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Autore: Athelye    08/12/2016    5 recensioni
La prima volta, Jim entrò nella camera del figlio dopo essere tornati ormai da qualche giorno dalle vacanze estive, e lo trovò in compagnia di un suo nuovo amico, tale John Lennon, il leader di una di quelle band strane e troppo moderne per i suoi gusti, in cui il figlio era entrato poco prima di partire.
Non gli ispirava fiducia, ma proprio per niente, nonostante si fosse presentato educatamente, però suo figlio sembrava contento, e se era contento Paul andava bene così.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Lennon, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La prima volta, Jim entrò nella camera del figlio dopo essere tornati ormai da qualche giorno dalle vacanze estive, e lo trovò in compagnia di un suo nuovo amico, tale John Lennon, il leader di una di quelle band strane e troppo moderne per i suoi gusti, in cui il figlio era entrato poco prima di partire.
Erano uno di fronte all’altro, chitarra in mano. Il ragazzo aveva l’aria di un piantagrane, giacca di pelle abbandonata sul letto, brillantina fra i capelli ramati, l’odore di fumo addosso che si sentiva dalle scale.
Non gli ispirava fiducia, ma proprio per niente, nonostante si fosse presentato educatamente, però suo figlio sembrava contento, e se era contento Paul andava bene così. Si meritava di essere felice di nuovo, dopo il lutto recente, che gli aveva consumato tutte le lacrime.
 
La seconda volta, Jim entrò in camera di Paul e trovò i due ragazzi seduti vicini sul letto, chini sulle loro chitarre, a scambiarsi timidi sorrisi e sguardi furtivi come se dovessero scoppiare a ridere da un momento all’altro. Si chiese perché i fogli e le penne fossero sparpagliati a terra, come se fossero caduti in seguito a una rissa.
Il figlio gli chiese se aveva bisogno di qualcosa, mordendosi il labbro per trattenere un risolino, mentre il suo amico si guardava intorno mordendosi l’interno delle guance.
Ma Jim, il motivo per cui era lì, se l’era dimenticato, quindi li salutò, e quando chiuse la porta li sentì ridacchiare e parlare a bassa voce. Scosse la testa, ragazzi.
 
La terza volta era una sera, e Paul per la prima volta aveva invitato John a dormire lì, chiaramente dopo aver chiesto a suo padre e dopo aver insistito tanto, perché dopotutto c’era solo un letto in camera sua. Alla fine l’uomo aveva ceduto, vista l’insistenza del figlio, ma si era guadagnato un bellissimo sorriso da parte sua.
Quando Jim aprì la porta della camera i due si stavano cambiando, ridacchiando maliziosi. Erano passati ormai un paio di mesi da quando si erano conosciuti e adesso anche Paul sapeva di fumo e aveva un po’ di brillantina nei capelli. Quel Lennon ha una brutta influenza su di lui, pensò Jim prima di augurargli la buona notte, poi chiudendo la porta scorse con la coda dell’occhio i due che si avvicinavano, sorridendosi.
 
La quarta volta era una notte, Jim era appena tornato dal lavoro ed era più che altro curioso di vedere se il figlio e quello scapestrato del suo amico stessero già dormendo. Non era certo la prima volta che dormivano insieme, e anche Paul era andato spesso a dormire da John. Tornavano quasi sempre tardi, dopo i loro concertini nei locali della zona o dopo le uscite con la band, e quasi sempre dire che erano “brilli” sarebbe stato un eufemismo. Una sera a Jim era persino sembrato che si stessero tenendo per mano.
E anche quella sera dovevano essere tornati a casa stanchi morti e ubriachi fradici dopo una delle loro serate, perché erano profondamente addormentati, abbracciati stretti sotto le coperte, mentre la testa corvina del figlio era abbandonata contro il petto di quell’irresponsabile del suo amico.
Ma la mattina dopo gliene avrebbe cantate quattro, oh se l’avrebbe fatto, non voleva certo che il suo Paul diventasse uno di quegli alcolizzati alla sua giovane età!
 
La quinta volta era un pomeriggio che poteva sembrare come un altro. Jim aveva aperto con discrezione la porta, sentendo solo silenzio dall’altro lato, ma la richiuse quasi subito, dopo aver visto il viso di John rigato dalle lacrime e Paul che lo teneva fra le mani vicino al suo, cercando di sorridergli teneramente.
John Lennon non gli piaceva, proprio per niente. Ma qualsiasi cosa potesse aver fatto quel ragazzo, non si meritava certo questo, e nessuno meglio di un McCartney poteva saperlo.
Quando scese in cucina, chiese anche a Michael di non andare a disturbare di sopra il fratello, pensando che non ci fosse persona migliore per consolare quel dolore.
 
La sesta volta aveva aperto sovrappensiero la porta, solo per chiamarli a cena, e aveva visto Paul fare un salto indietro, mentre l’altro si morse il labbro con un sorriso imbarazzato. Paul, decisamente rosso in viso, liquidò l’uomo con un “Sì, sì, ora scendiamo”, sorridendo a sua volta scioccamente e senza staccare gli occhi dallo sguardo divertito dell’altro, che teneva le mani in tasca per nascondere la fibbia slacciata della sua cintura.
Jim pensò che fossero davvero strani, ma dopotutto erano giovani e spensierati, chissà.
 
La settima e l’ottava volta li trovò abbracciati in cucina, mentre preparavano la colazione, assorti dalla musica che proveniva dalla radio, facendo finta ogni tanto di ballare su quelle note di cui probabilmente prendevano appunto mentalmente per qualche nuova canzone da suonare per quei quattro soldi che gli davano.
Ed entrambe le volte Jim pensò di lasciarli divertire, salutandoli semplicemente ad alta voce dalla porta mentre usciva per non disturbarli. Magari un giorno avrebbe anche ringraziato quella vecchia radio, per aver fornito qualche idea di successo a suo figlio.
 
La nona volta li vide appoggiati al muro di un vicolo vicino a casa, dopo essere uscito per caso per buttare la spazzatura mentre li aspettava. Erano uno di fronte all’altro, con il viso a palmo di distanza. Paul era schiacciato contro il muro mentre l’altro lo sovrastava tenendolo inchiodato lì.
Pensò che stessero per prendersi a pugni, ed era già pronto a correre da loro per intervenire e separarli, quando notò che si stavano sorridendo, e che Paul non aveva afferrato John per il colletto per minacciarlo o per difesa, ma sembrava piuttosto che ci si fosse in qualche modo aggrappato.
Pensò di aver avuto un’allucinazione e si girò per tornare in casa, ancora con i sacchetti in mano. Probabilmente sarebbe dovuto uscire di nuovo per buttarli più tardi.
 
La decima volta era tornato a casa prima dal lavoro. Sapeva che Mike era a dormire da un suo amico, e quindi Paul era a casa da solo, anche se quello gli aveva accennato al fatto che sarebbe tornato a casa con John, o che comunque sarebbe stato in sua compagnia.
Salendo le scale sentì dei gemiti provenire dalla camera del figlio, ma se in un primo momento pensò che stesse piangendo e fece come per accelerare la salita, poi distinse la sua voce che chiamava dolcemente John.
E allora capì che quella volta non era il caso di dire o pensare niente.
Così uscì in silenzio e andò al bar più vicino.
Aveva decisamente bisogno di un bicchiere.
 
Le volte successive, Jim smise di farsi domande. Non si era mai chiesto dove avesse sbagliato come padre quando li trovava troppo vicini, addormentati stretti, abbracciati davanti ai fornelli, o a sorridersi persi l’uno negli occhi dell’altro. Si chiedeva solo perché proprio quel disgraziato ribelle, fra tutti i bravi ragazzi che poteva trovarsi a Liverpool.
Diamine, eppure suo figlio era anche un bel ragazzo, possibile che non avesse qualcuno un po’ più responsabile da frequentare?
Ma il perché lo capì con gli anni.
C’erano sempre l’uno per l’altro, in qualsiasi situazione, anche quando John aveva detto quella cosa di Cristo e n’era saltato fuori uno scandalo mondiale, e anche quando Paul era stato tartassato dai giornalisti riguardo alla questione dell’LSD, ed era stato sull’orlo di una crisi.
Forse per questo negli anni dei litigi e degli avvocati, in cui non parlavano tra loro se non per accaparrarsi dei diritti, soffrì e si dispiacque anche lui per le cattiverie che si lanciavano a colpi di canzoni e di album.
Forse per questo tirò un sospiro di sollievo quando seppe che avevano ricominciato a parlarsi e a essere in buoni rapporti, nonostante fossero così lontani da essere separati addirittura da un oceano.
Forse per questo l’ultima volta inviò dei fiori a Paul.
In fondo, chi meglio di lui poteva conoscere il dolore di perdere la persona che più si ama?









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Note dell'Autrice

Zalve.
Non ho molto da dire riguardo alla ciofeca qui sopra, se non che mi sono presa la licenza poetica di far vivere il vecchio Jim un po' più di quanto non abbia fatto.
L'idea mi è venuta tipo due mesi fa, ero in piena crisi malinconico-esistenziale, e per sfogarmi un po' ho preso la matita in mano, e questo è il risultato.
Ah, non chiedetemi "volte di cosa?" perché non ne ho idea. Ho solo scritto per volere della Musa.
Eeee niente, tutto qui. Il mio pensiero di oggi va al povero Paulie, che di persone care ne ha perse davvero troppe.
Fatemi sapere che ne pensate se vi va, e come al solito ringrazio la mia adorata beta, che pensa che questo sia un capolavoro (MAH) e che se non lo pubblico mi strangola. Ti voglio bene, btw.
Via, un bacissimo a tutti!
Bye,

Athelyè ~♥
   
 
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