NB: nel corso del racconto si farà accenno a fatti che meriterebbero certo una trattazione più completa e adeguata ma in questo caso ci si è limitati a descriverne solo alcuni che hanno direttamente a che fare con la storia raccontata mentre per gli altri, che pure rappresentano uno schema cronologico di riferimento, quasi l'ossatura che lega assieme i fatti narrati, ci si è limitati ad una descrizione superficiale.
I calici dell'imperatore
Capitolo 1^
Tobias Mayer, nacque in Austria nel 1898 a Weidling,
all'epoca solo alcune case sparse nella campagna, nella zona chiamata
Klosterneuburg, a circa 20 chilometri a nordovest da Vienna, a ridosso della
riva occidentale del Danubio. Di famiglia contadina, terzo di quattro figli, mal
sopportava la sua modesta condizione. La vicinanza con Vienna ed i racconti
circa la vita che si conduceva in città, lo portavano a desiderare una
esistenza diversa, con migliori occasioni e con tante speranze. I due fratelli
maschi, Frank, il più grande e Hans, di un anno più grande di lui, invece, sembravano
aver ereditato dal padre l'attaccamento alla terra e all'agricoltura. La sorella
Julia, la più piccola, anche lei parlava sempre di sposare un bravo giovane e
di mettere su una bella famiglia, come la loro. Allo scoppio della prima guerra
mondiale, in parte per fuggire alla sua condizione, in parte infiammato dalla
intensa propaganda che parlava di onore, gloria e vittoria, mentendo circa la
sua vera età, nel luglio del 1914, Tobias si arruolò. In quel periodo l'esercito
austro-ungarico combatteva su due fronti. Mentre una gran parte delle forze
erano impegnate in Galizia per fronteggiare l'esercito russo, un altro
contingente aveva iniziato l'invasione della Serbia il 12 agosto del 1914. Dopo
un brevissimo periodo di addestramento, Tobias venne inviato assieme ai suoi
commilitoni sul fronte serbo. L'esercito serbo, non certo in grado di competere
con quello austro-ungarico, almeno sulla carta, oppose inaspettatamente una
resistenza estrema, tanto da far vacillare le certezze dei generali austriaci.
Fu così che Tobias, al fronte, prese contatto subito con la tremenda realtà che
lo attendeva. Conobbe presto l'orrore dei combattimenti, della trincea, del
campo di battaglia, con la crudeltà e la bestialità della battaglia all'ultimo
sangue. Dovette imparare ad usare bene ed in fretta il suo fucile Mannlicher
Gewehr M1895, un'arma calibro 8 mm, micidiale se opportunamente usata. Per sua
fortuna strinse presto amicizia con i suoi commilitoni, in particolare con un
ragazzo un po' più grande di lui, Lukas Heder che, da civile, si occupava con
tutta la sua famiglia di viticultura nella zona di Stokerau, a nord del Danubio.
Inoltre il suo plotone era affidato ad un anziano sottufficiale, il sergente
Beker, robusto come una quercia e di poche parole che, però, sapeva il fatto
suo e comandava gli uomini a lui affidati con severità ma anche con giustizia e
con equità. Dopo una serie di tremendi scontri, gli Austriaci riuscirono
finalmente a conquistare Belgrado non senza pagare un pesante tributo in vite
umane. Nell'ultima fase della battaglia Tobias fu costretto a vivere, per la
prima volta, la tremenda esperienza dell'assalto alla baionetta. Come tanti
altri suoi compagni, si chiese fino all'ultimo se sarebbe stato capace di
assalire con quel mezzo un altro essere umano. Un conto era sparargli a
distanza, esperienza di per sè già abbastanza terribile, un conto era infilzare
un nemico faccia a faccia con la tremenda alternativa dell'essere infilzato a
propria volta. Alla fine, nel momento della verità, dalla paura e dalla rabbia
scaturì una ferocia che trasformò tutti gli uomini in mostri sanguinari, dediti
solo a uccidersi nei modi più spietati e selvaggi, a volte infierendo sulle
vittime, senza più controllo. Durante quel macello Tobias si trovò a combattere
letteralmente per la sua vita a fianco del sergente Becker. Ognuno badava a sè
e all'altro. Quando Tobias, appena scartato un colpo di baionetta da parte di
un avversario, finì sulla traiettoria della lama vibrata da un gigante
dall'aspetto spietato, capì che per lui era finita. Non c'era più nulla da fare
ed egli sentì già la lama che gli entrava nel petto quando, invece, si sentì
spingere violentemente da una parte e udì un grido tremendo vicino a lui. Il
sergente era intervenuto appena in tempo per salvargli la vita e il gigante era
a terra in un lago di sangue. Non ci fu tempo per ringraziare o altro perchè la
battaglia non dava tregua. Tra le urla bestiali dei combattenti o dei feriti,
Tobias trovò più volte il modo di rendere al sergente il favore ma alla fine,
persero tutti il conto e la misura di quello che stava accadendo. E poi,
d'improvviso, calò il silenzio. Tutto era finito. Al termine del terribile
scontro, vinto dagli Austriaci, gli uomini superstiti, sfiniti, restarono per
un lungo tempo a guardare il campo di battaglia quasi increduli di essere stati
loro a generare quella carneficina, alcuni rifiutando quello che era stato e,
la maggioranza, accettando con fatalismo quello che erano diventati, sapendo che da quel giorno
avrebbero dovuto convivere con il ricordo di quel momento. Restarono là a contemplare
in silenzio quel massacro, con la mente vuota, per cercare di recuperare in
qualche modo un briciolo di umanità senza rischiare la follia. Furono
richiamati alla realtà dalle urla di un ufficiale e del sergente che,
conoscendo il fenomeno, li obbligarono a pensare ad altro assegnando loro dei
compiti faticosi, impegnativi e ingrati. E' un fatto che, dopo quel giorno,
comunque, non potevano più essere le stesse persone che avevano lasciato le
loro case all'inizio della guerra. Non sapevano che in seguito ne avrebbero
viste ben altre. La città di Belgrado venne pesantemente devastata dalla
battaglia. Tobias ed i suoi compagni alla fine dei combattimenti, trovarono
riparo fra le rovine di una vasta villa nei quartieri a sud della città. Per
rifugiarsi con maggior sicurezza, scesero nelle cantine rimaste intatte dopo i
bombardamenti. Lì trovarono un vero tesoro di bottiglie di vino, lasciate
certamente dai proprietari fuggiti davanti alla guerra. Ordinate nei loro
ripiani, c'erano migliaia di bottiglie di vino divise per annate, per tipo, per
gradazione e colore. Dopo un periodo in cui gli uomini rimasero in religioso
silenzio, colpiti da quell'immagine così particolare, e non riuscendo quasi a
credere ai loro occhi, rompendo gli indugi corsero a prendere ciò che gli
capitava sottomano e a bere di tutto, ringraziando la fortuna che li aveva
portati in quel posto incredibile. Era come se dopo le terribili esperienze
della battaglia, qualcuno li avesse voluti ricompensare con quel ritrovamento
straordinario. Ridevano, urlavano e tracannavano di tutto, spesso rompendo
semplicemente il collo delle bottiglie per risparmiare tempo. L'ufficiale che
era con loro non ebbe il coraggio di fermarli e li lasciò fare, seppure
mantenendo le distanze. Tobias fece per seguire il gruppo e buttarsi nella
mischia, quando si sentì invece trattenere per la giacca. Voltatosi di scatto
si accorse che era stato il suo amico Lukas, con una strana luce negli occhi
che lo aveva trattenuto in modo così brusco. "Lasciami, che fai?" -
gli chiese scrollando il braccio nel tentativo di liberarsi. "Sta fermo -
gli disse invece l'altro - fidati di me, abbiamo la possibilità di fare una
cosa che forse non potremo fare mai più. Non permettiamo alla guerra di
rovinarci questo momento". Tobias, molto tentato di unirsi agli altri, con
la paura infondata che si scolassero tutte le bottiglie senza di lui, notando
lo strano sguardo negli occhi del suo amico, decise di fidarsi. Lukas guidò il suo compagno, a fare una sorta di
giro fra gli scaffali ignorando un intero reparto di bottiglie di champagne che,
secondo il suo punto di vista, almeno lì dentro, erano ciò che valeva di meno.
Prese un vecchio cesto che trovò a terra
e iniziò a prelevare delle bottiglie particolari via via che le trovava negli
scaffali, dicendo che gli avrebbe fatto assaggiare qualcosa di speciale. Quando ne recuperate una decina, si sedettero
su due casse in fondo alla cantina, dove c'era un pò più di tranquillità.
Usarono una terza cassa come tavolino. Lukas aprì con attenzione la prima
bottiglia e ne versò nel gavettino di Tobias che cominciava ad essere un poco
impaziente, una generosa dose. "Ecco, ora bevi questo e dimmi cosa ne
pensi, dimmi se non valeva la pena di aspettare". L'altro bevve a lunghi
sorsi quel liquido rosso che gli scese con grande facilità in gola. Il sapore
lo sorprese, effettivamente. Dapprima piacevolmente dolce e poi speziato con
sentore di frutta e fiori, tutto in successione e solo infine si avvertiva che
era anche piuttosto forte. Un ottimo vino rosso. "Allora, che ne
dici?"."Eccezionale, dammene ancora!"."Eh no, ubriacone!
Hai appena assaggiato un vino serbo leggendario, il Tamianka rosso. Ora bevi
quello bianco e dimmi cosa ne pensi." E prese a stappare un'altra
bottiglia di quelle selezionate mentre Tobias porgeva impaziente il suo
gavettino. Anche questo, riempito, fu presto vuotato, lasciando di nuovo una
miriade di sensazioni sul palato del ragazzo. E poi un altro assaggio, e poi un
altro ancora. Incredibile. Provò il Prokovac, un rosso chiaro eccezionale,
l'incredibile Smoderewka, dal particolare colore verde giallo, dal sapore
soave, il formidabile Kadarka, bianco aromatico, forse fra tutti il migliore.
Lukas gli fece assaggiare con competenza tutti i migliori vini della Serbia
presenti in quella cantina. Accompagnarono gli assaggi con del pane, forse un
poco raffermo e le fette di una salama che avevano trovato appesa su un lato
della cantina accanto ad altri salumi. Alla fine Tobias ebbe, almeno per un
po', la sensazione di trovarsi con il suo amico in qualche cantina del suo
villaggio, mentre beveva del vino e parlava del più e del meno. Non sentiva più
i rumori della guerra, gli schiamazzi dei suoi commilitoni, ormai quasi tutti
piuttosto ubriachi, dimenticò la sua uniforme strappata e sporca di fango e del
sangue di chissà chi, e cercò di far durare quella sensazione il più a lungo
possibile. Immaginò quella villa come doveva essere stata in tempo di pace,
provò a pensare ai proprietari, a una festa per la quale scegliere le bottiglie che aveva preso Lukas. Fu
proprio il suo amico che lo richiamò alla realtà. "Hai assaggiato i
migliori vini prodotti in Serbia e ti assicuro che erano anche di ottimi
produttori. Un vino come questo deve essere rispettato, non bevuto come hanno
fatto loro" - e indicò col pollice i loro commilitoni che ancora stavano
scolandosi tutto quello che gli capitava sottomano - "Questo, è il
risultato del lavoro attento e faticoso di persone che hanno dedicato pazienza,
energia e cura, spesso per anni. Per raggiungere questi risultati e questi
livelli ci sono voluti esperienza e impegno. Io lo so bene perchè mio padre e
mio nonno prima di lui ci hanno dedicato tutta la vita a selezionare vitigni, a
tentare nuovi innesti, a cercare sempre una qualità
superiore"."Lukas, hai ragione e ti ringrazio per questa esperienza
fantastica, ma noi facciamo una vita assurda ed terribile e sai bene che
nessuno di noi è sicuro di arrivare vivo al giorno seguente. Quanti compagni
abbiamo visto morire. Li puoi biasimare se hanno cercato di scordare almeno per
un po' dove si trovano e cosa stanno facendo? Qualsiasi cosa per dimenticare
questa tragedia che stiamo vivendo". L'episodio della cantina fu presto
dimenticato perchè l'esercito serbo, non potendo accettare di aver lasciato la
città nelle mani del nemico, impegnò gli Austriaci in pesanti combattimenti e
alla fine, il 15/12/1914, la città fu perduta. Una serie di aspri combattimenti
riportò la situazione a quella prebellica. Era stato tutto inutile. Ma
l'esercito austriaco aveva sofferto la perdita di 227.000 uomini e una ingente
quantità di materiale bellico era finito nelle mani dei Serbi che da parte loro
avevano perduto 170.000 soldati e in più circa 150.000 civili per una epidemia
di febbre tifoide che era esplosa nel corso della guerra. Tobias però non aveva
dimenticato l'esperienza della cantina e aveva capito che il suo compagno era
veramente competente. Di norma l'agricoltura non lo aveva mai affascinato ma
quell'esperienza lo aveva molto interessato. Aveva cominciato a interrogare Lukas
circa i processi, le tecniche ed i metodi. Lukas era un po' sorpreso
dell'ignoranza del suo compagno in merito a quella questione, specialmente
visto che la tradizione vinicola era proprio della sua zona d'origine e tenendo
presente che la prima scuola di enologia era stata fondata proprio a
Klosterneuburg nel 1860. Quello era diventato l'argomento di conversazione
preferito per loro. Nelle pause dei tremendi combattimenti, cercando di pensare
a qualcosa di bello e di diverso e alle cose della casa lontana. Lukas illustrò
a Tobias tutti i segreti della coltivazione della vite, gli raccontò della
storia dei diversi vitigni, delle loro caratteristiche, dei metodi di
vinificazione per ogni diverso vino. Gli parlava del vitigno Gruner Veltriner
che dava un vino giovane, bianco, dal sapore speziato che si beveva non
invecchiato. Gli parlava del Riesling Sylvaner, chiamato anche Muller Turgau,
che dava un vino fresco, con leggero gusto di noce moscata, che si beve
l'estate. E poi, i rossi. Il Blaufrankish, forte e asciutto o del
Beerenauslese, dolce e saporito. Durante quelle interminabili conversazioni,
progettarono di mettersi in società alla fine della guerra e di produrre in
breve tempo il miglior vino di tutta l'Austria. I compagni, a forza di sentirli
parlare sempre dello stesso argomento, li avevano soprannominati 'i gemelli del
vino'. Una volta, durante una pausa nei combattimenti, Lukas disse che il loro
vino sarebbe stato talmente buono da meritare di essere bevuto nei 'calici
dell'imperatore'. Tobias non capì subito di cosa stesse parlando il suo
commilitone. Pensò che il loro vino sarebbe stato degno della mensa
dell'imperatore Francesco Giuseppe. Solo in un secondo momento apprese che il
suo amico si riferiva invece ad una antichissima leggenda che si raccontava nel
suo paese. Lukas gliela accennò per sommi capi ma alla fine fu un loro
commilitone, che chiamavano il 'professore', che raccontò, con dovizia di
particolari, tutta la storia o, almeno, la parte che se ne conosceva. Il
'professore', nella vita civile, era effettivamente un insegnante di storia e
filosofia al ginnasio. Era uno spilungone goffo e impacciato, con un paio di
occhiali con lenti molto spesse, aveva 41 anni e l'andamento della guerra lo
aveva strappato alla sua casa, alla sua famiglia e al suo lavoro. Forse per
questo era sempre triste e silenzioso. Solo quando aveva occasione di parlare
con qualcuno della sua materia, si riprendeva e quasi si entusiasmava
nell'esporre i fatti, come se, invece di trovarsi in una trincea in mezzo al
fango e con uomini come lui, infreddoliti e spesso malnutriti, si fosse trovato
ancora nella sua aula davanti a i suoi studenti. D'altronde anche i suoi
commilitoni, nella trincea che si trovavano a condividere, gradivano spesso
ascoltare delle storie che potevano far galoppare la loro fantasia ben lontano
dai luoghi nei quali si trovavano, illudendoli di essere, almeno per pochi
momenti, ben lontani da lì. Molti di loro erano nelle stesse condizioni del
'professore'. Un'età non proprio adatta a fare il soldato, chi troppo giovane e
chi troppo maturo, vestendo la divisa ma con la mente ancora troppo ancorata
alla vita civile che avevano dovuto lasciare a causa del non buon andamento
degli eventi bellici. Così una sera, approfittando del fatto che i cannoni
tacevano dopo un bombardamento intenso, che era durato tutto il giorno, si
trovarono attorno ad un modesto focherello sul fondo di una trincea il
Professore, Tobias, Lukas e pochi altri. Il professore, consumata assieme altri
la scarsa cena, seduto su una cassa vuota di munizioni, con la punta della
baionetta tracciava dei segni sul pavimento della trincea mentre gli altri
stavano molto attenti ad ascoltarlo. "La prima cosa che vorrei dire è che
i calici dell'imperatore esistono o almeno sono esistiti veramente. Anche se
ora in realtà nessuno sa che fine abbiano fatto, almeno fino al 390 d.C. ci sono chiare testimonianze circa la loro
esistenza e la loro collocazione. L'altra cosa importante è che, malgrado la
loro storia sia legata essenzialmente all'Impero Romano, essi sono stati realizzati proprio in
Austria, in un posto vicino a Vienna. Ma ora veniamo ai fatti. Verso la fine
del II^ secolo d.C, l'Impero Romano, per garantire le sue frontiere
settentrionali, aveva conquistato tutto il territorio a sud del Danubio. Tutta
questa zona - e indicava il disegno che andava via via tracciando al suolo e che
avrebbe dovuto corrispondere grossomodo alla forma dell'Austria - venne divisa
essenzialmente in tre aree chiamate Raetia a ovest, l'odierna Baviera, una
centrale, chiamata Noricum ed una orientale, più piccola, chiamata Pannonia. Al
centro della Raetia sorgeva un grande accampamento fortificato romano chiamato
Castra Regina che oggi corrisponde alla città di Ratisbona. Nel Noricum c'erano
due principali insediamenti romani chiamati Lauricum, l'odierna Enns, che si
trovava a nord e nel centro, Iuvavum, l'odierna Salisburgo. In Pannonia,
invece, c'erano, nella parte nord-orientale, due insediamenti, uno, il più
importante, Carnuntum e l'altro, Vindobona, l'attuale Vienna, frequentato
specialmente per la sua vicinanza alle terme romane di Baden, poste a circa 20
chilometri a sud. In realtà era Carnuntum il più importante centro della vita
sociale in tutta la zona, in parte per
la vicinanza con le terme, le Romentherme Baden, frequentate dalle persone più
in vista del posto e in parte per il ricco commercio che vi si svolgeva. In
particolar modo la località si trovava proprio sulla maggiore via di passaggio
dell'ambra che proveniva dai paesi del baltico. Per questo nella cittadella si
trovarono a vivere delle importanti famiglie di amministratori dell'impero di
alto grado e di ricchissimi commercianti. Nel 190 d.C., l'imperatore romano
Commodo nominò governatore della Pannonia, Settimio Severo che, per svolgere il
suo incarico, si trasferì appunto a Carnuntum con la sua bella moglie, una
donna siriana, di nome Giulia Domna e i due figli Caracalla e Geta. Il
31/12/192 d.C. l'imperatore Commodo venne assassinato in seguito ad una
congiura ordita dai senatori con la complicità della sua concubina Marcia. Essi
elessero subito come successore il console Publio Elvio Pertinace che era anche
prefetto della guardia pretoriana. Fu proprio quest'ultima, invece, delusa dal
comportamento di Pertinace a ribellarsi ed ad ucciderlo dopo brevissimo tempo. Giunta
la notizia di questo tragico evento a Carnuntum, le truppe fedeli a Settimio Severo
lo elessero imperatore. Questi accettò, se non altro per cercare di riportare
l'ordine nell'Impero. Le famiglie più in vista che egli aveva frequentato nel
corso del suo mandato di governatore, vollero rendere omaggio al nuovo
imperatore, con regali importanti. Una, in particolare quella di Oreste
Albinio, che aveva costruito una fortuna sul commercio dell'ambra e che aveva
sempre avuto ottimi rapporti col novello imperatore, presentò un dono
costituito da un largo vassoio in oro 24 carati, come era l'oro degli antichi
Romani, tutto cesellato con fantastiche incisioni e da due calici con la coppa
in ambra finissima, con i bordi, gli steli e le ampie basi circolari, in oro
tempestato di perle, smeraldi e rubini. Un dono bellissimo e veramente prezioso
che Settimio Severo apprezzò moltissimo e dal quale non si separò mai". Il
racconto del professore quella sera terminò bruscamente con le urla del
sergente Beker che arrivò come un forsennato, disperdendo i tizzoni del fuoco a
calci. Urlava, chiedendo se erano pazzi ad accendere un fuoco, indicando la
loro posizione al nemico. Pensavano che non ne fossero morti abbastanza, di
bravi ragazzi? Vergognosi, gli uomini si alzarono e si allontanarono ammettendo
che il sergente aveva ragione. Ma il fatto era che quel racconto per un po' era
servito a farli sentire altrove, al sicuro, magari all'osteria del loro paese. Così
gli uomini che avevano ascoltato la storia del Professore, cercarono di dormire
un poco, portando ancora nelle loro menti le immagini di ricche famiglie
romane, calici di ambra, terme lussuose e intrighi di palazzo. Intanto il piano
di Tobias e Lukas, continuava a svilupparsi e a prendere forma sempre più
concreta. Arrivarono persino a disegnare le etichette che avrebbero applicato
sulle bottiglie dei loro primi prodotti. Purtroppo il tempo trascorreva veloce
mentre la guerra consumava migliaia e migliaia di vite. In quel periodo, con
grande apprensione, egli ricevette una lettera del padre nella quale questi gli
comunicava che anche i suoi due fratelli Frank e Hans erano stati arruolati ed
ora, dopo un brevissimo addestramento erano stati mandati al fronte. Tobias si
preoccupò moltissimo per questa notizia. Sapeva infatti che in battaglia i 'novellini'
erano quelli che rischiavano di più a causa della loro scarsissima esperienza.
Era molto dispiaciuto che ora, anche essi, sarebbero stati esposti alle
atrocità della guerra e si augurò in cuor suo che almeno gli capitasse qualche
superiore che tenesse conto della loro
scarsa esperienza evitando di esporre, nei limiti del possibile la loro unità a
rischi estremi. Alla fine di giugno del 1916, la sua compagnia venne inserita
nella 2^ armata del generale Fritz von Below e si trovarono a partecipare alla
difesa della Somme. Gli alleati avevano deciso di sferrare in quella zona un
attacco nel tentativo di alleggerire la pressione del nemico sulla città di
Verdun. Così il primo luglio iniziò un bombardamento sistematico delle linee
austriache che durò per nove giorni. Per fortuna di Tobias e del suo reparto, l'esercito
austriaco, avuto sentore degli eventi, si era preparato per tempo approntando
dei sicuri ricoveri dove attendere la fine dei bombardamenti. Alla fine di
questi, la fanteria inglese andò all'attacco trovandosi davanti un nemico forte
e determinato. Le linee, per quanto sconvolte da quella tempesta di fuoco,
avevano tenuto e gli Austriaci, al primo sentore dell'attacco vero e proprio
della fanteria britannica uscirono dai ripari. In particolare vennero
immediatamente messe in posizione le micidiali mitragliatrici Schwarzlose mod
1907/12 da 8 mm che, con la loro potenza di fuoco, falciavano letteralmente il
nemico che avanzava, secondo i tradizionali e antiquati schemi, a ranghi
compatti. I nastri delle armi che contenevano 250 cartucce, venivano terminati in
pochissimo tempo e i serventi dovevano sostituirli di continuo mentre le canne,
seppure raffreddate ad acqua, diventavano talmente roventi, da costringere gli addetti ad avvolgerle in stracci bagnati
per aumentarne il raffreddamento. Tobias, che come gli altri, sparava con la
sua arma, da un riparo, era contento di non essere un mitragliere per non dover
effettuare quella strage e anche perchè , dopo un momento di naturale sbandamento,
i Britannici cercarono in tutti i modi di mettere a tacere le
mitragliatrici con intense salve di
mortaio, seppure con scarsi risultati. In una sola giornata di battaglia, gli
alleati persero 20.000 uomini e altrettanti ne rimasero feriti. Gli attacchi
successivi non andarono per loro molto meglio. Poi con l'avanzare dell'autunno
e delle piogge, le azioni rallentarono perchè tutto era diventato un fangoso
acquitrino e muoversi in quell'inferno, era estrtemamente faticoso. Alla fine
di settembre, gli alleati, pur di ottenere un seppur minimo risultato, decisero
di gettare nella battaglia i loro primi carri armati. Erano in tutto 40 unità,
non collaudate adeguatamente, nè adeguatamente preparate meccanicamente.
All'inizio, riuscirono a mettere i fuga le truppe tedesche, con il tiro
micidiale delle loro mitragliatrici, invulnerabili al fuoco delle armi
portatili. Poi, purtroppo, iniziarono a guastarsi o ad impantanarsi. Solo sei
riuscirono a tornare indenni nelle loro linee. A metà di dicembre del 1916 arrivò
la notizia della morte dell'imperatore Francesco Giuseppe. Fra gli uomini si
sparse un clima di forte incertezza e qualcuno arrivò perfino a sperare che gli
eventi potessero evolvere in fretta verso una condizione di pace. Chi sarebbe
stato il successore e cosa sarebbe accaduto adesso? Effettivamente il
successore, il pronipote Karl Franz d'Asburgo Lorena D'Este che assunse il nome
di Carlo 1°, decisamente contrario per principio alla guerra, provò a saggiare
il terreno per un tentativo di conciliazione ma le condizioni poste da lui
stesso, impedirono di trovare un qualsivoglia accordo con i nemici e quindi la
guerra continuò. L'imperatore comunque cercò di opporsi all'uso di armi estreme
in battaglia quali ad esempio i gas, di qualsiasi genere fossero, e i
lanciafiamme. Nel settembre del 1918 ormai Tobias ed il suo amico ne avevano
viste e passate di tutti i colori. Inoltre non riceveva da un pezzo più notizie
della famiglia, come d'altronde tutti gli altri, e non aveva idea di cosa fosse
accaduto ai suoi due fratelli. Certamente, sia lui che il suo amico, non erano
più quei due ragazzi spensierati, partiti 4 anni prima da casa. L'esercito
austriaco era uscito dissanguato dai combattimenti. I feriti, data la carenza
di uomini, venivano mandati nelle retrovie e poi, appena possibile, rattoppati
alla meglio, venivano rispediti al fronte. Alcuni uomini non ce la facevano più
e si erano veduti diversi casi di autolesionismo molti dei quali puniti perfino
con la fucilazione. A volte, per i soldati, non era più chiaro chi fosse il
vero nemico. Per fortuna di Tobias e dei sui colleghi, c'era sempre il sergente
Beker che, pur con tutta la sua severità, riusciva sempre a trovare una via per
alleggerire le situazioni, sia dal punto di vista bellico, sia limitando spesso
delle iniziative degli ufficiali che a volte perdevano di vista la reale
situazione. Poi a metà del mese, le truppe statunitensi, entrate in guerra al
comando del generale John Pershing, inflissero agli austriaci una pesante
sconfitta a Sant Mihiel. Ad ottobre un altro durissimo colpo venne inferto
nell'offensiva della Mosa-Argonne dalle truppe franco-statunitensi. Alla fine
del mese le truppe riunite dei Britannici, Francesi e Belgi attaccarono il
fronte di Ypres sfondando la linea di difesa Hindemburg, costringendo il nemico
ad una frettolosa e disastrosa ritirata. L'unità di Tobias, forse perchè era
una delle poche formate da veterani esperti, rimase efficiente e in grado di
combattere. Fu utilizzata senza pietà e senza risparmio per tentare di arginare
l'avanzata inevitabile degli avversari. Una sera, con il morale a pezzi, Tobias,
desideroso di sentire qualcosa di diverso e che non riguardasse la situazione
terribile e drammatica che stavano vivendo, chiese ad un esausto 'professore',
pesantemente invecchiato, che ne era stato di quei famosi 'calici
dell'imperatore'. Il 'professore' sembrò riprendere vita. Si aggiustò meglio
sul naso i suoi occhiali rotti in due punti e tenuti assieme alla meglio da
mezzi di fortuna. Gli uomini attorno a lui si accostarono e si fecero attenti
alle sue parole. Qualsiasi cosa per lasciarsi trasportare via, almeno per un
pò, da quell'inferno. Dopo qualche istante, forse per raccogliere le idee,
forse per porsi mentalmente lontano da quel massacro che stavano vivendo, il
Professore iniziò a raccontare: "Quando Settimio Severo ebbe
opportunamente organizzato le cose in Pannonia, decise di tornare a Roma, per
prima cosa per vendicare la morte di Pertinace e anche per perfezionare e
rendere più sicura la sua nomina ad imperatore. La sera prima della partenza,
nel dicembre del 193, organizzò un grande ricevimento per salutare tutte le
famiglie amiche, durante la quale usò per il brindisi finale i calici che gli
erano stati regalati". "E poi cosa successe?" - chiese uno degli
uomini, quasi preoccupato che il racconto fosse già terminato. "Successe
che il nuovo imperatore, con tutto il suo bagaglio, compresi i famosi calici,
partì alla volta di Roma senza perdere tempo e fece bene perchè il senato aveva
già deciso di opporgli uno di loro, Didio Giuliano. Come se non bastasse, le
legioni della Siria avevano proclamato imperatore un loro generale, Pescennio
Nigro e invece quelle della Britannia avevano eletto Clodio Albino. Settimio
Severo, giunto a Roma, per prima cosa consolidò la sua posizione, togliendo
autorità al senato e poi si apprestò a combattere contro gli altri
pretendenti". "Ma c'è stato mai un momento in cui gli uomini non si
siano combattuti fra loro?" - chiese con voce disperata uno degli
ascoltatori di età più avanzata, di certo esausto per la vita che stavano
conducendo e per le pesanti conclusioni a cui era arrivato forse prima dei
commilitoni più giovani. "Beh, - riprese il 'professore' - effettivamente
la guerra durò dal 194 al 197. Alla fine però Settimio Severo aveva riunito
l'impero. Aveva anche consolidato il suo potere condannando a morte 29 senatori
a lui ostili. Da quel momento, grazie ad alcune iniziative opportune, quali
quella di concedere particolari favori all'esercito, oppure togliere autorità
al senato, il suo regno proseguì abbastanza tranquillo per diversi anni. Nel
203, in corrispondenza del decennale del suo regno, volle tornare con tutta la
famiglia nella sua città di origine, Leptis Magna nella zona della
Tripolitania, a circa 130 Km a ovest di Tripoli. Oggi è solo un paese di
pescatori ma all'epoca era una fiorente città che, sotto il controllo dei
Romani, aveva raggiunto un notevole livello di sviluppo. In realtà il viaggio
dell'Imperatore non fu proprio un viaggio di piacere o legato alla nostalgia
dei luoghi della sua infanzia. Gli erano giunte infatti delle preoccupanti
notizie relative alla scarsa affidabilità delle autorità locali, quindi aveva
voluto controllare di persona quale era la situazione politica e militare del
luogo. Preso atto con una certa preoccupazione, che effettivamente le voci
erano fondate e che era intervenuto appena in tempo, effettuò molti cambiamenti
nell'amministrazione della città e colse l'occasione per affidare le cariche
più importanti a membri della sua famiglia o di quella della moglie. La città
comunque tributò all'imperatore ed al suo seguito grandi onori. Venne perfino
eretto in suo onore un arco di trionfo, rivestito in marmo travertino, con quattro
alte colonne che sostenevano un ampio soffitto a volta. Il monumento è ancora
presente, quasi intatto. Sulle superfici delle colonne appaiono dei pannelli
scolpiti che raffigurano le virtù e le imprese di Settimio Severo. Però il
pannello più importante, per quello che riguarda i calici, è situato sul lato
interno di una delle colonne. Infatti c'è raffigurata tutta la famiglia
dell'imperatore. I due genitori, Settimio Severo e la moglie Giulia Domna,
tengono ognuno per mano uno dei due figli, Caracalla e Geta, e con l'altra mano
tengono alto un calice per brindare. Certamente sono i due famosi calici".
"E poi che accadde all'Imperatore?"- chiese un altro degli uomini.
"Beh, tornò a Roma e lì, governando con saggezza e accortezza, andò avanti
per parecchi anni. Furono anni discreti per l'Impero. Purtroppo così non si può
dire per i Cristiani che sotto il suo governo furono perseguitati. Non che
l'Imperatore avesse dato ordine di farlo ma semplicemente non lo proibì. La
conseguenza fu che, per motivi politici ed economici, molti furono
uccisi". "Almeno lui riuscì a morire nel suo letto?" - chiese un
altro soldato. "Purtroppo no. Anche se nell'Impero le cose andavano
abbastanza bene, per ciò che riguardava la politica interna, ai confini la
situazione era sempre critica per l'atteggiamento delle tribù locali che mal
sopportavano il controllo dei Romani. Così nel 211 Settimio Severo, partì per
una campagna di repressione contro le tribù britanniche che avevano creato alle
truppe di confine non pochi fastidi. Purtroppo, però durante il viaggio si
ammalò e, giunto a Eburakum, l'attuale York, morì. Le sue ceneri vennero riportate
a Roma e sepolte nella tomba degli Antonini. Per non creare particolari
conflitti fra i suo figli, l'Imperatore aveva lasciato scritto che essi
avrebbero regnato insieme. Naturalmente Caracalla, primogenito, non accettò di
buon grado di dividere il trono con il fratello Geta. Cosicchè dopo pochissimo
tempo dalla nomina, lo fece uccidere. La loro madre, Giulia Domna, condannò il
gesto del figlio e prese le distanze da lui, negandogli la maggior parte del
tesoro personale del marito. Caracalla proseguì con una spietata politica di
repressione nei confronti di tutti coloro che erano sospettati di aver
parteggiato per Geta. Toccò in questa repressione dei livelli di ferocia così
estremi che la madre, considerato il rischio di una rivolta, si schierò
apertamente dalla sua parte e riuscì, con la sua abilità, a ricondurre il
figlio ad una condotta più accettabile. Per dimostrargli la sua benevolenza,
Giulia Domna donò al figlio gran parte dei tesori del marito che essa aveva
trattenuto per sè. Naturalmente nella cessione erano compresi i due famosi
calici. Caracalla per gratitudine, ma anche per calcolo, conoscendo la sua
abilità dimostrata in anni di discreta collaborazione con il marito, le affidò
la direzione della cancelleria imperiale con l'impegno, sempre onorato, di
controfirmare senza commenti tutto ciò che essa avesse deciso. Fu una saggia
decisione perchè lei fu in grado di appianare quasi sempre i guasti provocati
dall'ombroso carattere del figlio. Per sovvenzionare le sue grandiose
iniziative, l'Imperatore gravò di tasse pesantissime sia le famiglie dei
senatori che quelle più ricche dell'Impero". "Finalmente qualcuno che
fa pagare le tasse ai ricchi!" - intervenne uno dei soldati, suscitando un
coro di risate da parte dei compagni. Il 'professore' attese pazientemente che
il clamore si calmasse, come si trovasse nella sua classe, dopo uno scherzo di
uno dei suoi alunni. "Si, hai ragione - riprese - ma non fu davvero una
felice iniziativa. Anche se non è giusto, la storia insegna che non bisogna mai
inimicarsi i potenti. Da quel momento il senato attese solo un passo falso di
Caracalla. Ed egli ne fece parecchi. Per aumentare il gettito delle tasse,
stabilì con la costituzione Antoniniana del 212, che tutti gli uomini liberi
dell'Impero potessero essere ritenuti cittadini a tutti gli effetti, romani e
barbari. Questo segnò per sempre la fine della supremazia romana e causò un
tremendo astio da parte di coloro che nel passato per quella supremazia,
avevano lottato, sofferto e a volte sacrificato tutto. Verso la fine del
medesimo anno, con un imponente esercito, si recò in Rezia, allo scopo di 'punire'
la tribù degli Alemanni. I risultati di questa campagna non furono mai chiari.
L'Imperatore affermò di aver schiacciato i ribelli. Questi ultimi affermavano
di avergli inflitto una sonora sconfitta. Sta di fatto che Caracalla, invece di
tornare subito a Roma, decise di spostare la sua attenzione sui territori ad
oriente, conquistando in diversi modi, nuove colonie. Dove poteva, sconfiggeva
i nemici con le armi, altre volte con accordi, più spesso con l'inganno. Conquistò
la Mesopotamia, l'Armenia, Antiochia". Gli uomini in ascolto si sentirono
affascinati dal nome di quelle antiche lontane terre, anche se molti di loro
non avevano la più pallida idea di dove fossero. "In Egitto, ad
Alessandria, sentì circolare delle allusioni circa la possibilità di rapporti
incestuosi con sua madre, Immediatamente ordinò che la città fosse messa al
sacco dai suoi soldati e che tutti gli abitanti fossero passati per le armi.
L'eccidio e il saccheggio durarono per tre giorni, prima che l'Imperatore si
dichiarasse soddisfatto dalla punizione. Però, per estremo sfregio, fece alzare
un muro che divise la città in due parti con il divieto assoluto, pena la
morte, per chiunque, di comunicare. Poi, per svernare, nel 217, Caracalla tornò
a Edessa in Mesopotamia. Ormai la misura era colma. Il senato trovò il suo
sicario nella persona di un ufficiale della guardia imperiale, un certo
Marziale, al quale l'Imperatore aveva ingiustamente rifiutato una meritata
promozione. Nell'aprile del 217, durante una cerimonia religiosa, l'Imperatore
fu assassinato. Marziale, purtroppo per lui, venne naturalmente ucciso a sua
volta, prima che potesse in qualche modo, tradire i membri della congiura. Giulia
Domna che si trovava in Antiochia, immediatamente informata degli eventi, non
si riprese più dal dolore e semplicemente si lascò morire".
"Professore - intervenne uno degli ascoltatori - ci hai parlato di guerra,
di assassini, di morti, ma la storia che insegni è fatta solo di queste
cose?". "Per la maggior parte, si - rispose questi, - Non possiamo
negare però che sotto alcuni aspetti i conflitti sono stati determinanti nella
storia degli uomini. Le guerre, alla fine, portano la pace, si stabiliscono
nuove alleanze, territori cambiano nome. Perfino il progresso è stimolato dalle
guerre"."Certo, per trovare il modo di ammazzare più gente, - affermò
in tono amaro un soldato di una certa età"."Per ammazzare più nemici!"
- lo corresse uno degli ultimi arrivati, ancora infiammato dalla propaganda che
gli era stata somministrata prima di partire. L'anziano lo guardò con un'aria
molto triste, evitando di rispondergli. Anche gli altri soldati veterani
evitarono di entrare nel discorso. Sapevano bene che quell'atteggiamento, tutto
improntato al culto dell'eroe e del coraggio ad ogni costo, avrebbe probabilmente
portato il ragazzo solo ad una morte prematura. Ne avevano visti tanti come lui
e tante volte avevano cercato di far loro capire che al fronte le cose erano
molto diverse da come venivano presentate a casa. Con alcuni ce l'avevano
fatta, con molti altri non c'erano riusciti o non avevano fatto a tempo ed ora quelli
non c'erano più. D'altronde molti di loro c'erano passati e quindi sapevano di
cosa si trattava. I nuovi arrivati venivano immediatamente attratti dai
nastrini e dai riconoscimenti dei veterani, che osservavano quasi con invidia.
Non sapevano che dietro ad ognuno di quei simboli c'erano stati dolori,
sofferenze e tanti compagni morti. Non potevano immaginare che quegli uomini,
avrebbero barattato volentieri tutte quelle medaglie con una giornata in pace a
casa, vicino ai propri cari e magari dopo un bel pasto decente. Per quella sera,
la compagnia si sciolse, e ciascuno si accomodò alla meglio, per cercare di
dormire qualche ora in pace, prima di dover sferrare un nuovo attacco o di
difendere, a duro prezzo, il territorio. Tutti avrebbero sperato di poter fare
dei sogni sereni, che li sollevassero almeno per un pò da quella tremenda
realtà che stavano vivendo, per alcuni di loro, forse da un po' troppo tempo.
Qualche giorno dopo, il 23 ottobre, Tobias e Lukas, esausti nel fisico e nel
morale, con i compagni nelle medesime condizioni, si trovarono sulla linea del
Piave quando le truppe Italiane, utilizzando dei ponti di barche e sfidando
delle avverse condizioni meteorologiche attaccarono le linee austriache,
coperti da un intensissimo fuoco di mortaio che obbligava gli Austriaci a
starsene rintanati nelle loro buche senza poter opporre una valida resistenza. Tutti
gli uomini stavano premuti al terreno, ognuno pensando che avrebbe potuto,
dovuto scavare più a fondo per ripararsi, rintanarsi il più possibile. Non
c'era comunque nulla da fare. I colpi venivano dall'alto e cadevano
continuamente provocando vittime e feriti. Una granata centrò la buca dove il
'professore' si era rifugiato assieme ad altri tre commilitoni. Si sentiva a
tratti la voce del sergente Beker che urlava agli uomini di non muoversi, di
stare fermi perchè le buche erano l'unica cosa che li potesse proteggere almeno
dalle schegge. Ma non era facile, stare fermi immobili mentre quelle granate
piovevano dal cielo. E infatti, alla fine, un gruppo di novellini non ce la
fece più a resistere e, alzatisi in piedi, cominciò a correre, sperando di
sottrarsi a quella tremenda situazione. Ma in realtà non c'era luogo dove
correre, dove ripararsi. Il sergente uscì dalla sua buca e corse loro appresso.
Riuscì ad afferrarne due e, urlandogli insulti e minacce, riuscì a buttarli in
una buca poi tentò di saltarci dentro anche lui. Purtroppo una granata esplosa
nelle immediate vicinanze, lo crivellò di schegge ed egli cadde nella buca come
una bambola rotta. Poi gli Italiani vennero all'assalto. Purtroppo, fu proprio
in quel momento che una delle ultime bombe di mortaio centrò in pieno il riparo
in cui si era rifugiato Lukas . Tobias, che pure ne aveva passate tante, non
resse a quell'ultimo trauma e rimase accanto ai resti del suo compagno, come
istupidito per il dolore e per l'esplosione, insensibile ed estraneo a ciò che gli
accadeva intorno. Questo probabilmente gli salvò la vita in quanto, i soldati
italiani, arrivati sul posto, si accorsero immediatamente del suo stato e,
forse anche loro stanchi di uccidere, si limitarono a farlo prigioniero, senza
che egli se ne rendesse conto o che facesse capire che gli importava
minimamente di cosa gli capitava attorno. I suoi compagni, scampati alla
battaglia, si ritirarono disordinatamente verso le Alpi. Quello che accadde
subito dopo sembrò non riguardare più Tobias. La spossatezza, i traumi emotivi
subiti in battaglia, il morale a pezzi, sembrarono colpirlo tutti assieme,
causandogli uno stato di apatia totale. Non reagì nemmeno quando gli
comunicarono che la guerra era finita e stava per tornare a casa. Il suo
compagno, quasi un fratello, era morto. Il loro progetto era finito.