Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Shige    24/11/2016    3 recensioni
Raccolta di One shot che partecipa all'Erwinweek
1 - Childhood - Primi Passi
2 - Happiness - Il saggio, il gigante e l'asino
3 - Canon Divergence - Sbagli
4 - King - Il Re senza corona
5 - Birthday - Ti regalo un sogno
6 - Death - Attraverso i suoi occhi
7 - Afterlife - Inferno
Conclusa
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Erwin Smith
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Birthday
 
Attenzione! Spoiler 84
 
 
Ti regalo un sogno
 
Aveva fatto irruzione nel suo ufficio come suo solito senza bussare, sfoggiando una maschera incazzata che indossava sempre già di prima mattina.
‹‹Buongiorno›› aveva esordito Erwin, annoiato davanti ad una pila di fogli, col gomito appoggiato alla scrivania e la testa che ciondolava in avanti. Se Levi avesse dovuto ringraziare per qualcosa sarebbe stato per la cortesia che gli aveva fatto Erwin di risparmiargli quella tortura. Sottomettere i mocciosi era sicuramente più appagante e meno noioso che scartabellare documenti per tutto il santo giorno.
‹‹Buongiorno un cazzo›› aveva ringhiato a denti stretti, lasciandosi cadere pesantemente sulla sedia con la speranza di catturare così la attenzione del Comandante.
Se quei dannati occhi si fossero degnati di sollevarsi e incrociare i suoi, anche solo per un istante, avrebbero visto la rabbia che covava in segreto da giorni, il desiderio di rompergli sul serio quelle gambe e, perché no, magari amputargli anche l’altro braccio. Se Erwin avesse alzato gli occhi, invece di guardare quei maledetti fogli e avesse guardato lui – una volta, una soltanto - si sarebbe reso conto della cazzata che stava per fare. Invece teneva lo sguardo basso, come se quella rabbia potesse leggerla su quei fogli, confusa tra le righe d’inchiostro.
‹‹I mocciosi sono impazienti›› aveva tagliato corto, assottigliando lo sguardo.
‹‹Di fare cosa?›› Erwin si era abbandonato lungo lo schienale massaggiandosi la radice del naso, accrescendo così il suo nervosismo già ben oltre il limite di sopportazione.
‹‹Di morire, immagino, visto che tra un paio di giorni partiremo per Shingashina. O te ne sei forse dimenticato?›› aveva esultato in silenzio perché ora aveva la sua più completa attenzione, ma il sorriso interiore si spense quando lo sguardo stanco di Erwin aveva incrociato il suo.
 
Dal cortile giungevano gli schiamazzi dei soldati appena scesi dalle brande che si apprestavano a completare gli ultimi preparativi prima della partenza. Poteva sentire le loro fastidiose risate, forse le ultime che avrebbero riscaldato le pareti della caserma, facendolo incazzare non più di quanto facesse Erwin semplicemente restando in silenzio.
Parlava molto, il Comandante, snocciolando paroloni da aristocratico che molto spesso faticava a comprendere; un’altra delle sue tecniche da psicotico, aveva capito col tempo, per camuffarsi e rovesciare sul mondo una valanga di stronzate per nascondersi ai suoi occhi.
‹‹Lo so...›› aveva risposto dopo un lungo sospiro, distogliendo lo sguardo liquido e troppo stanco anche solo di leggere quelle cazzate.
Ed eccolo lì.
Non il Comandante.
Non Erwin Smith.
Semplicemente Erwin. E basta.
Nei rari momenti in cui dismetteva l’uniforme e teneva la bocca chiusa, si lasciava andare a lunghi sospiri con cui sembrava liberarsi dei sensi di colpa e del peso di quelle scelte che gli avevano sporcato la coscienza; di quell’aria, infetta e nauseante, che bruciava i polmoni e lo faceva camminare a schiena dritta. Si gonfiava come un pallone, galleggiando tra quelle teste troppo ottuse e troppo stupide per capire, ammirare e amare un uomo come lui; che non conoscevano il prezzo di stare lì, in cima, a guardare oltre quelle nuvole di ignoranza in cui quelle teste gravitavano e oltre cui Erwin si ergeva a guardare per loro; e lo faceva sanguinando in silenzio, martoriato, umiliato, deriso da quegli idioti che non sarebbero mai stati in grado di vedere oltre il proprio naso e vedere lui. Soltanto lui.
Ora, invece, stava con le spalle ricurve, sorreggendosi la fronte con l’unica mano rimastagli.  
Eccolo, il vero Erwin: un uomo stanco e schifato da quell’aria malsana che era costretto a respirare e che tuttavia lo teneva in piedi. Stanco di un mondo e di un sogno che lo stava consumando, strappandogli via quel poco che di bello c’era ancora e che era riuscito a vedere persino lui, Levi, che in quella vita aveva solo conosciuto la rassegnazione di essere sempre il solo a tornare.
Guardandolo, Levi aveva capito che non sarebbe bastata una vita intera per conoscere Erwin Smith, figuriamoci cosa potevano significare sei anni a confronto.
Eppure, non riusciva ad allontanare il pensiero che per lui avevano significato e continuavano a significare ogni cosa.
‹‹Scommetto che non hai dormito per un cazzo›› lo aveva apostrofato.
Erwin si era riscosso mentre un sorriso amaro era comparso sul volto.
‹‹No. Non molto, direi››
‹‹Beh, dovresti… Sembri un cadavere.››
‹‹Molto gentile da parte tua preoccuparti per me››
‹‹Risparmiami le tue galanterie e fatti una cazzo di dormita›› aveva risposto sbrigativo allontanandosi dalla sedia. A passo svelto aveva aggirato la scrivania piantandosi davanti a lui.
Era stufo marcio di quella situazione. Stufo di ripetergli di fermarsi una buona volta e stare a guardare invece di buttarsi nella mischia.
Erwin aveva alzato lo sguardo, sfinito anche lui da quel ripetersi all’infinito della stessa questione. A Levi non andava giù e lui, semplicemente, non sapeva che farci.
‹‹Perché non riesci ad accettare che sei stanco, Erwin? Perché non puoi startene seduto su una cazzo di sedia e restarci tutto il giorno mentre noi andiamo a riprenderci il Wall Maria?››
Sempre le stesse domande.
‹‹Perché è giusto così, Levi. Te l’ho già spiegato.››
Sempre le stesse risposte.
C’era tanta stanchezza nel suo tono di voce ma gli occhi di Levi bruciavano, letteralmente, ogni sua difesa, ogni suo tentativo inutile di rimandare la questione.
‹‹Ah per quella stronzata del sogno! Ma certo! Vai a farti sbranare dal primo titano che passa solo per aprire una maledetta porta!››
‹‹E’ molto di più di una semplice porta. Lo sai anche tu››
‹‹E’ lo scantinato di uno Jaeger. A parte polvere e vino di pessima annata, non credo proprio che troveremo niente di importante››
Erwin aveva inarcato un sopracciglio per la sorpresa di vedere, per la prima volta, le sue idee sbeffeggiate in quel modo.
‹‹Pensavo ti fidassi di me›› aveva commentato con una punta di fastidio.
‹‹Certo che mi fido di te! Ma se non fidandomi è il solo modo che mi resta di tenerti rinchiuso qui, allora ben venga››
Erwin si era vagamente risentito di quella affermazione, ma non riusciva comunque a dargli torto. Poteva leggergli negli occhi quanto, in realtà, gli costasse tirare avanti con quella storia del sogno di suo padre e che forse avrebbe ucciso anche lui. Levi non l’avrebbe permesso. Aveva fatto e dato troppo: per quella causa, per quell’umanità ingrata e ottusa, per la Legione e per lui che non aveva mai pensato di meritare niente di tutto ciò che Erwin, in silenzio, gli aveva regalato.
 
“Vuoi un sogno da seguire, Erwin? Ti regalo il mio! Fingiamo che sia il tuo compleanno e prenditi il mio dannato sogno di vederti ancora vivo al mio rientro. Di saperti qui, a leggere i tuoi cazzo di rapporti, a stilare piani, a rovesciare governi. Questo è il mio sogno, il mio regalo, vedilo come cazzo di pare, ma prendilo, è tuo. Fanne ciò che vuoi! O forse non è abbastanza grande quanto il tuo di sogno? In fondo, il mio non è nient’altro che un sogno insignificante e stupido, ma almeno non consuma, non logora, non uccide il mio sogno. Non ti ho mai regalato niente, mentre tu mi hai donato tutto… perciò prendi il mio di sogno e abbraccialo, ed io abbraccerò il tuo, anche se l’ho già fatto e lo rifarei ancora…”
 
‹‹Che c’è Levi?››
Era bastato il suo sguardo a riportarlo in quello studio, cacciando quel discorso che suonava meglio dentro la sua testa che non sulle sue labbra.
‹‹Niente›› si era affrettato a rispondere per impedire ad Erwin di entrare nei suoi pensieri. ‹‹Notavo che tra un mese è il tuo compleanno››
Sprezzante, come sempre, era ritornato al suo posto accettando la sconfitta; dopotutto, era l’uomo più forte dell’umanità solo quando stava fuori da quelle mura.
‹‹Stai pensando ad un regalo?›› aveva sorriso, un sorriso nervoso, ma pur sempre un sorriso che gli aveva rilassato i muscoli del volto e delle spalle. Per un attimo, per un breve e fugace istante, Erwin si era sentito libero delle sue responsabilità. Glielo leggeva – eccome se glielo leggeva – in quegli occhi che non smettevano di sorridergli in un tacito ringraziamento per aver deposto per primo le armi.
‹‹Magari te l’ho già fatto››
‹‹Sarebbe la prima volta. Potrebbe venire a nevicare››
‹‹Non sarebbe poi tanto male, non credi?››
 
 
 
 
 
 
 
Davanti a lui stava una sedia vuota e quelle ultime parole pendevano sopra la sua testa come una condanna.
Era il 14 di un ottobre lontano, cupo e freddo. Fuori nevischiava piano; cosa insolita in quel mese dell’anno, ma di cose insolite ne erano accadute anche troppe in quegli ultimi anni, e aveva finito per non stupirsi più di nulla. Il mondo che avevano conosciuto non c’era più, come non c’era più il Comandante a gustarsi la vista di quel sogno divenuto realtà.
La loro realtà, non la sua.
Non si respirava aria di festa, nemmeno ora che avevano ottenuto quella meritata libertà, soltanto la stessa aria malsana e putrida che Erwin aveva ingoiato per anni e da cui lo aveva liberato pensando di fargli un favore. Eppure, tornava ancora l’immagine di lui, disteso al suo fianco, con la sua mano a reggere il destino e non più una siringa.
Ancora una volta a scegliere; ancora una volta a sbagliare; ancora una volta a ricominciare senza rimpianti.
Ma non era la stessa cosa ora che Erwin non era e non sarebbe più stato lì, in quello studio o altrove a guidarlo, a vegliarlo o stando semplicemente lì ad ascoltarlo in silenzio. E non perché a portarselo via era stato un Titano Bestia, una caduta da cavallo o lo squarcio nel fianco ma una scelta. Sua, per giunta: sconsiderata, azzardata, inspiegabile scelta di liberarlo da quel mondo infame che voleva tenerlo imbrigliato. Il mondo aveva bisogno di vedere i suoi ideali pesare sulle spalle di un uomo soltanto. Ed era tutto più facile quando qualcun altro si assumeva quella responsabilità di lottare e sporcarsi le mani.
Finché non aveva deciso che aveva visto abbastanza. Che di sangue ne era stato versato tanto e anche troppo mentre lui stava a guardare e che un uomo non poteva reggere tutto quel peso solo sulle proprie spalle; ed Erwin era il tipo di uomo che avrebbe retto il peso del mondo per non farlo pesare sugli altri. Era giunto il momento che il mondo imparasse a sporcarsi le mani da solo, come aveva fatto Erwin, come aveva fatto lui e come avevano fatto i mocciosi in nome di un’ideale, di un sogno – assurdo, fantastico e meraviglioso – e combattesse per se stesso, una volta tanto.
Rimpiangeva solo che Erwin non fosse più lì ad ammirare tutto quello che aveva creato spianando la strada.
Serrò il pugno guardando la sedia e quel vuoto desolante che la sua morte aveva lasciato e che non sapeva come riempire: un intervallo tra lui e il resto del mondo in cui Erwin si incastrava perfettamente.
 
 
 
Angolo dell’autrice
 
Non posso credere di aver completato questa raccolta. Sono seriamente combattuta all’idea di concluderla così, con questo pezzo che mi è costato parecchio scriverlo. Mi ci è voluto un po’, da quel fatidico mese di Agosto per metabolizzare quello che è successo e dargli una spiegazione. Alla fine mi sono arresa e ho cercato di vedere Erwin attraverso gli occhi di Levi, cercando di capire quello che ha fatto, mettermi nei suoi panni e muoverlo senza paura di sbagliare. Non è stato semplice, ma alla fine eccolo qui, anche se non è un regalo di compleanno allegro e purtroppo pieno di angst… Spero mi perdonerete se ricado sempre nel loop del lutto.
Vorrei ringraziare prima di tutto Auriga ed Ellery per leggere sempre con entusiasmo i miei racconti. Vi voglio un bene immenso e questa raccolta è tutta per voi (Anche se di Eruri qui non ce n’è manco l’ombra quindi non sforzatevi troppo a cercarla XD)
Infine, vorrei ringraziare Divergente Trasversale per le sue recensioni magnifiche e per quelle parole che ogni autrice che bazzica da queste parti, spera sempre di sentirsi dire una volta nella vita.
Ringrazio chi ha letto, chi si è fermato, chi ha continuato e chi ha apprezzato questa raccolta.
Mi piacerebbe proseguirla o fare una raccolta a parte perché mi è tanto caro il Comandante che non riesco proprio a dirgli addio.
 
Un abbraccio a tutti
 
Shige
 
  
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