Antefatto:
il
brano è immaginato come missing moment di un gioco di ruolo
che
faccio online nel quale tempo fa uccisi il mio personaggio,
Sabina.
Pochi giorni dopo morì (per finta, ma è un'altra
storia)
un altro pg, suo amico.
Il racconto è quello di un viaggio in treno del marito
di Sabina, Francesco, che si muove per andare al funerale di questa
terza persona ma non può fare a meno di pensare a
ciò che ha perso.
Per
il tuo lungo viaggio
Fine
febbraio, freccia bianca Roma-Trieste.
Al mio amore, per il suo
lungo viaggio
Vorrei
stare seduto al tuo fianco ora, mentre con gli occhi tristi mi guardi
pensando al funerale a cui ci staremmo recando.
Forse anche se
fossi viva sarei solo; stavi male, sedici ore di viaggio in due
giorni sarebbero state troppo, i tuoi pochi globuli rossi ti
avrebbero stancata, le tue poche piastrine avrebbero reso ogni
graffio uno spavento, la tua mancanza di anticorpi ogni starnuto un
motivo per tremare.
Che poi mi hai lasciato proprio così, hai
starnutito, hai tossito, hai tremato per la febbre, hai smesso di
respirare.
Di colpo.
Senza dirmi ciao, senza dirmi addio.
Senza baciare un'ultima volta i tuoi bambini, senza rassicurare
tuo padre.
Ti avevamo portato a casa in attesa, attesa del
ricovero che serviva a prepararti al trapianto che ti avrebbe ridato
la tua vita, che ci avrebbe ridato la nostra vita, e invece il tuo
ultimo ricovero ha posto fine ai tuoi giorni e si è portato
via
tutta la mia felicità.
Tanti anni fa mi avevi chiesto, in un
giorno freddo di Gennaio in cui per caso ci trovavamo al nord, di
prendere un treno e andare a Genova.
Mi avevi detto che non facevi
mai queste pazzie, ma che volevi lasciare un fiore sulla lapide che
commemorava un operaio morto ammazzato nel '79, prima ancora che noi
nascessimo.
“Non so molto di questa storia”, avevi confessato
“ma sua figlia si chiama Sabina, per questo me ne sono
interessata.
Sarà futile, ma forse, se avessi avuto un altro nome, non
l'avrei
neanche mai scoperto.” Io non avevo commentato in nessun
modo, ti
avevo seguita su quel treno e poi perle vie di Genova, esattamente
come una settimana fa avrei voluto seguirti in quel
“dopo” che
forse neanche esiste.
Sul treno di ritorno, quel giorno, mi avevi
parlato della cosa che più ti angosciava di quell'omicidio e
di
tutti gli omicidi in generale.
“Pensati, seduto una sera a cena
con la tua famiglia; sei in mezzo alla settimana, pensi a cosa fare
nel weekend, pensi al lavoro. Organizzi, progetti, controlli il frigo
per vedere se c'è cibo o dovrai fare la spera. E poi tac.
Più
niente, neanche dodici ore e non ci sei più. E non
c'è più il
lavoro, il weekend, il frigo, il cibo. C'è solo chi rimane,
c'è
solo il vuoto.” Ti avevo detto che sì, era
angosciante, ma non
dovevi pensarci troppo.
Quando ti sei ammalata mi è venuto in
mente quel discorso, perché due giorni prima ridevamo e
scherzavamo,
due giorni dopo arrivava quella diagnosi maledetta.
Subito dopo,
però, il mio approccio all'idea di morte è
cambiato; per me saresti
guarita sicuro, pensare di vederti andare via mi massacrava, ma
quando ci pensavo – perché poi tu stavi male e io
avevo paura-
immaginavo lunghi abbracci nel tuo letto, il tuo sorriso che si
spegneva, una sensazione di impotenza assurda e terribile unita alla
consapevolezza che stava finendo tutto, una consapevolezza che i
morti di omicidio o di incidente non hanno.
E invece la vita,
bastarda, ha capovolto tutto, ha peggiorato le tue condizioni di
colpo, proprio mentre speravamo in un lieto fine, ti ha resa pari a
chi il giorno prima programmava la sua vita e il giorno dopo non
viveva più.
Come mi manchi, amore.
Come
manchi ai tuoi figli, che hanno i tuoi occhi e le tue labbra, ma non
li usano più per esprimere quella gioia che gli trasmettevi.
Non
sono con me neanche loro, oggi.
Sono tra le braccia di tuo papà
di tuo fratello, di tua cognata.
Sono chiusi tra i ricordi, tra
ciò che resta.
Cosa resta, però? I tuoi abiti, il tuo profumo, i
tuoi libri.
Cosa è andato via? I tuoi baci, i tuoi abbracci, la
tua voce.
E il resto? Che ne è stato dei tuoi pensieri, delle tue
parole, del tuo amore per noi? Forse è questo il grande
mistero
della morte; ciò che è oggetto resta,
ciò che è fisico muore, ciò
che è pensiero non lo sapremo mai.
Non riesco a credere a tutte
quelle palle dette al tuo funerale da chi crede in Dio;
“È con
voi”, “È in cielo”.
Tua figlia Iris ha imparato tre mesi fa
che quando disegna il cielo non deve fare una linea azzurra in alto
ma sfumare lo steso colore per tutto il foglio, come se fosse cielo
tutto ciò che non è terra.
Ma non sei lì, non sei là dove non
si tocca per terra, non ci credo.
Non sei e basta, ecco il dramma.
Non esiste più il tuo amore, esiste soltanto il nostro amore
per
te.
Vale abbastanza? Non lo saprò mai, non me lo dirai mai.
Prima
di partire ho preso il tuo iPod, perché per quanto potessi
non
essere materialista io solo quello ho di te, solo gli oggetti, i
frutti di una vita passata a guadagnare per spendere, a lavorare per
vivere.
La riproduzione casuale racconta più cose di tutte quelle
che non potrei dire di te, e quando ogni tanto passano le canzoni per
bambini provo a ricordarti in viaggio coi tuoi figli mentre gliele
fai ascoltare.
Sono stati il tuo ultimo pensiero? L'ultima
immagine davanti ai tuoi occhi? Mi sono convinto di sì per
dire loro
che li hai amati fino alla fine, per convincerli che finché
sei
stata qualcuno sei stata la loro mamma, per rassicurarli quanto
posso, anche se hanno ormai perso il centro di ogni sicurezza.
Questo
treno, intanto, corre.
Corre verso un altro funerale, un'altra
vita spenta.
Chissà se qualche cattolico dirà che vi siete
rincontrati.
Il treno è una bella metafora della vita; c'è chi
sale, chi scende, a volte si rallenta, a volte si è
più
veloci.
Però al capolinea del treno qualcosa c'è quando
arrivi
alla fermata finale qualcosa trovi, nella vita no.
Anche la
canzone che sto ascoltando ora parla -anche- di un treno.
È Ninnananna
dei Modena, parla di qualcuno lontano, e dice “Forse
ti stai cullando al suono di un treno” e
magari è vero, ti culla il rumore dei treni delle nostre
vite che
continuano tra stazioni, rallentamenti, fermate che non sono le
nostre.
Forse, se c'è qualcosa dopo, se sei qualcosa ora.
Poi
però dice anche “se
sei persa in qualche fredda terra straniera ti mando una ninnananna
per sentirti più vicina.”
C'è
un film che non conosco e non ho mai visto che si chiama "Il
passato è una terra straniera” e magari lo
è anche la
morte.
Inesplorata, lontana, incomprensibile per noi che non vi ci
possiamo avvicinare.
Farò finta di crederci, finché questa
canzone non termina.
Farò finta di credere che sei lontana, in
questa terra così distante, così aliena per me
non vi ci
cammino.
Farò finta che tu sia in viaggio, proprio come me.
E
allora queste parole a caso su un foglio bianco saranno un po' una
dedica per il tuo lungo viaggio.
Se ci sei, se esiste, se esisti,
un senso alle emozioni che riverso su carta lo troverai sicuro, come
trovavi un senso a ogni cosa che facessi per te, per noi.
Insieme
a questi spero ti arrivi, se ci sei, se esisti, questa canzone.
Ma
la ninnananna non tenerla per sentirti vicina me, per quello
basteranno le mie parole insensate su questa pagina.
Rimandala
indietro, dai tuoi figli.
Saranno un canto da una terra lontana,
saranno un canto per sentirti più vicina.
E fai buon viaggio, e
arriva presto.
Che un giorno scenderò dal treno, e dovrai essere
in stazione ad attendermi.