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Autore: Avion946    15/12/2016    0 recensioni
Un modesto agricoltore austriaco, scampato agli orrori della prima guerra mondiale, approfittando di alcune fortunate combinazioni e grazie ad una notevole abilità personale, riesce, seppure fra mille difficoltà, a creare una vasta e solida impresa commerciale. Un fantasma riemerso dal suo passato lo obbligherà però a vivere un'ultima importante e rischiosissima avventura.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I calici dell'imperatore capitolo 1 secondo

NB: nel corso del racconto si farà accenno a fatti che meriterebbero certo una trattazione più completa e adeguata ma in questo caso ci si è limitati a descriverne solo alcuni che hanno direttamente a che fare con la storia raccontata mentre per gli altri, che pure rappresentano uno schema cronologico di riferimento, quasi l'ossatura che lega assieme i fatti narrati, ci si è limitati ad una descrizione superficiale.                                                            

 

                                                                           I calici dell'imperatore

                                                                                     Capitolo 1^

Tobias Mayer, nacque in Austria nel 1898 a Weidling, all'epoca solo alcune case sparse nella campagna, nella zona chiamata Klosterneuburg, a circa 20 chilometri a nordovest da Vienna, a ridosso della riva occidentale del Danubio. Di famiglia contadina, terzo di quattro figli, mal sopportava la sua modesta condizione. La vicinanza con Vienna ed i racconti circa la vita che si conduceva in città, lo portavano a desiderare una esistenza diversa, con migliori occasioni e con tante speranze. I due fratelli maschi, Frank, il più grande e Hans, di un anno più grande di lui, invece, sembravano aver ereditato dal padre l'attaccamento alla terra e all'agricoltura. La sorella Julia, la più piccola, anche lei parlava sempre di sposare un bravo giovane e di mettere su una bella famiglia, come la loro. Allo scoppio della prima guerra mondiale, in parte per fuggire alla sua condizione, in parte infiammato dalla intensa propaganda che parlava di onore, gloria e vittoria, mentendo circa la sua vera età, nel luglio del 1914, Tobias si arruolò. In quel periodo l'esercito austro-ungarico combatteva su due fronti. Mentre una gran parte delle forze erano impegnate in Galizia per fronteggiare l'esercito russo, un altro contingente aveva iniziato l'invasione della Serbia il 12 agosto del 1914. Dopo un brevissimo periodo di addestramento, Tobias venne inviato assieme ai suoi commilitoni sul fronte serbo. L'esercito serbo, non certo in grado di competere con quello austro-ungarico, almeno sulla carta, oppose inaspettatamente una resistenza estrema, tanto da far vacillare le certezze dei generali austriaci. Fu così che Tobias, al fronte, prese contatto subito con la tremenda realtà che lo attendeva. Conobbe presto l'orrore dei combattimenti, della trincea, del campo di battaglia, con la crudeltà e la bestialità della battaglia all'ultimo sangue. Dovette imparare ad usare bene ed in fretta il suo fucile Mannlicher Gewehr M1895, un'arma calibro 8 mm, micidiale se opportunamente usata. Per sua fortuna strinse presto amicizia con i suoi commilitoni, in particolare con un ragazzo un po' più grande di lui, Lukas Heder che, da civile, si occupava con tutta la sua famiglia di viticultura nella zona di Stokerau, a nord del Danubio. Inoltre il suo plotone era affidato ad un anziano sottufficiale, il sergente Beker, robusto come una quercia e di poche parole che, però, sapeva il fatto suo e comandava gli uomini a lui affidati con severità ma anche con giustizia e con equità. Dopo una serie di tremendi scontri, gli Austriaci riuscirono finalmente a conquistare Belgrado non senza pagare un pesante tributo in vite umane. Nell'ultima fase della battaglia Tobias fu costretto a vivere, per la prima volta, la tremenda esperienza dell'assalto alla baionetta. Come tanti altri suoi compagni, si chiese fino all'ultimo se sarebbe stato capace di assalire con quel mezzo un altro essere umano. Un conto era sparargli a distanza, esperienza di per sè già abbastanza terribile, un conto era infilzare un nemico faccia a faccia con la tremenda alternativa dell'essere infilzato a propria volta. Alla fine, nel momento della verità, dalla paura e dalla rabbia scaturì una ferocia che trasformò tutti gli uomini in mostri sanguinari, dediti solo a uccidersi nei modi più spietati e selvaggi, a volte infierendo sulle vittime, senza più controllo. Durante quel macello Tobias si trovò a combattere letteralmente per la sua vita a fianco del sergente Becker. Ognuno badava a sè e all'altro. Quando Tobias, appena scartato un colpo di baionetta da parte di un avversario, finì sulla traiettoria della lama vibrata da un gigante dall'aspetto spietato, capì che per lui era finita. Non c'era più nulla da fare ed egli sentì già la lama che gli entrava nel petto quando, invece, si sentì spingere violentemente da una parte e udì un grido tremendo vicino a lui. Il sergente era intervenuto appena in tempo per salvargli la vita e il gigante era a terra in un lago di sangue. Non ci fu tempo per ringraziare o altro perchè la battaglia non dava tregua. Tra le urla bestiali dei combattenti o dei feriti, Tobias trovò più volte il modo di rendere al sergente il favore ma alla fine, persero tutti il conto e la misura di quello che stava accadendo. E poi, d'improvviso, calò il silenzio. Tutto era finito. Al termine del terribile scontro, vinto dagli Austriaci, gli uomini superstiti, sfiniti, restarono per un lungo tempo a guardare il campo di battaglia quasi increduli di essere stati loro a generare quella carneficina, alcuni rifiutando quello che era stato e, la maggioranza, accettando con fatalismo quello che  erano diventati, sapendo che da quel giorno avrebbero dovuto convivere con il ricordo di quel momento. Restarono là a contemplare in silenzio quel massacro, con la mente vuota, per cercare di recuperare in qualche modo un briciolo di umanità senza rischiare la follia. Furono richiamati alla realtà dalle urla di un ufficiale e del sergente che, conoscendo il fenomeno, li obbligarono a pensare ad altro assegnando loro dei compiti faticosi, impegnativi e ingrati. E' un fatto che, dopo quel giorno, comunque, non potevano più essere le stesse persone che avevano lasciato le loro case all'inizio della guerra. Non sapevano che in seguito ne avrebbero viste ben altre. La città di Belgrado venne pesantemente devastata dalla battaglia. Tobias ed i suoi compagni alla fine dei combattimenti, trovarono riparo fra le rovine di una vasta villa nei quartieri a sud della città. Per rifugiarsi con maggior sicurezza, scesero nelle cantine rimaste intatte dopo i bombardamenti. Lì trovarono un vero tesoro di bottiglie di vino, lasciate certamente dai proprietari fuggiti davanti alla guerra. Ordinate nei loro ripiani, c'erano migliaia di bottiglie di vino divise per annate, per tipo, per gradazione e colore. Dopo un periodo in cui gli uomini rimasero in religioso silenzio, colpiti da quell'immagine così particolare, e non riuscendo quasi a credere ai loro occhi, rompendo gli indugi corsero a prendere ciò che gli capitava sottomano e a bere di tutto, ringraziando la fortuna che li aveva portati in quel posto incredibile. Era come se dopo le terribili esperienze della battaglia, qualcuno li avesse voluti ricompensare con quel ritrovamento straordinario. Ridevano, urlavano e tracannavano di tutto, spesso rompendo semplicemente il collo delle bottiglie per risparmiare tempo. L'ufficiale che era con loro non ebbe il coraggio di fermarli e li lasciò fare, seppure mantenendo le distanze. Tobias fece per seguire il gruppo e buttarsi nella mischia, quando si sentì invece trattenere per la giacca. Voltatosi di scatto si accorse che era stato il suo amico Lukas, con una strana luce negli occhi che lo aveva trattenuto in modo così brusco. "Lasciami, che fai?" - gli chiese scrollando il braccio nel tentativo di liberarsi. "Sta fermo - gli disse invece l'altro - fidati di me, abbiamo la possibilità di fare una cosa che forse non potremo fare mai più. Non permettiamo alla guerra di rovinarci questo momento". Tobias, molto tentato di unirsi agli altri, con la paura infondata che si scolassero tutte le bottiglie senza di lui, notando lo strano sguardo negli occhi del suo amico, decise di fidarsi. Lukas  guidò il suo compagno, a fare una sorta di giro fra gli scaffali ignorando un intero reparto di bottiglie di champagne che, secondo il suo punto di vista, almeno lì dentro, erano ciò che valeva di meno. Prese un vecchio cesto  che trovò a terra e iniziò a prelevare delle bottiglie particolari via via che le trovava negli scaffali, dicendo che gli avrebbe fatto assaggiare qualcosa di speciale.  Quando ne recuperate una decina, si sedettero su due casse in fondo alla cantina, dove c'era un pò più di tranquillità. Usarono una terza cassa come tavolino. Lukas aprì con attenzione la prima bottiglia e ne versò nel gavettino di Tobias che cominciava ad essere un poco impaziente, una generosa dose. "Ecco, ora bevi questo e dimmi cosa ne pensi, dimmi se non valeva la pena di aspettare". L'altro bevve a lunghi sorsi quel liquido rosso che gli scese con grande facilità in gola. Il sapore lo sorprese, effettivamente. Dapprima piacevolmente dolce e poi speziato con sentore di frutta e fiori, tutto in successione e solo infine si avvertiva che era anche piuttosto forte. Un ottimo vino rosso. "Allora, che ne dici?"."Eccezionale, dammene ancora!"."Eh no, ubriacone! Hai appena assaggiato un vino serbo leggendario, il Tamianka rosso. Ora bevi quello bianco e dimmi cosa ne pensi." E prese a stappare un'altra bottiglia di quelle selezionate mentre Tobias porgeva impaziente il suo gavettino. Anche questo, riempito, fu presto vuotato, lasciando di nuovo una miriade di sensazioni sul palato del ragazzo. E poi un altro assaggio, e poi un altro ancora. Incredibile. Provò il Prokovac, un rosso chiaro eccezionale, l'incredibile Smoderewka, dal particolare colore verde giallo, dal sapore soave, il formidabile Kadarka, bianco aromatico, forse fra tutti il migliore. Lukas gli fece assaggiare con competenza tutti i migliori vini della Serbia presenti in quella cantina. Accompagnarono gli assaggi con del pane, forse un poco raffermo e le fette di una salama che avevano trovato appesa su un lato della cantina accanto ad altri salumi. Alla fine Tobias ebbe, almeno per un po', la sensazione di trovarsi con il suo amico in qualche cantina del suo villaggio, mentre beveva del vino e parlava del più e del meno. Non sentiva più i rumori della guerra, gli schiamazzi dei suoi commilitoni, ormai quasi tutti piuttosto ubriachi, dimenticò la sua uniforme strappata e sporca di fango e del sangue di chissà chi, e cercò di far durare quella sensazione il più a lungo possibile. Immaginò quella villa come doveva essere stata in tempo di pace, provò a pensare ai proprietari, a una festa per la quale scegliere  le bottiglie che aveva preso Lukas. Fu proprio il suo amico che lo richiamò alla realtà. "Hai assaggiato i migliori vini prodotti in Serbia e ti assicuro che erano anche di ottimi produttori. Un vino come questo deve essere rispettato, non bevuto come hanno fatto loro" - e indicò col pollice i loro commilitoni che ancora stavano scolandosi tutto quello che gli capitava sottomano - "Questo, è il risultato del lavoro attento e faticoso di persone che hanno dedicato pazienza, energia e cura, spesso per anni. Per raggiungere questi risultati e questi livelli ci sono voluti esperienza e impegno. Io lo so bene perchè mio padre e mio nonno prima di lui ci hanno dedicato tutta la vita a selezionare vitigni, a tentare nuovi innesti, a cercare sempre una qualità superiore"."Lukas, hai ragione e ti ringrazio per questa esperienza fantastica, ma noi facciamo una vita assurda ed terribile e sai bene che nessuno di noi è sicuro di arrivare vivo al giorno seguente. Quanti compagni abbiamo visto morire. Li puoi biasimare se hanno cercato di scordare almeno per un po' dove si trovano e cosa stanno facendo? Qualsiasi cosa per dimenticare questa tragedia che stiamo vivendo". L'episodio della cantina fu presto dimenticato perchè l'esercito serbo, non potendo accettare di aver lasciato la città nelle mani del nemico, impegnò gli Austriaci in pesanti combattimenti e alla fine, il 15/12/1914, la città fu perduta. Una serie di aspri combattimenti riportò la situazione a quella prebellica. Era stato tutto inutile. Ma l'esercito austriaco aveva sofferto la perdita di 227.000 uomini e una ingente quantità di materiale bellico era finito nelle mani dei Serbi che da parte loro avevano perduto 170.000 soldati e in più circa 150.000 civili per una epidemia di febbre tifoide che era esplosa nel corso della guerra. Tobias però non aveva dimenticato l'esperienza della cantina e aveva capito che il suo compagno era veramente competente. Di norma l'agricoltura non lo aveva mai affascinato ma quell'esperienza lo aveva molto interessato. Aveva cominciato a interrogare Lukas circa i processi, le tecniche ed i metodi. Lukas era un po' sorpreso dell'ignoranza del suo compagno in merito a quella questione, specialmente visto che la tradizione vinicola era proprio della sua zona d'origine e tenendo presente che la prima scuola di enologia era stata fondata proprio a Klosterneuburg nel 1860. Quello era diventato l'argomento di conversazione preferito per loro. Nelle pause dei tremendi combattimenti, cercando di pensare a qualcosa di bello e di diverso e alle cose della casa lontana. Lukas illustrò a Tobias tutti i segreti della coltivazione della vite, gli raccontò della storia dei diversi vitigni, delle loro caratteristiche, dei metodi di vinificazione per ogni diverso vino. Gli parlava del vitigno Gruner Veltriner che dava un vino giovane, bianco, dal sapore speziato che si beveva non invecchiato. Gli parlava del Riesling Sylvaner, chiamato anche Muller Turgau, che dava un vino fresco, con leggero gusto di noce moscata, che si beve l'estate. E poi, i rossi. Il Blaufrankish, forte e asciutto o del Beerenauslese, dolce e saporito. Durante quelle interminabili conversazioni, progettarono di mettersi in società alla fine della guerra e di produrre in breve tempo il miglior vino di tutta l'Austria. I compagni, a forza di sentirli parlare sempre dello stesso argomento, li avevano soprannominati 'i gemelli del vino'. Una volta, durante una pausa nei combattimenti, Lukas disse che il loro vino sarebbe stato talmente buono da meritare di essere bevuto nei 'calici dell'imperatore'. Tobias non capì subito di cosa stesse parlando il suo commilitone. Pensò che il loro vino sarebbe stato degno della mensa dell'imperatore Francesco Giuseppe. Solo in un secondo momento apprese che il suo amico si riferiva invece ad una antichissima leggenda che si raccontava nel suo paese. Lukas gliela accennò per sommi capi ma alla fine fu un loro commilitone, che chiamavano il 'professore', che raccontò, con dovizia di particolari, tutta la storia o, almeno, la parte che se ne conosceva. Il 'professore', nella vita civile, era effettivamente un insegnante di storia e filosofia al ginnasio. Era uno spilungone goffo e impacciato, con un paio di occhiali con lenti molto spesse, aveva 41 anni e l'andamento della guerra lo aveva strappato alla sua casa, alla sua famiglia e al suo lavoro. Forse per questo era sempre triste e silenzioso. Solo quando aveva occasione di parlare con qualcuno della sua materia, si riprendeva e quasi si entusiasmava nell'esporre i fatti, come se, invece di trovarsi in una trincea in mezzo al fango e con uomini come lui, infreddoliti e spesso malnutriti, si fosse trovato ancora nella sua aula davanti a i suoi studenti. D'altronde anche i suoi commilitoni, nella trincea che si trovavano a condividere, gradivano spesso ascoltare delle storie che potevano far galoppare la loro fantasia ben lontano dai luoghi nei quali si trovavano, illudendoli di essere, almeno per pochi momenti, ben lontani da lì. Molti di loro erano nelle stesse condizioni del 'professore'. Un'età non proprio adatta a fare il soldato, chi troppo giovane e chi troppo maturo, vestendo la divisa ma con la mente ancora troppo ancorata alla vita civile che avevano dovuto lasciare a causa del non buon andamento degli eventi bellici. Così una sera, approfittando del fatto che i cannoni tacevano dopo un bombardamento intenso, che era durato tutto il giorno, si trovarono attorno ad un modesto focherello sul fondo di una trincea il Professore, Tobias, Lukas e pochi altri. Il professore, consumata assieme altri la scarsa cena, seduto su una cassa vuota di munizioni, con la punta della baionetta tracciava dei segni sul pavimento della trincea mentre gli altri stavano molto attenti ad ascoltarlo. "La prima cosa che vorrei dire è che i calici dell'imperatore esistono o almeno sono esistiti veramente. Anche se ora in realtà nessuno sa che fine abbiano fatto, almeno fino al 390 d.C.  ci sono chiare testimonianze circa la loro esistenza e la loro collocazione. L'altra cosa importante è che, malgrado la loro storia sia legata essenzialmente all'Impero Romano,  essi sono stati realizzati proprio in Austria, in un posto vicino a Vienna. Ma ora veniamo ai fatti. Verso la fine del II^ secolo d.C, l'Impero Romano, per garantire le sue frontiere settentrionali, aveva conquistato tutto il territorio a sud del Danubio. Tutta questa zona - e indicava il disegno che andava via via tracciando al suolo e che avrebbe dovuto corrispondere grossomodo alla forma dell'Austria - venne divisa essenzialmente in tre aree chiamate Raetia a ovest, l'odierna Baviera, una centrale, chiamata Noricum ed una orientale, più piccola, chiamata Pannonia. Al centro della Raetia sorgeva un grande accampamento fortificato romano chiamato Castra Regina che oggi corrisponde alla città di Ratisbona. Nel Noricum c'erano due principali insediamenti romani chiamati Lauricum, l'odierna Enns, che si trovava a nord e nel centro, Iuvavum, l'odierna Salisburgo. In Pannonia, invece, c'erano, nella parte nord-orientale, due insediamenti, uno, il più importante, Carnuntum e l'altro, Vindobona, l'attuale Vienna, frequentato specialmente per la sua vicinanza alle terme romane di Baden, poste a circa 20 chilometri a sud. In realtà era Carnuntum il più importante centro della vita sociale in tutta la zona,  in parte per la vicinanza con le terme, le Romentherme Baden, frequentate dalle persone più in vista del posto e in parte per il ricco commercio che vi si svolgeva. In particolar modo la località si trovava proprio sulla maggiore via di passaggio dell'ambra che proveniva dai paesi del baltico. Per questo nella cittadella si trovarono a vivere delle importanti famiglie di amministratori dell'impero di alto grado e di ricchissimi commercianti. Nel 190 d.C., l'imperatore romano Commodo nominò governatore della Pannonia, Settimio Severo che, per svolgere il suo incarico, si trasferì appunto a Carnuntum con la sua bella moglie, una donna siriana, di nome Giulia Domna e i due figli Caracalla e Geta. Il 31/12/192 d.C. l'imperatore Commodo venne assassinato in seguito ad una congiura ordita dai senatori con la complicità della sua concubina Marcia. Essi elessero subito come successore il console Publio Elvio Pertinace che era anche prefetto della guardia pretoriana. Fu proprio quest'ultima, invece, delusa dal comportamento di Pertinace a ribellarsi ed ad ucciderlo dopo brevissimo tempo. Giunta la notizia di questo tragico evento a Carnuntum, le truppe fedeli a Settimio Severo lo elessero imperatore. Questi accettò, se non altro per cercare di riportare l'ordine nell'Impero. Le famiglie più in vista che egli aveva frequentato nel corso del suo mandato di governatore, vollero rendere omaggio al nuovo imperatore, con regali importanti. Una, in particolare quella di Oreste Albinio, che aveva costruito una fortuna sul commercio dell'ambra e che aveva sempre avuto ottimi rapporti col novello imperatore, presentò un dono costituito da un largo vassoio in oro 24 carati, come era l'oro degli antichi Romani, tutto cesellato con fantastiche incisioni e da due calici con la coppa in ambra finissima, con i bordi, gli steli e le ampie basi circolari, in oro tempestato di perle, smeraldi e rubini. Un dono bellissimo e veramente prezioso che Settimio Severo apprezzò moltissimo e dal quale non si separò mai". Il racconto del professore quella sera terminò bruscamente con le urla del sergente Beker che arrivò come un forsennato, disperdendo i tizzoni del fuoco a calci. Urlava, chiedendo se erano pazzi ad accendere un fuoco, indicando la loro posizione al nemico. Pensavano che non ne fossero morti abbastanza, di bravi ragazzi? Vergognosi, gli uomini si alzarono e si allontanarono ammettendo che il sergente aveva ragione. Ma il fatto era che quel racconto per un po' era servito a farli sentire altrove, al sicuro, magari all'osteria del loro paese. Così gli uomini che avevano ascoltato la storia del Professore, cercarono di dormire un poco, portando ancora nelle loro menti le immagini di ricche famiglie romane, calici di ambra, terme lussuose e intrighi di palazzo. Intanto il piano di Tobias e Lukas, continuava a svilupparsi e a prendere forma sempre più concreta. Arrivarono persino a disegnare le etichette che avrebbero applicato sulle bottiglie dei loro primi prodotti. Purtroppo il tempo trascorreva veloce mentre la guerra consumava migliaia e migliaia di vite. In quel periodo, con grande apprensione, egli ricevette una lettera del padre nella quale questi gli comunicava che anche i suoi due fratelli Frank e Hans erano stati arruolati ed ora, dopo un brevissimo addestramento erano stati mandati al fronte. Tobias si preoccupò moltissimo per questa notizia. Sapeva infatti che in battaglia i 'novellini' erano quelli che rischiavano di più a causa della loro scarsissima esperienza. Era molto dispiaciuto che ora, anche essi, sarebbero stati esposti alle atrocità della guerra e si augurò in cuor suo che almeno gli capitasse qualche superiore che  tenesse conto della loro scarsa esperienza evitando di esporre, nei limiti del possibile la loro unità a rischi estremi. Alla fine di giugno del 1916, la sua compagnia venne inserita nella 2^ armata del generale Fritz von Below e si trovarono a partecipare alla difesa della Somme. Gli alleati avevano deciso di sferrare in quella zona un attacco nel tentativo di alleggerire la pressione del nemico sulla città di Verdun. Così il primo luglio iniziò un bombardamento sistematico delle linee austriache che durò per nove giorni. Per fortuna di Tobias e del suo reparto, l'esercito austriaco, avuto sentore degli eventi, si era preparato per tempo approntando dei sicuri ricoveri dove attendere la fine dei bombardamenti. Alla fine di questi, la fanteria inglese andò all'attacco trovandosi davanti un nemico forte e determinato. Le linee, per quanto sconvolte da quella tempesta di fuoco, avevano tenuto e gli Austriaci, al primo sentore dell'attacco vero e proprio della fanteria britannica uscirono dai ripari. In particolare vennero immediatamente messe in posizione le micidiali mitragliatrici Schwarzlose mod 1907/12 da 8 mm che, con la loro potenza di fuoco, falciavano letteralmente il nemico che avanzava, secondo i tradizionali e antiquati schemi, a ranghi compatti. I nastri delle armi che contenevano 250 cartucce, venivano terminati in pochissimo tempo e i serventi dovevano sostituirli di continuo mentre le canne, seppure raffreddate ad acqua, diventavano talmente roventi, da costringere  gli addetti ad avvolgerle in stracci bagnati per aumentarne il raffreddamento. Tobias, che come gli altri, sparava con la sua arma, da un riparo, era contento di non essere un mitragliere per non dover effettuare quella strage e anche perchè , dopo un momento di naturale sbandamento, i Britannici cercarono in tutti i modi di mettere a tacere le mitragliatrici  con intense salve di mortaio, seppure con scarsi risultati. In una sola giornata di battaglia, gli alleati persero 20.000 uomini e altrettanti ne rimasero feriti. Gli attacchi successivi non andarono per loro molto meglio. Poi con l'avanzare dell'autunno e delle piogge, le azioni rallentarono perchè tutto era diventato un fangoso acquitrino e muoversi in quell'inferno, era estrtemamente faticoso. Alla fine di settembre, gli alleati, pur di ottenere un seppur minimo risultato, decisero di gettare nella battaglia i loro primi carri armati. Erano in tutto 40 unità, non collaudate adeguatamente, nè adeguatamente preparate meccanicamente. All'inizio, riuscirono a mettere i fuga le truppe tedesche, con il tiro micidiale delle loro mitragliatrici, invulnerabili al fuoco delle armi portatili. Poi, purtroppo, iniziarono a guastarsi o ad impantanarsi. Solo sei riuscirono a tornare indenni nelle loro linee. A metà di dicembre del 1916 arrivò la notizia della morte dell'imperatore Francesco Giuseppe. Fra gli uomini si sparse un clima di forte incertezza e qualcuno arrivò perfino a sperare che gli eventi potessero evolvere in fretta verso una condizione di pace. Chi sarebbe stato il successore e cosa sarebbe accaduto adesso? Effettivamente il successore, il pronipote Karl Franz d'Asburgo Lorena D'Este che assunse il nome di Carlo 1°, decisamente contrario per principio alla guerra, provò a saggiare il terreno per un tentativo di conciliazione ma le condizioni poste da lui stesso, impedirono di trovare un qualsivoglia accordo con i nemici e quindi la guerra continuò. L'imperatore comunque cercò di opporsi all'uso di armi estreme in battaglia quali ad esempio i gas, di qualsiasi genere fossero, e i lanciafiamme. Nel settembre del 1918 ormai Tobias ed il suo amico ne avevano viste e passate di tutti i colori. Inoltre non riceveva da un pezzo più notizie della famiglia, come d'altronde tutti gli altri, e non aveva idea di cosa fosse accaduto ai suoi due fratelli. Certamente, sia lui che il suo amico, non erano più quei due ragazzi spensierati, partiti 4 anni prima da casa. L'esercito austriaco era uscito dissanguato dai combattimenti. I feriti, data la carenza di uomini, venivano mandati nelle retrovie e poi, appena possibile, rattoppati alla meglio, venivano rispediti al fronte. Alcuni uomini non ce la facevano più e si erano veduti diversi casi di autolesionismo molti dei quali puniti perfino con la fucilazione. A volte, per i soldati, non era più chiaro chi fosse il vero nemico. Per fortuna di Tobias e dei sui colleghi, c'era sempre il sergente Beker che, pur con tutta la sua severità, riusciva sempre a trovare una via per alleggerire le situazioni, sia dal punto di vista bellico, sia limitando spesso delle iniziative degli ufficiali che a volte perdevano di vista la reale situazione. Poi a metà del mese, le truppe statunitensi, entrate in guerra al comando del generale John Pershing, inflissero agli austriaci una pesante sconfitta a Sant Mihiel. Ad ottobre un altro durissimo colpo venne inferto nell'offensiva della Mosa-Argonne dalle truppe franco-statunitensi. Alla fine del mese le truppe riunite dei Britannici, Francesi e Belgi attaccarono il fronte di Ypres sfondando la linea di difesa Hindemburg, costringendo il nemico ad una frettolosa e disastrosa ritirata. L'unità di Tobias, forse perchè era una delle poche formate da veterani esperti, rimase efficiente e in grado di combattere. Fu utilizzata senza pietà e senza risparmio per tentare di arginare l'avanzata inevitabile degli avversari. Una sera, con il morale a pezzi, Tobias, desideroso di sentire qualcosa di diverso e che non riguardasse la situazione terribile e drammatica che stavano vivendo, chiese ad un esausto 'professore', pesantemente invecchiato, che ne era stato di quei famosi 'calici dell'imperatore'. Il 'professore' sembrò riprendere vita. Si aggiustò meglio sul naso i suoi occhiali rotti in due punti e tenuti assieme alla meglio da mezzi di fortuna. Gli uomini attorno a lui si accostarono e si fecero attenti alle sue parole. Qualsiasi cosa per lasciarsi trasportare via, almeno per un pò, da quell'inferno. Dopo qualche istante, forse per raccogliere le idee, forse per porsi mentalmente lontano da quel massacro che stavano vivendo, il Professore iniziò a raccontare: "Quando Settimio Severo ebbe opportunamente organizzato le cose in Pannonia, decise di tornare a Roma, per prima cosa per vendicare la morte di Pertinace e anche per perfezionare e rendere più sicura la sua nomina ad imperatore. La sera prima della partenza, nel dicembre del 193, organizzò un grande ricevimento per salutare tutte le famiglie amiche, durante la quale usò per il brindisi finale i calici che gli erano stati regalati". "E poi cosa successe?" - chiese uno degli uomini, quasi preoccupato che il racconto fosse già terminato. "Successe che il nuovo imperatore, con tutto il suo bagaglio, compresi i famosi calici, partì alla volta di Roma senza perdere tempo e fece bene perchè il senato aveva già deciso di opporgli uno di loro, Didio Giuliano. Come se non bastasse, le legioni della Siria avevano proclamato imperatore un loro generale, Pescennio Nigro e invece quelle della Britannia avevano eletto Clodio Albino. Settimio Severo, giunto a Roma, per prima cosa consolidò la sua posizione, togliendo autorità al senato e poi si apprestò a combattere contro gli altri pretendenti". "Ma c'è stato mai un momento in cui gli uomini non si siano combattuti fra loro?" - chiese con voce disperata uno degli ascoltatori di età più avanzata, di certo esausto per la vita che stavano conducendo e per le pesanti conclusioni a cui era arrivato forse prima dei commilitoni più giovani. "Beh, - riprese il 'professore' - effettivamente la guerra durò dal 194 al 197. Alla fine però Settimio Severo aveva riunito l'impero. Aveva anche consolidato il suo potere condannando a morte 29 senatori a lui ostili. Da quel momento, grazie ad alcune iniziative opportune, quali quella di concedere particolari favori all'esercito, oppure togliere autorità al senato, il suo regno proseguì abbastanza tranquillo per diversi anni. Nel 203, in corrispondenza del decennale del suo regno, volle tornare con tutta la famiglia nella sua città di origine, Leptis Magna nella zona della Tripolitania, a circa 130 Km a ovest di Tripoli. Oggi è solo un paese di pescatori ma all'epoca era una fiorente città che, sotto il controllo dei Romani, aveva raggiunto un notevole livello di sviluppo. In realtà il viaggio dell'Imperatore non fu proprio un viaggio di piacere o legato alla nostalgia dei luoghi della sua infanzia. Gli erano giunte infatti delle preoccupanti notizie relative alla scarsa affidabilità delle autorità locali, quindi aveva voluto controllare di persona quale era la situazione politica e militare del luogo. Preso atto con una certa preoccupazione, che effettivamente le voci erano fondate e che era intervenuto appena in tempo, effettuò molti cambiamenti nell'amministrazione della città e colse l'occasione per affidare le cariche più importanti a membri della sua famiglia o di quella della moglie. La città comunque tributò all'imperatore ed al suo seguito grandi onori. Venne perfino eretto in suo onore un arco di trionfo, rivestito in marmo travertino, con quattro alte colonne che sostenevano un ampio soffitto a volta. Il monumento è ancora presente, quasi intatto. Sulle superfici delle colonne appaiono dei pannelli scolpiti che raffigurano le virtù e le imprese di Settimio Severo. Però il pannello più importante, per quello che riguarda i calici, è situato sul lato interno di una delle colonne. Infatti c'è raffigurata tutta la famiglia dell'imperatore. I due genitori, Settimio Severo e la moglie Giulia Domna, tengono ognuno per mano uno dei due figli, Caracalla e Geta, e con l'altra mano tengono alto un calice per brindare. Certamente sono i due famosi calici". "E poi che accadde all'Imperatore?"- chiese un altro degli uomini. "Beh, tornò a Roma e lì, governando con saggezza e accortezza, andò avanti per parecchi anni. Furono anni discreti per l'Impero. Purtroppo così non si può dire per i Cristiani che sotto il suo governo furono perseguitati. Non che l'Imperatore avesse dato ordine di farlo ma semplicemente non lo proibì. La conseguenza fu che, per motivi politici ed economici, molti furono uccisi". "Almeno lui riuscì a morire nel suo letto?" - chiese un altro soldato. "Purtroppo no. Anche se nell'Impero le cose andavano abbastanza bene, per ciò che riguardava la politica interna, ai confini la situazione era sempre critica per l'atteggiamento delle tribù locali che mal sopportavano il controllo dei Romani. Così nel 211 Settimio Severo, partì per una campagna di repressione contro le tribù britanniche che avevano creato alle truppe di confine non pochi fastidi. Purtroppo, però durante il viaggio si ammalò e, giunto a Eburakum, l'attuale York, morì. Le sue ceneri vennero riportate a Roma e sepolte nella tomba degli Antonini. Per non creare particolari conflitti fra i suo figli, l'Imperatore aveva lasciato scritto che essi avrebbero regnato insieme. Naturalmente Caracalla, primogenito, non accettò di buon grado di dividere il trono con il fratello Geta. Cosicchè dopo pochissimo tempo dalla nomina, lo fece uccidere. La loro madre, Giulia Domna, condannò il gesto del figlio e prese le distanze da lui, negandogli la maggior parte del tesoro personale del marito. Caracalla proseguì con una spietata politica di repressione nei confronti di tutti coloro che erano sospettati di aver parteggiato per Geta. Toccò in questa repressione dei livelli di ferocia così estremi che la madre, considerato il rischio di una rivolta, si schierò apertamente dalla sua parte e riuscì, con la sua abilità, a ricondurre il figlio ad una condotta più accettabile. Per dimostrargli la sua benevolenza, Giulia Domna donò al figlio gran parte dei tesori del marito che essa aveva trattenuto per sè. Naturalmente nella cessione erano compresi i due famosi calici. Caracalla per gratitudine, ma anche per calcolo, conoscendo la sua abilità dimostrata in anni di discreta collaborazione con il marito, le affidò la direzione della cancelleria imperiale con l'impegno, sempre onorato, di controfirmare senza commenti tutto ciò che essa avesse deciso. Fu una saggia decisione perchè lei fu in grado di appianare quasi sempre i guasti provocati dall'ombroso carattere del figlio. Per sovvenzionare le sue grandiose iniziative, l'Imperatore gravò di tasse pesantissime sia le famiglie dei senatori che quelle più ricche dell'Impero". "Finalmente qualcuno che fa pagare le tasse ai ricchi!" - intervenne uno dei soldati, suscitando un coro di risate da parte dei compagni. Il 'professore' attese pazientemente che il clamore si calmasse, come si trovasse nella sua classe, dopo uno scherzo di uno dei suoi alunni. "Si, hai ragione - riprese - ma non fu davvero una felice iniziativa. Anche se non è giusto, la storia insegna che non bisogna mai inimicarsi i potenti. Da quel momento il senato attese solo un passo falso di Caracalla. Ed egli ne fece parecchi. Per aumentare il gettito delle tasse, stabilì con la costituzione Antoniniana del 212, che tutti gli uomini liberi dell'Impero potessero essere ritenuti cittadini a tutti gli effetti, romani e barbari. Questo segnò per sempre la fine della supremazia romana e causò un tremendo astio da parte di coloro che nel passato per quella supremazia, avevano lottato, sofferto e a volte sacrificato tutto. Verso la fine del medesimo anno, con un imponente esercito, si recò in Rezia, allo scopo di 'punire' la tribù degli Alemanni. I risultati di questa campagna non furono mai chiari. L'Imperatore affermò di aver schiacciato i ribelli. Questi ultimi affermavano di avergli inflitto una sonora sconfitta. Sta di fatto che Caracalla, invece di tornare subito a Roma, decise di spostare la sua attenzione sui territori ad oriente, conquistando in diversi modi, nuove colonie. Dove poteva, sconfiggeva i nemici con le armi, altre volte con accordi, più spesso con l'inganno. Conquistò la Mesopotamia, l'Armenia, Antiochia". Gli uomini in ascolto si sentirono affascinati dal nome di quelle antiche lontane terre, anche se molti di loro non avevano la più pallida idea di dove fossero. "In Egitto, ad Alessandria, sentì circolare delle allusioni circa la possibilità di rapporti incestuosi con sua madre, Immediatamente ordinò che la città fosse messa al sacco dai suoi soldati e che tutti gli abitanti fossero passati per le armi. L'eccidio e il saccheggio durarono per tre giorni, prima che l'Imperatore si dichiarasse soddisfatto dalla punizione. Però, per estremo sfregio, fece alzare un muro che divise la città in due parti con il divieto assoluto, pena la morte, per chiunque, di comunicare. Poi, per svernare, nel 217, Caracalla tornò a Edessa in Mesopotamia. Ormai la misura era colma. Il senato trovò il suo sicario nella persona di un ufficiale della guardia imperiale, un certo Marziale, al quale l'Imperatore aveva ingiustamente rifiutato una meritata promozione. Nell'aprile del 217, durante una cerimonia religiosa, l'Imperatore fu assassinato. Marziale, purtroppo per lui, venne naturalmente ucciso a sua volta, prima che potesse in qualche modo, tradire i membri della congiura. Giulia Domna che si trovava in Antiochia, immediatamente informata degli eventi, non si riprese più dal dolore e semplicemente si lascò morire". "Professore - intervenne uno degli ascoltatori - ci hai parlato di guerra, di assassini, di morti, ma la storia che insegni è fatta solo di queste cose?". "Per la maggior parte, si - rispose questi, - Non possiamo negare però che sotto alcuni aspetti i conflitti sono stati determinanti nella storia degli uomini. Le guerre, alla fine, portano la pace, si stabiliscono nuove alleanze, territori cambiano nome. Perfino il progresso è stimolato dalle guerre"."Certo, per trovare il modo di ammazzare più gente, - affermò in tono amaro un soldato di una certa età"."Per ammazzare più nemici!" - lo corresse uno degli ultimi arrivati, ancora infiammato dalla propaganda che gli era stata somministrata prima di partire. L'anziano lo guardò con un'aria molto triste, evitando di rispondergli. Anche gli altri soldati veterani evitarono di entrare nel discorso. Sapevano bene che quell'atteggiamento, tutto improntato al culto dell'eroe e del coraggio ad ogni costo, avrebbe probabilmente portato il ragazzo solo ad una morte prematura. Ne avevano visti tanti come lui e tante volte avevano cercato di far loro capire che al fronte le cose erano molto diverse da come venivano presentate a casa. Con alcuni ce l'avevano fatta, con molti altri non c'erano riusciti o non avevano fatto a tempo ed ora quelli non c'erano più. D'altronde molti di loro c'erano passati e quindi sapevano di cosa si trattava. I nuovi arrivati venivano immediatamente attratti dai nastrini e dai riconoscimenti dei veterani, che osservavano quasi con invidia. Non sapevano che dietro ad ognuno di quei simboli c'erano stati dolori, sofferenze e tanti compagni morti. Non potevano immaginare che quegli uomini, avrebbero barattato volentieri tutte quelle medaglie con una giornata in pace a casa, vicino ai propri cari e magari dopo un bel pasto decente. Per quella sera, la compagnia si sciolse, e ciascuno si accomodò alla meglio, per cercare di dormire qualche ora in pace, prima di dover sferrare un nuovo attacco o di difendere, a duro prezzo, il territorio. Tutti avrebbero sperato di poter fare dei sogni sereni, che li sollevassero almeno per un pò da quella tremenda realtà che stavano vivendo, per alcuni di loro, forse da un po' troppo tempo. Qualche giorno dopo, il 23 ottobre, Tobias e Lukas, esausti nel fisico e nel morale, con i compagni nelle medesime condizioni, si trovarono sulla linea del Piave quando le truppe Italiane, utilizzando dei ponti di barche e sfidando delle avverse condizioni meteorologiche attaccarono le linee austriache, coperti da un intensissimo fuoco di mortaio che obbligava gli Austriaci a starsene rintanati nelle loro buche senza poter opporre una valida resistenza. Tutti gli uomini stavano premuti al terreno, ognuno pensando che avrebbe potuto, dovuto scavare più a fondo per ripararsi, rintanarsi il più possibile. Non c'era comunque nulla da fare. I colpi venivano dall'alto e cadevano continuamente provocando vittime e feriti. Una granata centrò la buca dove il 'professore' si era rifugiato assieme ad altri tre commilitoni. Si sentiva a tratti la voce del sergente Beker che urlava agli uomini di non muoversi, di stare fermi perchè le buche erano l'unica cosa che li potesse proteggere almeno dalle schegge. Ma non era facile, stare fermi immobili mentre quelle granate piovevano dal cielo. E infatti, alla fine, un gruppo di novellini non ce la fece più a resistere e, alzatisi in piedi, cominciò a correre, sperando di sottrarsi a quella tremenda situazione. Ma in realtà non c'era luogo dove correre, dove ripararsi. Il sergente uscì dalla sua buca e corse loro appresso. Riuscì ad afferrarne due e, urlandogli insulti e minacce, riuscì a buttarli in una buca poi tentò di saltarci dentro anche lui. Purtroppo una granata esplosa nelle immediate vicinanze, lo crivellò di schegge ed egli cadde nella buca come una bambola rotta. Poi gli Italiani vennero all'assalto. Purtroppo, fu proprio in quel momento che una delle ultime bombe di mortaio centrò in pieno il riparo in cui si era rifugiato Lukas . Tobias, che pure ne aveva passate tante, non resse a quell'ultimo trauma e rimase accanto ai resti del suo compagno, come istupidito per il dolore e per l'esplosione, insensibile ed estraneo a ciò che gli accadeva intorno. Questo probabilmente gli salvò la vita in quanto, i soldati italiani, arrivati sul posto, si accorsero immediatamente del suo stato e, forse anche loro stanchi di uccidere, si limitarono a farlo prigioniero, senza che egli se ne rendesse conto o che facesse capire che gli importava minimamente di cosa gli capitava attorno. I suoi compagni, scampati alla battaglia, si ritirarono disordinatamente verso le Alpi. Quello che accadde subito dopo sembrò non riguardare più Tobias. La spossatezza, i traumi emotivi subiti in battaglia, il morale a pezzi, sembrarono colpirlo tutti assieme, causandogli uno stato di apatia totale. Non reagì nemmeno quando gli comunicarono che la guerra era finita e stava per tornare a casa. Il suo compagno, quasi un fratello, era morto. Il loro progetto era finito.
  
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