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Autore: B Rabbit    28/11/2016    3 recensioni
Il più piccolo si protese verso di lui, accostò il volto al suo e, celando la bocca dietro la mano, quasi le parole potessero scappare via, parlò così: «Sai, ti ho scorto dalla strada, mentre ero al cellulare con mio padre».
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Allen Walker, Rabi/Lavi | Coppie: Rabi/Allen
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '1-10 First Fandom: D.Gray-Man '
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C’erano una volta loro...
E tutto ebbe origine da un impacciato atto di coraggio




Divenuta ormai un’azione ricorrente, inconscia come un piccolo ed innocuo vizio, il giovane uomo lasciò scorrere lo sguardo sul tavolo, fra le onde della bianca tovaglia, le quali accerchiavano i vari utensili del servizio ancora intoccati, fino ad incunearsi sul vecchio quadrante del proprio orologio, e in assoluto, amareggiato silenzio, egli fissò le sottili lancette nella loro eterna giravolta. L’indice del braccio destro, lo stesso che portava il regalo del nonno, cominciò a tamburellare sul legno, seguendo e rafforzando il debole ticchettio del meccanismo.
Si trovava lì, seduto con rigida compostezza in uno dei tavoli esterni di quel piccolo locale, a guardare con spento interesse le vetrine dei negozi, la folla che riempiva la strada coi suoi colori e chiacchiericci, senza riuscire ad intravedere lei – e l’occhio smeraldino scendeva un’altra volta ancora sull’orologio. Era lì da una generosa quantità di tempo, ed oramai Lavi cominciava ad avvertire il freddo dei primi giorni di novembre lambirgli fastidiosamente le mani, che le lunghe e spesse maniche del maglione scuro non riuscivano a proteggere.
Afferrò il cellulare abbandonato vicino ai fiori ornamentali e pigiò il tasto laterale: lo schermo si accese l’istante dopo, gettandogli nell’iride una proiezione luminosa, la quale si perse nel buio appena il ventitreenne serrò le palpebre. Nessun avviso o disdetta, neanche un banale messaggio. Espirò debolmente.
Avevano fissato quell’incontro dopo tanto tempo, un’opportunità per condividere insieme degli istanti, per spiegare le incomprensioni sorte negli ultimi mesi e per rilassarsi, abbandonando per un po’ impegni e difficoltà, ma l’occasione di riappacificarsi pareva astratta ed inconsistente.
Il ragazzo udì l’eco di alcuni passi. Volse il capo in quella direzione e scorse, vicino alla soglia del locale, la figura del cameriere, il quale, nel tardo pomeriggio, gli si era accostato un paio di volte per ascoltare il suo ordine, lo stesso che egli proseguiva a rimandare; Lavi non parlò come nelle precedenti occasioni, ruotò semplicemente la testa e tornò ad osservare la strada – colse dei brusii levarsi intorno a sé, e la gente iniziò a sussurrare, a mormorare fastidiosamente, a condividere giudizi od opinioni, oppure a guardarlo con irritante dispiacere –. Serrò il pugno, Lavi, e sfoggiò un’espressione distaccata, priva di qualsivoglia sfumatura emotiva, come un abile teatrante, celando il rammarico e la delusione che lo angustiavano.
E all’improvviso, la figura snella di un ragazzo apparve vicino al suo tavolo, preceduto da nessun strascico di rumore. Stupito, il rosso lo fissò, allacciando così i loro sguardi, ma nelle sue fattezze non riconobbe alcune persona a lui vicina, tantomeno riuscì ad accostare un nome al suo viso pallido – lo accomunò ad una stella di fulgido candore, Lavi, piovuto dal cielo per chissà quale motivo –.
«Perdonami!» esclamò inaspettatamente lo sconosciuto con grande, incomprensibile pena, fissando il ventitreenne con i suoi occhi perlacei. «Ricordi quando ieri ti dissi che avrei tardato leggermente?» proseguì, sconvolgendo sempre più l’altro, e adagiò il proprio zaino sul pavimento – lo fece con gentilezza, notò il fulvo, quasi temesse di infastidire la gente che li circondava con un piccolo tonfo –. «Ecco, volevo parlare con uno dei miei professori – il più anziano, ricordi? – su alcune questioni… per avere dei chiarimenti, sai, ma l’insegnante si è dilungato su un argomento e io non potevo certo andare via!» spiegò, svestendosi della morbida giacca scura, che lasciò sullo schienale della sedia. «Non credi?» domandò, il tono placido, sereno, accomodandosi infine dinanzi a Lavi, il quale borbottò qualche sillaba confusa in segno di approvazione, ancora sorpreso da tale avvenimento. Quest’ultimo osservò l’anonimo ragazzo che tentava di riscaldarsi, o di nascondere un leggero imbarazzo, affondando il viso nel risvolto morbido del maglione – e soltanto in quell’istante, Lavi scoprì finalmente il silenzio intorno a lui, il vuoto generato dall’assenza degli sguardi, quasi la voce cristallina e la presenza rasserenante di quel giovane avessero mitigato la curiosità delle persone fino a spegnerla completamente –.
«Tu…» parlò il rosso con voce flebile, incerta, ma l’altro lo zittì con un sorriso affabile, puntellando il braccio sul tavolo e posando il capo sulla mano aperta.
«Scusa» lo udì mormorare il guercio, e prima di poter dar suono ai suoi interrogativi, ritenuti più che giusti, fu interrotto delicatamente dal più piccolo, che alzò l’indice in cenno di attesa. Quindi, lo osservò cercare qualcosa nel suo zaino – un taccuino e una penna, realizzò appena li vide nelle sue mani – e cercò di capire cosa stesse scrivendo, ma il secondo lo aiutò, strappando la pagina e porgendogliela con un sorriso cordiale. Lavi afferrò un lato del foglietto giallo, lo sfilò dalle sue dita sottili, adagio, producendo un morbido e magico fruscio, però abbandonò il messaggio sul tavolo. Studiò un'altra volta il giovane di fronte a sé – i suoi occhi limpidi, gentili, alla ricerca di un qualche possibile inganno; i lineamenti che conservavano la delicatezza dell’adolescenza, nascosti dalle lunghe ciocche di un singolare, stupefacente color bianco che gli contornavano il viso, rendendo eterea ed unica la sua intera persona –.
«Leggi» proferì in un soffio lo sconosciuto. E Lavi obbedì, incantato da quella voce, fioca e vellutata, che colse soltanto lui: scoprì dunque il suo nome – Allen Walker – in una scrittura veloce dai tratti eleganti, seppur veloci e un poco rudi, composta da lettere sottili e slanciate; una richiesta seguitava subito dopo, in cui il giovane, Allen, lo pregava di non tradirlo durante la commedia, e di perdonare il suo atto d’improvvisazione.
Il più piccolo si protese verso di lui, accostò il volto al suo e, celando la bocca dietro la mano, quasi le parole potessero scappare via, parlò così: «Sai, ti ho scorto dalla strada, mentre ero al cellulare con mio padre. E per tutta la durata della telefonata – una decina di minuti, all’incirca –, tu eri rimasto immobile, relegato nel tuo cantuccio… aspetta, così sembra che io ti stessi spiando» e una risatina imbarazzata frullò dalle sue labbra, leggiadra, spingendo il ventitreenne ad allungarsi in avanti, riducendo la già lieve distanza che li separava.
«Parevi annoiato, ma alcune tue piccole azioni – il controllare frequentemente l’orologio, la ricerca di qualcosa che non arrivava mai, forse un messaggio – tradivano l’espressione fredda che avevi in volto». Si zittì subito dopo, quasi si fosse smarrito nel rimembrare, e Lavi si chiese se quel giovane dall’animo cortese stesse sorridendo, o se avesse socchiuso le palpebre. «Gli altri clienti ti stavano fissando, e il tuo sguardo, lontano da tutto e tutti, era gonfio di tristezza. Questo mi ha spinto ad entrare».
Il fulvo deglutì, colpito dalle parole dell’altro; stettero così, immobili per alcuni istanti, i corpi vicini e gli sguardi distanti, finché il più giovane non si ritrasse, accennando subito dopo un’innocua risata alla vista della sua espressione disorientata.
«Oh, vero» esclamò poi, schioccando le dita; si riavvicinò al ragazzo e chiese: «Come ti chiami?».
Con uno scatto veloce, il rosso raddrizzò la postura e, presa in prestito la penna, scrisse il proprio nome sopra quello dell’altro, in modo tale da permettere a quest’ultimo di leggere senza dover ruotare la pagina.
«Lavi!» trillò allegro, e il citato rispose con un “Sì?” divertito, incredulo ed inaspettatamente euforico della situazione.
«Potresti, ecco…» e abbassò nuovamente il tono. «Inviare un messaggio alla persona che stavi aspettando? Non voglio essere inopportuno, però… potresti chiederle di avvisarti del suo arrivo qualche minuto prima? Sai, per garantirmi un’uscita sicura da qui» e portò un ciuffetto diafano dietro l’orecchio con fare imbarazzato.
Lavi spostò lo sguardo sul cellulare; lo fece scivolare piano sulla tovaglia e lo sollevò. Accese lo schermo.
«Hai ragione» affermò, il tono pacato, inalterato dalla delusione che provava per il mancato avviso di lei. Ed una stravagante idea gli balzò nella mente, si impossessò delle sue dita, che veloci scrissero il messaggio.
«Fatto» dichiarò infine.
«Bene!» rispose lui, contento. «Sono certo che quella persona arriverà –».
«Ho annullato l’appuntamento».
Allen sbarrò gli occhi. «Cosa?!» urlò poi, dimentico del luogo in cui era.
«Ma sì!» e rise, scivolando leggermente sulla sedia e infilando il telefono nella tasca dei pantaloni. «Voglio passare del tempo con te, Allen» chiocciò, cantilenando il suo nome in modo puerile, spensierato, malgrado il dispiacere della sua assenza.
Il ragazzo si prese il capo fra le mani e mugolò vari interrogativi e scuse, sentendosi inevitabilmente colpevole – Lavi rise ancora, divertito dalla sua reazione, ma l’ilarità sfumò fino a svanire, ed un tenue, bonario sorriso gli arcuò dolcemente le labbra –.
«Su, su! Ordiniamo qualcosa» disse subito, notando la figura del cameriere vicino ad un tavolo poco distante.
L’altro acconsentì con un lamento sofferto, e ricevette un buffetto di consolazione sulla testa.
«Ed offro io» aggiunse il fulvo. Allen sollevò immediatamente il viso. «No».
«Sì, invece» cinguettò lui, ricambiando lo sguardo fintantoché il giovane, sbuffando, non cedette.
«E va bene» borbottò, incrociando le braccia. «Vuol dire che mangerò a casa. Non sarebbe educato svuotare il tuo portafogli».
«Esagerato».
«Fidati».
«Va bene, va bene» ed alzò le mani in segno di resa, considerandosi tuttavia vittorioso. «Cosa preferiresti bere?».
Il più piccolo soppesò la domanda. «Una classica cioccolata calda».
«Agli ordini» ed attirò con un piccolo gesto l’attenzione del cameriere, che parve felice della sua azione.
«Tu?» chiese il ragazzo.
«Caffè».
Allen aggrottò le sopracciglia candide. «Nel tardo pomeriggio?».
«Voglio soltanto utilizzare pienamente le mie abilità» spiegò. «Sai, per ricordarti meglio».

Dopo aver salutato di rimando il gestore, Lavi aprì la porta, svegliando i campanellini che subito intonarono uno squillante arrivederci, ed invitò il giovane ad uscire, il quale accettò la cortesia con un sorriso.
«Grazie ancora per la bevanda». Il ventitreenne agitò la mano. «Non dirlo nemmeno» e chiuse il battente dietro di sé. «Sei stato tu a salvarmi, e ti ringrazio nuovamente».
Un altro sorriso addolcì il viso di Allen. «Felice di averti aiutato» gli rispose – ed era la verità, non una pura forma di cordialità. A Lavi bastò quell’accidentale, piacevole incontro per capirlo –.
Il giovane domò alcune ciocche, rese dispettose dalla brezza giocosa. «Allora… buonasera» e indietreggiò di un passo con l’intento di andare via, ma si fermò appena notò l’espressione sorpresa del rosso. Dunque, chiese: «Ho dimenticato qualcosa?».
«No, no» lo tranquillizzò l’altro. «Stavo pensando… ti andrebbe di vederci seriamente? Nessuna finzione, commedia» gli chiese, utilizzando lo stesso termine che il secondo scrisse sul proprio quadernetto.
Un verso di stupore sfuggì al più piccolo, che subito si ricompose. «Beh… d’accordo».
Il guercio sorrise. Estrasse il telefono dalla tasca e glielo porse. «Digita il tuo numero e fai uno squillo, così da avere il mio in un attimo!».
Allen eseguì, contagiato dalla sua euforia. Restituì il cellulare e controllò il proprio. Sorrise.
«Allora… arrivederci» ed accompagnò il saluto con un gesto della mano. Il rosso annuì.
«Ci vediamo, angioletto!».
«Cosa?!».

















Povero Allen. Già già.

E sono tornata, babies!
… Forse non dovevo. Coff.

Questa è la terza storia della famosa e pazza challange fra me e la tesorin. Eeeee che dire… erano mesi che non scrivevo, Vello Bono.
La storia narra dell’incontro fra Lavi ed Allen che, no-no, non poteva essere di certo normale. L’idea mi è venuta in mente leggendo una discussione sulle figuracce o delusioni che possono avvenire durante un appuntamento eeee, beh, ho pensato a loro, però, tecnicamente, è Lavi il povero fidanzatino in questione e la storia accenna soltanto un po' alla sua dolce – ma anche no – metà.
… Questo perché la Laven è sacra e perché Allen non salterebbe mai un appuntamento, salvo cause molto, molto maggiori.
Basta, sto sclerando.
Spero che la shot vi sia piaciuta e vi ringrazio per aver letto :3


Alla prossima,
Cloud~

  
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