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Autore: Yasha 26    30/11/2016    8 recensioni
Come si dimentica qualcuno che ami?
Forse non si può.
Sono passati tre anni da quando ci siamo lasciati; da quando io ti ho lasciato, eppure… il mio dolore non si è attenuato minimamente.
Non so più quante volte mi sia sentita chiedere “Se ti manca così tanto, perché lo hai lasciato?”
Già, perché ti ho lasciato Inuyasha? Me lo chiedo anch’io.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ehm… a volte ritornano ^^’
Rompo ad inizio storia per informarvi che questa è una song-fiction. Se volete vedere di che canzone si tratta prima di leggerla, qui c’è il link Ano hi no Sayonara   (vi rimanda su Facebook). Ho realizzato io il video con la traduzione perché non esisteva da nessuna parte, quindi abbiate pietà per la banalità di questa schifezza di MV XD
Vi lascio alla storia e non dimenticate le note <3
 
 
 
 
"Perché ti amo ancora? Perché ti ho detto addio?
Quella volta, avrei dovuto dimenticare come piangere
Avrei dovuto dimenticarti"


 
 
 
     Come si dimentica qualcuno che ami?
     Forse non si può.
     Guardo il calendario e non posso che sospirare. Manca poco a Natale. Un altro Natale che passerò totalmente da sola. O meglio, da sola senza di te.
     Sono passati tre anni da quando ci siamo lasciati; da quando io ti ho lasciato, eppure… il mio dolore non si è attenuato minimamente.
     Mi manchi così tanto che sento il cuore spezzarsi ogni volta che guardo le nostre foto, ricordando quanto fossimo felici.
     Non so più quante volte mi sia sentita chiedere “Se ti manca così tanto, perché lo hai lasciato?”
     Già, perché ti ho lasciato Inuyasha? Me lo chiedo anch’io.
     All’epoca, ero convinta di fare il tuo bene liberandoti dalla mia presenza. Mi sentivo terribilmente in colpa negandoti ciò che volevi. Mi sentivo egoista, così ti ho lasciato andare. L’ho fatto perché ti amavo e mi spiaceva vederti soffrire, ma alla fine, l’unica che soffre, credo di essere solamente io.
     Un figlio... era questo ciò che desideravi, però a me i bambini non sono mai piaciuti, ed ero troppo giovane e troppo stupida per capire il mio errore.
     La nostra differenza d’età non era mai stata un problema per me, almeno fino al giorno in cui mi hai confessato di volere metter su famiglia. Io avevo ventidue anni, tu trentatré, quindi era comprensibile iniziassi a pensare ad avere dei bambini, ma io non mi sentivo pronta. Non mi vedevo come madre, a svegliarmi nel cuore della notte per i loro pianti fastidiosi o a cambiare nauseanti pannolini.
     Accettare la mia scelta di aspettare qualche anno ti era costato molto, me ne ero accorta. Anche se non me lo hai mai fatto pesare, vedevo come i tuoi occhi s’illuminavano quando vedevi i figli dei tuoi amici Sango e Miroku. Ti osservavo giocare con loro e il mio cuore s’incrinava sempre di più, sotto il peso del rimorso.
     Ogni volta che andavamo a pranzo dalla tua famiglia, era una stilettata per me sentire tua madre chiedermi, seppur senza cattiveria, “Quando mi darete un nipotino?”.
     Così ho iniziato a stare male. Male con me stessa. Male nel vivere serenamente il nostro rapporto. Ogni cosa che mi circondava, mi ricordava i bambini, dalle confezioni dei detersivi, con quelle etichette che consigliano di tenerli lontano dalla loro portata, alle confezioni di biscotti; per non parlare al supermercato, dove i visi di bambini carini e paffuti erano stampati su metà dei prodotti in vendita. Non riuscivo neppure più a guardare la tv. Tutto sembrava dirmi “Vedi Kagome? I bambini sono così teneri! Come puoi essere tanto cattiva da non volere un esserino come questo?”.
     Più accadeva ciò, meno sopportavo la vista di un neonato. Ne avevo quasi il terrore. Era una sensazione terribile! Lo stress diventava ogni giorno più forte, finché, dopo un anno, decisi di lasciarti, non sapendo più che fare. Tu non volevi, hai provato a farmi cambiare idea, ma io ero irremovibile. 
     Quando ho fatto le valigie per andar via dalla casa in cui avevamo vissuto insieme per oltre due anni, eri arrabbiato, davvero furioso. Ricordo ancora le tue parole piene di risentimento, che mi accusavano di non averti mai amato davvero. E forse avevi ragione. Se ti avessi amato di più, ti avrei dato la famiglia che desideravi, ma non potevo mettere al mondo un bambino senza volerlo. Non era giusto nemmeno questo. Così sono andata via, dicendoti addio.
     Non ti dissi la verità, il perché di quella improvvisa e sciocca scelta. Se lo avessi fatto, conoscendoti, avresti continuato a voler restare con me, sostenendo di poter aspettare che io fossi pronta. Lo sarei mai stata? Non ne avevo idea, ma sapevo chiaramente che non potevo farti questo. Era egoista, da parte mia, chiederti di rinunciare a qualcosa che avresti potuto avere da un’altra donna, magari una più matura e migliore di me. Invece, in questi tre anni, ho saputo che non hai avuto relazioni serie. Ho praticamente buttato via la nostra storia per niente, commettendo l’errore più grande della mia vita.
     Qualche mese fa ho provato a cercarti, per scusarmi e per spiegarti perché ti avessi lasciato, forse nella speranza di tornare insieme, ma non hai mai risposto ai miei messaggi. Avrei potuto presentarmi a casa tua, ma non ne ho mai avuto il coraggio. Temevo potessi sbattermi la porta in faccia. In fondo, ero la stronza che ti aveva lasciato di punto in bianco, senza tante spiegazioni. Come darti torto se lo avessi fatto? Quindi sono rimasta nel mio angolino, ad osservare il tempo scorrere con crudeltà, ricordandomi, ogni singolo dannato giorno, che grande errore avessi commesso lasciandoti.
     Che brutto sentimento è il rimpianto.
     Non immagini nemmeno quanto sia pentita della mia scelta. Stavamo bene insieme. I nostri amici ci consideravano la coppia perfetta. Ci completavamo a vicenda, pur essendo due poli opposti. Tu eri quello riflessivo, io l’impulsiva che agiva senza pensare - e si è notato -. Tu eri quello che sapeva riparare tutto ed io quella che rompeva qualunque cosa. Tu eri quello che amava stare all’aria aperta ed io quella che preferiva stare a casa. Tu amavi le feste ed io la tranquillità.
     Così diversi ma così dannatamente perfetti nel bilanciare tutto.
     Avremmo potuto essere felici.
     Sospiro nuovamente e stavolta guardo il cielo, che inizia a oscurarsi di nuvole cineree cariche di pioggia. Le gambe mi hanno portato ancora una volta vicino a dove lavori adesso. Quante volte mi sono ritrovata qui negli ultimi mesi, senza quasi accorgermene? Spesso, purtroppo.
     Guardo le vetrine e maledico tutti quei fiori che m’impediscono una migliore visuale. Di tutti i lavori che potessi immaginare, vendere fiori era l’ultimo a cui avrei pensato. A te neppure piacevano. Ero io quella che ne andava pazza. Perché hai cambiato lavoro?
     Proprio mentre mi sto avvicinando, per osservarti da un punto migliore dal lato opposto della strada, ti vedo uscire dal negozio con un mazzo di rose in mano. Devi consegnarle a qualche ragazza da parte del suo fidanzato? Beata lei.
     Ti osservo sorridere mentre rispondi al cellulare. Uno dei tuoi bellissimi sorrisi.
     Io ho smesso di sorridere tre anni fa.
     D'un tratto, attraversi e ti avvicini pericolosamente a me e non so che fare. Questo non era previsto! Ora che faccio? Aiuto! Sento il cuore esplodermi!
     Dovrei salutarti? Che potrei dirti? Ti fermeresti a parlare con me o mi manderesti al diavolo?
     Non ho neppure il tempo di chiedermelo però, perché le mie stupide gambe, le stesse che mi hanno portato qui, adesso si stanno allontanando senza controllo. Sto scappando e non so neppure perché.
     Potrebbe essere la mia possibilità di parlarti dopo tre lunghi anni da quando ti ho detto addio, ma non ci riesco. Ho paura! Paura di vedere la rabbia e il disgusto sul tuo viso per trovarti dinanzi me. Questo mi ucciderebbe. Così piango. Non mi resta che piangere, nascosta dove tu non puoi vedermi, in uno spazio angusto tra due palazzi.
     Ancora adesso, dopo tre anni, le lacrime non cessano di inondarmi il cuore di dolore.
     Perché non riesco a dimenticarti?
     Sono ancora qui a cercarti, a cercare il tuo sguardo, il tuo sorriso… perché?
     Per quel che ne so, potresti anche essere al telefono con la tua ragazza e quelle rose potrebbero essere per lei e non per una cliente. Mi sento male solamente a pensarci! Devo andarmene da qui, così provo a calmare il mio stupido pianto, nascondendomi dietro agli occhiali da sole, che risultano incredibilmente ridicoli in una giornata come questa.
     Provo ad uscire dal mio nascondiglio di fortuna, ma appena lo faccio, ti vedo passarmi proprio davanti e la tua risata invade le mie orecchie. Era la stessa che avevi quando parlavi con me. Sei davvero al telefono con un’altra, vero? Forse hai davvero trovato la donna giusta?
     E mentre nuove lacrime lasciano i miei occhi, una leggera folata di vento mi arriva in pieno viso come uno schiaffo, perché profuma di qualcosa a me familiare, la tua colonia, quella che ti ho regalato quando eravamo ancora amici, ma che hai continuato ad usare per anni mentre stavamo insieme. Non pensavo la usassi ancora.
     Io, invece, di tuo ho solamente le foto. Non ho tenuto nulla, pensando mi avrebbero fatto soffrire di più.
     Speranze vane le mie. Sono i ricordi quelli che mi feriscono più di tutto e quelli non posso metterli via.
     - Non so che darei per poter tornare indietro e non averti mai lasciato… - sussurro tra me e me, mentre continuo a piangere come una stupida.
     Quanto sono patetica!
     Torno a casa e mi lascio cadere stancamente sul letto, aspettando che un’altra notte senza sogni mi trascini con sé verso un nuovo giorno, uno dolorosamente identico a quello appena trascorso.
     Mi rendo conto da sola che non è così che dovrei affrontare la cosa, ma proprio non riesco ad uscirne.
     Quando sei l’artefice della tua disperazione, come puoi andare avanti senza essere assalito dai rimorsi, dal tormento degli errori a cui non puoi porre rimedio? Non c’è via d’uscita nel lottare contro se stessi.
     Siamo il risultato delle nostre scelte, ed io sono questo, una povera idiota senza coraggio che non è riuscita a tornare sui propri passi quando ne ha avuto la possibilità, ed ora è troppo tardi.
     Tardi per dirti che mi dispiace.
     Tardi per dirti che ti amo ancora.
     Tardi per dirti che vorrei portare tuo figlio in grembo.
     Tardi per formare quella famiglia che desideravi.
     Anche nei giorni successivi, vengo nuovamente ad osservarti. A quanto pare sono una persona masochista. Mi piace farmi del male. Ogni volta che sono libera, torno qui e ti osservo.
     Mi siedo al bar proprio di fronte al negozio di fiori e da cui posso vederti meglio. Non sei cambiato in questi tre anni, sai? L’unica che è cambiata sono io, dentro e fuori.
     Chissà se mi riconosceresti. Adesso porto i capelli corti e rossi. Ho voluto cambiarli perché dicevi sempre di amare i miei lunghi capelli neri. Non volevo ricordare le tue mani scorrere per tutta la loro lunghezza. Non volevo osservarmi allo specchio nel modo in cui piacevo a te.
     Sorseggio una calda tazza di tè per scaldarmi dal freddo pungente di novembre. L’inverno è vicino. Guardo le allegre luminarie che addobbano già la città, così in contrasto col mio umore tetro e non posso fare a meno di chiedermi con chi passerai il Natale.
     Da quanto ho saputo da un’amica di Sango, stai preparando un viaggio per queste vacanze natalizie.
     Dove andrai? Soprattutto con chi?
     Sospiro e ordino un’altra tazza di tè.
     Il mio cellulare vibra. È arrivato un messaggio. La mia amica Eri mi chiede se stasera ho voglia di uscire con lei e le altre nostre amiche per festeggiare la proposta di matrimonio da parte di Hojo. Non posso rifiutare, così non mi resta che accettare, anche se con poca voglia. Vedere coppie felici non mi rende certo di buon umore, ma non posso lamentarmene visto che l’artefice della mia infelicità sono io. Non posso farlo pesare alle mie amiche facendo la scontrosa asociale, quindi mi tocca sorbirmi queste uscite noiose.
     Passo la serata ridendo e fingendo di essere felice per Eri. Non che non lo sia, ma non sono in vena di far festa, quindi devo fingere. Fortuna che ci sono i drink ad alleggerire lo stress. La parte migliore della serata arriva quando finalmente me ne posso tornare a casa, anche se mezza brilla. Ok, forse non mezza ma interamente brilla, poiché faccio un bel capitombolo dalle scale davanti la porta di casa mia.
     Senza ricordarmi esattamente come ci sia arrivata, mi risveglio in ospedale. Provo a sollevarmi ma sento male ovunque e noto una gamba ingessata. Fantastico! Sei un genio Kagome!
     Chiamo un infermiere per chiedere qualcosa e m’informa che è stata l’ambulanza a portarmi lì, chiamata dalla la mia vicina dopo avermi vista cadere e perdere conoscenza. La curiosità di quella donna, sempre a spiare tutti dalla finestra, è tornata utile stavolta. Dovrò ringraziarla con un binocolo quando tornerò a casa. Di sicuro lo apprezzerà.
     Quando mia madre arriva in ospedale, mi convince ad andare a stare da lei per un po’, almeno finché non toglierò il gesso, ed io acconsento.
     Se fossimo stati insieme, ti saresti occupato di me e dei miei piccoli capricci?
     Le settimane passano. Siamo a dicembre e finalmente posso togliere questa trappola pruriginosa dalla gamba, infatti, la prima cosa che faccio, è grattarmi. Che sollievo!
     Ritorno a casa mia e vado dalla vicina ficcanaso per ringraziarla. Riprendo il lavoro e la mia quotidianità, compresa la solita visita al bar di fronte al negozio di fiori. Non ti vedo da un mese. Mi sei mancato tantissimo, sai? Seppur da lontano, vederti rasserena un po’ la mia anima.
     Oggi è una giornata davvero fredda. Ho i piedi congelati. Credo che stia per nevicare, tuttavia non mi rassegno dal venire da te. Un altro giorno senza guardarti e sono sicura che morirei.
     Mi siedo al solito tavolino che mi dà la migliore visuale delle vetrine. Il cameriere mi fa notare gentilmente che è una giornata davvero gelida e che potrei bere il mio tè all’interno del bar, ma rifiuto con un sorriso, dicendo che mi piace il freddo. Io odio il freddo! Ma se entrassi dentro non ti vedrei e non avrebbe senso essere venuta.
     Il negozio è un po’ vuoto oggi. Forse per via del freddo. Stai passando molto tempo al telefono e la mia mente ritorna all’idea che tu abbia conosciuto qualcuno. Sarebbe normale e anche giusto. Quella intrappolata in questo dolore sono io. Spero sia una brava ragazza e che ti ami come meriti.
     Razionalmente so che le mie parole sono giuste, però… perché il mio cuore sta gridando che non vuole siano vere? Quanto posso essere egoista, soprattutto contraddittoria?
     Mentre calde lacrime scorrono dai miei occhi, le lacrime fredde dell’inverno si uniscono alle mie, poggiandosi sul mio viso e sulle mie mani ora tremanti. Sollevo il naso all’insù e vedo che sta nevicando.
     Nonostante preferirei non andarmene così presto, non proprio oggi in cui ti rivedo dopo un mese, sono costretta a tornare a casa. Buscarmi una polmonite in questo momento non è qualcosa che possa permettermi se voglio tenermi il lavoro. Sono già stata assente a lungo.
     Mentre mi appresto ad allontanarmi dal bar, una voce ferma sia le mie gambe sia il mio cuore.
     - Kagome? –
     Incredula, mi volto a vedere chi mi ha chiamato, anche se questa voce la riconoscerei tra mille.
     - Inuyasha... - sussurro appena.
     Ci guardiamo qualche istante senza dire altro, poi è lui a parlare.
     - Stai andando via? – chiede, avvicinandosi con il grande ombrello verde con il logo del negozio e riparando anche me dalla neve.
     Il mio cuore trema per la nostra vicinanza. Mi sento quasi senza forze, come se dovessi svenire da un momento all’altro. È davvero di fronte a me?
     - I-io… -
     - Ti va di venire dentro a parlare? – propone, indicandomi il negozio. – Oggi fa davvero freddo. –
     Annuisco solamente. L’uso della parola sembra essere sparito del tutto.
     Come ha fatto a riconoscermi?
     Entrati nel negozio, il leggero tepore di un luogo chiuso mi dà un po’ di sollievo dal freddo che avvertivo fuori. Le mie mani non tremano più, o almeno, non tremano più per via del freddo.
     - Come stai? – domanda, mentre lo seguo nel retro, dove ha una piccola stufa accesa e delle sedie, in cui mi fa accomodare.
     - Bene… E tu? –
     - Sto bene anch’io. – risponde, osservandomi pensieroso. Perché quello sguardo dubbioso?
     Restiamo un po’ in silenzio; io non so proprio cosa dire. Ho il cuore che batte come un matto. Vorrei tanto correre ad abbracciarlo, ma non posso.
     - Perché non sei venuta in queste settimane? – chiede improvvisamente, sconvolgendomi.
     - Ma… come… -
     - Come lo so? Diciamo che non sei brava a nasconderti e gli occhiali da sole, in una giornata di pioggia, attirano parecchio l’attenzione. Non ero sicuro fossi tu, sei molto cambiata... - s'interrompe, osservando con cipiglio i miei capelli. - ... ma dopo averti vista praticamente tutti i giorni seduta a quel bar, con lo sguardo puntato qui, ho capito di non aver sbagliato. Perché lo hai fatto?  – domanda incredibilmente tranquillo. Io, invece, sono impietrita. Oddio che imbarazzo! Penserà che sia una stalker! Una pazza!
     - Perdonami se ti ho infastidito, ti prego! Non volevo spiarti in quel modo, scusami! Non accadrà più! – mi scuso praticamente in lacrime, sperando almeno di non beccarmi una denuncia, oltre che il suo perenne odio.
     - Chi ha detto che mi hai infastidito? Ti ho solo chiesto perché lo hai fatto. Avresti anche potuto passare a salutarmi. Non mordo sai? – scherza lui, mentre sento il cuore volere uscire dal petto.
     - Avevo paura non volessi vedermi. Temevo la tua reazione, per questo ti ho osservato da lontano. – spiego piena di vergogna.
     - Te lo chiedo per la terza volta Kagome. Perché? – ripete, ma stavolta con tono più duro.
     Chiudo e gli occhi e faccio un gran bel respiro per calmarmi. Vuole risposte e temo dovrò dargliele stavolta.
     - Io… volevo solamente vederti. –
     - E cosa ti ha spinto a cercarmi dopo tre anni? –
     - Non l’ho fatto dopo tre anni. –
     - E quando mi avresti cercato? – chiede sorpreso.
     - Qualche mese fa, non ricordi? Ti ho mandato un paio di messaggi, ma non hai mai risposto. Certo non ti biasimo per questo, visto che son… -
     - Non li ho mai ricevuti. – m’interrompe, così lo guardo curiosa. - Ho perso il cellulare e il mio vecchio numero. Non ho mai pensato di contattarti per darti quello nuovo. Non pensavo t’interessasse. Ti avrei risposto altrimenti. – afferma, lasciandomi stupita.
     - Oh… - riesco solamente a dire. Mi avrebbe risposto? Perché? Io, al suo posto, non lo avrei fatto.
     - Perché mi hai cercato? Cosa volevi dirmi? –
     Ecco la domanda che più temevo. È ora di vuotare il sacco Kagome. O adesso o mai più! Se poi non vorrà più vedermi, potrò consolarmi col pensiero che finalmente gli ho detto la verità.
     - Perché ti amo ancora. Non ho mai smesso di amarti Inuyasha. Nemmeno per un singolo istante. E sono così pentita di averti lasciato, che preferirei essere morta quel giorno invece di averlo fatto. – confesso finalmente, riuscendo a sentire un peso in meno sul cuore.
     Resta a guardarmi un po’, senza dire nulla. Probabilmente penserà che sia patetica, stupida o chissà che altro, ma non m’importa. Dovevo dirglielo. Non avrei sopportato anche questo rimorso.
     - Nemmeno io ho mai smesso di amarti. – risponde infine, regalandomi uno di quei sorrisi che tanto amavo.
     Aspetta… ha… ha detto che… ? Non l’ho immaginato, vero? Lo guardo con occhi sgranati, finché non pone l’altra domanda che da anni mi schiaccia l’anima come un macigno.
     - Kagome, perché mi hai lasciato? Perché hai rovinato tutto? – chiede con voce piena di dolore.
     - Hai un po’ di tempo? – domando piena di speranza.
     - Tutto il tempo che vuoi. –
 
 
 
     - Tesoro, sicura di non aver bisogno di aiuto? –
     - Sì, tranquillo ce la faccio. –
     - Ma quella scatola sembra pesante. –
     - Inuyasha, sono incinta, non invalida. – sbuffo, posando la scatola piena di addobbi natalizi su una sedia.
     - Come vuoi. Allora vado a controllare i bambini. Non azzardarti ad addobbare l’albero senza di me. Controlla solamente se le luci funzionano ancora, intesi? –
     - Sì papà! – esclamo, alzando gli occhi al cielo. Nemmeno dovessi andare a coltivare i campi!
     - Brava bambina. – sghignazza lui, prima di darmi un veloce bacio a stampo e accarezzarmi i lunghi capelli neri che ha sempre amato. - Chiamami se ti servisse qualcosa. – dice premuroso come sempre, prima di andare dai nostri figli.
     Sprofondo stancamente sul divano, godendomi il contatto morbido dei cuscini contro la schiena dolorante. Mancano pochi giorni alla nascita della bambina, così finalmente questa tortura finirà. Questa gravidanza si sta rivelando più pesante delle altre due. Sono incinta di un puledro, non di una bambina! Scalcia in modo incredibile, tanto da farmi male. Speriamo che sia più tranquilla quando nascerà, o si salvi chi può!
     Chi lo avrebbe mai detto, otto anni fa, che mi sarei ritrova su questo divano, nella mia nuova casa, incinta per la terza volta e sposata con l’uomo che avevo lasciato? Pensavo di non avere più speranze con lui, invece mi sbagliavo.
     Inuyasha continuava ad essere innamorato di me, così come io di lui, anche dopo tre anni di separazione. Quando gli ho raccontato la verità, sembrava davvero offeso. Mi ha accusato di non avere avuto fiducia in lui, di non credere al suo amore per me. Era davvero arrabbiato. Mi ha spiegato che non voleva semplicemente un figlio; voleva un figlio con me, quindi lasciarlo non era servito a nulla, poiché era con me che voleva una famiglia. Ha detto che non gli serviva una donna stampa bambini. Mi ha fatto ridere quando l’ho sentito, anche se il suo sguardo severo mi ha subito zittito.
     Da quel giorno siamo ritornati insieme e per me è stato come ritornare a respirare.
     Ho passato uno dei natali più belli della mia vita. Abbracciata di nuovo all’uomo che non ho mai smesso di amare, chiusi in casa sua, dimentichi del mondo al di fuori di quelle mura. Aveva rinunciato anche al viaggio con dei suoi amici per stare con me.
     Qualche settimana dopo ho scoperto di essere incinta. Per nostra scelta, soprattutto mia, non avevamo usato alcuna protezione dopo esserci rimessi insieme. Avevo perso fin troppo tempo.
     Il Natale successivo, stavamo festeggiando col nostro bambino e le nostre famiglie, e fu in quel giorno che Inuyasha mi chiese di sposarlo.
     La nostra vita era perfetta, ma è stata migliorata due anni dopo con l’arrivo del nostro secondo bambino. Adesso si è aggiunta anche questa piccola peste, una femminuccia, per la felicità di suo padre, e che conosceremo tra meno di due settimane.
     A volte mi fermo a pensare cosa sarebbe accaduto se Inuyasha non mi avesse visto in quel giorno di pioggia. Probabilmente non si sarebbe accorto che restavo a guardarlo da lontano e non mi avrebbe fermato mentre la neve mi costringeva ad andare via troppo presto.
     Mi ha raccontato che, nei giorni in cui mi vedeva osservarlo dal bar, aveva sentito l’impulso di venire a parlarmi e lo avrebbe fatto, se solo il suo orgoglio non glielo avesse impedito. Poi, quel mese in cui non potevo muovermi per via della gamba, si era domandato perché avessi smesso di andarci, iniziando a preoccuparsi. Era stato quello a spingerlo a venire da me.
     Se lui non avesse fatto il primo passo, oggi non saremmo qui.
     - Vero, piccola mia? – chiedo alla bambina, che scalcia in risposta. Beh, avrebbe scalciato comunque credo.
     Mi alzo dal divano e vado a cambiare l’acqua alle rose che mi ha portato ieri mio marito. Da quando siamo ritornati insieme, mi porta spesso dei fiori.
     Alla fine mi ha confessato di aver iniziato a lavorare in quel negozio perché i fiori gli ricordavano me. Scelta stupida quella di lasciare il posto da impiegato, molto più remunerativo di quello di fioraio, ma gesto davvero dolce e romantico agli occhi di una persona innamorata.
     Mentre riempio il vaso con acqua fresca, una forte fitta al basso ventre mi annuncia che forse è meglio iniziare a prepararsi già da adesso ad accogliere la piccola principessa della casa, come la chiama sempre suo padre.
     Per oggi, gli addobbi natalizi dovranno attendere e se tutto andrà bene, il regalo più bello che riceveremo sotto l’albero io e Inuyasha, sarà la nostra bambina. 
     Anche a lei insegnerò, quando crescerà, la grande lezione di vita che ho imparato io: Non è mai troppo tardi per pentirsi o per provare a porre rimedio a delle scelte sbagliate. L’unico errore è pensare che non si possa. Bisogna solo avere il coraggio di tentare.
 
 
 
 
 
 
 
Buon salve ^^’ non ci si rileggeva da un pochino eh? ^^’
Non oso immaginare quanti accidenti mi avrete lanciato per aver lasciato le altre storie incompiute ^^’ e avete ragione,  ma giuro che ci sto lavorando, anche se a rilento. Il fatto che abbia avuto voglia di riscrivere in questa sezione è già un passo avanti XD
Come già detto tempo fa, al momento scrivo nella sezione di Skip Beat *^* Se non conoscete questo manga/anime, ve lo consiglio *^* è assolutamente bellissimo e mi ha dato un nuovo amore *^* Ren  <3 e se già lo conoscete, passate nella mia paginetta Facebook a lasciarmi un salutino se vi va Skip Beat Italia - Cain&Setsu   *^* ci troverete gli aggiornamenti dei nuovi capitoli del manga, in contemporanea con le uscite giapponesi ^_^ (la pubblicità è l’anima del commercio, scusate XD)
Come avrete notato, non è una os di molte pretese. Avevo solo voglia di creare una breve storia usando le parole della canzone, che adoro <3 ma spero possa esservi ugualmente piaciuta pur nella sua semplicità ^^’
Non è proprio a tema natalizio, è appena accennato, ma già che siamo nel periodo ho sfruttato questa festività ^_^
Visto che non credo ci rileggeremo tanto presto, vi auguro Buon Natale e Felice Anno Nuovo :*
Baci Faby  <3 <3 <3 <3
 
P.S. Sempre grazie alle mie amiche <3 cui rompo le scatole con le  mie insicurezze XD e grazie ai lettori che continuano a seguirmi e a chiedermi delle storie <3 grazie di cuore <3 <3 <3
   
 
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