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Autore: Saritac1987    04/12/2016    3 recensioni
Per assistere alla Coppa del Mondo di Quidditch, ogni mago o strega del mondo alloggiò in un campeggio babbano nelle vicinanze. Era proibito fare magie di fronte ai proprietari, perciò ognuno dovette camuffarsi per non far capire le proprie origini.
Ecco come i Malfoy affrontarono quel giorno.
Genere: Commedia, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Draco Malfoy, Famiglia Malfoy, Lucius Malfoy, Narcissa Malfoy
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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A metà del campo
sorgeva una stravagante costruzione di seta a righe
simile a un palazzo in miniatura,
con parecchi pavoni vivi legati all’ingresso.
[Harry Potter e il Calice di Fuoco]

 
LA TENDA
Ovvero
Il giorno in cui i Malfoy impararono a fare campeggio

 

«Quindi dovremmo… alloggiare qui?»
Narcissa si guardò intorno: si trovavano su una stradina sterrata, davanti a una casetta di legno che sembrava essere stata costruita almeno cinquant’anni prima; dietro le finestre, si intravedevano delle orribili tende a fiori che lei non avrebbe messo in casa propria nemmeno se fossero state le ultime sulla faccia della Terra. Intorno a loro, un’immensa distesa di alberi che rendeva più sopportabile il caldo soffocante di agosto. Il suo abito, il suo bell’abito verde, era ormai infangato e i capelli biondi stavano iniziando a gonfiarsi per l’umidità.
«Papà…» Sussurrò Draco, osservando le persone che si muovevano avanti e indietro per la casetta. «Ti sei accorto che ci sono dei… Babbani, vero?»
«Il Ministero ha deciso che questo sarebbe stato il luogo ideale per alloggiare alla Coppa del Mondo.» Lucius era impassibile. Aspettava paziente che il Babbano addetto alla sistemazione delle persone indicasse loro dove andare.
Quell’area era piena di insetti di ogni tipo: dalle farfalle multicolore alle fastidiosissime mosche; Draco si muoveva avanti e indietro, cercando di non farsi toccare da nessuno di loro. Stringeva nelle mani la piccola valigia che gli aveva dato il proprio padre sostenendo che contenesse cose fondamentali per la loro permanenza alla Coppa del Mondo di Quidditch, e obbligandolo a non staccarsene mai; qualcosa al suo interno si stava muovendo, ma il ragazzo non faceva domande.
Quando finalmente arrivò il loro turno, la famiglia Malfoy si trovò davanti il Babbano più Babbano che avessero mai visto: indossava una camicia rossa a quadri infilata in malo modo dentro un paio di pantaloni di un tessuto così duro che Narcissa aveva prurito solo a guardarlo; Draco si nascose dietro ai propri genitori, cercando di fare in modo che quel Babbano non gli rivolgesse nemmeno la parola.
«Cognome, prego?»
«Malfoy.» Borbottò il capofamiglia, osservando da lontano un mago del Ministero che cercava di tenere a bada la moglie e i figli di quel Babbano; osservavano in maniera insistente la sua capigliatura. Anche la chioma di Lucius, sempre ordinata e perfetta, stava iniziando a gonfiarsi e l’uomo non vedeva l’ora di sistemarsi; il Babbano doveva sbrigarsi.
«Sì, Malfoy. Eccovi. Piazzola extralarge: proseguite sempre dritto e troverete il vostro posto.»
Lucius guidò la sua famiglia per il campeggio, cercando di non scivolare nel fango che si era formato a causa della pioggia della settimana precedente; Narcissa era subito dietro di lui: si sollevava il vestito, ormai sporco fino alle ginocchia.
«Mi si sono rovinate le scarpe.» Borbottava. «Tu e la tua idea di alloggiare nei posti scelti dal Ministero. E cosa significa “piazzola”? Credevo avremmo dormito in una villa, e invece siamo in mezzo a queste… queste cose. Come si chiamano queste cose orribili?»
«Si chiamano tende, Cissy. Non sono così male, una volta che ti abitui. E vedrai che la nostra avrà ogni comfort.»
«Bisogna inginocchiarsi per entrare! E...»
Vennero superati da un gruppo di streghe americane con una grande S ricamata sul mantello; ai piedi indossavano delle scarpe che Narcissa non aveva mai visto e che non avrebbe messo nemmeno se l’avessero pagata, e i loro abiti erano di fattura così dozzinale che la donna si chiese come potessero vivere in quella maniera. Poco più in là, un gruppo di persone era in fila per prendere dell’acqua.
«Dobbiamo metterci in fila per dissetarci? Cos’altro devo sapere, che dobbiamo fare una passeggiata per andare al gabinetto?»
Draco non spiccicava parola; la valigetta si stava agitando sempre di più, mentre lui cercava di mantenere il contegno poiché aveva intravisto qualche compagno di scuola tra le tende. Il padre di Theodore Nott stava chiacchierando con quelli di Crabbe e di Goyle, e gli sembrava di avere visto anche Blaise Zabini e la propria madre. Seamus Finnigan sembrava quello ambientato meglio: era in una zona del campo completamente verde, e chiacchierava in una lingua a lui sconosciuta con altra gente strana quanto lui.
«Siamo arrivati.» Disse Lucius, fermandosi in uno spiazzo abbastanza grande proprio nel centro del campeggio. «Qui metteremo la nostra tenda.»
Narcissa sollevò il labbro superiore disgustata, prima di accingersi a prendere la propria bacchetta.
«Non possiamo, Cissy. Proprio noi, non possiamo usare la magia. Ci sono i Babbani, e le leggi parlano chiaro.»
«Proprio tu parli di rispettare la legge.» Borbottò la donna a denti stretti. Poi alzò la voce: «E quindi che cosa facciamo?»
«Draco, passami la valigetta.» Lucius allungò il braccio verso il figlio, che gli passò titubante il bagaglio cercando di mettere il meno possibile i piedi nel fango; troppo tardi: ormai le sue scarpe di vernice nere erano rovinate per sempre.
Lucius infilò il braccio nella valigia borbottando qualcosa tra sé e sé; poi, ne estrasse un ammasso informe di seta a righe, della corda, un martello, dei bastoncini e un numero imprecisato di strani oggetti di metallo lunghi e stretti.
«Se ci riescono i Babbani, perché non dovremmo riuscirci noi?» Disse l’uomo fiducioso, mentre raccoglieva i propri capelli in una coda  di cavallo. «Costruiremo la nostra tenda da soli.»
«Voglio proprio vederti.» Mormorò Narcissa, spostandosi a lato del loro spiazzo e incrociando le braccia, scettica.
Lucius aprì completamente la stoffa: era un rettangolo enorme, a righe nere e grigie; ci girò intorno quattro volte, prima di prendere alcuni bastoncini e osservarli. Erano allacciati tra loro da una corda elastica.
«Credo… dobbiamo unirli.» Disse al figlio, che lo osservava incuriosito.
«Unirli? Ne sei sicuro, papà?»
«Perché sarebbero collegati tra loro se non dovessimo unirli?»
«Oh, se avessimo ancora il nostro Elfo Domestico.» Disse Narcissa ad alta voce, cercando di farsi sentire dal marito. «Lui sì che saprebbe come fare. Ma qualcuno se l’è fatto scappare come un...»
«Ancora con questa storia?» La interruppe il marito. «Sai benissimo di chi è stata la colpa. E non farmi fare nomi, fuori da casa nostra.»
Narcissa cercò un punto in cui sedersi senza sporcare ulteriormente il proprio abito; optò per la roccia più pulita dello spiazzo.
«Continua, prego. Vediamo cosa sei capace di fare.»
Il marito non la calcolò, continuando a unire i bastoncini fino a farli diventare un’unica fila di circa quattro metri; poi ne prese altri, osservando il figlio che stava facendo lo stesso.
Alla fine, avevano steso per terra quattro lunghi bastoni e due più corti. Lucius si guardò intorno, cercando di capire com’erano strutturate le tende degli altri maghi.
«Sbrigati. Devo andare al gabinetto.» Gli disse la moglie dalla roccia, con le braccia incrociate e le gambe accavallate.
«Ce n’è uno laggiù, señora!» Si intromise un mago dall’accento spagnolo, indicando un punto imprecisato alla destra di Narcissa; lei si alzò, si sistemò le pieghe della gonna e sospirò, stizzita.
«Se mi vedesse adesso mia sorella…!»
«Quale? Quella ad Azkaban o quella sposata con un Sanguemarcio?»
«Stanno sicuramente entrambe meglio di me!»
Per il campeggio sembrava regnare l’anarchia: bambini che facevano gare su delle scope giocattolo; gruppi di ragazzi con i rasta che suonavano la chitarra e fumavano dal narghilè; gente strana da ogni parte del mondo; Narcissa si chiese come aveva fatto suo marito a convincerla ad andare alla Coppa del Mondo di Quidditch. Avrebbero potuto andarci solo lui e Draco, mentre lei sarebbe stata a casa a cercare disperatamente un altro Elfo Domestico bravo come Dobby, invece di mandarli via a calci perché non erano abbastanza servizievoli.
I suoi capelli ormai avevano perso l’acconciatura, gonfi com’erano diventati; la donna non vedeva l’ora di tornare a casa e buttarsi nella vasca da bagno per tirare via tutto quel fango, dopo aver bruciato il suo bell’abito, ovviamente.
Quando si ritrovò davanti a un’altra casetta con il disegno di una donna stilizzata, Narcissa capì di essere arrivata; le sembrò di essere tornata a scuola: c’era un gruppo di ragazze americane che si stava truccando, parlando di quanto sarebbe piaciuto loro conquistare un ragazzo di Hogwarts o di Beauxbatons, perché quelli di Ilvermorny erano noiosi. La donna le osservò con disgusto, immaginando ciascuna di loro insieme a suo figlio; no, assolutamente no.
I cubicoli erano minuscoli e sporchi; se non ne avesse avuto bisogno urgente, appena entrata lì dentro sarebbe corsa fuori. Invece, si sollevò il vestito ormai nero.
Al suo ritorno, lo spiazzo era circondato da uomini che stavano osservando i movimenti di Lucius, dando suggerimenti di dubbia utilità.
«Devi infilare i bastoncini nella stoffa!»
«Cosa stai dicendo? I bastoncini vanno fuori, così fai anche un bel pergolato!»
Narcissa tornò alla propria roccia: da lì notò che il marito stava seguendo il consiglio di uno di loro e stava cercando disperatamente di infilare i bastoni nella stoffa cercando di non farli spezzare, altrimenti avrebbe dovuto cominciare tutto da capo; Draco, nel frattempo, arrotolava la seta per far faticare meno il padre. Narcissa scosse la testa: in quella maniera, avrebbero avuto la tenda più stropicciata di tutti, come i poveracci.
Passarono ore; il cielo si scurì; la folla che circondava Lucius si diradò, mentre il marito e il figlio terminavano di infilare i bastoni e sollevavano il loro lavoro: era una tenda alta quattro metri.
«È pronta, finalmente!» Disse la donna, sollevandosi dalla roccia; le facevano male le natiche.
«In realtà, no. Dobbiamo fissarla al terreno.»
«…stai scherzando!»
«Non vorrai mica che voli via durante la notte.»
«Papà, io però ho fame.» Li interruppe Draco. «Non possiamo mangiare, prima?»
Narcissa si guardò intorno, chiedendosi se da quelle parti ci fosse un ristorante.
«Non possiamo, Draco. Prima dobbiamo finire, poi possiamo metterci ai fornelli; è tutto dentro.»
«Devo anche cucinare? Non basta che lo faccia a casa tra un Elfo Domestico e l’altro?»
«Andiamo, Cissy! Sarà divertente.»
Lucius cominciò a dare martellate agli oggetti di metallo lunghi e stretti; ogni minuto, però, si colpiva le dita, causando suoni di dolore che facevano girare le persone intorno a loro. Narcissa alzò gli occhi al cielo, stanca e affamata, quando sentì una goccia sul naso: stava cominciando a piovere. La donna udì il marito imprecare, mentre Draco lo osservava cercando di capire cosa fare: voleva aiutarlo, ma Lucius continuava ad allontanarlo sostenendo che lo stesse intralciando nel suo lavoro.
Con un colpo di bacchetta, Narcissa aprì l’ombrello: ormai il suo bel vestito era rovinato e i suoi capelli avevano perso l’acconciatura, ma la donna voleva mantenere la propria dignità.
«Papà, sono stanco.» Si lamentava il figlio, ormai stremato.
«Non manca molto, Dra…ahia!» Disse, mentre si colpiva ancora il dito con il martello. «Tra poco ci scalderemo qui dentro.»
La tenda sembrava un palazzo babbano, lungo e stretto; Narcissa non vedeva l’ora di entrarvi, buttarsi nella vasca da bagno e rilassarsi. Alla cena avrebbe potuto pensare Lucius: era colpa sua, del resto, se erano rimasti fuori al freddo per tutte quelle ore.
Dopo avere urlato ancora una volta per il dolore, il marito si alzò in piedi, mettendosi le mani sui fianchi: il suo lavoro era terminato e, soddisfatto, aprì la cerniera della tenda.
«Vieni, Cissy! Guarda com’è bella.»
La donna lo raggiunse, osservando ogni piega della tenda e desiderando di fare un incantesimo per stirare tutto; Draco tremava, infreddolito e bagnato. Sua madre lo abbracciò. Lucius, nel frattempo, trafficò ancora con la valigetta; imprecò a bassa voce, quando da essa uscirono Rohese e Bate, i pavoni più belli che vivevano nel giardino di Villa Malfoy.
«Hai portato i pavoni?» Gli chiese la moglie, scandalizzata.
«Rendono particolare l’ambiente.» Le rispose, legandoli all’ingresso della tenda. «Mi dispiaceva lasciarli a casa, sai che ci sono affezionati.»
Narcissa sbuffò, mettendo per la prima volta piede dentro alla tenda: era più grande di quanto immaginasse, con una scala che portava al piano superiore: lì, sicuramente, avrebbe trovato la vasca da bagno. Prese la bacchetta, accese il fuoco e asciugò gli abiti del figlio, che si sedette sull’enorme tappeto cercando di scaldarsi le ossa. Quell’orribile giornata era finita.
Lucius li seguì poco dopo: nonostante fosse soddisfatto per essere riuscito nel proprio intento, lo scontento della moglie lo rendeva nervoso; forse, una piccola riunione con gli amici dopo la partita, l’avrebbe aiutato a calmarsi.

 

 
   
 
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