e palese che quasi ti stupisci sia giunta così tardi.
Sono stanco.
Sì, capitano. Sei stanco.
Stanco degli orrori che gli uomini compiono contro i loro simili e contro la Natura, stanco di vagabondare da un capo all'altro del mondo alla spasmodica ricerca di qualcosa che sai non ti verrà mai restituito e che è perduto per sempre, stanco di essere solo, stanco addirittura dello splendore della vita sottomarina, dal quale non riesci più a farti incantare e rapire come una volta. Tutta quella bellezza ti pare anzi quasi insensibile e irrispettosa verso la tua sofferenza.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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captain

È ormai scesa la notte su quel tratto di oceano prossimo alle coste norvegesi, ma la luna non ha, per il momento, rivendicato il suo posto di regina del cielo e il suo argenteo chiarore ancora non rischiara la superficie oscillante di quelle acque profonde. Non sono che le 22, ma le tenebre avvolgono il Nautilus in un abbraccio protettivo. Le onde, fattesi nere nella tenebra notturna, s'infrangono dolcemente contro la sua corazza, come a volerlo stuzzicare maliziosamente, come a voler giocare con esso.
Nella pancia di metallo del tuo mostro marino regna una quiete assoluta, quella quiete che per anni è stata il tuo rifugio e il balsamo per le tue pene.
Ma, quando le tue dita prendono ad accarezzare leggiadre i tasti dell'organo, il silenzio cede il posto a quella melodia che, come sempre accade, ti afferra e ti scaraventa prepotentemente indietro, ai tempi in cui facevi ancora parte di quel mondo di uomini al quale hai voltato le spalle e contro cui hai giurato vendetta.
Quel mondo di uomini egoisti, avidi e crudeli che ti hanno privato di tutto ciò che avevi di più caro e prezioso al mondo.
Chiudi gli occhi ma le tue mani non smettono di scorrere sapientemente lungo lo strumento di fronte a te. Non te ne stupisci: ogni singola nota di quella struggente sinfonia è ormai incisa nella memoria di ogni cellula del tuo corpo.
Dietro le tue palpebre serrate prendono vita, come fantasmi, gli echi lontani di quelle presenze che ti tormentano e ti deliziano da tempo immemore, da quando hai scelto l'esilio agrodolce del mare e degli oceani.
La visione è sempre la stessa: c'è lei, splendida nel suo abito primaverile di candido cotone, i capelli color mogano intrecciati in una raffinata acconciatura che le mette in risalto il bel viso radioso, quasi serafico, e gli occhi ridenti; tiene in braccio una bimba di circa due anni, con i boccoli che le incorniciano il volto paffutello su cui troneggia un'espressione adorabilmente furba. Accanto alla donna, la manina stretta nella sua, sta in piedi, non senza un certo impaccio, un bambino di sei anni. Sposta il peso da una gamba all'altra, imbarazzato, come se l'idea di quell'oggetto pronto a catturare il suo riflesso e ad immortalarlo su un pezzo di carta, lo innervosisse, ma quando volge lo sguardo verso la madre, il suo sorriso dolce e rassicurante riesce prontamente a calmarlo.
Ecco cosa ti resta della tua vita passata, capitano. Una fotografia consunta e scolorita che di certo non può reggere il confronto con la fulgida nitidezza dei tuoi ricordi che, per quanto penosi, non puoi fare a meno di rievocare ogni volta che ne hai l'occasione.
Lei amava il mare. Forse è per questo che hai scelto proprio il mondo sotto le onde per lasciarti alle spalle la società civile che tanto ti disgustava, facendo di esso la tua nuova dimora e il tuo incontrastato e incontaminato dominio.
Le sarebbe piaciuto esplorare i fondali a bordo del Nautilus. Le avresti mostrato quelle meraviglie incorrotte su cui nessun occhio umano si era mai posato; avresti condiviso con lei la magnificenza delle tue scoperte e lo stupore per gli spettacoli sublimi che mari e oceani, così incredibilmente vivi e, a loro volta, pieni di vite ulteriori, erano in grado di offrire.
Ma, da anni ormai, la Solitudine è la tua unica compagna e amante. Una Solitudine pregna di rimpianti, odio e sete di vendetta per coloro che ti hanno portato via tutto.
I resti dell'ignobile nave che hai abbattuto giorni fa giacciono ora in un punto imprecisato sul fondo dell'Atlantico. Hai osservato il suo tracollo e l'agonia del suo equipaggio con fredda soddisfazione, come un angelo vendicatore che vede compiersi il suo disegno di giustizia, eppure ora non ti senti affatto un vincitore. Nel tuo cuore, scevro ormai perfino dal rancore, non avverti altro che vuoto, inoltre una grande stanchezza pesa sulle tue membra ancora giovani e vigorose ma che, in questo momento, ti paiono quelle di un vecchio che ha visto troppe cose e che la vita ha consumato e piegato, mettendolo duramente alla prova.
Ed ecco che le tue dita si arrestano sulla tastiera, paralizzate da una consapevolezza tanto chiara e palese che quasi ti stupisci sia giunta così tardi.
Sono stanco.
Sì, capitano. Sei stanco.
Stanco degli orrori che gli uomini compiono contro i loro simili e contro la Natura, stanco di vagabondare da un capo all'altro del mondo alla spasmodica ricerca di qualcosa che sai non ti verrà mai restituito e che è perduto per sempre, stanco di essere solo, stanco addirittura dello splendore della vita sottomarina, dal quale non riesci più a farti incantare e rapire come una volta. Tutta quella bellezza ti pare anzi quasi insensibile e irrispettosa verso la tua sofferenza.
Sei stanco, e sai che c'è un solo modo per mettere fine a questa affannosa situazione.
Lentamente ti alzi e ti allontani dall'organo. Muovi qualche passo nella penombra. Ti sembra di cogliere un movimento in un angolo. Potrebbe trattarsi del professor Aronnax o dei suoi compagni. Che stiano cercando di lasciare il Nautilus approfittando di quel momento di inattività?
Ma in fondo non ti importa granché di loro. Non più.
Che tentino pure la fuga e che tornino alla vita in superficie, a quella società civilizzata che incatena, fin dalla nascita, ogni essere vivente al suo giogo crudele, al quale tu hai saputo sottrarti, non prima però di esserne rimasto mortalmente ferito e di aver pagato un prezzo molto alto.
- Basta, mio dio. Basta! -
In un accesso di angoscia ti porti le mani alla testa e l'afferri come a volerti strappare dalla mente quelle dolorose reminiscenze. Cadi in ginocchio sotto il peso del dolore patito tutti quegli anni e sai che non riuscirai mai più a rialzarti.
È la fine e tu lo sai, lo vuoi.
A un tratto, il galleggiare pigro del Nautilus muta in qualcosa di diverso. Il battello acquista sempre più velocità senza che l'elica sia stata messa in azione. La corrente è autonoma e inarrestabile e quando odi le voci terrorizzate del tuo equipaggio lanciare quel grido disperato, capisci che la tua ora è giunta per davvero.
Maelstrom!
Il gorgo ha ormai imbrigliato la tua creatura di ferro e la sta trascinando sempre più a fondo in un irreversibile movimento a spirale che si fa sempre più frenetico.
I tuoi uomini ti chiamano, chiedono disperatamente istruzioni, cercano di contrastare la forza soverchiante del vortice, ma tu sei sordo alle loro richieste d'aiuto e le tue labbra non emettono un solo suono, né un ordine, né una rassicurazione, nemmeno una preghiera.
Eppure, paradossalmente, ti viene da sorridere e nel petto senti sbocciare un commosso quanto irrazionale sentimento di gratitudine per quel mare che ha svelato ai tuoi occhi i suoi segreti più reconditi, che ti ha dato sostentamento e ti ha generosamente offerto rifugio, protezione e isolamento, ma non solo, ora, con un ultimo, supremo atto di pietà, esaudisce anche il tuo estremo desiderio e ti dona finalmente la pace che troppo a lungo ti è stata negata.

  
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