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Autore: GabrielleWinchester    26/11/2016    1 recensioni
Conclusione della storia di Andrew, impazzito dopo la morte della sua fidanzata Esmeralda, avvenuta durante una rapina finita male, una ragazza a cui racconta come si comportano i nati di un dato mese...una storia ricca di pathos, la quale è lo specchio di un'anima in frantumi e che cerca di mettersi in contatto con l'unica cosa che lo rende sereno.
Mi auguro che vi piaccia!
Genere: Malinconico, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Mia cara Esmeralda...'
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Buon pomeriggio a tutti,
ecco a voi la conclusione della storia di Andrew, militare impazzito dopo la morte della sua fidanzata, alla quale racconta ogni giorno come si comportano le persone nate in un determinato periodo...una conclusione che lascerà un po' di amaro in bocca ma che io ritengo la giusta conclusione.
A dispetto di tutto, il passaggio dal presente all'imperfetto è voluto, in quanto Andrew è mentalmente instabile e alterna momenti di lucidità a momenti di pazzia, a momenti in cui non è più se stesso.
A parte questo, mi auguro che la storia vi possa incuriosire e che sia abbastanza scorrevole. Chiedo scusa se eventualmente avessi fallito in questo progetto!
Ogni personaggio è di fantasia e non fa riferimento a nessuna persona conosciuta nel mondo reale!
Ringrazio tutti coloro che la vorranno leggere e recensire!
Buona lettura :-)

I nati di Luglio, Dicembre e Marzo- L’epilogo finale
“Signor Andrew, ha visto? L’abbiamo portata fuori a prendere una boccata d’aria fresca. Non è contento? Almeno così vede qualcosa di diverso delle grigie mura d’ospedale”
Guardai distaccato l’infermiere che stava spingendo la sedia a rotelle e non risposi. In quel momento l’entusiasmo del mio custode non era in cima alle priorità, primo perché il tuo ricordo mi accompagnava costantemente e secondo per l’effetto dei tranquillanti mattutini, una procedura resasi necessaria dopo una violenta crisi isterica, avvenuta qualche giorno fa. Il mio sguardo vagò senza una meta precisa, da un lato all’altro del parco dell’ospedale dove mi trovavo, un luogo dove io e gli altri pazienti cercavamo di raggiungere la serenità, al di là dei cocktail di medicinali che ci propinavano.
Una serenità fisica e non chimica, non data dai principi attivi, in quanto un sorriso aveva più effetto di qualche goccia di Lexotan.
Una serenità che appagava l’anima al posto di un corpo sopravvalutato.
Poiché tutti in questo mondo consideravano il corpo al di sopra dell’anima, corpi eterei, tele perfette che non presentavano i segni del tempo, anime che racchiudevano tutti i dispiaceri, i rancori, le insicurezze, applicando una retroflessione, la quale ringiovaniva il corpo e invecchiava l’anima.
Pubblicità che esaltavano corpi perfetti e nascondevano l’anima, novelli Dorian Grey, eterni fuori e marci dentro.
In quel posto tutti potevano essere quello che volevano, prima di ritornare dentro l’ospedale e continuare il percorso che poteva portarli o alla guarigione completa oppure alla lenta discesa di una pazzia senza fine.
Mia cara Esmeralda non so se quello che dico ha senso oppure no, se non ce l’ha, beh ti prego di essere la mia Arianna all’interno del Labirinto.
Aiutami a sbrogliare la mia matassa, aiutami a raggiungere quella serenità che aspiro ad ottenere.
Una serenità naturale e non artificiosa.
Una serenità data dai piccoli gesti e non da opere grandiose.
Il motto dell’ospedale recitava “La tua serenità, prima di tutto” e, nonostante ci fossero stati casi di infermieri che mal sopportavano gli atteggiamenti stravaganti dei loro pazienti e si fossero resi colpevoli di maltrattamenti contro persone indifese, con il conseguente licenziamento e radiazione dall’albo professionale,  il luogo era stato insignito di uno dei premi più prestigiosi che si potessero dare.
Addirittura era arrivato il Ministro della Salute a congratularsi con il Direttore Generale e con il Primario del Reparto Psichiatria dell’ottimo lavoro svolto e del servizio che stavano facendo per il recupero dei pazienti, considerati da molti come persone da accudire e da prendere in cura.
Come si dice, mio caro bocciolo di fiore insanguinato?
In campo di fiori non ci sono solo margherite ma rose con le spine.
Di nuovo la mia attenzione si concentrò sui pazienti che si trovavano con me lì e a un certo punto successe qualcosa di inaspettato.
Sarebbe stato anormale se non fosse successo nulla.
Uno di loro si girò verso di me, mi salutò in maniera entusiasta e continuò a camminare zoppicando e facendo smorfie, un modo innocente per fare impazzire l’inserviente che lo aveva in custodia. A un certo punto, il paziente gli sfilò la cintura dei pantaloni, mettendo in mostra i boxer con i minions e facendo scoppiare a ridere gli altri che si trovavano nelle vicinanze.
Perfino io accennai a un piccolo sorrisetto.
L’inserviente si tenne i pantaloni con le mani, trattenendo a stento le risate, mentre il paziente faceva finta di sculacciarsi con la cintura e provocando fischi di ammirazione. Addirittura si potè sentire il coro “Olè, olà, faccela vedere, faccela toccare”
“Ridammi la cintura”
“E tu portami al bar”
“Tu prometti di fare il bravo e di non importunare le cameriere?”
Il paziente si mise sull’attenti, l’inserviente si rimise la cintura e divertito esclamò “Con te non ho il rischio di annoiarmi! Dai Simone, andiamo a prenderci un gelato”
Ogni giorno il parco dell’ospedale era contornato da scene del genere, da pazienti che cercavano di scappare da un torpore indotto, gente che scappava da una parte all’altra,  con gli inservienti che li inseguivano per evitare che potessero farsi del male, con l’unica eccezione di una ragazza riccia seduta a leggere, gli occhi concentrati sul libro, le lacrime che scendevano senza sosta e che scoppiava a ridere ogni qualvolta qualcuno le sfiorava le spalle.
Era una nuova, qualche volta mi offriva un cioccolatino e si sedeva accanto, in quei momenti di lucidità perduta, senza dire una parola, solo con la sua presenza.
Per linea di massima, beh conoscevo la sua storia, era stata innamorata di un ragazzo, al quale non aveva mai confessato il suo amore ed era impazzita alla notizia che era morto in un incidente stradale.
Secondo fonti non confermate, era stata lei a trovare il corpo del ragazzo ma non si aveva la sicurezza, in quanto ogni qualvolta che il medico insieme al counselor rinvangava quel particolare, cercando di indagare l’origine del suo malessere, la ragazza scagliava contro il muro qualsiasi oggetto nella stanza dove si trovava e si auto lesionava con i cocci.
Costringendo il personale sanitario a sedarla e a portarla nella sua stanza, prima che potesse succedere l’irreparabile.
Io lo sapevo, perché la stanza dei colloqui si trovava vicino alla mia e capitava spesso di sentire strascichi di conversazione.
E anche lei, come me, si sedeva e incominciava a raccontare la sua giornata a lui, un lui che aveva mille nomi diversi ogni giorno ma che in realtà si chiamava Marco.
L’inserviente che si occupava di lei, le mise una mano sulla spalla in maniera comprensiva “Federica, è ora di tornare in stanza”
“Antonio, un altro capitolo”
Lui si sedette accanto a lei, le chiuse il libro e le sorrise. Magari un’altra persona con scarsa pazienza l’avrebbe costretta ad alzarsi, l’avrebbe imbottita di tranquillanti e trascinata dentro, ma Antonio Baroni sapeva che non era la cosa migliore da fare con Federica. Aveva fatto passi da gigante negli ultimi tempi e fare il cattivo con lei, significava mandare all’aria tutti i risultati.
Con un altro po’ di pazienza, Federica poteva guarire e uscire da qui.
Me lo auguravo per lei, in quanto era una brava ragazza e non si meritava di finire la sua vita qua dentro, meritava un’altra occasione e forse lui poteva essere il suo arcobaleno in un cielo plumbeo.
Di Antonio non si sapeva nulla, tranne che si era presentato davanti alla soglia del reparto in una mattinata uggiosa, chiedendo un colloquio privato con il primario, affermando che voleva aiutare i pazienti ma non fornendo ulteriori spiegazioni a riguardo, specialmente sul perché avesse scelto proprio quell’ospedale.
In quanto secondo voci di corridoio, era stato chiamato per lavorare in un importante ospedale psichiatrico oltreoceano, in cui gli avevano promesso un posto da caposala e uno stipendio da capogiro e lui aveva rinunciato a tutto solo per venire da noi.
Il Primario lo aveva assunto, rassicurato dai suoi colleghi sul fatto che fosse un ottimo infermiere, gentile e paziente, che dovevano considerarsi fortunati ad averlo.
Dopo quello che era successo per colpa di alcuni paramedici, il dottor Giuliano Silvestri non assumeva nessuno a cuor leggero, tutti erano sottoposti a un rigido controllo, in quanto bisognava aiutare i pazienti al recupero e non a distruggerli emotivamente.
Di aspetto piacevole, era l’infermiere più amato dalle pazienti, le quali facevano carte false per farsi venire finti attacchi di panico al solo scopo di essere accudite da lui, ma lui aveva occhi per Federica, per “la ragazza lettrice strana” che aveva preso in custodia.
All’inizio Federica era stata diffidente nei suoi riguardi ma poi la dolcezza e la gentilezza di Antonio aveva fatto breccia in quell’anima troppo spesso martoriata.
“Hai letto abbastanza, hai bisogno di mangiare e soprattutto di riposare. Non si vive di sola cultura o di soli ricordi.”
“E lo lascio in sospeso? Marco si offenderà e io non voglio che lui si offenda. È così bello quando sorride”
E poi sorrise a un punto imprecisato del parco, come se si aspettasse che Marco la ricambiasse.
Antonio scosse la testa e con tono dolce gli sussurrò “Non sempre è bello rivelare tutto subito, anzi gli farà piacere. Ti assicuro che Marco non sarà offeso, anzi lo incuriosirai ancora di più.”
“Me lo assicuri?”
“Parola di Antonio, qui lo dico, qui lo nego, qui lo sottoscrivo”
Federica lo ringraziò con un sorriso e si fece accompagnare dentro.
Mi passarono accanto, Federica in preda a un riso incontrollabile, l’effetto dei medicinali che stava lentamente svanendo, rischiando di portarla o all’euforia estrema o all’autolesionismo, Antonio con lo sguardo attento e sicuro di sé, uno sguardo che tradiva una persona, la quale lentamente si stava innamorando della paziente che stava seguendo.
Mandando in frantumi la certezza che bisognava essere empatici ma non troppo, per evitare di depersonalizzarsi.
Federica lo abbracciò, lo baciò sulla bocca, sussurrandogli che lo amava e che avrebbe voluto un figlio da lui, poi svenne e fu portata in braccio.
L’infermiere scambiò un’occhiata significativa con il mio custode e sussurrò “Quando sono entrato qua dentro, avevo promesso a me stesso che non mi sarei mai affezionato a nessuno, che sarei stato integerrimo. Con lei, sto perdendo tutte le difese”
E poi se ne andarono, con Federica che sbiascicava “Ti amo Antonio”. Il mio custode si girò verso di me e vedendo che non avevo risposto alla sua domanda, mi punzecchiò “Ha per caso bisogno dell’aiutino da casa? O sta cantando la marcia nunziale per Antonio e Federica?”
Mi voltai verso di lui e sbadigliai “Sono molto contento”
Risposi a fatica, in quanto sapevo benissimo che non era la verità, che la serenità la raggiungerò solo quando ti potrò rivedere, mia bellissima Esmeralda.
So benissimo che io qui dentro ci morirò, che i dottori non potranno mai guarire il mio malessere, perché io non voglio combattere, voglio arrendermi, voglio chiudere gli occhi e perdermi nei tuoi, luminosi e pieni di vita.
“Certo” affermò l’infermiere con un sorriso stiracchiato, decidendo di abbandonare il lei per un amichevole tu, in modo tale da avvicinarsi a me “Andrew, quando smetterai di pensare a Esmeralda? Non fa bene pensare in continuazione al passato, finirai per logorarti dentro e io non voglio che tu finisci in questo modo!”
Annuii e mi resi conto che Rosario si era affezionato a me più di quanto la sua professionalità glielo avesse permesso. Era l’unico a cercare di tirarmi su di morale senza darmi medicinali, senza farmi perdere in un sonno indotto, un sonno per riparare i danni dell’anima.
Alcuni erano convinti che le crepe della mente si potessero riparare ingurgitando tranquillanti e psicofarmaci, lui invece riteneva che questo fosse possibile grazie all’empatia, all’ascolto, un approccio più umano e meno scientifico.
Una volta prese le mie difese, picchiando alcuni suoi colleghi che volevano farmi ingurgitare un intero flacone di tranquillanti, tanto la mia crisi isterica era molto forte, convinti che un medicinale avesse più effetto del dialogo. Quel giorno mi ero svegliato gridando, il sangue che gocciolava dalle mie mani, il ricordo della tua morte riaffiorato prepotentemente, lui che affermava che non era quello il modo di aiutarmi, che i pazienti non erano dei pupazzi di cui disporre a proprio piacimento.
E i suoi colleghi che lo schernivano, dicendo che stava diventando peggio di coloro che lui doveva curare e accudire.
Solo in pochi presero le sue difese, tra cui Antonio, il quale fu picchiato selvaggiamente, in una giornata dove ci furono molti licenziamenti e qualche cazziata di qua e di là.
Perché eravamo in un luogo di cura e non in un fight club.
Mia cara Esmeralda, qui non si corre il rischio di annoiarsi.
Ci sono le mele buone e le mele cattive.
“Oggi che intenzione hai?”
Mi fissò come se volesse decifrare il mio sguardo, leggere dietro le righe del mio silenzio ma non gli diedi questa soddisfazione. Se avesse capito quello che avevo intenzione di fare dopo la mia chiacchierata con te, beh me lo avrebbe impedito, avrebbe chiesto e ottenuto che la mia stanza fosse piantonata giorno e notte e il mio piano sarebbe fallito miseramente e magari non avrei più avuto occasione di ripeterlo.
E non potevo permettere una cosa del genere.
“Guardare il laghetto dell’ospedale con fare inespressivo finché fa sera e dopo rientrare”
“La tua vera intenzione?”
“Raccontare i nati di Luglio, di Dicembre e di Marzo”
Scoppiò a ridere fragorosamente e io lo guardai male, ferito dal fatto che non capiva il mio gesto e rendendomi conto che non lo faceva per sminuirmi ma per scuotermi, per farmi capire che c’era la vita al di la della tua morte.
“Pensi davvero che Esmeralda ti possa sentire? A costo di essere ripetitivo Andrew, Esmeralda è morta, è lassù da almeno quattro anni e tu devi avere il coraggio di proseguire oltre, di andare avanti. Sono sicuro che lei vorrebbe lo stesso per te. Distruggendoti in questo modo, beh non fai altro che logorare il suo ricordo e sono più che certo che il suo cuore sta piangendo vedendoti in questo stato”
Mi guardai le mani e non seppi come rispondere. In cuor mio ci speravo con tutto il cuore ma nella mia testa, in una piccola parte non ancora offuscata dai medicinali, sapevo che era tutta un’illusione, che tu non mi sentivi e io parlavo a un ricordo che si sarebbe sbiadito tra i tanti che affollavano la mente.
Ma non potevo rinunciare all’ultima occasione di parlare con te. Difatti, di nascosto avevo rubato una fiala di cloruro di potassio ed ero intenzionato a farla finita.  Avevo scelto il cloruro di potassio perché avrebbe provocato un arresto cardiaco a un cuore che aveva smesso tempo addietro di battere. Dovevo solo aspettare che Rosario si allontanasse e poi potevo portare a termine il mio compito.
Mi sentivo un verme nei suoi confronti, stavo tradendo la sua fiducia, lui che mi aveva accudito con tanto amore e io che lo ricambiavo in questo modo.
“Certo che sono sicuro”
Rosario scosse la testa dubbioso e poi gli dissi “Potresti andare a prendermi un bicchiere d’acqua?”
L’infermiere sbuffò e si allontanò, borbottando che era una pessima idea, come se sapesse dentro di sé che stava succedendo qualcosa di inevitabile ma non avesse la conferma assoluta. Appena si fu allontanato abbastanza, alzai la testa, fissai il sole e incominciai a parlare.
“I nati di Luglio sono persone romantiche e sensibili, sono fuoco sotto forma di acqua calma, ruggiscono e punzecchiano, all’apparenza sono egoisti, con manie di protagonismo, amano stare al centro dell’attenzione ma i sentimenti li custodiscono gelosamente. Sono capaci di animare una festa e di mettersi in imbarazzo per un bacio dato in pubblico. Sono la dolcezza nascosta dietro una corazza di orgoglio. I nati di Dicembre sono persone creative e avventurose, la testardaggine dietro la curiosità di cose nuove, tradizionalisti anarchici, fedeli fino alla fine ma con un pizzico di vivacità che non guasta mai. Sono soldati dalla corazza dura e l’anima infiammata. Dietro la facciata da persone intransigenti, si nasconde un animo da esploratori.
La terra che trema dietro un cuore che batte troppo forte.
E per farmi perdonare, ecco l’analisi tanto spesso rimandata, i nati di Marzo. Testardamente romantici, dal carattere fumantino e dall’animo sensibile, sono l’antico Gennaio, capi in grado di avere guanti di seta al di sotto di quelli di ferro.
Il fuoco che nasconde un animo nobile.
Capaci di vedere al di là della corazza che tutti noi indossiamo per comodità e anche per convenienza.
Mi scuso con te amore mio, per questa analisi frettolosa, per questa analisi non degna delle precedenti ma non ce la faccio più, non resisto un minuto senza di te. Per favore non rimproverarmi”
Preparai la siringa con la fiala di cloruro di potassio e me la iniettai in vena. Rimasi un attimo a fissare il vuoto, poi sentii un oppressione al petto, il medicinale che faceva effetto, il cuore che smetteva di battere.
“Andrew!”
Rosario corse verso di me, non appena mi vide cadere a terra, gridando aiuto ma sapendo che ormai non c’era nulla da fare.
E se anche fosse riuscito a salvarmi, avrei ritentato il suicidio, perché nulla e nessuno potevano distogliermi da rivederti.
“Ciao Andrew”
Ti ammiro in tutta la tua bellezza, una bellezza resa più intensa, i capelli che brillano sotto la luce delle stelle sopra di noi.
Molto spesso si apprezzano le cose quando ormai è troppo tardi.
Se ero innamorato sulla Terra, qui sono completamente perso in te. Ti abbraccio e ti bacio, un bacio a lungo agognato e finalmente realtà.
“Ciao amore mio”
Tu mi fissi, con lo sguardo felice e allo stesso tempo triste, di chi sapeva che ancora il mio tempo non era giunto al termine.
So di avere combinato una sciocchezza ma non mi importa!
Adesso i miei occhi possono fissare per l’eternità i tuoi.

 
  
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