Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Ellery    30/11/2016    2 recensioni
Una raccolta su situazioni, più o meno imbarazzanti, che lo sfortunato protagonista si ritroverà a dover gestire. Fatti quotidiani, che capitano nella vita di chiunque, prima o poi... quindi, perché non in quella del soldato più forte dell'umanità? - Raccolta di One-shot indipendenti le une dalle altre.
Dal testo:
«Posso entrare nel carrello? Mi fanno male gli scarponcini» fece per sedersi su una scaletta, di quelle usate dai commessi, ma una mano callosa lo tirò bruscamente in piedi.
«No»
«Perché no?»
«Ci devo mettere la spesa nel carrello»

La raccolta comprenderà situazioni differenti (sia AU, che non, all'occorrenza)
[La One-shot n° 8 partecipa al concorso "Situazioni XY" indetto sul forum efp da Biancarcano e Harriet]
Genere: Comico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Levi, Ackerman
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La volta in cui Levi smarrì il cappello di Kenny


 
Kenny rientrò in casa sbattendo la porta. Sempre che di “casa” si potesse parlare: era più una stanza, alloggiata ai piani inferiori di una palazzina cadente. Erano gli unici inquilini, considerato che il tetto pericolante rischiava continuamente di crollare e che i muri ormai antiquati lasciavano permeare sin troppa umidità.

La vita nel sottosuolo era difficile anche per il più rinomato degli assassini: sopravvivere in una topaia del genere era impensabile, ma non aveva soldi per permettersi nulla di meglio; d'altronde, quando sei un libero professionista, ti devi un po' arrangiare con il lavoro ed i periodi di magra capitano spesso: ultimamente, ben pochi mandanti sceglievano i suoi servigi, preferendo ricorrere a ladruncoli di strada o killer improvvisati. Pur di risparmiare qualche soldo, sfidavano la sorte commissionando omicidi a principianti, che fallivano il più delle volte. Da quando, poi, la Polizia Militare aveva iniziato a pattugliare i bassifondi, il numero di richieste era drasticamente diminuito: probabilmente, in troppi temevano d'essere colti in flagrante ed arrestati.

Si aggiunga a tutto ciò che il signor Ackerman aveva un nipote da mantenere. Sua sorella era morta da alcuni anni e gli aveva lasciato, come unica eredità, un moccioso impertinente. Più di una volta, Kenny aveva pensato d'abbandonarlo sul ciglio della strada e scappare; alla fine, però, quel briciolo di coscienza che ancora possedeva, lo aveva fatto desistere: quella povera creatura era tutto ciò che Kuchel gli aveva donato. In effetti, Kenny avrebbe preferito di gran lunga ricevere un ritratto con dedica “Al migliore fratello del mondo”, piuttosto che un ragazzino urlante. Ormai, però, aveva quel mostriciattolo in casa e non poteva farci nulla; di buono c'era, ovviamente, che Levi si dava un gran da fare con le faccende domestiche: rifaceva i letti, spazzava i pavimenti, lavava i piatti. Il pane, nel suo piccolo, si sforzava di guadagnarlo.

Era, comunque, una bocca in più da sfamare. Inoltre, gli stava facendo perdere credibilità: Kenny lo Squartatore che gira con un bambino? Semplicemente ridicolo.

«Bentornato, zio»

La voce squillante di quell'infimo topo di fogna lo fece trasalire. Abbassò lo sguardo, incrociando gli occhi grigi del nipote. Quanti anni aveva, la sanguisuga? Boh, non era sicuro di ricordarlo. Forse dieci, forse dodici o quindici...anche se ne dimostrava meno, vista la bassa statura, le spalle ossute e la faccia scavata; i pantaloni corti gli arrivavano appena sotto il ginocchio, ma erano per metà coperti dall'orlo di una lunga camicia, le cui maniche erano rimboccate più volte sui gomiti.

«Hai lavato i piatti?» domandò bruscamente, slacciandosi l'impermeabile ed appendendolo alla gruccia vicina.

«Certamente»

«Spazzato per terra?»

«Sì»

«Fatto il bucato?»

«L'ho anche steso»

«D'accordo...»

Kenny si tolse il cappello, ignorando le manine. Sapeva benissimo che stava cercando di fare, quell'ingrato moccioso: da qualche tempo, Levi aveva iniziato a far strane domande sul suo cappello. Perché usciva sempre con il cappello? Perché non gli permetteva mai di toccarlo? Perché non voleva che lo lavasse insieme agli altri vestiti?

«Ti ho detto di tenere le tue manacce lontane dal mio cappello» ringhiò, avvicinandosi ad un basso comò. Sollevò una teca di vetro leggero, appoggiando il copricapo su un centrino di pizzo bianco, prima di richiudere quel cubo trasparente.
La teca era la sola cosa in grado di proteggerlo dalle dita sudice del bamboccetto.

«Perché non posso toccarlo?»

«Perché non ne sei degno» sbuffò, accomodandosi in una larga poltrona e calciando via gli stivali «Ti ho già raccontato che quel cappello era di mio padre, e di mio nonno prima di lui. È un reperto sacro alla famiglia Ackerman»

«Ma sono tuo nipote!»

«Questo non ti rende sufficientemente degno... per conquistarlo devi prima diventare un serial killer professionista. Devi uccidere, capisci? Molte, moltissime vittime. Il tuo nome deve suscitare paura nella gente, deve essere sussurrato con rispetto, deve correre tra i vicoli più bui e nelle locande malfamate. Solo quando sarai un vero assassino, potrai ambire al cappello. È una tradizione, tramandata di generazione in generazione»

«Ma non posso nemmeno provarlo?»

«No»

«Perché no?»

«Non sei adatto. Devi prima diventare un Ackerman decente»

«Non sono abbastanza Ackerman, per te?»

«Decisamente no. E adesso sparisci»

Nonostante quell'ordine, il ragazzino rimase agganciato al bracciolo della sua poltrona:
«Zio...»

«Che cazzo vuoi ancora?!»

«Come fai ad uccidere la gente con il cappello? Non rischi che ti voli via?»

«Non dire idiozie! Che razza di assassino sarei, se perdessi il cappello al primo alito di vento? Sai come puoi riconoscere un bravo serial killer da uno mediocre?» ricevette uno scuotere del capo «Dal cappello! Un bravo omicida non abbandona mai il suo copricapo. Nemmeno quando lavora. Nemmeno quando salta sui tetti, scivola dalle grondaie o si arrampica sui balconi. Neppure quando combatte. Il legame col cappello è talmente forte da tenerglielo incollato alla testa. Ti ho mai raccontato di quella volta in cui ho attraversato tutta la capitale balzando di carrozza in carrozza per sfuggire alla polizia?»

«Sì, almeno una dozzina di volte»

«Ecco! E dove pensavi fosse il mio cappello?» si indicò la testa «Proprio qui!»
 

***


Levi si rigirò nel sonno, tormentato dal pensiero del cappello, che non voleva saperne di uscirgli dalla mente: lo aveva rimirato per tutta la sera, osservandolo come fosse un tesoro prezioso. Presto o tardi, anche lui sarebbe diventato un vero Ackerman! Avrebbe stupito lo zio, lo avrebbe lasciato talmente sbalordito da costringerlo a cedergli il favoloso copricapo.

Si lasciò cullare dai sogni, con un leggero sorriso sulle labbra sottili. Vide Kenny prenderlo per mano e condurlo verso la bottega di un sarto. Erano così rari, nel sottosuolo, i bravi sarti... no, un momento! Quelli non erano i bassifondi, ma i larghi viali della capitale! Oh, si... sarebbero saliti in superficie e Kenny lo avrebbe accompagnato nel migliore atelier.

Lì, una giovane e graziosa commessa gli avrebbe posto un metro attorno alla fronte, misurando con precisione la sua circonferenza. E poi gli avrebbe messo un catalogo sulle ginocchia. Si immaginò intento a sfogliare le pagine leggere, coperte da disegni di splendidi cappelli. Ne avrebbe scelto uno con le piume!

Il sogno sfumò piano, assumendo i contorni inquietanti dell'incubo: Kenny lo stava trascinando via, senza comprargli nulla. La sarta li fissava con aria preoccupata, mentre lasciavano il luminoso negozio per entrare in una stanza buia e fredda. Venne spinto su uno sgabello da un uomo grasso e calvo.

«Come li facciamo, questa volta?» la voce impastata arrivò a ferirgli le orecchie.

«Il solito!» Kenny se ne stava andando, abbandonandolo.

«Zio! Zio!» si mise a strillare, ma la sua voce si confondeva con quella del parrucchiere alle sue spalle:

«Sono davvero troppo lunghi, Levi... dobbiamo tagliarli»

«No! Non voglio! Li nasconderò sotto al cappello, li...»

Sentì qualcosa calargli in testa. Sollevò le dita, sfiorando bordo rotondeggiante. Orrore! Riconobbe immediatamente la sensazione fredda della ceramica, punteggiata da frivoli motivi geometrici.

«No! La scodella no!» gridò, agitandosi sulla seggiola, mentre il sibilo delle forbici si faceva sempre più vicino.

«Quello è l'unico cappello che ti meriti» la voce di Kenny risuonò dal fondo della stanza buia, prima di essere interrotta dal click, click delle forbici.
 

Levi si svegliò di soprassalto, scattando a sedere e picchiando immediatamente la fronte nel tubo piegato ad U. Ah, come era difficile dormire sotto al lavandino! Chissà se Kenny gli avrebbe mai comprato un letto...
 

***
 

Kenny era uscito presto quella mattina per andare dal barbiere, ma non sarebbe tornato prima di cena. Levi sorrise, consapevole d'avere il giorno a propria disposizione. Sarebbe passato a trovare i suoi amici, dopo aver sbrigato le faccende domestiche.

Si armò di spolverino ed iniziò a cancellare le scarne tracce di polvere dai mobili. Passò accuratamente sulla poltrona, sul tavolo e sulle seggiole, rivolgendo poi l'attenzione al comò: il cappello era lì! Kenny lo aveva dimenticato? O aveva deciso di lasciarlo a casa per evitare di perderlo nello studio del parrucchiere?

Si avvicinò al mobile. Non doveva toccare il cappello, no... solo guardarlo.

Non vorrai farti sfuggire un'occasione simile, vero?” nella sua testa comparve un piccolo omino rosso “Prendilo, avanti. Kenny non lo saprà mai

Non dargli retta” una figura in tunica bianca raggiunse il collega “Lascialo stare

Oh, è arrivata la buona coscienza! Senti, ciccia... vedi di sloggiare, che al ragazzo ci penso io!

Lo porterai sulla cattiva strada

Scherzi? Siamo già sulla cattiva strada! Non vorrai che cresca come uno smidollato, vero?!

Essere onesti non significa essere dei vili

Seh, seh... Levi, ascoltami... vuoi diventare un vero Ackerman, no? E per farlo, ti servirà il cappello! Prendilo, avanti. Farlan e Isabel rimarranno abbagliati e anche tutti gli altri ragazzini. Prendi il cappello

Non farlo, Levi! Se lo farai, sarai condannato. Diventerai un criminale, un poco di buono...

Scosse il capo. Quelle voci lo confondevano, ma sicuramente l'omino rosso aveva ragione: se avesse preso il cappello, avrebbe finalmente dimostrato a tutti d'essere come lo zio. Un temibile Ackerman a cui portare rispetto, qualcuno di cui aver paura e...
Le dita scivolarono sulla teca e poi sulla morbida stoffa della tesa. Calcò il copricapo in testa. Era un po' largo, per lui, ma non aveva importanza! Per un giorno, sarebbe stato suo!

Abbandonò lo straccio, correndo immediatamente fuori. La visiera gli cadeva continuamente sugli occhi, ma cercò di non badarvi. Oltrepassò un incrocio, piegando velocemente verso destra.

«Farlan! Farlan!» pigolò, raggiungendo una casa color senape. Una donna sorrise, agitando un braccio.

«è andato alla roggia con gli altri ragazzi!»

«Grazie signora mamma di Farlan. Li raggiungerò»

Le sue gambette macinarono altri metri: svoltò un paio di volte, attraversando la via del mercato e intrufolandosi nei vicoli più stretti e bui. La strada più veloce, però, era quella: ancora un paio di crocevia e sarebbe arrivato.
 

La roggia era, in realtà, un lungo canale che fungeva da fogna a cielo aperto: i liquami del sottosuolo si riversavano lì, in quell'oscuro e maleodorante fiumiciattolo. Alcune condotte allontanavano poi l'acqua, incanalandola in cunicoli sotterranei. Il posto ideale, insomma, dove giocare o dove far sparire i cadaveri.

Raggiunse gli amici, già assiepati attorno alla riva. C'erano tutti! Farlan, la cui testa bionda spiccava tra i capelli scuri degli altri; Konrad, troppo intento ad esplorare le proprie narici per badare ad altro; Luke che, seduto su un rotolo di corda, fingeva di saper leggere un malmesso tomo, mentre Isabel stava pungolando un rospo con un lungo bastoncino, ridacchiando al gracidare infastidito della creatura.

«Buongiorno!» esordì, sforzandosi di controllare l'entusiasmo nella voce «Notate qualcosa di diverso?»

Un unico cenno d'assenso:
«Hai spuntato di nuovo i capelli?» chiese Konrad, pulendosi le dita nella camicia.

«No, cretino! Ha il solito taglio a scodella, non vedi?» Farlan scosse il capo.

«Uh, ci sono! Hai dormito più del previsto... infatti, noto meno borse sotto i tuoi occhi» Luke sogghignò, mentre Isabel sollevava timidamente una mano.

«Io so cos'hai di diverso. Hai il cappello»

Oh, finalmente qualcuno ci arrivava! Si impettì, sfoggiando un sorriso orgoglioso:
«Esattamente! Me lo ha dato mio zio. Ha detto che ora sono un Ackerman come lui e posso portare il cappello»

La reazione non fu esattamente quella che si aspettava: tutti scoppiarono a ridere, persino il rospo che la ragazzina stava torturando.
«Dì piuttosto che lo hai rubato...» a Farlan non si poteva nascondere proprio niente «Tuo zio darà di matto, quando se ne accorgerà. Dovresti riportarlo subito indietro»

«Kenny starà fuori fino a sera... e poi... è molto importante! È stato tramandato di padre in figlio, nella famiglia Ackerman. Perché, quindi, dovrei averlo rubato? Kenny potrebbe avermelo regalato e...»

«Scemenze. Tuo zio ti detesta. Non ti regalerebbe nemmeno un pelapatate, figurati il cappello di suo padre, suo nonno, suo bisbisnonno, suo bisbisbisbisnonno»

«Devi andare avanti ancora per molto?» sbuffò, incrociando le braccia al petto «Va bene, l'ho preso in prestito... e con questo?»
«Kenny te le suonerà col battipanni»

«Non se ne accorgerà nemmeno! Glielo riporterò sta se...»

Non riuscì a finire la frase, che due cose terribili accaddero contemporaneamente: un alito di vento – probabilmente l'unico che passava per caso nei sotterranei – gli strappò il copricapo dalla testa. Levi impallidì: il sacro cappello stava fluttuando nell'aria, diretto chissà dove. Sentì delle urla dietro di sé e si voltò appena in tempo per assistere alla tragedia: il rospo, stanco delle punzecchiature, aveva sputato la sua saliva irritante sulla faccia della ragazzina che, più per lo spavento che per il bruciore, si era sbilanciata all'indietro. Scorse Isabel mulinare le braccia e gridare qualcosa, prima di vederla sprofondare nelle acque scure e maleodoranti della roggia.

«Isabel!» chiamò, ma della ragazza non c'era nessuna traccia. La corrente la stava sicuramente trascinando via, verso gli scarichi sotterranei.

«Fai qualcosa!» Farlan lo stava scuotendo per un braccio.

«Giusto...» si voltò, cercando immediatamente il cappello. Dove era volato quello stupido affare? Doveva seguirlo! Doveva ritrovarlo prima che Kenny rientrasse, altrimenti sarebbero stati grossi guai.

«Che stai facendo?» l'amico lo aveva afferrato più saldamente, indicandogli l'acqua «devi salvare Isabel!»

«No! Devo recuperare il cappello. Kenny mi ammazza se non glielo riporto»

«E non pensi a Isabel?»

«Siamo qua in quattro, perché devo pensarci io?! Puoi salvarla tu, dannazione.»

«Perché sei il protagonista della storia e i protagonisti salvano sempre le ragazze in difficoltà. E poi... io sono già l'amico secchione. Non posso rivestire due ruoli»

«Io non so nuotare!»

«Nessuno sa nuotare»

«Potrebbe salvarla Konrad»

«No, io sono quello che si scaccola» Konrad aveva ripreso le operazioni di pulizia nel proprio naso.

«O Luke»

«No, io sono quello analfabeta che finge di saper leggere e che vuole vedere l'oceano. E che sta seduto su un rotolo di corda» il ragazzino tese una cima «Legala in vita, forza! Ti terremo noi»

Levi sbuffò, scuotendo il capo. Evidentemente non c'era altra soluzione; si passò la fune attorno ai fianchi, fermandola con uno stretto nodo. Fissò l’acqua marrone, con una smorfia disgustata: leggende sussurravano che quel colore fosse dato, niente meno, dall’enorme quantità di liquami che quotidianamente veniva scaricata nella roggia. Represse un conato di vomito:
«Devo proprio?» domandò, ricevendo in cambio una netta spinta. In una manciata di secondi si ritrovò nell’acqua fredda e puzzolente.

Colse il gelo penetrargli nella carne e nelle ossa, inzuppargli i vestiti ed arruffargli i corti capelli scuri. Qualcosa galleggiava a poca distanza: allungò una mano, cercando di afferrare le dita inerti che si muovevano spinte solo dalla corrente. Le tirò a sé, con sin troppa facilità, fissando il reperto appena recuperato: no, quel braccio non apparteneva sicuramente alla ragazzina. Chissà di chi era, però… mah. Alla spalla non era attaccato nessun corpo.

“Non penso mi servirà mai…” sussurrò, lasciando andare l’arto mozzato. Mosse le gambe, cercando di procedere nel flusso, ignorando il bruciore agli occhi e al naso. Isabel? Dove poteva essere? Continuò a guardarsi attorno, pregando che la corrente non l’avesse trascinata via. Sotto di sé scorse una figura affusolata guizzare veloce “Isa… ah, no. Un pesce” si disse, aggrottando la fronte “Un pesce peloso” la sagoma, tuttavia, era troppo tozza “Una pantegana! Blah”.
All’improvviso, la corda prese a riavvolgersi. I ragazzi lo stavano rapidamente tirando su. Emerse pochi attimi dopo, respirando a grandi boccate.

«Che cazzo state facendo?!» sbottò, indicando nuovamente la roggia, mentre Luke e Konrad lo tiravano oltre l’argine «Isabel è…»

«Sono qui» la ragazza si stava strizzando i capelli rossi con aria annoiata «Per fortuna so cavarmela. Se avessi aspettato i vostri soccorsi, a quest’ora sarei al mare»

«Io voglio andare al mare! Pensi che potrei arrivarci seguendo la roggia?»

«Forse!» Isabel si tolse gli scarponcini, facendo colare l’acqua dalle suole «Ho letto da qualche parte che tutti gli scarichi portano al mare»

«Va bene, ora basta!» Farlan si intromise, prima che il discorso degenerasse «Isabel, siamo felicissimi che tu stia bene. Luke, meglio se rinunci in partenza all’idea del mare. Perché nascete tutti con sta fissa, proprio non lo so! Vi ricordo che abbiamo un altro grossissimo problema: abbiamo perso il cappello di Kenny»

 
***


Le ricerche si erano rivelate infruttuose. Avevano passato l’intero pomeriggio alla ricerca di quel maledetto cappello, che sembrava essersi volatilizzato. Alle tre, a causa dell’intensa attività, il naso di Konrad aveva iniziato a colare sangue; Luke aveva riaccompagnato a casa l’amico. Alle quattro, Isabel aveva annunciato un eccessivo mal di piedi, mentre mezz’ora dopo Levi aveva iniziato a cercare metodiche rapide ed indolori per suicidarsi. Farlan aveva cercato di riportare tutti sulla retta via, ma senza successo. Alla fine, il biondino aveva concepito un’ottima idea: comprare un cappello nuovo, identico al precedente.
«Non se ne accorgerà mai» aveva rassicurato, consegnandolo a Levi «Rimettilo dove l’hai trovato, nell’esatta posizione, ed andrà tutto bene»

Levi, naturalmente, aveva seguito scrupolosamente il consiglio. Era rientrato poco prima di cena, infilandolo immediatamente sotto la teca. Si era poi messo a cucinare, con la stessa disinvoltura di sempre: aveva tagliato accuratamente le patate e le carote, mettendole a bollire in un grosso calderone, allungando gradualmente la zuppa col brodo. Il profumo della minestra aveva, ben presto, coperto quello dei suoi sensi di colpa.

«Sono a casa» una voce burbera lo riscosse, obbligandolo a correre, un’ultima volta, al comò: il cappello era in ordine, adagiato correttamente sul centrino ricamato «Cosa ci fai lì?» dannazione! Colto in flagrante! «Non starai pensando di toccarlo, vero?»

«Lo sto solo guardando, zio» si giustificò, scivolando velocemente di lato. Incrociò le dita dietro la schiena, pregando silenziosamente.

«Lo spero per te. Piantala di sudare, Levi!­»

Stava sudando? Non se n’era accorto. Mimò un piccolo colpo di tosse:
«Scusa, zio… è che … temo d’aver preso freddo e…»

«E sudi?»

«Sì, sai… per la febbre» balbettò, indietreggiando ancora, mentre il parente spostava la teca. Lo vide passare lentamente le dita sulla tesa nera, poi sul nastro di seta bianco e risalire lentamente sino all’apice del cappello. Deglutì a vuoto, quando la mano si soffermò sul bordo inferiore, mentre la voce dell’uomo tornava a farsi sentire:

«Questo non è il mio cappello. Il mio cappello ha una macchia di sangue proprio in questo punto. Una macchia, capisci? È il simbolo del mio primo omicidio. Lo ricordo ancora come fosse ieri…» la voce dell’uomo si stava pericolosamente incrinando «Dove è, Levi?»
 

***


L’idea di ucciderlo gli era passata spesso per la mente, ma non l’aveva mai attuata: Kuchel, ovunque fosse, non glielo avrebbe mai perdonato. Quel giorno, tuttavia, la voglia di assaggiare uno “stufato di nipote” – ricetta segreta della famiglia Ackerman – si era fatta davvero prepotente. Kenny aveva resistito alla tentazione, ancora una volta.

Si era accucciato sul muretto davanti alla palazzina, limitandosi ad accendere un sigaro sfilato dalle tasche di una delle sue recenti vittime. Nei sotterranei non era facile trovare quel genere di articoli, mentre nella capitale gli aristocratici sembravano consumarne ogni giorno.
Sbuffò nell’aria il fumo, osservandolo condensarsi in piccole nuvole, prima di fluttuare via. Quella sera, nel sottosuolo, vi era una insolita brezza: era raro che il vento giungesse fin nei bassifondi che vivevano, per lo più, all’ombra di improvvise e deboli correnti – più simili a spifferi, in realtà.

Sollevò lo sguardo, lasciando che l’aria gli arruffasse i capelli appena tagliati. Le iridi chiare intercettarono subito un movimento a destra: una sagoma scura si stava avvicinando, con un leggero e spensierato volteggiare. Lentamente, il cappello di Kenny si posò sulle sue ginocchia, come il muso di un cane fedele. L’uomo sorrise e se lo calcò silenziosamente in testa.

I cappelli degli Ackerman trovano sempre il modo di ritornare dal loro padrone.
 

 

Angolino: buonsalve! Torno con il secondo capitolo, che temo sarà il preludio di una nuova serie su Levi e il cappello di casa Ackerman. Questa cosa non era assolutamente in previsione ed è nata ieri sera, a seguito di una marea di stupidate sparate con Shige. Siamo partite da fullmetal alchemist per arrivare agli assassini di classe che vestono con i cappelli. A uno come Kenny, naturalmente, non poteva certo mancare il cappello!
So che la storia contiene dei grossissimi errori sulla trama: non segue per niente Choice, né il carattere reale dei personaggi, né il modo in cui Levi ha conosciuto farlan e Isabel, né tiene conto del divario di età, ma... va beh, prendetela per come viene: è una storia nata per divertire e far sorridere e non ha la pretesa d'essere precisa (né questa, né le successive XD). Non riesco a vedere Levi troppo idealizzato: sono convinta che moltissimi passaggi della sua esistenza non li conosceremo mai, ma... non riesco a immaginarlo perennemente imbronciato, eternamente schivo e che se ne sta sempre sulle sue. Suppongo che, al di fuori della trama del manga, qualche sciocchezza da "semplice essere umano" la faccia anche lui.
Vi ringrazio se avete letto fin qui! Scrivetemi, se avete pareri, consigli o nuove idee ^^
Nella speranza vi sia piaciuta, un abbraccio

E'ry
  
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