Anime & Manga > Inuyasha
Ricorda la storia  |      
Autore: RodenJaymes    19/12/2016    13 recensioni
**Fanfiction vincitrice del contest di Natale "Sfida a catena" indetto dal gruppo facebook "Takahashi Fanfiction Italia"**
Kagome è una studentessa all'ultimo anno di Belle Arti. E' quasi Natale e fra i ragazzi fervono i preparativi per le feste imminenti. L'ultimo giorno di lezione prima delle vacanze, il suo professore regala un esame a sorpresa. E cosa potrebbe accadere se il suddetto esame consistesse nel ritrarre un restio modello in carne ed ossa?
Genere: Demenziale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Kagome, Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Sono stata sfidata da: Miyu87.
Condizioni necessarie per la stesura della OS: coppia InuyashaxKagome; personaggi IC (clausola che riguarda il carattere dei personaggi ma non le loro relazioni e/o caratteristiche fisiche).
Traccia base datami dalla sfidante: Kagome è una studentessa all'ultimo anno di Belle Arti. All'ultimo giorno di lezione dell'anno (pochi giorni prima di Natale) il professore regala un esame a sorpresa: dovranno disegnare un corpo nudo (o seminudo) basandosi sulle statue greche e avranno a disposizione un modello in carne ed ossa per prendere spunto. Inuyasha irrompe in aula, pronto a mettersi in mostra, sotto gli occhi stupiti di Kagome.
Rating libero: Arancione.
Conteggio parole: … basti sapere che sono troppe. 

 

 

"L'artista deve creare una scintilla prima di poter accendere il fuoco e prima che l'arte nasca; l'artista deve essere pronto ad essere consumato dal fuoco della propria creazione." 
- Auguste Rodin. 

"Un essere umano è una creatura estetica ancor prima che etica."
- Joseph Brodsky.





Tokyo, 20 Dicembre 2016. Martedì.

Era una giornata particolarmente fredda. Tutti gli studenti dell'Ateneo dell'Università di Tokyo erano ben rintanati nelle aule; erano occupati a seguire i corsi, a studiare o anche solo a prendere un caffè in compagnia per scongiurare la noia di quelle mattinate invernali.
I pochi che osavano mettere piede in cortile, erano considerati dei temerari. Il gelo aveva lasciato abbondantemente traccia di sé, mostrandosi in ogni cosa. Anche la bella e imponente fontana in marmo, situata al centro dello spiazzo interno dell'Ateneo, recava traccia del freddo; era inattiva a causa dell'inverno ormai inoltrato. La neve circondava tutto il grande cortile quadrangolare mentre un gelo avvolgente si faceva sentire sempre di più.

Kagome Higurashi stava lì, assolutamente annoverata ad honorem fra i temerari. Era infagottata come un esquimese, seduta sotto il portico che costeggiava lo spiazzo. Aveva un blocco da disegno fra le mani e stava cercando di riprodurre disperatamente i ghirigori e le mutevoli angolazioni delle code dei leoni marini, i quali – disgraziatamente per lei – circondavano la parte superiore della fontana. All'ennesima linea a suo giudizio del tutto sbagliata, sbuffò e vide il suo respiro condensarsi davanti al viso. Prese a cancellare i tratti con zelo, con una gomma morbida, per poi provarci nuovamente.

«Ehi, ragazzina!», chiamò all'improvviso una voce maschile. Contemporaneamente, delle mani si piazzarono sulle sue spalle con un poderoso schiocco. 

Kagome trasalì violentemente, colta di sorpresa, e sporcò il foglio con una linea che deturpò in parte il disegno sul quale aveva lavorato fino a quel momento. Si volse, furente, e diede un colpo di blocco da disegno all'idiota che se la rideva ancora alle sue spalle.

«Bankotsu, accidenti!», si lamentò accigliandosi mentre quello continuava a ridacchiare nonostante il colpo ricevuto. «Guarda, mi hai fatto sbagliare!», disse ancora, arrabbiata. Poi sospirò, come ad acquisire nuovamente contegno, e prese a cancellare quel disastro con aria mesta. «Dovrei ucciderti.»

«Scusa ma è troppo divertente. Ci caschi ogni volta!», confessò quello guadagnandosi un'occhiata bieca. Si sedette proprio di fronte a lei, sul muretto facente parte del portico. Si sistemò meglio, con le spalle contro la colonna dorica, ed estrasse anche lui il blocco dei disegni dallo zaino. «La fontana? Ancora? Sul serio, perché ti torturi, Kagome?», chiese Bankotsu, sornione, rivolgendo un'occhiata breve alla fontana e poi alla sua interlocutrice.

Kagome sospirò nuovamente e si abbandonò anche lei contro la colonna alla quale era poggiata. Allungò le gambe, dapprima strette al petto, e le posizionò sopra quelle di Bankotsu.

«Perché lo stile barocco è la cosa più infima che il genere umano abbia potuto creare... ma non l'avrà vinta con me!», esclamò la ragazza con un sorriso, facendo leva sulla sua solita verve combattiva. «Riuscirò a rendere bene queste maledette ombreggiature, Santi Kami.»

«Sono sicuro che ci riuscirai.», acconsentì Bankotsu con un sorrisetto. Aveva sempre trovato profondamente divertente quell'ostinazione di Kagome nel non volersi arrendere mai.

La ragazza sorrise; poi tacquero un attimo, ognuno perso nei propri pensieri.

Kagome recuperò il blocco che giaceva abbandonato sulle gambe, decisa a riprendere il disegno della fontana mentre Bankotsu era perso in qualche sua creazione astrale dell'ultimo minuto. L'amico amava disegnare roba spaziale, pianeti, galassie, costellazioni, alieni... cose che lo entusiasmavano moltissimo.

Kagome sollevò gli occhi grigi sulla fontana, armata di impegno e santa pazienza, ma qualcosa la distolse immediatamente dal suo buon proposito. Sempre sotto il portico, dalla parte opposta rispetto a dove lei e l'amico si trovavano, vide passare lui. Il mondo parve letteralmente fermarsi mentre i suoi occhi non potevano far a meno di squadrare quell'individuo, se pur relativamente lontano.
I capelli nerissimi, il corpo statuario, sembrava tornito al punto giusto. Una serie di libri sottobraccio. Indossava soltanto una felpa sopra una semplice maglietta bianca e una sciarpa, assolutamente incurante del freddo. Rimase a guardarlo a lungo, con l'aria trasognata da quindicenne in bagno di ormoni, mentre l'idea di riprodurre le ombreggiature di quei cacchio di leoni marini passava completamente in secondo piano.

È bello... proprio tanto..., pensò mollando la matita e portandosi le mani al viso, un sorriso ebete ad illuminarla.

Lo vide fermarsi a contemplare qualcosa di affisso ad una bacheca in legno e rimase ancora ad osservarlo impunemente.

«Allora... a Natale siamo tutti insieme, è deciso. Ma... cos'hai in mente di fare per la Vigilia? Mancano quattro giorni.», chiese improvvisamente Bankotsu, gli occhi ancora piantonati sul suo nuovo e fantastico disegno. «Piani? Idee? Commiserazione natalizia?»

Non sentendo arrivare alcun tipo di risposta dopo un numero considerevole di minuti – sette per l'esattezza, li aveva contati – Bankotsu sollevò lo sguardo dal suo cartaceo scontro galattico.
Notò che Kagome aveva gli occhi letteralmente piantonati verso il lato opposto del portico. Si volse anche lui e, intercettando l'oggetto di interesse della sua amica, si fece scappare un largo sorrisetto sghembo. Ah, uno di quelli di Fisica! Si sporse in avanti e si inumidì le labbra.

«HIGURASHI! FILIPPO BRUNELLESCHI!», urlò di punto in bianco, imitando la voce stridula del loro professore di Storia dell'Arte Europea, il quale era solito richiamare i ragazzi in quel modo, senza alcun preavviso.

Come previsto, Kagome si scosse all'improvviso, drizzando la schiena, e cominciò a parlare per riflesso incondizionato, come una macchinetta impazzita.

«Filippo Brunelleschi, classe 1377, architetto, scultore, orafo, scenografo e ingegnere. Genio indiscusso, padre della fantastica cupola autoport-», Kagome aprì gli occhi socchiusi e si fermò di colpo trovando Bankotsu che si tratteneva a stento dallo sghignazzare sguaiatamente. «Ah! E dài, Bankotsu!»

L'amico scoppiò definitivamente a ridere e Kagome si volse velocemente, infastidita, sperando di ritrovare lui, e sì, fortunatamente era ancora lì. Si era fermato a parlare con alcuni ragazzi.

«Che fai? Ti metti a guardare anche tu quelli del dipartimento di Fisica?», chiese Bankotsu con tono insinuante.

Kagome distolse lo sguardo, a malincuore, e si voltò di nuovo verso l'amico quando il tipo del dipartimento di Fisica sparì, inghiottito dall'Università. Sospirò e abbassò lo sguardo sul suo disegno. Era considerabile normale sentirsi scombussolata? Era normale voler contemplare – quel termine le sembrava mortalmente adatto – ancora quel tipo? Era la seconda volta che le capitava.

«N-no, per niente.», rispose soltanto e cominciò a scarabocchiare agli angoli del foglio. Arrossì e ringraziò che il freddo le avesse già colorato abbastanza le gote di solito più pallide.

Ritirò le gambe nuovamente al petto e Bankotsu ne approfittò per avvicinarsi a lei. L'amico sistemò un braccio sulle ginocchia di lei, appoggiandovisi, e continuò a guardare dritto di fronte a sé.

«Kagome, non penserai davvero di poter prendere in giro me.», disse Bankotsu con boria e questo la fece sorridere. «È da quando il dipartimento di Fisica è stato spostato qui che voi ragazze non fate altro che morire dietro a questi qui! Guarda che noi di Belle Arti potremmo anche offenderci!»

Kagome rise e sprofondò nel parka verde scuro, come se potesse sparirvi dentro, e la pelliccia sintetica del cappuccio la fece starnutire. Bankotsu diceva il vero, quella coabitazione fra i ragazzi di Fisica e quelli di Belle Arti andava avanti da qualche mese e così anche l'entusiasmo delle ragazze della seconda sezione.

Da Settembre l'edificio di Fisica dell'Ateneo era inagibile; i soffitti non erano nelle condizioni migliori e pioveva dentro. Così, per lavori di manutenzione ovvi e necessari, ragazzi e personale della sezione di Fisica si erano ritrovati “sfollati”, cominciando una nuova e strana convivenza con gli studenti del dipartimento di Belle Arti.

Kagome frequentava proprio il quarto** ed ultimo anno di quel benedetto dipartimento e aveva già avuto l'occasione di vedere quel tipo di Fisica prima di quel momento. Era successo due giorni prima, in corridoio. Lei scappava per raggiungere una sessione estenuante di Estetica delle Arti Visive – si era persa di nuovo e si era trovata a vagare per i corridoi dell'area opposta dell'edificio – e lui usciva da una delle aule che avevano affibbiato a “quelli di Fisica”. Si erano scontrati e il ragazzo l'aveva guardata per un attimo per poi borbottare un burbero “scusa”, prima di andar via. Kagome ricordò che lo aveva osservato a lungo mentre lui si allontanava, trovandolo immediatamente molto bello. Ma... tutto lì. Niente di che. Era una studentessa d'arte, era normale che si fermasse ad ammirare il bello quando questo si manifestava! Non fantasticava mica di diventare la madre dei suoi figli... che, comunque, con un padre del genere, sarebbero stati sicuramente bellissimi!

«Non gli moriamo dietro. Li guardiamo con aria sognante, è diverso.», specificò Kagome con un sorriso, per poi sospirare nuovamente. «Instauriamo una relazione ipotetica e platonica con quelli di Fisica. Ci piace osservarli e scorgere in loro i canoni armonici della migliore arte. Solo questo.», spiegò convinta, con un sorrisone che andava da orecchio a orecchio.

Bankotsu schioccò la lingua e scosse la testa con biasimo.

«Siete inquietanti e questa mi sembra soltanto una scusa per guardar loro il culo senza troppe ripercussioni.», disse e fece scoppiare a ridere Kagome nuovamente. «Cooomunque, dicevamo. Cosa farai sabato? È la Vigilia di Natale.», le ricordò.

Kagome sorrise apertamente e sollevò gli occhi al cielo perdendosi a guardare le nuvole.

La Vigilia di Natale era una festa che andava passata con una persona speciale, così dicevano tutti**. Qualcuno di molto, molto speciale. Era il giorno giusto anche per dichiararsi a qualcuno o, semplicemente, invitare un amico che si sperava diventasse qualcosa di più. Ma lei non aveva nessuno che fosse speciale in quel senso, quindi, da anni ormai, passava il 24 Dicembre con le sue amiche. Tuttavia, molte di loro avevano deciso di trovare l'amore proprio a ridosso delle feste...

Si rabbuiò un po'. Da un certo punto di vista, rifletté che anche a lei sarebbe piaciuto trovare un ragazzo con cui festeggiare la Vigilia ma, in fondo, la cosa non la turbava moltissimo e sapeva che doveva solo aver pazienza. Come diceva sua madre, l'amore non si cerca e non si crea, cresce e ti trova quando meno te lo aspetti. Era questione di destino, le ripeteva, e lei, semplicemente, aveva smesso di prestarvi troppa attenzione. Le festività natalizie erano una ricorrenza che le piaceva così tanto che non si sarebbe lasciata abbattere così facilmente. Natale era pur sempre Natale, con o senza ragazzo!

«Lo so! Come potrei scordarlo?!», disse giungendo le mani e facendole battere, come una bambina. «Comunque, Ayame è libera, passerò la giornata con lei. Potremmo andare a cena e poi guardare un film insieme. Oppure seguire le nostre personali tradizioni: cantare roba natalizia, bere fragolino e abbuffarci di dolciumi.», ipotizzò portandosi una mano al mento, meditabonda, come se dovesse pensarci sul serio.

«Insomma, in ogni caso, come due vecchie zitelle.», esordì Bankotsu beccandosi poi una spintarella da parte dell'amica. «Possibile che siano tutte impegnate?», aggiunse ridendo.

«Le altre hanno tutte trovato qualcuno di speciale ed io sono contentissima per loro!», disse Kagome acquisendo nuovamente quell'aria tranquilla e sognante. «Sango frequenta da poco un nuovo ragazzo – anche se per adesso non vuole farcelo ancora conoscere. Ha detto che vuole aspettare Natale.», raccontò ed era elettrizzata al solo pensiero. «Oh, e sai la novità? Credo proprio che Kikyo passerà la Vigilia con Ichinose!», concluse poi, con tono fintamente sorpreso.

«Ichinose? Ma dài?! Giura!», esclamò Bankotsu con aria appositamente civettuola e Kagome scoppiò a ridere. «Ghiaccio secco e Trita palle. Che coppia!»

«Ban! Kikyo non è tanto male.», obiettò con titubanza. «Beh, poi... ci sarebbe Rin... ma non credo che tu voglia cedermela...», insinuò per poi cominciare a battere qualche pacca sulla spalla dell'amico. «Sono così contenta per voi!», esclamò, estasiata, come se fosse lei al posto di Bankotsu.

L'amico arrossì e cercò di scrollarsela di dosso mentre si lasciava macchiare il viso da un sorrisetto sghembo di facciata. Prese a grattarsi una guancia, lievemente imbarazzato, mentre Kagome sorrideva soddisfatta.

Lei, Rin e Bankotsu avevano sempre formato un trio, fin dai tempi del liceo. Da un po' di tempo, però, la ragazza si era accorta che i suoi due più cari amici avevano cominciato a nutrire reciprocamente qualcosa più forte di un'amicizia. Si erano ufficialmente dichiarati quell'Aprile e quella sarebbe stata la loro prima Vigilia di Natale insieme!

Sono così carini!, pensò Kagome con una punta d'orgoglio. Sapeva che avrebbero finito per far coppia!

Come se si fosse sentita chiamare, Rin comparve alle spalle di Bankotsu, buttandogli le braccia al collo e stringendolo forte. Quello socchiuse gli occhi e sorrise. Kagome si trovò a sorridere a sua volta, beandosi delle loro espressioni gioiose.

«Ciao anche a te!», l'apostrofò il ragazzo e quella gli fece la linguaccia prima di trotterellare più vicina a Kagome. Di natura, Rin non stava mai ferma ma – in quell'occasione – il freddo era ben complice del suo continuo movimento.

«F-fa un f-freddo t-terribile, si può sapere che ci f-fate q-qui? Rin c-congela, accidenti!», disse battendo i denti e saltellando sul posto. Entrambi sorrisero intercettando ancora una volta quella mania di Rin di riferirsi a se stessa in terza persona; era un vecchio vizio infantile nel quale, spesso e volentieri, ricascava. «Tra p-poco comincia anche la l-lezione di Momozono!»

«Disegnavo tranquilla l'orribile fontana barocca prima che il tuo ragazzo venisse deliberatamente ad importunarmi.», scherzò Kagome e fece una smorfia all'amico che prese a scuotere la testa.

«Non è vero. Dovrebbe piuttosto dire che disegnava tranquilla prima di bloccarsi a sbavare su un tizio di Fisica!», l'accusò Bankotsu con un sorrisetto provocatorio.

«Ehi!», protestò Kagome tirandogli il piccolo astuccio delle penne, salvo poi recuperarlo e sincerarsi che vi fosse dentro ogni cosa.

Rin si illuminò di un sorriso radioso e prese Kagome per un braccio, tirandola e costringendola ad alzarsi.

«Uhhh, i tizi di Fisica!», esclamò tutta contenta, saltellando ancora, e si guadagnò un'occhiataccia da parte di Bankotsu. «È carino? Ti piace?», chiese ancora, incalzante.

Kagome rimase un attimo attonita da quell'eccesso di zelo, tipico dell'amica. Cominciò ad agitare le mani, come a dissipare quelle richieste, mentre ridacchiava imbarazzata.
Rin – così come Sango, del resto – era abbastanza interessata alla sua vita sentimentale, più di quanto non lo fosse lei. Con il suo modo di fare frizzante, l'amica cercava sempre di carpire qualche suo interesse per un papabile “futuro fidanzato” ma i risultati erano sempre disastrosi.

«Ma cosa dici, Rin! Non esagerare.», la ammonì bonariamente, grattandosi la testa con un dito. Recuperò il blocco da disegno abbandonato sul muretto – per poco non le venne un infarto pensando che si fosse inzuppato cadendo nel nevischio, al lato del piccolo rialzo – e prese a sistemarlo nella borsa con cura. «Questa è solo la seconda volta che lo vedo. Posso dirti che, s-sì, insomma... è parecchio bello.», ammise tornando a guardare l'amica e caricando la borsa in spalla.

Rin portò le mani al viso mentre sia lei che Bankotsu cominciavano a seguire Kagome che si era già avviata verso l'entrata più vicina.

«È un bello artistico o un bello soggettivo?», chiese Rin affiancandola con qualche saltello e imitando il tono del professor Momozono, ovvero il così detto “tono Momozonico”.

Bankotsu rimase indietro di due passi e roteò gli occhi con palpabile disappunto. Era da ben otto anni che ascoltava quel tipo di conversazioni. Pensava che essere l'unico elemento maschile di quel trio avrebbe cessato d'essere un problema con l'inizio della sua relazione con Rin. Si sbagliava e di grosso anche.

Kagome si portò un dito al mento e storse la bocca, pensierosa, mentre cercava una risposta convincente alla domanda di Rin. Era un tipo di bello che rispettava canoni ben definiti o era bello per lei? Risolse che non aveva una risposta certa. Forse era una mescolanza di entrambi. Sapeva soltanto che sì, le era piaciuto guardarlo e avrebbe potuto continuare. Ma questo non l'avrebbe espresso ad alta voce – non voleva farsi attribuire strani problemi ossessivi, o peggio, fomentare le fantasie di Rin.

«Uhm, dirti che è un bello da dipartimento di Fisica vale come definizione?», chiese infine, facendo spallucce e sorridendo mentre Rin scoppiava a ridere.

«Il che equivale a dire che è un tipo di bello affermato in ogni parte del globo!», affermò Rin sollevando le braccia al cielo, euforica, e quella volta fu Kagome a ridere. «Che cosa fantastica!»

«Io sarei ancora qui, comunque.», si lamentò Bankotsu con stizzita ironia, sbucando al fianco di Rin. Quest'ultima intrecciò la sua mano a quella del giovane e gli sorrise, eliminano immediatamente la ruga di disapprovazione che gli increspava la fronte.

Kagome sorrise dolcemente, intenerita da quella scena, e insieme imboccarono finalmente uno dei corridoio dell'area destra – l'area assegnata a Belle Arti – pronti a trovare l'aula di Momozono. 
Strinse i manici della borsa che portava in spalla e assottigliò lo sguardo lanciando occhiate a destra e manca. Frequentava quella facoltà da ben quattro anni, eppure faceva ancora fatica ad orientarsi. A quel punto, aveva ben ragione di pensare che non ci sarebbe mai riuscita.

«Questo è il corridoio sbagliato!», esordì Bankotsu bloccandosi di colpo e dando voce ai pensieri della ragazza. Le due si volsero istantaneamente verso di lui. «Ovviamente, stavamo seguendo Kagome.», aggiunse poi con un sorriso beffardo, battendosi una mano sulla fronte.

Quella aggrottò le sopracciglia e gonfiò le guance per poi sciogliersi miseramente in un sospiro. Beh, aveva ragione, cosa poteva dirgli? Era un vero disastro nella ricerca delle aule. Aprì comunque la bocca – per tentare almeno un'irrisoria difesa – ma venne sovrastata nuovamente dalla voce del ragazzo.

«Ehi, Ka-chan, potresti sempre chiedere al belloccio di Fisica di passare la Vigilia insieme.», scherzò Bankotsu facendole l'occhiolino.

Kagome rimase a bocca aperta, senza riuscire a dire nulla, colta alla sprovvista. Poi prese a ridacchiare, un riso imbarazzato, per via dell'assurdità che l'amico aveva appena espresso.

«Eh?!», riuscì a dire inizialmente, sbattendo un paio di volte le palpebre. «Oh, ma certo, ovviamente. È una cosa assolutamente-»

«Geniale!», la interruppe Bankotsu, divertito, e Rin si volse verso il ragazzo, sgranando gli occhioni. «È una buona idea, Kagome. Sicuramente, alternativa ben più allettante che passare la Vigilia con Ayame.»

Kagome alzò gli occhi al cielo, le gote arrossate, e continuò a camminare spedita verso quella che, ormai, era più che sicura fosse la direzione giusta. Perché la conversazione aveva preso giusto quella piega imbarazzante? Anche se Bankotsu stava solo scherzando, la cosa le dava una strana sensazione di... fastidio. Non sapeva perché.

«Però pensaci, Ka-chan, sarebbe romantico. L'hai già visto due volte, se lo vedessi una terza, avrebbe proprio ragione tua madre, sarebbe tipo destino.», rincarò Rin dopo qualche minuto di silenzio, con aria trasognata, lasciandosi poi sfuggire una risatina. «A quel punto, dovresti proprio chiederglielo.»

«Oh, andiamo, ragazzi!», esordì Kagome bloccandosi di scatto e rivolgendogli un'occhiata perplessa, cercando di dissimulare l'imbarazzo. «Ne stiamo davvero parlando? L'ho visto due volte. Tutto quello che so di lui è che mi piace guardarlo... è tipo una scultura di Canova o un Botticelli. Ho reso l'idea?», spiegò per poi ridacchiare, vagamente a disagio. «E comunque, c'è sicuramente un motivo per il quale i Kami e il destino non mi mandano un fidanzato: mi devo laureare! Non ho tempo per queste cose!», scherzò, ma nelle sue parole v'era un fondo di verità.

Insomma, quando la sua mente si trovava ad elaborare la preoccupazione degli ultimi esami, della prova finale, degli ultimi progetti da preparare, la voglia di innamorarsi si annichiliva di fronte al fatto che, talvolta, sentiva di avere a stento il tempo di respirare. Ultimamente, poi, per un motivo o per un altro, trovava sempre poco tempo per studiare ed era in ritardo con alcune consegne...

All'improvviso, un pensiero molesto sembrò assalirla e il sorriso ironico si spense lentamente. Scostò la pesante manica del parka per scoprire l'orologio che portava al polso. Sgranò gli occhi e scattò sul posto mentre lo sguardo le si incollava al quadrante.

«...e il corso di Momozono è vitale per la laurea... e noi siamo in ritardo! Ahh, accidenti!», esclamò in piena disperazione e cominciò a sfrecciare verso sinistra.

Se fosse arrivata in ritardo per l'ennesima volta, Momozono l'avrebbe uccisa! Quello lì faceva sul serio... faceva sul serio ed era fuori di testa!

«Ragazzina!», la richiamò Bankotsu, le braccia incrociate e l'espressione di biasimo più odiosa che Kagome avesse mai visto.

«Che c'è?! Siamo in ritardo!», replicò quella, quasi correndo sul posto tant'era impaziente.

«L'aula è da quella parte.», informò l'amico indicando la direzione opposta rispetto a quella che lei stava per imboccare.

Kagome si concesse giusto i secondi necessari per lasciarsi sfuggire un sospiro carico di assoluta frustrazione, prima di schizzare letteralmente nella parte di corridoio indicata da Bankotsu – neanche fosse in palio un bidone di oden** o l'oro alle olimpiadi.

I due amici sospirarono sonoramente mentre la vedevano allontanarsi in modo così spedito. Bankotsu notò che il volto della sua Rin era nuovamente rallegrato da un bel sorriso; tuttavia, scorse in quella curvatura qualcosa di diverso.

«Rin, io stavo scherzando. Cos'è quella faccia? Non me la dai a bere.», le fece notare il giovane osservandola con sospetto. «Cosa stai macchinando?»

«Assolutamente nulla.», rispose quella facendo spallucce. «Tuttavia, Kagome farebbe bene a ricordare la sindrome di Stendhal. Anche la contemplazione fine a se stessa, a volte, può rivelarsi dannosa.»

Dopo aver espresso quei pensieri sibillini, cosa che si ritrovava a far spesso, Rin cominciò a camminare facendo stridere contro il linoleum i suoi stivali di gomma – rigorosamente arancioni – e lasciando indietro un Bankotsu sempre più perplesso.

«Io ti capisco sempre meno.», confessò il giovane prima di seguirla verso l'aula.

                                                                                                                                              ***

Kagome raggiunse trafelata il corridoio dov'era posizionata l'aula di Storia dell'Arte Europea.
La B12 era l'aula più piccola dell'intero dipartimento di Belle Arti, tanto da essere paragonata ad una classe liceale. Si presentava come una stanza rettangolare, dalle pareti grigie; gli unici mobili presenti erano una lunga scrivania e, di fronte a questa, le tre file di sedie con una sorta di banchetto attaccato – banchetto che in due sedie su quattro era sistematicamente rotto. In un angolo, un armadietto con il necessario per la pulizia della stanza e, dietro la scrivania, una lavagna multimediale dalle dubbie capacità di funzionamento.
Quando riuscì a mettere mano sulla maniglia della porta, Kagome sentì il cuore in gola, immaginando già l'occhiata irritata e assolutamente biasimatrice del professore.

«Eccomi, professore, scusi!», annunciò la ragazza non appena varcò quella maledetta soglia e si inchinò immediatamente, sperando che Momozono fosse clemente almeno in prossimità delle feste.

Non udendo nessuna risposta, Kagome sollevò lo sguardo e fu profondamente stranita quando vide soltanto Naraku Ichinose e Kikyo Noragami che occupavano i soliti posti in prima fila e la osservavano con assoluta impassibilità. Kikyo riprese subito le sue mansioni – aveva numerosi fogli sotto gli occhi – mentre Naraku prese ad osservarla con il solito sorrisetto affettato ed inquietante.

Kagome si appoggiò allo stipite della porta, in attesa di riprendere fiato, e aggrottò le sopracciglia scure in perplessità. Dove diamine era il professore? La lezione doveva esser cominciata da ben cinque minuti e Momozono era un tipo solitamente puntuale.

«Che deliziosa sorpresa. L'avresti mai detto, Kikyo? Higurashi è in grado di arrivare in orario a lezione.», esordì Naraku con voce quasi annoiata, inclinando leggermente la testa di lato. «Ti dedicherei un applauso, se solo mi importasse.», concluse e si aprì in un nuovo sorriso lezioso.

Kagome gli rivolse un'occhiata bieca che mostrava tutto il suo disappunto.
Ichinose era tremendamente e incommensurabilmente fastidioso. Aveva a che fare con lui da ben quattro anni ma non vi si sarebbe mai abituata. Naraku aveva sempre una parola per tutti, nessuno era risparmiato dalle sue frecciatine assolutamente calcolate. Sapeva sempre su che tratto puntare per dar noia al prossimo. Kikyo era l'unica ad esser risparmiata, ma Kagome era certa che non gli avrebbe comunque dato la soddisfazione di vederla incollerirsi.

Kagura, una loro collega di corso, li definiva sprezzantemente “la coppia dell'ansia”. Stavano sempre insieme, pallidi e insondabili, ed ogni volta che poggiavano lo sguardo su qualcuno, sembravano fornire un insensato brivido di inquietudine. La ragazza sosteneva che Naraku somigliasse ad un becchino e che Kikyo fosse la sua mascotte cadavere personalizzata.

Alle parole della collega, Kagome cercava sempre di trattenere le risa; insomma, non pensava fosse giusto ridere così di loro, ma – dannazione – erano davvero strani. O meglio, per Kikyo le dispiaceva ma Naraku era uno stronzo patentato.

«Sempre simpatico come un calcio in culo, eh Ichinose?», le venne in aiuto Bankotsu sopraggiungendo alle sue spalle, con Rin. Avanzarono velocemente e si accomodarono nella stessa fila di Kikyo e Naraku, lasciando un posto di distacco.

«Si fa quel che si può.», rispose Naraku per niente colpito, facendo spallucce, e sistemò una ciocca di capelli neri dietro l'orecchio.

Kagome scosse la testa e si lasciò sfuggire un piccolo sorrisetto rassegnato. I botta e risposta fra quei due erano all'ordine del giorno. Entrò in aula e prese finalmente posto, occupando la terza sedia a partire da sinistra, nella seconda fila. Proprio dietro Kikyo.

Scaricò la borsa sul pavimento con ben poca grazia e godé della soddisfazione di essersi seduta nel suo “posto d'oro”, uno di quelli col banchetto sano, prima di tirar fuori l'album da disegno.

In teoria, Kagome sapeva che scegliere un posto era la cosa più stupida che potesse fare; dal momento che erano dieci studenti in tutto a frequentare quel corso, avrebbero potuto sedersi tranquillamente tutti in prima fila. Nonostante ciò, il professor Momozono li lasciava liberi di disporsi come volevano perché affermava di poterli torturare comunque, qualunque fosse la loro seduta.
Kagome aveva preso di buon grado quell'insignificante libertà; era un essere terribilmente abitudinario e occupare sempre lo stesso posto le dava un senso di pace che la rendeva contenta. Le piaceva fare il bagno caldo alla sera, mangiare l'oden il giovedì e sedersi nella terza sedia della seconda fila, quella a partire da sinistra. Semplicemente.

La ragazza continuò a contemplare l'aula e i piccoli festoni attaccati alle pareti – per via delle feste in arrivo – mentre cercava di riordinare la mente e di ricomporsi, ancora stanca per quella rocambolesca corsa all'aula.

«Kikyo, credi che Higurashi sia pronta ad iniziare una conversazione o che stia ancora dormendo?», chiese Naraku ancora, con noncuranza, come se non volesse farsi sentire sul serio. «Arrivare in anticipo deve averla destabilizzata.»

Kagome si riscosse dai propri pensieri e prese a guardarlo in cagnesco. Che razza di antipatico! Era sicura di potersi definire una persona relativamente paziente, ma lui mandava in barba tutti i suoi buoni propositi!

«Ehi! Non hai ancora finito?», si lamentò con un tono ostile che raramente utilizzava.

«Naraku... suvvia, basta.», lo rimbrottò Kikyo bonariamente, con voce monocorde, mettendo finalmente da parte quella moltitudine di fogli. A Kagome, però, non sfuggì quell'accenno di sorriso che le aveva macchiato il viso pallido. «Scusatemi, stavo rivedendo delle carte. Buongiorno, ragazzi. Kagome.», disse poi, giustificando il suo saluto a scoppio ritardato, rivolgendosi prima a Bankotsu e Rin – che le risposero con brevi cenni, già occupati a parlottare fra loro – e poi alla ragazza seduta dietro di lei.

Quando la salutò, Kikyo si volse leggermente indietro e la treccia corvina nella quale aveva raccolto i capelli le scivolò sulla spalla. Le rivolse un piccolo sorriso tenue che però non illuminò gli occhi castani.

«Ciao, Kikyo. Non preoccuparti.», le rispose Kagome con un sorriso ben più aperto, ma pur sempre un tantino a disagio.

Ad essere sinceri, Kikyo era più amica di Ayame che sua e Kagome sentiva di non averla mai capita bene. Anche se avevano passato spesso del tempo insieme e Kikyo era sempre normalmente garbata con lei, quei modi freddi e compiti misti ad alcune strane occhiate le avevano fatto un po' credere di non piacerle molto. Chissà perché.

«Come mai non c'è ancora nessuno?», le chiese poi Kagome, prima che quella si voltasse nuovamente.

Rin e Bankotsu, che si erano completamente estraniati, si girarono, incuriositi.

«Il professore ha inviato una e-mail nella quale specifica che tarderà di circa venti minuti. Non ci è dato di sapere perché.», spiegò tranquillamente, facendo spallucce. «Noi eravamo qui per studiare.»

Kagome sgranò gli occhi e recuperò il cellulare dalla borsa. Quella mattina non le era passato neanche per l'anticamera del cervello di controllare la posta elettronica dell'università. Beh, come sempre del resto.

«Ah. Fantastico!», sibilò con ironia, alzando gli occhi al cielo, mentre sul display del cellulare compariva la spia che segnalava l'arrivo di posta. Si volse verso i suoi amici ma neanche loro avevano controllato nulla. Ovviamente.

Sbuffò. Che seccatura! Avrebbe potuto prendersela con più calma, magari sarebbe riuscita anche a bere un caffè, aspettare Sango...

«Oh. Spiegato l'arcano. Ecco perché questa volta sei quasi arrivata in orario. Non hai controllato la posta elettronica universitaria, non è vero?», chiese Naraku volgendosi verso di lei e poggiando le braccia incrociate sullo schienale della propria sedia. «Lo sapevo. Tipico di te.»

Kagome si lasciò sfuggire un verso frustrato e roteò gli occhi, seccata. Che qualcuno gli piazzasse un calzino in bocca, per favore!

«Sì, certo, tu sai sempre tutto. Ma non chiudi mai il becco, Ichinose?», gli chiese aggrottando le sopracciglia e quello allargò il suo ghigno.

«Non sperarci troppo, Ka-chan. Temo gli sia impossibile.», s'intromise Sango, sopraggiungendo accanto a loro. «Buongiorno a tutti, ragazzi!», salutò poi con un sorriso.

«Sa-chaaan!», esultò Rin con un sorrisone e prese a sbracciarsi, come se quella non la vedesse già.

Sango rise e le fece un cenno con la mano, prima che l'amica tornasse ad osservare con scrupolo le ultime creazioni spaziali che Bankotsu le stava sottoponendo con fervore.

«Ehi!», l'accolse Kagome indicandole il posto vuoto accanto a sé, quando la ragazza fu più vicina.

Sango era una delle sue persone preferite – le metteva allegria anche solo osservarla. Se avesse potuto definirla in qualche modo, avrebbe sicuramente detto ch'era la sorella maggiore che non aveva mai avuto.

«Hirai, sei sempre così scorbutica. Fossi in quel povero ragazzo, saresti già stata scaricata.», le confessò Naraku in tono seccato, quando la vide sopraggiungere.

Ricevette da Sango un vero e proprio urto mentre quella gli sgusciava di fronte, nello spazio angusto fra le due file di sedie, per sedersi accanto a Kagome.

«Pensa ai fatti tuoi, insomma!», replicò la ragazza arrossendo leggermente. «...e poi, quello vuol far tutto fuorché lasciarmi.», aggiunse a voce più bassa, guardando Kagome, e nel suo tono v'era quella che sembrava una nota di dolce esasperazione.

Naraku rivolse alle due un ultimo sorrisetto prima di voltarsi e dare ascolto a Kikyo che gli aveva posto una domanda su un qualche progetto da svolgere in quei giorni.

Sango sospirò pesantemente mentre si liberava del pesante cappotto e della sciarpa.

«Allora, ho dei piani bestiali per Natal-»

Kagome si volse per cominciare ad ascoltare le idee dell'amica, ma quella venne immediatamente interrotta da un tonfo proveniente dall'ingresso dell'aula.

Tutti si voltarono simultaneamente solo per vedere un'imbacuccata Ayame – con tanto di paraorecchie sui capelli rossissimi e guanti a forma di lupacchiotto – appoggiata contro la porta aperta, ansante. Sembrava aver fatto una gran bella corsa! Dietro di lei, si materializzarono in un istante Kagura Hino e Byakuya Yazawa, stesso aspetto stravolto.

«A-attenzione! Jakotsu Momozono in corridoio! Ripeto: Jakotsu Momozono in corridoio!», avvertì Ayame fra un ansito e l'altro, prima di raggiungere Kagura e Byakuya in ultima fila.

Kagome non mancò di notare che l'amica sembrava più iperattiva del solito, ma non ebbe modo di soffermarsi molto su quel pensiero; si affrettò a tirar fuori dalla borsa il libro di testo e a far sparire l'album da disegno, così come tutti gli altri ragazzi in aula.

Era bastato il nome di Momozono a metter tutta la “classe” in fermento, ma quella concitazione era considerato qualcosa di assolutamente normale se in ballo v'era lui. Tutti a Belle Arti lo conoscevano, tutti sapevano quanto fosse preparatissimo e – soprattutto – sadico da far schifo. Si pensava che per la giovane età – appena venticinque anni – Momozono potesse essere comprensivo, vicino ai ragazzi, buono.

In realtà, Kagome rifletté che sì, il giovane professore riusciva ad assere adorabile per qualche minuto ma soltanto se il tuo status era di essere umano pene-dotato. E lei, beh.... lei non aveva un pene.
Il giovane docente aveva con loro un rapporto diverso da quello che avevano con gli altri docenti più anziani, era vero, e probabilmente questo gli permetteva di mostrare senza alcun problema una preferenza svettante per i ragazzi; durante le lezioni prediligeva torturare le studentesse con i quesiti più difficili e Kagome era uno dei suoi bersagli preferiti. Adorava darle filo da torcere. Fortunatamente, quella predilezione – per via d'etica professionale – non si manifestava anche nei voti d'esame.

Ad ogni modo, nonostante la voglia di fuggire, Kagome amava quel suo corso, un percorso intensivo e di specializzazione – per chi intendeva ottenere crediti extra e qualificarsi proprio in Storia dell'Arte Europea. Non si pentiva di quella scelta; ne aveva paura a morte ma stimava quel sadico stronzo. Insegnava ch'era una meraviglia. Ma era difficile – terribilmente difficile. Beh, se vi erano soltanto dieci studenti di ultimo anno ad aver scelto il suo corso e lui come relatore, v'era un perché. Passione. O masochismo. Kagome rifletté che ormai credeva d'essere votata al secondo.

«Buongiooorno, buongiorno, buongiorno!»

La voce trillante e vagamente stridula di Momozono non si fece attendere troppo e riempì presto l'aula, interrompendo il flusso dei pensieri di Kagome e facendo volgere tutti di scatto. Dietro di lui, l'ultimo studente del corso, ovvero Hojo Ogawa – anche detto “Valletto”– intento a trasportare tre grossi libri di testo e un computer portatile – ovviamente di proprietà del professore. Come sempre.

Kagome prese ad osservare di sottecchi Jakotsu, che tentava già di metter d'accordo computer e lavagna multimediale. Osservò i capelli raccolti in una strana acconciatura, con quel solito fermaglio a clip a forma di farfalla, i braccialetti con ciondoli che gli ornavano i polsi, la camicia color vinaccia che ne fasciava delicatamente la figura. Quando il professore sollevò su di lei i grandi occhi neri e circondati di eyeliner, Kagome rabbrividì e distolse in fretta lo sguardo. Non gliela contava giusta, non gliela contava mai giusta.

Mai.

«Ah, maledetta tecnologia! Mi fa sempre penare! Ogawa, dammi una mano!», sbottò il professore con voce stridula, chiamando a sé il ragazzo.

Gli consegnò il computer, segno che gli stava lasciando onore ed onere di collegarlo alla lavagna.
Si sedette poi sopra la cattedra, sistemandosi per bene, e giunse le mani in grembo facendo tintinnare i braccialetti.

«Buongiorno, mie adorabili testoline bislacche!», salutò rivolgendosi dapprima ai ragazzi e poi alle ragazze.

Gli studenti risposero in coro prima che il silenzio piombasse nuovamente.

Kagome vide Hojo voltarsi e rivolgerle un sorriso prima di salutarla con un cenno della mano, impacciato.

«Te lo dico, amica mia. Valletto ci prova con te. È palese.», le bisbigliò Sango, chinandosi leggermente verso di lei. «Non capisco come tu possa ancora negare.»

Oh, certo! E dopo il ragazzo di Fisica, Hojo Ogawa! Un bell'applauso alle sue amiche e alla loro voglia di accasarla oltre ogni accettabile condizione.

«Sango, ti prego...», biascicò Kagome, continuando a fissare Momozono che blaterava del più e del meno.

In realtà, Kagome non aveva quasi nulla contro Hojo. Capelli assolutamente in ordine, golfino sempre abbinato ai calzini, persona studiosa. Tempo prima l'aveva pure aiutata con un progetto. Sango e Rin sostenevano avesse un debole per lei – nonostante dicessero non fosse il suo tipo – e che lo avrebbe notato persino un cieco. Lei non pensava avessero ragione, lo facevano solo per movimentare la sua – inesistente – vita sentimentale.
Ad ogni modo, Kagome trovava Hojo un po' noioso e non capiva perché ogni qual volta si fermasse a parlare con lui, si trovasse poi improvvisamente a correre per qualche impegno dimenticato o interrotta da qualcosa o qualcuno. Destino anche quello? Rifletté ch'era meglio chiamarla fortuna.

«Valida alternativa per la Vigilia, Ka-chan. Stai ponderando l'idea?», la prese in giro Ayame sporgendosi leggermente in avanti, per farsi sentire.

Kagome cercò di non ridere – aveva una paura matta che il professore se ne accorgesse – e strinse le labbra prima di parlare di nuovo.

«Non ti darei mai buca per Hojo, Aya-chan.», sussurrò e si morse un labbro con forza maggiore.

Momozono rivolse loro una breve occhiata e Ayame aspettò che si voltasse prima di rispondere. Prese un profondo respiro e si sporse nuovamente verso la testa corvina dell'amica.

«Beh, ecco... forse dovresti...», cominciò in un tono che recava un misto fra titubanza ed eccitazione. «Perché io l'ho fatto.»

Kagome aggrottò le sopracciglia e dilatò le narici contemporaneamente – non credeva neanche d'avere tutta questa coordinazione nel muovere i muscoli facciali – e si fece un po' indietro con la schiena. Ma cosa stava dicendo, quella stramba di Ayame? Vide Sango fare lo stesso, l'espressione del viso ch'era replica di quella sua.

«Cosa?», sussurrò con curiosità, profondamente stranita. «Esci con Hojo?»

«Miei dei, no!», si affrettò a dire Ayame e Kagome giurò di aver percepito dello schifo nel suo tono. «Cioè, esco, ma non con Valletto...»

Kagome si drizzò sulla sedia, come se fosse stata punta da qualcosa, e una consapevolezza raggiunse il suo cervello intorpidito. Ayame... sarebbe uscita con qualcuno per la Vigilia di Natale?

No, doveva aver capito male... insomma, e i loro piani tradizionali da assolute zitelle? Abbuffarsi di torta di Natale** mentre in tv davano programmi di dubbio gusto? Bere fragolino con sottofondo Feliz Navidad? Spaventare i bambini cantando a squarciagola in giardino Deck the Halls? E Michael Bublè? Sarebbe stato da sfigata ballare da sola Michael Bublé con il cerchietto da renna!

«Ayame...»

«Scusami, Ka-chan, perdono!», disse quella, sinceramente dispiaciuta, e quando Momozono si volse, si accucciò sul banchetto e si nascose velocemente dietro l'amica. «Koga mi ha chiesto di vederci – finalmente, miseriaccia! – e sono due mesi che gli sbavo dietro. Cioè, neanche fosse uno di quelli di Fisic-»

«Come sarebbe a dire che ti sei impegnata?! E il fragolino?! E Feliz Navidad?», disse, come se ne avesse preso piena coscienza in quel momento – come se il fragolino o Celine Dion fossero delle priorità insormontabili. In realtà, più che dirlo praticamente lo urlò, senza rendersene conto. Lo fece senza neanche pensarci, il tono che aveva un che di disperato.

Sì, era contenta che Ayame uscisse con Koga, certo, ma accidentaccio! La stava abbandonando anche lei!
Avrebbe passato la Vigilia sola soletta... pensava che la cosa non la toccasse più di tanto ma realizzarlo la stava facendo sentire... proprio sola! Rin, Sango, Ayame... persino Kikyo! Tutte erano impegnate. E a Kagura non poteva neanche chiedere di passare del tempo insieme; non avevano tutta quella confidenza. E poi, Kagura aveva già una specie di fidanzato... Sesshqualcosa – non ricordava bene... ma era comunque impegnata! 

Sospirò, sconsolata, tentando di trovare qualche lato positivo. Ma sì, non tutti i mali venivano per nuocere. Non era importante, sarebbe rimasta a casa a studiare e recuperare lavoro arretrato! Forse aveva proprio ragione sua madre con quella cosa del destino, tutto succedeva per una ragione, anche l'impegno di Ayame! Perfino l'ordine cosmico voleva comunicarle che rimanere indietro con quei dannati progetti non era stata una buona idea...

Toc-toc. Chi è? La laurea! Studia!

«Kagome...»

La corvina si ridestò dai suoi pensieri con un sussulto e si volse verso Sango che le stava dando di gomito e indicava con la testa una direzione precisa, spasmodicamente. Kagome divenne di pietra. Si volse con una lentezza struggente e vide tutti i colleghi voltati verso di lei e il professore che la fulminava con lo sguardo. Occhi ridotti a due fessure, braccia conserte. Sì, aveva proprio urlato. E sì, era nei guai. L'avrebbe scontata, gliel'avrebbe fatta pagare, anche se non sapeva quando. Con Momozono erano investimenti a lungo termine.

«Higurashi, grazie per averci informato sui piani di Terashima per il week-end. Ero sicurissimo di non poter vivere senza.», la schernì con stizza. «Starà zitta o ci comunicherà anche i suoi?»

Kagome si strinse nelle spalle e si scusò, mentre sentiva ogni goccia di sangue nel corpo affluirle al viso e vedeva i compagni che, pian piano, smettevano di osservarla. Avrebbe seriamente desiderato sparire.

Che figuraccia, Kami-sama!

Jakotsu Momozono le rivolse un ultimo sguardo ammonitore prima di tornare ad osservare gli studenti. Batté le mani, si perse in un largo sorriso e riprese a parlare di tutto fuorché di roba didattica.

Kagome si fece piccola nella sua sedia munita di banchetto e s'irrigidì. Il docente parlava spesso di sciocchezze, di frivolezze. Lo faceva sempre prima di cominciare la lezione ma nessuno era a suo agio quando ciò accadeva; sul più bello, s'interrompeva e chiamava qualcuno a parlare di un argomento a caso. Non valeva spiegargli che non si trovassero più al liceo; con lui funzionava così.

Per tener sempre pronta la mente, diceva. In realtà, godeva terribilmente nel torturarli.

«... e quindi, nulla, poi ho optato per questi stivali nero-incantevole.», disse facendo cozzare i piedi fra loro, completando un discorso che Kagome, persa com'era nelle sue ansiose elucubrazioni, aveva perso. «Ma adesso basta parlare delle mie favolose scarpe. Torniamo al fulcro originario della faccenda. Oggi è l'ultimo giorno...», cominciò e saltò giù dalla cattedra. Iniziò a camminare lentamente, le mani intrecciate dietro la schiena.

Kagome deglutì. Solo lei aveva percepito il suo tono arrochirsi un po'? Sango cominciò a battere un piede contro il pavimento, piano, e capì di non essere l'unica a temere una chiamata a sorpresa.

Tanto tocca quasi sempre a me!, pensò angosciata.

«...è quasi Natale. La neve cade, la fontana barocca è inattiva... in tv ripropongono “Mamma ho perso l'aereo” con i sottotitoli... i piccioncini si organizzano per la Vigilia... Higurashi, invece, no...», le ultime due frasi vennero pronunciate con un che di sprezzante mentre si fermava davanti la finestra, in contemplazione. «...e tutti sono più buoni.», aggiunse voltandosi e dedicando agli studenti un sorriso inquietante. «Stranamente, quest'anno mi sento più buono anch'io... ragion per cui ho deciso di farvi un bellissimo regalino di Natale! E sapete cos'è?!»

Jakotsu Momozono si zittì, volendo ricreare un teatrale momento di attesa, e Kagome imparò cosa fosse il vero terrore. Quel 20 Dicembre stava per raggiungere la prima postazione nella top ten delle peggiori giornate della sua vita. A confronto, quella volta in cui si era persa al supermercato, sfuggendo alla madre, era un ricordo roseo, fatato.

«È una prova d'esame a sorpresa! Tadan!», esclamò il professore esaltato, alzando le mani al cielo, come se quello fosse davvero un bel regalo di Natale.

I ragazzi rimasero un attimo pietrificati prima di riuscire a capire davvero cosa Jakotsu stesse dicendo. Persino Ichinose aveva perso il solito atteggiamento sornione ed aveva assunto un aspetto più pallido del solito. Evidentemente, abituato com'era a calcolare i movimenti di ogni singolo individuo, aver perso un colpo e non aver previsto la possibilità dell'esame... doveva essere una tragedia per lui.
Soltanto Kikyo sembrava esser riuscita a mantenere una totale e lacerante calma, come se la cosa non la riguardasse.

Kagome sgranò gli occhi e lasciò che quelle parole le rimbombassero nel cervello per minuti che le sembrarono infiniti.
Prova d'esame a sorpresa... Prova d'esame a sorpresa.Prova d'esame a sorpresa?! 
No, non era per nulla possibile! Non era giusto fare una cosa di quel genere, non senza un minimo di preavviso! Quello era troppo, anche per un fuori di testa come lui!

Kami, lo sapevo che tramava qualcosa...ma non questo!

«Beh? Non mi fate neanche un sorriso?», chiese Jakotsu mostrando il proprio ghigno compiaciuto, quasi sadico. «Tenete alla laurea, no? Volete prenderla, non è vero? Allora fatevi piacere questo regalino!»

«Professore! Vorrei farle notare una cosa...», chiamò Bankotsu e tutti si volsero verso di lui, la nuova ancora di salvezza, l'angelo del Natale. «Non sarebbe corretto propinarci una prova senza averci dato un preavviso di almeno una settimana. Credo sia la regola. E poi, insomma...», continuò e prese a grattarsi la nuca. Tuttavia, sul volto aveva un sorriso aperto che non voleva mostrare la difficoltà. Sapeva d'essere uno dei preferiti e stava sfruttando la cosa a vantaggio di tutti. «... l'ha detto, è quasi Natale. Siamo in pochi, stiamo sempre tutti uniti, abbiamo creato una sorta di... di f-feeling! Siamo... siamo come una squadra, noi e lei, no? E le squadre lavorano sempre insieme... quindi, perché adesso non ci dà una data certa e a Gennaio facciamo questa bella prova a sorpresa... senza sorpresa? Che ne dice?»

«Oh, signor Takasu, non è possibile! Dandovi un preavviso, mi sarei perso le vostre espressioni terrorizzate! E poi, questa prova non ha bisogno di preavviso.», protestò il professore imbronciandosi. «Fidatevi di me, sarà diver-diver-divertente! Il mio regalo di Natale prevede una sorpresina artisticamente bellissima che-»

L'esaltato discorso di Momozono fu interrotto da un fragore proveniente dall'ingresso. Frastornata e angosciata, Kagome si volse d'istinto verso la porta, così come tutti gli altri, e quando quella che doveva essere la famigerata sorpresa fece il suo ingresso, il cuore le si fermò in gola.

                                                                                                                                ***

«Dannato Miroku! Che tu sia maledetto, accidenti!», protestò Inuyasha Taisho per quella che, probabilmente, era la milionesima volta.

E per la milionesima volta, Miroku Houshi, amico di sempre nonché compagno di studi, gli rivolse un sorriso sornione e incoraggiante al contempo. Stavano percorrendo i corridoi della sezione di Belle Arti, meta: aula B12.

«Inuyasha, amico mio, vedi di rilassarti. Sono sicuro che potresti trovare il tutto divertente.», affermò Miroku con un sorriso sornione, senza rivolgergli più neanche un'occhiata. «Uh, l'aula è questa, B12. Credo che la lezione sia appena iniziata.», disse poi piantonandosi davanti una porta, in mezzo al corridoio.

«Feh! Io non ci entro lì dentro, chiaro?!», si lamentò Inuyasha, i pugni stretti e una vena in rilievo sulla fronte. «Mi impicci sempre nei tuoi casini, sei un idiota! Spiegami perché dovrei farlo!»

«Inuyasha, hai perso alla playstation e le perdite alla playstation prevedono penitenza secondo un codice d'onore. Hai scommesso che non avresti perso l'ultima partita a Tekken mai e poi mai e che, se fosse successo, avresti fatto qualsiasi cosa poiché tanto non poteva accadere.», replicò Miroku con espressione serafica. «Quindi, adesso entri lì dentro e fai questa cosa al mio posto.»

«Io non lo faccio il cretino al posto tuo! Che poi, ti piace. Perché te ne stai privando, eh?», replicò ancora il giovane, il tono di voce assolutamente irascibile. Incrociò le braccia al petto e s'imbronciò. «Io non me la metto, la calzamaglia.»

Miroku scoppiò a ridere e cominciò a scuotere la testa, rassegnato e divertito al contempo.

«Ma che calzamaglia, Inuyasha? Ma cosa dici! Devi posare, sarai un modello... ma non nel senso che credi tu. Non ti faranno indossare niente, anzi... dovrai togliere i vestiti. E rimarrai in mutande!»

Inuyasha sgranò gli occhi e si sentì ancor più in trappola. I termini dell'accordo – accordo che non aveva ben capito, a quanto pareva – si facevano sempre meno alla sua portata. E tutto per una stupida partita ad un videogioco!

«Tu sei impazzito! Dannazione! Ti ammazzo!», esclamò facendo per saltargli al collo ma l'amico si spostò e il ragazzo si lasciò andare ad un suono strozzato che denotava eccessivo disappunto. «Che poi, non mi pagano neanche!»

«Prederai qualche credito extra. Roba di poca importanza ma fa sempre numero.», lo incoraggiò l'amico facendogli l'occhiolino. «Avanti, entra! Siamo già in considerevole ritardo e non voglio fare una brutta figura. Tocca a te.»

Miroku gli si avvicinò e gli diede una leggera spintarella in avanti ma quello si scansò velocemente, regalandogli un'occhiata truce.

«Non toccarmi. Ce l'ho a morte con te.», lo avvertì fra i denti. Quello roteò gli occhi poi ridacchiò.

«Non fare il bambino. Fallo per la gloria. Ci sono un sacco di fanciulle! Non sai quanto mi costi lasciarti questo posto, volevo fare una sorpresa alla mia Sango... ma ne hai più bisogno tu. Così, diverrai meno timido e magari troverai una ragazza per la Vigilia! Dillo che sono l'amico migliore del mondo! Terapia d'urto e aiuto a rimorchiare.»

Inuyasha arrossì un po' al solo pensiero e si volse dall'altra parte, cercando di nasconderlo.

Rimorchiare! Tsk! Come se avessi tempo e voglia di pensare a queste cose! Pervertito!

«Io non entro. Potete crepare tutti quanti, per quel che mi riguarda. Tsk!», esclamò burbero, incrociando le braccia e indossando l'espressione da “non ammetto più repliche”. «Queste cose inutili non fanno per me.»

«Allora? La lagnetta non è ancora entrata?», chiese una voce maschile; una voce ch'era ben nota alle sue orecchie e che si stava evidentemente prendendo gioco di lui.

Inuyasha si volse di scatto e incontrò la figura di Koga Yoro odiosamente poggiata contro il muro.

«Yoro! Dannato bastardo! Si può sapere che ci fai qui? Tornatene a correre a Scienze Motorie!», gli urlò contro sollevando un pugno in aria. «Io mi rifiuto categoricamente, non ci entro lì.»

Koga sorrise e si avvicinò ad Inuyasha a braccia incrociate e gli diede una consistente spallata.

«Miroku mi ha chiamato ed io resto quanto voglio. Piuttosto, parliamo di cose serie. Perché non entri? Di' un po', cuccioletto, non è che c'è qualcosa di piccolo che hai paura di mostrare?», chiese con scherno inarcando le sopracciglia e mostrandogli davanti al viso pollice e indice della mano quasi uniti. «Ti senti poco attraente per questo? In effetti, hai ragione. Fai bene ad aver paura. Alle ragazze il poco non piace per niente...»

Inuyasha lo fronteggiò immediatamente, infervorato, e i due finirono fronte contro fronte, a guardarsi in cagnesco. Come si permetteva ad insinuare qualcosa di simile? Lui, paura? Lui, qualcosa di piccolo? Neanche per idea!

Miroku si portò una mano alla testa, esasperato, stanco di quei teatrini frequenti fra i due ragazzi. Aveva chiamato Koga in soccorso, sperando che potesse spronare Inuyasha ma era effettivamente impensabile che quei due non finissero per battibeccare.

«Senti un po', tu, cosa stai blaterando?! Idiota!», lo apostrofò Inuyasha con indignazione palpabile. «Io non ho paura di niente, men che meno di queste sciocchezze che cerca Miroku solo per farsi un po' notare. Posso farlo benissimo, ho tutte le carte in regola per fare... per fare il-il...»

«Il modello, Inuyasha.», lo aiutò Miroku.

«...il modello, sì, questo. Ho tutto al posto giusto, io. Non c'è niente di piccolo!», informò infine, prima di spingere indietro Koga e aggiustarsi la maglietta.

«Allora entrerai, cuccioletto?», chiese Koga con aria insinuante. Quanto poteva esser tonto Inuyasha? Farsi spingere a far qualcosa che non gli piaceva solo per puntiglio!

«Certo che entro, dannato idiota! Che vuoi che sia?!», disse, assolutamente punto nell'orgoglio. Nessuno avrebbe potuto dire che Inuyasha Taisho si ritrovava ad aver paura per una cosa così stupida o che fosse poco prestante. Figurarsi!

«Oh, bravo, Inuyasha! Sapevo che, sotto sotto, sei sempre stato una persona ragionevole. E che onora i patti.», s'intromise Miroku soddisfatto, dandogli una pacca sulla spalla. «Ricorda, sorridi e sii educato.»

Inuyasha tirò in su il labbro superiore, scoprendo i denti, tanto per farlo contento e far vedere d'essere capace. Il risultato, però, fu tutt'altro che soddisfacente. Koga scoppiò a ridere, guadagnandosi l'ennesima occhiataccia e uno scapaccione sulla nuca da parte del ragazzo.

«Facciamo che magari non sorridi, eh.», risolse Miroku con un sorriso forzato che voleva sembrare confortante. «Senti, sii semplicemente te stesso... ecco, magari non troppo, diciam-»

«Ahhh! Basta! Voi due deficienti mi avete scocciato!», strepitò al limite della sopportazione. «Andate al diavolo, io entro e basta! E comunque, Miroku, questa me la paghi!», minacciò prima di aprire la porta con enfasi eccessivamente pronunciata.

«Vai, cuccioletto, trova una ragazza per la Vigilia, che sei il solito sfigato solitario!», lo apostrofò Koga ma la porta si era subito richiusa. «Sarà un disastro.», commentò poi, guardando Miroku.

«Probabilmente.», acconsentì quello con aria desolata.

                                                                                                                               ***

Kagome sgranò gli occhi grigi e, senza poterselo impedire, spalancò la bocca in sorpresa. Sentiva il parlottare indistinto dei suoi colleghi ma era decisamente troppo scioccata per prestarvi attenzione. Un ragazzo era appena entrato in aula aprendo la porta con un rumore sordo per poi richiudersela alle spalle con velocità, producendo lo stesso fragoroso suono. E quell'intruso dall'aria arrabbiata e smarrita, il tipo che aveva fatto quell'irruzione rocambolesca ed ora stava fermo e si guardava intorno, era proprio lui. Era il ragazzo di Fisica.

«Waaaa! Eccolo, il mio regalino di Natale! Vieni qui, bella sorpresina! Avanza!»

La voce esaltata e completamente fuori controllo del professore fece sussultare Kagome che fu nuovamente riscossa dai suoi pensieri. Cosa ci faceva il tipo di Fisica lì? Cosa... perché?

Destino.

Destino? Possibile che...? Rimase ad osservarlo a lungo, come incantata, mentre il professore lo trascinava impietosamente proprio davanti la lunga cattedra. Kagome notò che adesso poteva davvero soffermarsi ad osservarlo per bene, dal momento che la prima volta era fuggito e la seconda, giusto quella mattina, era lontano. Il ragazzo era decisamente alto ed era snello ma sembrava possedere una discreta muscolatura; i suoi capelli erano neri, selvaggi, relativamente lunghi. Tuttavia, la cosa da cui Kagome si sentì particolarmente colpita furono gli occhi e li ricordava bene – come avrebbe potuto dimenticarli?
Se pur li avesse scorti solo per una decina di secondi, pochi giorni prima, non avrebbe potuto rimuovere quelle gemme castano dorate neanche volendo. Così... particolari e calde.

Chissà che effetto fa essere guardata costantemente da uno sguardo così profondo..., si chiese ma si stranì immediatamente per quel pensiero insolito e s'imbarazzò.

Si strinse nelle spalle e portò il collo del maglione a coprire il viso, fin sopra il naso, pensando con paranoia che qualcuno potesse leggerle nel pensiero. Cominciava a sentire quasi... caldo. Ringraziò ogni Kami esistente che Rin non avesse mai visto davvero quel ragazzo; avrebbe cominciato a guardarla insistentemente e... Kagome si drizzò all'improvviso, colpita da una nuova consapevolezza. Rin non l'aveva mai visto ma Bankotsu sì, se pur da lontano! La ragazza si volse verso l'amico e lo scorse già a fissarla. Le rivolse un sorriso fin troppo divertito e indicò il ragazzo e poi lei, senza farsi vedere da Rin.

Non può essere vero..., pensò esasperata. Era possibile sentirsi come esaltata e sperare al contempo che la terra la inghiottisse? Si ritrovò nuovamente a guardarlo, non riusciva davvero a distogliere lo sguardo!

«Ohh! Ma che bellissimo cocchino abbiamo qui?!», tubò il professore in completa adorazione, con un modo di fare che di professionale aveva ben poco. Il ragazzo si strinse nelle spalle, impalato come un pezzo di legno, e gli rivolse un'occhiata a metà fra lo schifato e il diffidente. «Così... perfetto. Armonico. Canonico. Non potevo sperare in qualcosa di meglio. Sono contento che il vero modello mi abbia dato buca. Tu sei sublime

«Scusi, professore. Potrebbe spiegarci qual è la nostra consegna?», chiese con tono annoiato – ma pur sempre educato – Byakuya, dall'ultima fila. Fra gli studenti si levò un lieve brusio d'approvazione.

Jakotsu sospirò, brutalmente interrotto durante la sua mistica venerazione, e annuì.

«Oggi affronteremo una ripresa della mia parte preferita del programma: la scultura del periodo greco.», cominciò in tono ora serio e professionale. Premette un qualche tasto sul portatile e sulla lavagna multimediale comparve l'immagine di una bella statua. «Dopo la breve ripresa, la prova. L'esame consiste nel realizzare un ritratto di un bel corpo con modello in carne ed ossa. Cioè, questo cocchino qui.», precisò, come se non fosse ovvio, e rivolse un'occhiata languida al ragazzo. «Il modello vivo fungerà da statua d'ispirazione, penso si sia capito. E questa benedetta ispirazione deve essere, naturalmente, di stampo classicheggiante. Non voglio nulla che non sia classicheggiante. Non fatemi arrabbiare. Avete... facciamo fino alla fine delle nostre ore di lezione e sono stato clemente. Non voglio assolutamente invecchiare qui, sono stato chiaro? Bene, andate a prendere sgabelli e cavalletti bassi nell'aula accanto, vi aspetto tutti qui per continuare.»

Un coro di lamenti sorpresi e amareggiati, a stento repressi, serpeggiarono fra gli studenti mentre si muovevano per andare a recuperare il materiale didattico. Aveva ragione il professore: un preavviso, in una prova del genere, non gli sarebbe servito assolutamente a nulla. Il solito sadico.

Kagome riuscì a fatica ad alzarsi e a mettere un piede dopo l'altro; non era sconvolta soltanto per la prova a sorpresa – sicuramente tosta. Vi era dell'altro a turbarla: avrebbe ritratto quel ragazzo. Avrebbe dovuto fissarlo a lungo, studiarlo, percepire e riportare ogni particolare del suo corpo. Arrossì al solo pensiero. Passando, Bankotsu le diede di gomito e questo la fece sbilanciare leggermente, persa com'era nelle sue personali paturnie. Ritornò in aula fra i primi con i due strumenti incastrati fra le braccia, goffa e terribilmente pericolante.

Che imbarazzo, che imbarazzo, che imbarazzo...

Kagome notò che il docente e il ragazzo avevano spostato indietro le tre file di sedie, lasciando così lo spazio per la disposizione degli studenti. Ma non era quella la cosa che attirò subito la sua attenzione. Il tipo di Fisica aveva tolto la felpa ed era intento a spogliarsi. Aveva già eliminato la maglietta bianca a mezze maniche che portava, rivelando una schiera di perfetti addominali, come se fossero davvero scolpiti su gelido e bianco marmo. Kagome si bloccò di scatto sulla soglia e Rin e Ayame cozzarono contro la sua schiena, facendola sbilanciare in avanti; sgabello e cavalletto rovinarono sul pavimento, producendo un fracasso terribile. Kagome si portò le mani alle orecchie, rossa come un peperone, mentre il ragazzo e il professore si voltavano istantaneamente verso di lei, così come gli altri colleghi appena sopraggiunti. Si chinò immediatamente a raccogliere i grossi oggetti, cercando di rimetterli in piedi.

«Come sei imbranata.», la biasimò Naraku entrando e scostò con un piede lo sgabello che la ragazza stava per prendere, allontanandolo da lei. Un ghigno divertito gli si dipinse sul viso; lo aveva fatto di proposito.

«Ehi, tu! Ma ti sembra modo?!», lo riprese una voce maschile, profonda e irritata, mentre quello a stento lo degnava di un'attenzione.

Kagome sollevò lo sguardo e si trovò faccia a faccia con il tipo di Fisica; la cosa la turbò e la deliziò al contempo. Si guardarono per un attimo che parve lunghissimo, quegli occhi dorati così intensi, infiniti, incantevoli, che sembravano incatenarla, scioglierla.
La giovane rimase imbambolata, non proferì parola, e ancor meno le venne di parlare quando lo sguardo le si spostò sul torace nudo del ragazzo.

«Lascia, faccio io.», le disse lui, sbrigativo, chinando immediatamente lo sguardo. Era arrossito.

«Ti ringrazio.», riuscì a rispondere Kagome, portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio e rialzandosi in fretta.

Il ragazzo di Fisica sollevò facilmente i due strumenti e li rimise in piedi, lasciando che fosse poi Kagome a sistemarli e posizionarli dove preferiva. La ragazza cercava di guardarsi intorno il meno possibile, vergognosa, conscia che lo spettacolo di poc'anzi – e la sua evidente bava alla bocca – non fosse sfuggito praticamente a nessuno.

                                                                                                                             ***

«Bene. Adesso che siete tutti sistemati e che Higurashi non minaccia più di uccidere qualcuno con la sua disattenzione, possiamo anche cominciare la vera lezione.», informò Jakotsu osservando i ragazzi schierati a mezzaluna intorno al modello. «Cocchino, continua pure a spogliarti mentre ti presenti. Così non sarà troppo imbarazzante.», aggiunse poi rivolgendosi al ragazzo e si morse un labbro per evitare di ridere.

Inuyasha deglutì e prese a guardarsi intorno. Era circondato; dieci paia d'occhi erano puntati su di lui, sembravano aspettare solo che si spogliasse, famelici, pronti dietro quegli album da disegno. Erano tutti inquietanti ma quello che gli faceva più paura era indubbiamente il professore; ogni occhiata che gli lanciava sembrava possedere un contenuto di lascivia a dir poco illegale. Deglutì ancora e cercò di farsi coraggio, di superare l'imbarazzo, di non darla vinta a Miroku e a quell'idiota di Koga. La mani corsero al bottone dei jeans e indugiarono. Inspirò. Espirò.

Non è che c'è qualcosa di piccolo che hai paura di mostrare? Fai bene ad avere paura.”

Le parole di Koga tornarono a galla, pizzicarono nuovamente il suo orgoglio e lo fecero ancora una volta infuriare. Inuyasha sbuffò e, finalmente, quel dannato bottone abbandonò la sua asola.

Va bene. Facciamo questa cosa. Che sarà mai? Crediti. Vale come attività extra. Pensa ai crediti, dannazione!

«Mi chiamo Inuyasha Taisho e studio Fisica. Questo è quanto.», snocciolò mentre calciava prima una scarpa e poi l'altra, ma la sua voce sembrava più un borbottio arrabbiato.

Nessuno, in realtà, lo stava davvero ascoltando. I ragazzi – Kagura compresa – erano totalmente disinteressati e aspettavano si spogliasse solo per poter iniziare e terminare la prova. Le altre ragazze e il professore, però, non sembravano dello stesso avviso. Per nulla.

Kagome prese a guardare il ragazzo con sommo interesse mentre le sue mani sbottonavano finalmente con sicurezza i jeans e li facevano scorrere lungo le cosce. La ragazza allargò il colletto del maglione, all'improvvisa ricerca di aria. Si sentiva maledettamente accaldata! Si ritrovò a sporgersi in avanti, senza neanche averlo realmente deciso, e deglutì, molto interessata al modello d'esame. Adesso, sapeva persino il suo nome.

Inuyasha, ripeté mentalmente mentre ogni fibra di lei assimilava e carezzava quel nome come irrazionalmente i suoi occhi stavano carezzando quel corpo.

Si scosse, dandosi della stupida, attonita per come si sentiva, consapevole di star esagerando ma non capendo cosa le stesse succedendo. Incrociò le braccia e accavallò le gambe, con finta noncuranza, e si volse verso le sue amiche. Inarcò un sopracciglio e la rincuorò vedere che l'interesse per il modello quasi in boxer sembrava essere un sentimento comunitario. Sango, Rin, Ayame... persino Kikyo lo stava guardando con più di un briciolo di interesse, il che, si capiva, stava palesemente disturbando Naraku.

Inuyasha sollevò lievemente lo sguardo dorato e inarcò le sopracciglia; si sentiva praticamente già nudo, quelle ragazze lo stavano spogliando con gli occhi! Prese un respiro profondo prima di abbassare fino alla fine i jeans rovinati che portava per poi toglierli definitivamente, il più velocemente possibile. Li gettò accanto a sé e si volse verso il professore, incrociando le braccia. E non lo avesse mai fatto! Quello lo guardava ad occhi sgranati, con le mani teneramente poggiate sul cuore.

Ma cos'ha questo idiota? Quello sguardo non mi piace per niente!

«Senta, io lo so che ieri ha parlato con un certo Miroku Houshi... ma lui ha avuto un problema.», sputò fra i denti Inuyasha con palese irritazione. «Dunque, non è a lui che devono essere forniti i crediti ma a me. Si può fare, no?», chiese incrociando le braccia, il tono che rasentava la maleducazione.

Il professore gli sorrise dolcemente, imbambolato, gli occhi insistentemente fissi sui suoi addominali.

«Si può fare tutto quello che vuoi.», sussurrò lanciandogli uno sguardo avvenente e Inuyasha rabbrividì. E non a causa del freddo.

Alle parole del ragazzo, Kagome vide Sango sussultare. Storse la bocca e si sporse verso di lei, curiosa. Perché mai aveva avuto quella strana reazione?

«Miroku...?», sussurrò quella, aggrottando le sopracciglia scure.

«Conosci questo Miroku, Sango?», le chiese allora Kagome, apparentemente senza troppo interesse.

«Sì... è-è il ragazzo con cui sto uscendo. Non sapevo, però, dovesse far qualcosa di questo tipo.», spiegò e sembrava profondamente contrariata. «Questo qui... se è l'Inuyasha che penso... ma sì deve essere lui...», continuò assottigliando lo sguardo ma sembrava parlare più con se stessa che con l'amica.

Kagome si morse un labbro e fremette sul suo sgabello. Sango conosceva già il tipo di Fisica? Era amico del suo ancora sconosciuto ragazzo? Le cose stavano prendendo una piega così... assurda.

Destino.

Oh, per la miseria! Quella storia del destino le stava davvero dando alla testa, ma mai quanto la stava rimbambendo la vista del modello d'esame. Sostanzialmente, sembrava che i suoi occhi non volessero far altro che rimanergli incollati addosso. Non poteva impedirselo ed era imbarazzante!

Sicuramente, v'era qualcuno messo peggio di lei e quello era il professore. Momozono era vicino al ragazzo e lo stava analizzando e squadrando mentre quello lo guardava assolutamente diffidente e schifato.
Jakotsu aveva preso a palpargli la spalla con una mano e un braccio con l'altra, il bel viso crucciato e adorante al contempo, sembrava intimamente concentrato.

Kagome si accorse di invidiarlo un po'; sì. Stava invidiando il professore terribilmente, perché in quel momento avrebbe dato chissà cosa per sfiorare quelle carni che sembravano raffinata pietra, sapientemente scolpite dal miglior Pigmalione. Quando la mano del professore arrivò a controllare per bene la schiena, la corvina vide il ragazzo, Inuyasha, sobbalzare e allontanarsi da lui con zelo, a gran velocità. La sua espressione per poco non la fece scoppiare a ridere. Come si vedeva che non era per niente abituato ad aver a che fare con le bizzarrie del giovane docente!

«Ma che cosa sta facendo?!», sbraitò il ragazzo, il volto crucciato in un grugno poco raccomandabile. «Lei è un professore! Non dovrebbe comportarsi da dannato pervertito! La smetta di toccarmi!», lo rimbrottò in tono aspro.

Inuyasha sbuffò forte dal naso, incollerito e stizzito. Doveva fare il modello; doveva star fermo e farsi disegnare, non ricevere palpate da quel tipo inquietante! Ecco perché Miroku gli aveva ceduto il posto, altro che paranoie su quanto fosse un bravo amico!

Bravo amico” un paio di palle!, pensò e già gustava mille possibili modi in cui avrebbe potuto fargliela pagare cara.

La classe si lasciò andare a risolini e smorfie di comprensione mentre Jakotsu gli rivolgeva un sorriso inquietante e inarcava le sopracciglia in un modo giudicabile assolutamente delizioso.

«Oh, cocchino, suvvia. “Professore”, che etichetta. Avrò sì e no tre anni in più di te.», gli sussurrò in tono dolciastro, mordicchiandosi un labbro e scuotendo lievemente le spalle. Gli si avvicinò nuovamente e tentò di posargli ancora una mano sulla spalla, senza risultato. «Non fare la verginella isterica, sto solo saggiando il materiale d'esame!»

«Quindi, anche noi possiamo saggiare il materiale da prova, professore?», chiese la voce calda e ironica di Kagura, dalla fila in fondo.

Momozono le rivolse un'occhiata bieca e prese a scuotere la testa, mettendo in pericolo la sua leggiadra acconciatura.

«Come siamo spiritose, signorina Hino! Proprio lei, stia al suo posto.», la rimbeccò con tono infastidito. «Ma guarda un po'! Pensano sempre soltanto ad una cosa! Incredibile.», fece poi volgendosi verso Inuyasha e dedicandogli un nuovo sorriso.

«Feh! Loro però, eh?!»

Inuyasha schioccò la lingua e storse la bocca in puro disgusto. Ma in che razza di manica di pazzi era incappato? Stava là, in mutande, le braccia incrociate, stava per esser dato in pasto alle matite di quei tipi e quel sedicente “professore” che lo guardava come se lo volesse mangiare. Accidentaccio a lui, a quel suo maledetto orgoglio e a quel cazzo di vizio di non riflettere mai prima di fare qualcosa!

Ad un tratto, un colpo di tosse garbato ma insistente fece voltare Inuyasha verso gli studenti disposti. Proveniva da quel tizio dall'aria emaciata e dai fluenti capelli neri. Sì, era il tipo che aveva appositamente messo in difficoltà quella ragazza, poco prima. Inuyasha strinse ancor di più le braccia al petto e prese a squadrarlo con sufficienza.

«Avrei una domanda.», esordì Naraku in tono calmo.

Kagome continuò a studiare il bel modello e non si preoccupò neanche di volgersi in direzione di Ichinose. Era sicura che volesse chiedere qualcosa di assolutamente pomposo, un qualche intervento per entrare ancor di più nelle grazie del professore. Solito pedante calcolatore.

«Prego, Ichinose. Può farmi tutte le domande che vuole.», acconsentì Jakotsu con un sorriso cordiale, dandogli la parola con un gesto della mano.

Naraku si aprì in un sorriso che irritò Inuyasha oltre misura. Sembrava quasi... schernitore?

«Mi stavo chiedendo...», cominciò Ichinose e si umettò sensualmente le labbra prima di continuare. «...se fosse possibile aggiungere liberamente qualche dettaglio al mio disegno.»

A quel punto, Kagome si volse di scatto e strinse gli occhi grigi a due fessure. Che cosa stava tramando, quella peste? Cosa voleva insinuare con quella domanda? La corvina vide il professore sbattere le palpebre, visibilmente perplesso, così come alcuni colleghi.

«Esplichi meglio, Ichinose.», lo invitò Momozono e strinse le labbra sottili.

Naraku prese un bel respiro e allargo il ghignò sprezzante che aveva preso a macchiargli il viso.

«Gli eroi mitologici che vengono rappresentati nelle sculture greche prima e nelle riproduzioni romane e neoclassiche poi, sono emblema di prestanza fisica.», snocciolò in tono piatto, come se quello sproloquio introduttivo annoiasse a morte persino lui. «Mi chiedevo, dunque, se durante la realizzazione mi fosse permesso di aggiungere muscolatura al mio disegno, dal momento che il modello sembra lasciare un po' a desiderare.»

«Oh, ma dài!», borbottò Kagome con disappunto e Sango, accanto a lei, prese a scuotere la testa con biasimo.

Capiva a che gioco Naraku stesse giocando, era sempre il solito. Dal momento ch'era profondamente irritato per il leggero interesse con cui Kikyo stava guardando il modello, aveva pensato bene di infastidire anche lui! E dall'espressione furente di Inuyasha, sembrava avesse proprio fatto centro.

Il modello, inizialmente, assottigliò gli occhi dorati e con quelli inchiodò il tipo emaciato che se la rideva sotto i baffi. Momento, momento, momento. Quel tipo aveva usato quel discorso forbito e pieno di preamboli soltanto per prenderlo per il culo? Per dirgli che non era abbastanza per il suo disegno? Eh, no, eh! Non se lo faceva dir da Koga, figurarsi da quel tipo tutto impettito! Sembrava talmente dritto da aver una scopa su per il culo!

«Ehi, tu, beccamorto!», inveì Inuyasha, per chiamarlo, e Naraku assunse un'espressione che sembrava colpita. Furente.

Gli studenti si volsero all'unisono verso Kagura che faceva finta di nulla, tentando di nascondere una sorta di sorrisetto soddisfatto.

Kagome scoppiò a ridere sommessamente, non potendoselo impedire, così come Sango, Rin e Bankotsu. Per quanto Naraku fosse abbastanza fastidioso, nessuno si era mai realmente sognato di chiamarlo in quel modo! O almeno, non in sua presenza.

«Ma cosa vai blaterando, eh?», continuò Inuyasha, irascibile, sollevando un pugno. «In questo corpo è tutto al posto giusto. Sono prestante, io!»

«Un modello d'arte classica con la grazia e la leggiadria di un'istrice con la rabbia. Siamo a cavallo.», obiettò il suddetto beccamorto, incrociando le braccia e rivolgendo ad Inuyasha uno sguardo ch'era un misto fra collera e superiorità. «Indecente.»

«Di' un po', vuoi vedere quanta grazia ho mentre ti cambio i connotati?», minacciò quello, sempre più adirato, facendo un passo avanti.

Naraku rivolse una smorfia di disgusto e rimase ben fermo dov'era.

«Voi due! Siamo in un'aula, smettetela. O prenderò dei provvedimenti.», li rimbrottò con tono stridulo Jakotsu, se pur avesse fissa sul viso la perenne espressione inquietante. Forse fu quella a spingere i due a star finalmente zitti e a non chiedersi che tipo di provvedimenti fossero. «Cocchino, vedi di calmarti. Quanto a lei, Ichinose, non ha motivo di gonfiare di steroidi metaforici il suo disegno. La prestanza c'è. Basta guardare Taisho per capire che rispetta perfettamente i canoni d'armonia e bellezza dei quali abbiamo tanto parlato. L'occhio dell'artista sa, osservi meglio e saprà anche lei.», chiarì, semplicemente.

Naraku non poté far a meno di annuire, sprezzante, e tacere, volgendo il viso da un'altra parte.

Kagome incrociò le braccia, profondamente soddisfatta dalle parole del professore, e si perse nuovamente nella contemplazione del bel modello, ora nuovamente tranquillo.
Momozono aveva pienamente ragione! Più guardava Inuyasha, più si beava della sua bellezza, più non poteva far altro che pensare che quei canoni gli fossero cuciti addosso, erano parte di lui, erano in lui; bastava osservarlo per scorgerli. Lui stesso era un'opera d'arte.

«Anzi, prima di cominciare l'esame, voglio darvi una mano affrontando il recupero al quale ho accennato poc'anzi. Ve l'ho detto che anch'io sono più buono.», informò Jakotsu. Giunse le mani e le sfregò, facendo tintinnare ancora i braccialetti. «Qualcuno a caso, e con “qualcuno a caso” intendo Higurashi, adesso verrà qui e ci illustrerà sul vivo modello i canoni dei quali abbiamo parlato e ai quali il signor Ichinose sembra tenere tanto. Vi rinfrescherà un po' la memoria, così sarete certi di riprodurre al meglio quello che io voglio

Kagome rimase ferma, impaurita, lo sguardo che saettava dal professore ai colleghi e il labbro inferiore leggermente sporto in fuori. Ostentava noncuranza, sordità improvvisa. In realtà, non riusciva a muoversi. Era avvezza a quelle chiamate, ma era pur sempre uno shock ogni volta. Non sarebbe mai riuscita ad evitare quella situazione. In un flashback senza capo né coda, le tornarono alla mente le parole di suo nonno durante un'escursione nei boschi del Canada, otto Natali prima.

Kagome, ricorda bene. Se incontriamo un orso, distenditi per terra e non muoverti. Fai finta di essere morta – mortissima! Come gli opossum! Mi hai capito?

Oh, dannazione! Perché il suo cervello le stava illogicamente suggerendo di gettarsi in terra e fingersi morta? Forse perché gli occhi del professore somigliavano terribilmente a quelli di un grizzly affamato, forse perché sapeva di non avere speranze, come uno stupido opossum. Era assolutamente sicura, comunque, che la tanatosi** non avrebbe funzionato con Momozono. Quello lì l'avrebbe punzecchiata con un bastoncino persino sul letto di morte!

«Higurashi!», sbottò il professore nuovamente, dopo ben due minuti di assoluto silenzio.

Kagome si scosse e abbandonò lo sgabello mentre notava Sango lanciarle un'occhiata assolutamente preoccupata. Ecco. Toccava sempre a lei, in un modo o nell'altro. In quel caso, Momozono si stava “vendicando” per averla beccata disattenta poco prima. Per affrontare quell'esame, non v'era bisogno di un vero e proprio ripasso delle nozioni. Bastavano le basi del disegno, una mano sciolta, il bel modello e tante preghiere ai Kami. Quell'interrogazione non serviva. Era un sopruso bello e buono!
Strinse i pugni mentre si avvicinava alla cattedra. Gli occhi di tutti le erano puntati addosso ed era una situazione alla quale si era quasi abituata; ma proprio quel giorno, v'era anche il modello a fissarla, Inuyasha.
La cosa la turbava più del consentito. E se avesse detto qualche sciocchezza davanti a lui? Se avesse sparato una qualche castroneria? A volte, le capitava di sbagliare...

Inuyasha fissò gli occhi dorati sulla ragazza in piedi, vicino alla cattedra, e inclinò leggermente la testa di lato. Quella Higurashi sembrava essere un tantino in difficoltà, gli dava un'idea di fragilità che lo interessò più del consentito. Più la fissava, più gli sembrava che quel volto fosse perso da qualche parte nella sua memoria... l'aveva già vista.

«Mi scusi, eccomi.», proclamò la ragazza cercando di mostrare una sicurezza che fece di tutto per racimolare. «Potrebbe spiegarmi meglio come procedere? Per illustrare i canoni dovrei fare un revival di una buona porzione d'argomento. Porzione che non serve per la prova.», si lasciò sfuggire osservando il professore.

Okay, forse troppa sicurezza. Si morse la lingua, pentendosi quasi subito di quelle parole, ma quel senso d'ingiustizia le pesava abbastanza. Non era riuscita ad arginare quell'obiezione spontanea. Vide Momozono aprirsi un sorrisetto ironico e inquietante al contempo.

«Se sia utile o meno, lascia decidere a me.», le disse in tono aspro. «Quanto a come procedere... usa il modello, ovvio. Altrimenti, che sta qui a fare?», chiese retoricamente inarcando un sopracciglio. «Fammi vedere di cosa sei in grado, Higurashi. I tuoi colleghi aspettano.»

Kagome si volse con l'intero corpo verso Inuyasha, lentamente, solo per scoprire che la stava già fissando. Arrossì ma fece un passo verso di lui, decisa non fare la figura della cretina. Il professore voleva una noiosa spiegazione prima dell'inizio dell'esame solo per metterla alla prova? E va bene, gli avrebbe fatto mangiare la polvere! Ecco, però, il fatto che dovesse rapportarsi con il ragazzo di Fisica... insomma... no, no! Non doveva lasciarsi irretire, doveva provarci! Ricordava quella lezione, era facile. Certo che però Inuyasha...

Kagome, focalizzati! La spiegazione, l'esame! I pettorali... l'esame!

«Ciao, io sono Kagome.», si presentò brevemente a bassa voce, con un sorriso amichevole; il tutto mentre gli girava intorno, studiandolo, cercando di prendere tempo e ricordare le nozioni d'arte. Si fermò dietro di lui, bloccandosi «E adesso dovrò toccarti un po'.»

La ragazza si rese conto di quel che aveva detto soltanto quando le parole abbandonarono le sue labbra. Sgranò gli occhi e si diede una poderosa manata sulla fronte, dandosi della cretina. La frase suonava male. Malissimo. Cioè, in realtà non così male, non le sarebbe di certo dispiaciuto... no, calma. Cosa stava pensando?! Perché non riusciva a riordinare le idee come le persone normali? Cos'è che doveva fare, lei? Non lasciarsi irretire? Sì, forse in un'altra vita.

Sentì chiaramente le risate mal trattenute dei compagni di corso riempire l'aula. Riuscì persino a distinguere quella di Bankotsu, decisamente più sguaiata e insistente rispetto alle altre.

«Cosa?! Ma che vai dicendo?!», sbottò Inuyasha, paonazzo, voltandosi di scatto, in modo da riuscire ad averla di nuovo davanti.

«Higurashi...», sibilò Momozono portandosi una mano alla tempia e socchiudendo gli occhi.

«N-no, non c-come intendi tu! Oh, no, cioè, non voglio dire che tu stia intendendo qualcosa!», si affrettò a dire la ragazza in tono sbrigativo, agitando le mani senza posa. Poteva fingersi morta? Poteva? «Devo utilizzarti per mostrare i canoni e dovrò toccarti... insomma, mi servi!», scoppiò infine, imbarazzata come probabilmente mai era stata nella vita.

Inuyasha prese aria e distolse immediatamente lo sguardo, vergognoso e perplesso. Oh, andiamo! Che idiota era stato! Come aveva fatto a interpretare male quella frase che pronunciata da quella ragazzina non poteva far altro che sembrare assolutamente... innocente?

Tsk! Sarà meglio che si spiccino con questa buffonata! Credo che quel professore pervertito stia avendo una bruttissima influenza su di me. Più di Miroku!, si ritrovò a pensare, turbato. Maledetto Miroku...

«Fa' c-come vuoi, insomma, credo di non potertelo impedire.», le rispose, burbero e impacciato, grattandosi una guancia. Non l'aveva neanche più guardata in faccia.

Kagome inspirò profondamente per poi gettar fuori quel fiato con un che di esasperato. Va bene, poteva ancora farcela, poteva ancora conservare quel po' di dignità, darsi un assetto ed esporre il materiale.
Stava facendo una figuraccia dopo l'altra, diamine! Ecco, cara Rin, altro che chiedere al tipo di Fisica di uscire per la Vigilia! Sarebbe scappato a gambe levate, credendola una pazza svampita senza collegamento neuronale fra cervello e lingua.

Avanti, Kagome. Fa' vedere di che pasta sei fatta. Fai finta che sia un'opera d'arte, l'hai detto anche tu che è un'opera d'arte! Fai finta sia una bella bozza, qualcosa da plasmare..., si rinfrancò, cercando di darsi forza. E ci riuscì.

«Okay. Sappiamo che l'arte greca vuol imitare la natura e ricreare un ideale che mostri armonia e perfezione.», cominciò, rivolgendosi ai colleghi e aggirando Inuyasha. Rin le mostrò due pollici in su e quel semplice gesto le diede ancor più coraggio. «Possiamo dire che la scultura greca ha affrontato tre fasi. Fase arcaica, classica ed ellenistica.», elencò, sollevando un braccio e mostrando tre dita della mano destra.

Kagome si avvicinò al ragazzo. Tentennò, poi pose le mani sulle braccia incrociate di Inuyasha e sorrise. Le sciolse, lui non oppose resistenza, e le dispose lungo i fianchi mentre quello la osservava con perplessità e imbarazzo. Gli chiese di portare una gamba leggermente più avanti rispetto all'altra e lui lo fece.

Aveva sul viso un'espressione stranita, come se non si ritenesse capace di dar davvero ascolto a qualcuno.

«La scultura arcaica rappresenta giovani uomini – o donne – in posizione statica, questa che state vedendo.», proclamò indicando Inuyasha. «Peculiarità di queste sculture è la presenza di una sorta di sorriso accennato, detto sorriso arcaico...», si volse verso Inuyasha e gli portò le mani al viso. «Ti prego, sorridi un pochino...», gli bisbigliò, profondamente imbarazzata, mentre con i pollici tentava di sollevargli gli angoli della bocca in su. «Salvami la vita, questa laurea è una sfacchinata...»

Inuyasha rimase un attimo interdetto, imbambolato ad osservare quegli occhi grandi e grigi, quelle guance deliziosamente rosse, le sopracciglia aggrottate che comunicavano lo sforzo e, simultaneamente, l'imbarazzo.
Arrossì violentemente mentre quelle mani sul viso cominciavano come a scottare sulla pelle. Senza dire una parola, accennò quel sorriso a labbra serrate. Si sentiva profondamente strano e non più perché era in mutande e in posa da deficiente davanti a gente che non conosceva neanche.

«Grazie.», sussurrò Kagome, prima di volgersi nuovamente ed indicarlo, come esempio. «Possiamo passare ora alla fase classica, che credo sia quella che interessi maggiormente al professore per l'esame. È corretto?», chiese volgendosi verso Momozono e cercando disperatamente conferma alle sue parole.

Quello annuì soltanto e le dedicò un gesto stizzito della mano, come a intimarle di continuare.

Kagome annuì di rimando, sospirò e si volse ad osservare nuovamente il ragazzo.
La fase classica era la sua preferita, quella che ricordava di più, ed era sicuramente quella che Inuyasha avrebbe incarnato meglio. Era dotato di una bellezza davvero apprezzabile, canonica come aveva già pensato. Ma come non inciampare in quegli occhi durante la spiegazione, come non perdere il filo delle parole proprio sulla punta della lingua, quando lo sguardo le cadeva su quel corpo perfetto? Aveva fatto una fatica immane durante la prima fase e sentiva il cuore rimbalzarle nel petto costantemente. Poi, lui socchiuse gli occhi, si passò la lingua sulle labbra, lei rimase imbambolata e poi capì. Capì che per evitare di bloccarsi, le sarebbe bastato incanalare quell'attrazione, quel fascino intrinseco che lui suscitava, ed esternarli attraverso la spiegazione. Le sarebbe bastato mostrare apertamente il trambusto che si stava snodando in lei, tutte quelle riflessioni in cui la sua mente si era persa in quell'aula, osservandolo, e in quelle due misere volte che l'aveva scorto.

Inuyasha vide Kagome avvicinarsi nuovamente a lui e deglutì, sentendo uno strano groppo alla gola. Lo avrebbe toccato ancora? Notò che la cosa non lo infastidiva più di tanto. Anzi, fin dal principio, non aveva pensato neanche per un attimo che quel tocco potesse indisporlo. Eppure, la situazione non era di certo una delle sue preferite, odiava essere lì. Ma, mentre lei lo sfiorava, non ci aveva più pensato.

«Quindi, andiamo alla fase classica. Sappiamo che non presenta più la rigidità di quella arcaica.», cominciò e si volse verso i colleghi. «Il corpo è rappresentato in movimento, trovando un connubio di base fra due cose fondamentali: equilibrio e armonia.»

Kagome si avvicinò ad Inuyasha. Gli fece piegare il braccio sinistro e la gamba sinistra, mentre i restanti due arti restarono fermi e ritti. Lui assecondò i suoi movimenti, sempre senza fiatare, e la ragazza si chiese quanto quella situazione gli stesse pesando. Da quando era entrato in aula, si era mostrato abbastanza... restio. Complici anche le stranezze di Momozono e le insinuazioni di Naraku, ne era sicura.

«In questa fase si vuole dar vita ad una bellezza che sia perfetta, ideale. E i corpi degli atleti erano adatti a rappresentare i perfetti eroi del mito.», riprese con un tono sognante che non aveva intenzione di usare, ma del quale non si curò più di tanto. «E qui, possiamo elencare i canoni di quella bellezza idealizzata. Le spalle imponenti...», snocciolò.

Si posizionò dietro Inuyasha – in modo che gli studenti potessero continuare a vederlo – e fece correre le dita sottili sulle spalle del ragazzo; si accorse di provare una sorta di recondita soddisfazione nel farlo. Non si sentiva quasi più a disagio.

Inuyasha si trovò a trattenere il respiro mentre sentiva le dita della ragazza carezzargli piano le spalle, fino a discendere agli avambracci, delineandone lentamente il contorno. Era una sensazione stranamente piacevole – per lui che odiava essere sfiorato – e si sentiva sempre più confuso quando si accorse di fremere nell'attesa che le mani di lei lo carezzassero ancora.

«...i muscoli ben delineati delle braccia...», continuò spostandosi al suo fianco e poggiando la mano sul bicipite del braccio piegato. Indugiò più del dovuto. «...dell'addome e delle cosce.», aggiunse poi, poggiando leggermente una mano sullo stomaco del ragazzo e dando successivamente un buffetto leggero sulla coscia. «Insomma, un corpo monumentale, scultoreo appunto. Per quanto riguarda il viso... mantieni la posizione degli arti e spostati di profilo, per favore.», soffiò con voce gentile e un sorriso estremamente dolce.

Inuyasha strinse le labbra e annuì, eseguendo quello che lei aveva chiesto. Quel sorriso, così aperto e bellissimo! Si trovò a fissarlo, attratto, catturato come mai si era sentito nei confronti di nessuna ragazza, e rimase impunemente a studiarla, mentre lei continuava la sua specie di spiegazione.

«... dicevo, per quel che riguarda il viso, il naso è dritto, così detto “naso alla greca”. Però... che fortuna!», commentò con una risatina imbarazzata, mentre faceva correre il dito lungo il naso di Inuyasha e gettava poi una breve occhiata ai colleghi. «Perfetta distanza fra gli occhi, perfetta regolarità nelle parti del viso... le labbra... le l-labbra sono carnose...», continuò e si trovò a deglutire, per via della gola completamente riarsa.

Ecco, si era impappinata! Ma non era colpa sua, era... era lui! Santi Kami, ma perché adesso la stava osservando in quel modo? Si stavano di nuovo guardando negli occhi, ma c'era qualcosa di diverso in lui! Sembrava la stesse squadrando. Quelle pozze dorate sembravano scavarle dentro, occhi così intensi e brucianti dovevano esser dichiarati illegali! Lui era in mutande ma era lei a sentirsi nuda!

«Okay, Higurashi, va bene! Tutto corretto! Bella esposizione!», strillò il professore ad un certo punto e i due ragazzi si riscossero e si discostarono un po', volgendosi immediatamente verso di lui. «Risparmiaci l'ultima fase, o qui rischiamo di morire di caldo.», aggiunse a metà fra il disgustato e l'ironico e rivolse l'ennesimo sorriso particolarmente interessato al povero modello.

Kagome si morse un labbro e diventò più rossa di quanto già non fosse, mentre le punte dei suoi scarponcini diventavano la cosa più interessante da osservare attentamente. Che figuraccia! Lasciati andare, aveva pensato. Andrà bene, aveva pensato anche quello. E stava andando bene, poi lui... e gli occhi... e le labbra...

Benedetti Kami, sta diventando una tortura!

Dal canto suo, Inuyasha – per qualche ragione che non sapeva o voleva spiegarsi – non riusciva a toglierle gli occhi dosso. Quella ragazza era bella, di una bellezza semplice ma non banale. Continuava a lanciarle di sottecchi lunghe occhiate e si vergognò di pensare che sembrava ancora più bella mentre si guardava i piedi, tutta imbarazzata. E c'era qualcosa nel suo viso – forse gli occhi? - che suggerivano che, sì, l'aveva già vista da qualche parte. L'aveva già vista! Forse scontrata, forse tempo prima... Sì, ricordava! La tizia imbranata in corridoio!

«Comunque sia, manca qualcosa, Higurashi.», continuò Momozono e Kagome sollevò la testa di scatto, verso di lui. «C'è un canone molto importante che in questo modello non ritroviamo. Sai dirmi qual è?», chiese. Tornò a sedersi sulla parte finale della cattedra e le rivolse il suo miglior sorriso sadico.

Kagome annaspò. Guardò nuovamente Inuyasha, lo osservò per pochi secondi e... oh, no. Non intendeva proprio quello... non poteva! E invece sì che poteva... era praticamente un concetto essenziale. Base. Ma lei non l'avrebbe espresso ad alta voce. Ci mancava soltanto quello! Poteva scordarselo.

«N-no. Credo sia perfetto così. Ha tutto.», disse indicando il ragazzo, con un tono e un sorriso che giudicò abbastanza convincenti. «Tutto quello che Ichinose cercava.», aggiunse lanciando un'occhiata a Naraku. Quello le rispose con un sorrisetto che non le puzzò immediatamente di bruciato.

Momozono schioccò la lingua e si abbandonò ad un lungo sospiro.

«È stato bello finché è durato, Higurashi.», proclamò il giovane professore in tono annoiato, probabilmente riferendosi alla sua bella esposizione. Si volse verso gli altri ragazzi e fece un cenno nella loro direzione. «Ultimo intervento prima dell'inizio della prova – che avrete capito, si baserà sulla fase classica. Chi di voi sa dirmi qual è questo canone mancante?», chiese e cominciò guardare gli studenti uno per uno. «Altre supposizioni? Signorina Hino?», Kagura – colta di sorpresa – rimase a fissarlo, interdetta. «Niente. Certo. Cercare del barlume di reattività in lei è come aspettare la pioggia durante la siccità.»

«La nudità. Lui ha ancora un indumento addosso e gli eroi scolpiti sono sempre nudi.»

La voce di Naraku si fece sentire nuovamente, profonda e suadente, spezzando il breve silenzio che si era creato.

Kagome sospirò sonoramente e si volse verso il ragazzo. Ecco, come immaginava. Lui nudo. Certo. E cosa si aspettava, che rimanesse in boxer? Era normale. Sapeva che prima o poi, nella sua carriera a Belle Arti, quel momento sarebbe arrivato. Il disegno con modello dal vivo era un'attività mediamente praticata in facoltà. Peccato che fino a quel momento avesse ritratto solo donne, mezzi busti o singole parti del corpo, come arti vari ed eventuali. Cominciò a fremere sul posto, voleva solo andarsi a sedere, ma il professore non le aveva ancora detto niente!

Inuyasha sbiancò completamente, per poi tornare paonazzo ad una velocità considerevole. Rimase fermo, impalato, sperando di non aver sentito bene. Pensava che togliere i vestiti in quel modo sarebbe bastato, era in boxer, porca miseria! Avrebbe dovuto spogliarsi di più? Cioè... nudo? Tutto? Davanti a quelle persone? Davanti a quel professore pervertito? E davanti a quella ragazza, Kagome?

Jakotsu Momozono allargò il ghigno e si volse lentamente verso il modello, portando una mano a reggersi il viso, dolcemente.

«Il caro Ichinose ha centrato il punto. Via quei boxer, cocchino. L'esame deve iniziare, stiamo giocando da quaranta minuti.», disse con tono di voce tranquillo, ma c'era una strana luce nei suoi occhi.

«Ehi, cosa andate blaterando? Io non ho nessuna intenzione di-»

«Spiacente, non puoi opporti. Si suppone che, venendo qui, tu fossi a conoscenza di ciò che c'era da fare.», obiettò il professore. «Spogliati, il tempo stringe.»

Inuyasha contrasse la mascella e diede sfogo alla sua migliore espressione irata. Miroku l'avrebbe pagata, non cara, carissima – ormai era deciso! Se lo avesse avuto davanti, quanti pugni gli avrebbe dato! 
Cosa avrebbe potuto fare? Di scappare, non se ne parlava neanche! Era arrivato fino a quel punto, era giunto quasi all'apice di quella situazione imbarazzante e assurda... sarebbe arrivato fino in fondo! Per i crediti, dannazione!

E come... come faccio? Li tolgo e basta? Così?, si chiese con stizza mentre le mani correvano all'elastico dell'indumento intimo. Ah, dannati tutti quanti!

Decise che non voleva toglierli posizionato frontalmente, ma neanche toglierli di fianco... poteva girarsi? Oh, ma perché tutte quelle paturnie? Alla fine, l'avrebbero visto comunque! Via quei boxer e basta! Gesto secco, repentino, deciso e fine. Non c'erano più.

«Oh. Lo avevo sottovalutato. Che i Kami l'abbiano in gloria.», proclamò Byakuya sgranando un po' gli occhi alla vista della nudità del modello, ma senza scomporsi troppo. «L'unico pacco regalo che vorrei ricevere per Natale.», completò e Ayame annuì con trasporto.

Kagome stette lì, come una cretina, e non le venne niente di meglio da fare se non mettersi a guardare. Guardarlo lì. Fisso. Semplicemente. Lei che veniva spesso definita così... pudica. Adesso sì che le sue connessioni neuronali erano davvero andate a farsi benedire. Niente. Sentiva di non avere più niente in testa, soltanto una serie di campanelle a festa e la voce ovattata di Mariah Carey...

All I waaant for Christmaaas is...

«Benissimo.», sussurrò Jakotsu portandosi la mano al mento, con fin troppo entusiasmo. «Higurashi, tu puoi sederti. Lascialo a me.»

«Ehi!», berciò Inuyasha al tono ambiguo del docente e scattò sull'attenti, coprendosi le parti intime con le mani.

Quella specie di richiamo quasi ringhiato fece scattare anche Kagome che si riscosse, tornando nel mondo degli esseri umani e vergognandosi profondamente. Cercò di allontanarsi il più presto possibile ma, nella foga di tornare verso gli agognati sgabello e treppiedi, inciampò nei boxer del ragazzo che giacevano a terra.
Era ormai certa di cadere e spiaccicare la faccia contro il pavimento – meglio della tanatosi, un effetto decisamente più nature – quando si sentì afferrare saldamente per i fianchi. Ci mise un po' prima di accorgersi d'essere inclinata in avanti e che le mani che la stavano stringendo erano – ovviamente – di Inuyasha. Praticamente, quello lì era nudo. Dietro di lei. Lei che era praticamente quasi spalmata a novanta gradi. Davanti a tutti. Bello.
La ragazza si drizzò di scatto, conscia di aver possibilmente utilizzato tutti i punti della tessera “figure di merda 2016”, completò in fretta i pochi passi che la separavano dal suo sgabello, vergognosa e rigida come un automa, e lasciò lì il ragazzo che la osservava attonito. E nudo.

«Higurashi, ma cos'hai oggi? Sai camminare su una superficie piana senza procurare danni al mondo?», esordì Momozono, esasperato, battendosi una mano sulla fronte, e la classe, che aveva dapprima cercato di trattenere le risate, si abbandonò completamente. «Santi Kami, basta, questo esame sta diventando un parto. Cocchino, sistemati qui sulla cattedra. Distenditi... piega la gamba... il braccio... Okay, riconoscete la figura?», chiese ma non diede neanche il tempo di rispondere. «Figura di Fidia**, frontone est del Partenone. Bravi, bravissimi, dieci punti a Grifondoro. Cominciate! Tempo fino alla fine della lezione! Classicheggiante! Vi uccido se lo fate col carboncino.», li istruì, poi si volse verso il modello. «Quanto a te... non osare muoverti.»

Tutti i ragazzi cominciarono immediatamente a sistemare il materiale didattico necessario e cominciarono a darsi da fare, chi con più perizia e metodo, chi meglio guidato dall'ispirazione del momento.

«Mi preme ricordarvi, inoltre, che anche se prendete spunto da una figura, qui riprodotta a vivo, realizzata da un altro scultore, il disegno è vostro. L'opera che realizzerete, sarà vostra.», puntualizzò Momozono mentre prendeva a camminare fra sgabelli e cavalletti, le mani intrecciate dietro la schiena. «Dunque, voglio che diate un nome alla vostra creazione.»

Kagome inarcò le sopracciglia mentre cercava ancora di regolarizzare il respiro e si dava dell'idiota per la bruttissima figura fatta poco prima. Prese in mano la matita e cominciò a suddividere il foglio, cercando la concentrazione che sembrava essere volata via, lontano. Doveva focalizzarsi! Era un esame, accidentaccio! Un esame che, a quanto pareva, avrebbe dovuto avere anche un nome. E come avrebbe dovuto chiamarlo?

Ogni titolo che veniva in mente era... era assolutamente...

Mr. Perfezione”
Sogno o son desta?”
Vedete anche voi quel che vedo io?”
Pacco regalo”
Datemi dello xanax”
Sposta quella gamba, che non vediamo bene”

… assolutamente inutilizzabile! Che cosa stava pensando?! La ragazza scosse la testa con violenza e si diede una manata in fronte, disperata. Concentrarsi, concentrarsi, concentrarsi!

«Kagome.», la chiamò Sango, un sorrisetto che tentava di trattenere, senza risultato. «Ti trema la mano.», le fece notare e faticò a trattenere una risata.

«Sto bene!», assicurò quella, ma lei stessa non poté far a meno di notare che il suo tono sembrava alquanto... isterico. Stridulo. Momozonico.

«Okay...», acconsentì Sango, ma scoppiò ben presto a ridere sommessamente e dovette coprirsi la bocca con la mano, per non farsi vedere dal professore che si era fermato pochi posti più avanti, ad osservare il foglio di Hojo.

«Non ridere...», l'ammonì quella, infastidita, continuando a suddividere il foglio e gettando un'altra occhiata al modello.

Sarebbero stato un esame molto lungo. E nudo. Soprattutto nudo.

                                                                                                                                                ***

Osservarla.

Fermo com'era, si era accorto che quell'attività – l'unica che potesse permettersi in quel momento – lo stava coinvolgendo ed interessando più del consentito. Nella posizione in cui era stato collocato, il viso non era perfettamente dritto, ma lievemente spostato verso sinistra. Questo gli consentiva, muovendo un tantino gli occhi, di poter guardare Kagome mentre svolgeva il suo esame.

E in quel tempo di immobilità, contemplarla si era rivelata un'occupazione interessantissima, se pur statica.
Scoprì che gli piaceva la sua pelle, bianca e lievemente rosata in prossimità delle guance, gli piaceva il modo di aggrottare le sopracciglia quando – probabilmente – sbagliava qualcosa, gli piaceva quando si mordicchiava il labbro inferiore, quando si perdeva nei suoi pensieri, quando la ragazza accanto a lei la faceva sorridere – era così bello, quel sorriso. Lo aveva già pensato?

Gli piaceva come si picchiettava la fronte mentre rifletteva, gli piaceva il modo in cui aveva legato i capelli in una specie di crocchia scomposta, usando sapientemente solo un pastello verde. Ma la cosa che gli piaceva di più era sicuramente come lo aveva dolcemente toccato, il modo in cui lo aveva guardato lei per prima, modo in cui adesso lui sentiva – stupidamente – di non poter fare a meno di ammirare lei. Come adesso lei lo guardava per ritrarlo, come se pendesse dalle sue labbra... e quando capiva che stava per rivolgere quegli occhi grigi verso di lui, Inuyasha si ritrovava ad arrossire e si preoccupava di riportare i suoi dove dovevano stare.

Il modello d'esame trovava ironico che fosse lui, il qualcosa da ammirare, da studiare, a non poter smettere di guardare lei. Di ammirare lei. Di studiare lei. E comunque, riusciva a malapena ad ammetterlo a se stesso. La cosa lo imbarazzava terribilmente. Sia perché non era abituato a soffermarsi così tanto su di una ragazza e si sentiva stupido, sia perché tutto quell'osservare stava producendo nella sua mente pensieri tutt'altro che pudici. Perché, quando stai fermo, la mente non si ferma con te. Anzi. Si può dire che cominci a funzionare e viaggiare ancor di più. E lui... si ritrovò a fantasticare. Fantasticava su di lei, senza poterselo quasi impedire, giusto quel giorno si sentiva improvvisamente dotato di un'immaginazione più che fervida!

E stava lottando contro quei pensieri, che ogni volta venivano scacciati e si presentavano con più imponenza, e stava lottando contro il suo corpo che, per via di quelle ispirazioni, minacciava di cambiare, di mutare in maniera inopportuna sotto stimoli non richiesti ma quasi voluti.

E diciamocela tutta: se pur le sue parti intime fossero strategicamente coperte dalla gamba piegata – grazie ai Kami – farsi beccare con un'erezione da quei dannati studenti che, con intervalli di almeno quindici minuti, gli si avvicinavano per osservarlo meglio... era fuori questione. Sarebbe stato l'apice dell'imbarazzo – come se tutto quello non fosse per lui già abbastanza!

Tutti gli si erano avvicinati, per cogliere meglio un dettaglio, una sfumatura. Qualcosa. Tutti tranne lei. Si diede dell'idiota mille volte, ma non riusciva ad eliminare quel pensiero. Avrebbe tanto voluto che proprio lei gli si avvicinasse ancora. Ma perché tutta quella attrazione? Perché tutto quell'interesse? Non lo sapeva. Gli piaceva. Non avrebbe mai finito di ripeterlo, si sentiva dannatamente cretino, però gli piaceva. Tutto sommato, problemi di pene a parte, guardarla, pensarla, gli donava una sensazione piacevole. Pacifica, avrebbe osato dire.

«Sta per scadere il tempo!», rimbombò ad un certo punto la voce graffiante del professor Momozono. «Ultimi dettagli, titolo del lavoro, vostro nome e cognome in fondo al foglio – che sia leggibile, signor Takasu, la prego – e via di qui, buone vacanze!»

Kagome prese un lungo respiro e cominciò a ritoccare gli ultimi dettagli della sua prova, decisamente soddisfatta. Il disegno era... era perfetto. Assolutamente perfetto. Come lui.

La sua mano era stata poi sicura, la matita aveva macchiato il foglio con abilità, dando poi vita ad un lavoro splendido. Non aveva avuto alcuna difficoltà; ogni parte del corpo di Inuyasha, ogni particolare o sfaccettatura, era inspiegabilmente impresso nella sua mente. Era arrivata alla conclusione di averlo guardato così tanto, durante la spiegazione, da aver memorizzato tutto. Non aveva avuto neanche bisogno di avvicinarglisi; certo, avrebbe voluto, era comunque una scusa che avrebbe potuto utilizzare, ma non ce l'aveva fatta. Si vergognava ancora e preferiva evitare altri disastri e concentrarsi, almeno fino alla fine dell'esame.

Guardò un'ultima volta il disegno, mentre scriveva con cura nome e cognome in fondo al foglio, sperando che fosse la figura stessa a suggerirle il titolo da inserire. Come avrebbe potuto chiamare quella sua creazione? Carezzò il foglio e sollevò nuovamente lo sguardo verso Inuyasha, che era ancora fermo, circondato da Kikyo, Hojo, Rin e Byakuya che lo osservavano e discutevano fra loro degli ultimi dettagli.

Sospirò e il cuore tornò a batterle forte. Assottigliò gli occhi a due fessure e aggrottò le sopracciglia, mentre un pensiero cominciava a sfiorarla. Trovava Inuyasha bello, non riusciva a togliergli gli occhi di dosso, le provocava confusione, battito accelerato... 
Schioccò le dita e sgranò gli occhi con un sorrisone. Aveva avuto l'idea migliore del secolo! Prese la penna rossa e, con la sua grafia chiara e graziosa, cominciò a scrivere il nome che voleva dar alla sua opera.

«“Sindrome di Stendhal”?», lesse Sango, sporgendosi verso di lei e sbirciando il foglio.

Kagome sorrise e annuì, mentre ancora osservava il disegno.

«Sì. Perché non si può smettere di guardarlo, crea confusione e battito accelerato.», confessò, allegra, e una risata abbandonò le sue labbra, contagiando anche Sango.

«Santi Kami, è proprio vero! Beh, speriamo non provochi anche il resto dei sintomi, allora!», scherzò l'amica dandole una spintarella giocosa.

                                                                                                                                          ***
«Foglio a me, grazie. Foglio a me... graaazie. Oh, suvvia, mi dia quel foglio! Grazie... no, questo avrei proprio voluto non vederlo...»

Kagome si stiracchiò e tirò un lungo sospiro di sollievo. Da quando il foglio d'esame era finito fra le mani di Momozono, insieme a quelli dei suoi colleghi, avrebbe dovuto cominciare a sentire brividi freddi, ansia, preoccupazione per la correzione e il voto dell'esame. Invece, nulla. Si sentiva tranquilla. Era sicura che quella prova fosse andata bene, sì, era più merito del modello che suo. Vide con la coda dell'occhio che il ragazzo era in un angolo e si stava lentamente rivestendo, impacciato.

Mentre Momozono riordinava i fogli e scaricava tutto il suo materiale didattico fra le braccia di Hojo Valletto, i ragazzi cominciarono a respirare e sentirtisi liberi. L'aula si riempì di auguri di buone feste gridati e sussurrati, saluti, pacche sulle spalle. Tutti cominciavano a indossare nuovamente i cappotti, le sciarpe, i berretti; fuori aveva ripreso a nevicare.

«Chi ha l'ultimo turno dell'anno di pulizia** aula?», chiese il professore, guardandosi intorno e mostrando la chiave della stanza.

Kagome si volse verso Rin e Kagura, toccava a loro quel giorno; vide l'amica sbuffare sonoramente e afflosciarsi, lasciando la mano di Ban. La corvina storse la bocca. Erano alle solite: Rin aveva completamente dimenticato fosse il suo turno di pulire e doveva aver organizzato qualcosa con Ban. Qualcosa che era appena stato sventato. Sospirò e sorrise, scuotendo la testa.

Tanto non ho niente da fare... e ogni scusa è buona per rimandare quei progetti... ormai, li recupererò la Vigilia.

«Io, professore.», irruppe Kagome all'improvviso, impedendo a Rin di parlare. Quella la guardò ad occhi sgranati, ma lei le dedicò semplicemente una strizzata d'occhio. «Io e Kagura.», aggiunse e la collega le lanciò un'occhiataccia assolutamente assassina.

«Oh, che combinazione. Le mie preferite.», ironizzò il professore con un sorrisetto, tirandole la chiave. Kagome l'afferrò e gli rivolse un sorriso a sua volta, mentre Kagura arricciò il naso. «Va bene, testoline bislacche, buone feste! Ci si vede l'anno prossimo! Oh, riceverete il voto d'esame via e-mail. Non divertitevi troppo! La laurea sta arrivando!», disse con la solita espressione inquietante. Fece per uscire, poi tornò indietro, come se avesse scordato qualcosa. «Ah! Cocchino! Io rimarrò nel mio ufficio fino alle cinque di questo pomeriggio. Passa entro oggi per l'attribuzione dei crediti. Saluti!», concluse, lanciando un bacio in direzione di Inuyasha. Poi, si dileguò, Hojo ed altri studenti dietro di lui.

Inuyasha era ancora lì, prendeva tempo. Stava sistemando la felpa da un paio di minuti, con una lentezza struggente. E sì, accidenti, lo stava facendo di proposito. Si sentiva un cretino. Ma – dannazione – non voleva andare nell'ufficio di quel tizio. E... forse, non voleva neanche lasciare lì Kagome.

«Oh, Kagome, grazie, grazie, grazie!», urlò Rin non appena il professore fu uscito. Le saltò addosso e cominciò a stritolarla in un abbraccio che lasciava ben poco spazio per respirare. «Davvero, non eri obbligata!»

«Lo faccio con piacere! Non ho niente da fare... cioè, a parte studiare!», scherzò scompigliandole i capelli.

«Suppongo di doverti ringraziare anch'io.», le disse Bankotsu avvicinandosi e schiacciandole l'occhio e quella gli rivolse un sorriso d'intesa.

«Andate, voi che potete! Avanti!», li spronò, mentre Kagura frugava già nell'armadietto delle scope con un'espressione oltremodo stizzita.

Sango, Ayame, Rin e Bankotsu si persero un altro po' a chiederle se fosse davvero tutto a posto, se volesse davvero pulire lei, se lei e Kagura non volessero una mano. Non ci fu verso di convincerla e – dopo svariati tentativi – i ragazzi si arresero, imboccando definitivamente il corridoio.

«Ci vediamo a Natale!», li salutò Kagome.

Rientrò in aula e quel che vide la lasciò un po' perplessa. Vi era Inuyasha ancora nel suo angolo, di spalle, faccia rivolta contro il muro, che probabilmente stava continuando a sistemarsi e poi c'era Kagura che stava osservando insistentemente lo schermo del suo cellulare, mentre un contenitore di detergente stava abbandonato ai suoi piedi. La corvina preferì non disturbare Inuyasha – sembrava... indaffarato? – e si avvicinò alla collega con un sorriso amichevole.

«Ehi, Kagura! Allora, da cosa cominciamo?», chiese allegra e pronta a darsi da fare, prendendo una delle scope.

Quella curvò le labbra rosse e sottili in un sorriso e afferrò il giubbino in pelle che aveva poggiato su una sedia.

«Io da niente, bella. Tu, non lo so.», le rispose semplicemente, mentre indossava l'indumento. Mise la borsa in spalla, recuperò un grosso casco e prese a dirigersi verso la porta, mentre Kagome la guardava con tanto d'occhi.

«Ehi! Cosa stai cercando di fare?», disse la corvina piazzandosi davanti a lei. Kagura inarcò un sopracciglio. «Non puoi andartene! Dobbiamo pulire insieme!»

«Il mio ragazzo è qui fuori, ha avuto l'idea grandiosa di venirmi a prendere. Devo andare.», le disse semplicemente. «Sesshomaru non è un tipo a cui piace aspettare. E io non sono un tipo a cui piace pulire. Ragion per cui... ciao, cocca.»

Kagome inclinò la testa di lato e la guardò in tralice, arrabbiata. Sesshomaru, ecco come si chiamava.

«Non è giusto, Kagura! Non puoi lasciarmi tutto il lavoro! Come pensi che dovrei fare a sistemare tutto da sola?!», protestò ancora, visibilmente fuori dai gangheri. Quella non le diede alcuna soddisfazione e fece spallucce, avvicinandosi alla porta.

«È l'ultimo giorno, Kagome, nessuno lo saprà. Chiudi l'aula e lascia tutto così.», le suggerì Kagura con un sorriso. «Non penso che Chiappe D'oro farà la spia.», disse poi indicando Inuyasha con un cenno del capo.

«Chiappe D'oro?», berciò quello storcendo il naso. Si era finalmente voltato.

Kagome si volse un attimo a guardare il ragazzo – si era quasi dimenticata di lui, incredibile – per poi tornare a fissare la collega. Le rivolse l'ennesima occhiata bieca e incrociò le braccia.

«Non è corretto.», disse con tono ammonitore, semplicemente.

«Allora fai la corretta Kagome, ma falla da sola. Ti auguro buone feste!», le disse, prima di imboccare il corridoio.

Kagome raggiunse la porta e si fermò sulla soglia, furente.

«E comunque, va bene, pulisco io! Ma tu non ti stai comportando bene, Kagura! Proprio per niente!», le urlò dietro, ma quella si era già dileguata, velocissima, e il suo sproloquio fu accolto dal corridoio vuoto.

Si volse e tornò in aula, gli occhi socchiusi e una mano alla tempia; la rabbia scemava già, sostituita dalla rassegnazione.

E il premio scema dell'anno va a ….!, pensò tirando un lungo sospiro.

Ma perché la gente scambiava il suo essere buona e corretta con l'essere completamente fessa? La prendeva sempre in quel posto! Eppure, non ce la faceva ad essere diversa da com'era. Beh, pazienza, avrebbe fatto da sola! Probabilmente, se la sarebbe cavata pure meglio! Certo, avrebbe finito tardissimo...

«Ma ti fai prendere sempre per il culo, tu?»

Kagome trasalì al sentire quella voce e sollevò lo sguardo, incontrando gli occhi di Inuyasha. Era proprio di fronte a lei, braccia incrociate e... sì, certo, era vestito. La ragazza, superato il primo attimo di smarrimento e apprese le parole del ragazzo, incrociò le braccia a sua volta e si crucciò.

«Io non mi faccio prendere per il culo, come dici tu!», rimbeccò con tono aspro, poi sospirò – gesto che si trovava a far spesso, in automatico, per riprendere una sorta di contegno. «Non potevo immaginare che Kagura sarebbe scappata. È sempre sfuggente, sembra quasi vento.», spiegò e storse la bocca. Si avvicinò ad una coppia sgabello – cavalletto e si rimboccò le maniche del maglione. «Farò da sola, non ci vuole niente!», affermò convinta, grintosa come suo solito, e riuscì nuovamente a sorridere.

Inuyasha rimase fermo a braccia conserte ed inarcò istintivamente un sopracciglio. Fare da sola! Ovviamente! Tsk, che testarda. Avrebbe finito il 20 di Dicembre dell'anno successivo! A quel punto, si disse che – probabilmente – aveva fatto bene a rimanere lì. L'avrebbe aiutata... insomma, i crediti e il resto potevano aspettare...

Perché non ammetti che stai soltanto cercando delle scuse?

«Feh! Lascia fare a me!», s'intromise scostandola un po' e, come aveva già fatto quello stesso giorno, prese i due strumenti contemporaneamente, senza troppe difficoltà. «Sei fragilina, per far queste cose.», l'apostrofò con un sorrisetto arrogante, senza troppa delicatezza.

Kagome lo fissò un attimo, quel sorrisetto mozzafiato e quegli occhi che sembravano sempre attraversarla. Poi si riprese, aggrottò le sopracciglia e s'imbronciò. Ma fragilina cosa?! Che simpatico, eh! Però... però si era offerto di aiutarla...

«Non sono fragilina!», insorse, piccata, guardandolo in tralice. «E poi, insomma, non preoccuparti... devi andare da Momozono a risolvere quella cosa dei crediti... e avrai anche altro da fare... non c'è bisogno che ti trattieni qui...», aggiunse poi, a malincuore, regalandogli un sorriso rassicurante.

Le avrebbe fatto piacere se fosse rimasto, perché doveva mentire persino a se stessa? Ma non era giusto trattenerlo lì; aveva sicuramente un sacco di cose da fare, i crediti da recuperare... ragazze con cui uscire... sospirò. Milioni di ragazze con cui uscire.

Inuyasha scrollò le spalle e strinse ancor di più i due oggetti. Altre cose da fare? E cosa? Infilare nuovamente il naso nei libri, andare in ufficio da quel pervertito o picchiare Miroku fino alla morte? Effettivamente, tutte attività allettanti. No, voleva rimanere lì. E parlarle.

«Tsk! Non dire cretinate! Se ti aiuto, finirai prima. Come ti ho detto, sei troppo fragilina.», la canzonò ancora e lei lo guardò nuovamente storto. «Tu pulisci ed io porto questi nell'altra stanza.», disse semplicemente, prima di cominciare ad avviarsi verso la porta.

Kagome sorrise senza poterselo più impedire, contenta, e finalmente annuì, correndo a recuperare la scopa che aveva mollato poco prima, per seguire Kagura. Che bello! Sarebbe rimasto! Avrebbero potuto far due chiacchiere!

Sì, Kagome, ma non essere sciocca... non cominciare a farti strane idee...

«Ti ringrazio!», esclamò, accorata, e il ragazzo rispose semplicemente annuendo. Era la seconda volta che le salvava la vita.

I minuti successivi videro lui che faceva avanti ed indietro, guardandola di tanto in tanto di sottecchi, e lei che passava la scopa praticamente sempre negli stessi cinque punti, osservandolo come si era abituata a fare. Nessuno dei due che riusciva ad iniziare una conversazione.

Kagome cercava qualcosa di intelligente da dire, Inuyasha cercava di non dire qualcosa di stupido

Quando l'ultimo cavalletto e l'ultimo sgabello furono tornati nell'aula di appartenenza e la stanza pulita a dovere, Kagome vide tornare Inuyasha in aula. Si fermò poco vicino la cattedra e prese a guardarsi intorno, perso in chissà quali pensieri, mentre si passava una mano fra i capelli neri.

Kagome, intenta a sistemare la roba per pulire nell'armadietto, rimase un attimo a occhi sgranati e bocca semi aperta, poi si svegliò. Bloccò quell'immagine nella sua mente, mollò la scopa contro il muro, recuperò l'album da disegno che non aveva ancora sistemato, estrasse il pastello verde che aveva fra i capelli e... cominciò a disegnare! L'aveva ispirata, non poteva farci nulla. E quando veniva ispirata da qualcosa, doveva assolutamente fermarsi a disegnarlo. Si appollaiò su una delle sedie dell'ultima fila e cominciò uno schizzo in stile manga – quello che le riusciva sempre meglio – senza troppe pretese, applicandosi velocemente, temendo che quell'immagine potesse fuggire via da un momento all'altro.

Inuyasha sollevò lo sguardo e si stupì di vederla accovacciata sulla sedia a scarabocchiare sull'album. Un secondo prima stava spazzando, poteva giurarlo! E vedendola di nuovo all'opera, vedendo di nuovo quell'espressione attenta e concentrata, i pensieri di quel pomeriggio lo assalirono di nuovo.

«Ehi!», la chiamò con un tono più burbero di quanto avrebbe voluto. Non sapeva proprio fare di meglio. «Non ho deciso di aiutarti perché tu potessi battere la fiacca, sai?», le disse fintamente contrariato, avvicinandosi.

Quella non lo guardò neanche. Sollevò una mano a palmo aperto, come a dire “aspetta”. Lui aggrottò le sopracciglia e si avvicinò di più, curioso. Kagome ne percepì il profumo, il respiro, e il cuore prese a batterle nuovamente fortissimo. Sollevò la testa e se lo trovò a pochi centimetri dal viso. Le guance le si imporporarono e quello si tirò indietro, anche lui leggermente rosso.

«Guardati. Riesci sempre bene.», disse la ragazza con un sorriso timido, sollevando l'album e mostrando lo schizzo in verde. «È un po' frettoloso, ma... m-mi hai ispirato. Ti piace?»

Inuyasha le prese l'album dalle mani e guardò quell'insolito disegno verde. Inclinò leggermente la testa di lato e un piccolo sorriso gli increspò le labbra. Era davvero carino, Kagome era brava. Era sicuro che l'avesse reso meglio di quanto in realtà non fosse.

«Passabile.», le disse, giusto per stuzzicarla e quella lo guardò male, lanciandogli un'occhiataccia.

«Come sarebbe a dire “passabile”?», chiese con sufficienza, quasi offesa.

Inuyasha rise, qualcosa che faceva di rado – doveva ammetterlo – e solo davanti a poche persone. Le si sedette accanto e le restituì l'album. La ragazza lo recuperò, stizzita, e continuò ad osservarlo, aspettando sicuramente una risposta.

«Ti prendo in giro, scema! È... è bello.», le confessò, goffo, grattandosi una guancia. Non facevo spesso complimenti a qualcuno su qualcosa. Si volse verso di lei e vide ch'era illuminata di un sorriso radioso che lo lasciò imbambolato. Distolse in fretta lo sguardo, riportandolo sul disegno. «Stai sempre a disegnare?», chiese, tanto per dire qualcosa, per sentirla ancora parlare.

«Certo che sì, soprattutto quando mi sento ispirata. È la mia passione! Un giorno, anch'io sarò un'insegnante come Momozono.», rivelò con entusiasmo, il solito sorriso che le curvava deliziosamente le labbra. «Cioè, magari non proprio come lui... E tu? Tu non stai sempre lì, a scervellarti con la tua Fisica? Cosa vuoi fare dopo gli studi, Inuyasha?», chiese sporgendosi lievemente verso di lui, curiosa.

Inuyasha prese a grattarsi la testa, cercando di trovare le parole per rispondere alla sua domanda; le aveva fissato le labbra tutto il tempo, da quando aveva cominciato a parlare, e l'apice era stato sentirle articolare il suo nome. Cercò di darsi un tono – continuava a sentirsi abbastanza stupido – e parlò guardando dritto di fronte a sé, evitando di far altri danni.

«Feh! Io e la Fisica ce la intendiamo alla perfezione, non ho bisogno di scervellarmi! Risolvere i suoi problemi è facile come andare in bicicletta.», disse, sicuro. Portò le mani dietro la testa e poggiò le gambe sullo schienale della sedia davanti a sé, accomodandosi completamente. «Se mai prenderò questa dannata laurea, diventerò un astrofisico. Avrò a che fare con tutti i fenomeni della materia celeste applicando i miei studi. Magnetoidrodinamica, elettromagnetismo, meccanica statistica...», cominciò e il suo viso era animato di sincero interesse.

Si volse verso la ragazza e vide che lo stava osservando con l'espressione interessata di chi sta cercando di capire un discorso, davvero, ma non ci sta riuscendo per niente. Ah, che stupido! Aveva cominciato a blaterare di quelle cose che non diceva quasi a nessuno, probabilmente la stava annoiando a morte! Proprio con lei doveva mettersi a parlare di Fisica? Miroku glielo diceva sempre...

Niente Fisica, con le fanciulle! Fisico, piuttosto, Inuyasha. Adocchia e palpa!

Scosse la testa e imprecò mentalmente. Ma come gli veniva di prendere in considerazione anche solo per un millisecondo le dritte di quel cretino di Miroku? Non se l'era mai cavata bene con le parole, ma era sicuro che dando retta a quello lì sarebbe solo potuto cadere ancor più in basso. Chissà come aveva fatto a trovare la ragazza! Se l'era sicuramente inventata, ne era sempre più sicuro.

«Ah, lascia perdere, non importa!», si affrettò ad aggiungere, socchiudendo gli occhi e stringendosi nelle spalle. «Sono cose noiose. Decisamente lontane da quello che fai tu.»

Non udendo risposta, Inuyasha si volse verso di lei e la vide ridere sommessamente. Si drizzò sulla sedia, sistemandosi, e prese a guardarla con tanto d'occhi. Stava per caso ridendo di lui? Si crucciò e stava per dir qualcosa, ma Kagome parlò per prima.

«Perdonami, non capisco niente di queste cose! Sono sempre stata una frana.», confidò grattandosi la testa, confusa. «Però, ti assicuro che non trovo le cose che ti piacciono noiose, anzi! Ho un amico appassionato di... insomma, materia celeste e cose così. Dal punto di vista astronomico, più che fisico. Costellazioni e roba del genere...», raccontò gesticolando animatamente, per poi scoppiare a ridere. «... e lui fa Belle Arti! Era proprio lì in mezzo, mentre posavi. Ed ora, ti dimostrerò che le nostre passioni possono essere compatibili.»

Inuyasha le lanciò un'occhiata perplessa e sinceramente colpita. Gli sembrava così strano che qualcuno potesse essere interessato ad uno dei suoi sproloqui su roba da fisico! Persino Miroku si rifiutava di ascoltare quei discorsi. E lui la frequentava, quella facoltà.

Da quel poco che aveva appreso, Kagome sembrava una persona gentile e alla mano, oltre che bella, e quel senso d'attrazione – che non si era mai dileguato – continuò a stuzzicarlo.

«Hai una penna?», gli chiese Kagome di punto in bianco. E inspiegabilmente, Inuyasha ne tirò fuori una dalla tasca dei jeans. «Voi di Fisica girate sempre con le penne in tasca?», chiese la ragazza mentre afferrava l'oggetto e lo privava del cappuccio.

Inuyasha ridacchiò, per poi rivolgerle un altro sorrisetto divertito.

«Così come quelli di Belle Arti girano con i pastelli fra i capelli.», le rispose e quella sorrise.

Kagome gli si accostò un po' di più, in silenzio, e prese l'avambraccio di Inuyasha fra le sue mani. Lo volse, sollevò la manica della felpa e cominciò a tracciare dei punti sulla parte interna.

«Ma che stai facendo?», le chiese, curioso e stranito, mentre avvicinava un po' il capo, per guardare meglio.

«Lasciami fare. Fidati.», assicurò lei.

La penna tracciava punti che poi Kagome si ritrovò ad unire con delle linee e Inuyasha capì che si trattava di una costellazione, precisamente di Orione. Mentre lei disegnava, lui stava fermo e quasi tratteneva il respiro. Era attaccata al suo corpo, la sua testa vicina alla sua spalla, sentiva il profumo della sua pelle – una fragranza zuccherata, ma non eccessivamente dolce – sentiva i suoi capelli corvini solleticargli lievemente il viso. Kagome sollevò il capo, persa un attimo nei propri pensieri, e cominciò a mordicchiarsi il labbro in quel modo che gli piaceva. Inuyasha contrasse la mascella; lo sentiva, sentiva l'impulso di baciarla. Voleva saggiare quelle labbra, avrebbe voluto...

«Ho finito. Orione.», affermò ad un tratto, soddisfattissima, e Inuyasha abbassò nuovamente lo sguardo per guardare il suo avambraccio. Sopra le linee che tracciavano la costellazione, era stata disegnata la figura articolata del personaggio di Orione. «Visto? La mia e la tua passione possono trovare... un punto di accordo.», disse.

Kagome si ritrovò a boccheggiare. Il viso di Inuyasha era davvero, davvero vicino. Non che non lo fosse stato per tutto quel tempo, ma sembrava rendersene nuovamente conto soltanto in quel momento. Era stato semplice e piacevole conversare con lui e, anche se avevano parlato poco, pareva essere una persona interessante. Un tipo carino... forse non proprio il classico tipo al quale chiederesti di passare insieme la Vigilia... ma, sicuramente, era il classico tipo al quale l'avrebbe voluto chiedere lei.

«Accordo... certo...», bisbigliò Inuyasha a stento e si ritrovò ad abbassare lo sguardo. Lo risollevò immediatamente. «Kagome... senti...», cominciò e si passò una mano fra i capelli, come se quel gesto gli desse coraggio. «Tu sai disegnare tutto? P-proprio tutto?», tartagliò.

La ragazza fu colta di sorpresa da quella domanda. Sapeva disegnare tutto? Non ci aveva mai pensato.

«Direi di sì... insomma, posso provarci.», confessò, perplessa. Che strana richiesta! Però, com'era carino, era anche arrossito ancora... le sembrò infinitamente tenero. «Vuoi che disegni qualcos'altro?», gli chiese in tono dolce, inclinando leggermente la testa di lato.

Lui si limitò a fissarla intensamente, senza parlare. Il cuore quasi in gola. Voleva dirlo, voleva farlo...

«Del vischio.», disse e si avvicinò un po', questione di un millimetro in più, che però fece molto, moltissimo.

E Kagome capì. Capì benissimo, anzi, sperò d'aver capito benissimo. Si trovò ad incrociare le braccia strette al petto, come se avesse paura che il cuore balzasse fuori dal suo confortevole alloggio. Batteva così forte che credeva le avrebbe sbriciolato la gabbia toracica.

«Ecco, sì, p-potrei...», farfugliò come una stupida, mentre le labbra di lui erano praticamente quasi sulle sue.

Quando le loro labbra s'incontrarono, entrambi capirono quanto avessero desiderato quel bacio. Non parve loro affrettato, né fuori luogo. Sembrò quasi il coronamento di qualcosa, sembrò il culmine delle occhiate fugaci ed intense, delle gote imporporate, dei silenzi imbarazzati. Soddisfazione per quell'insolita tensione sessuale, quell'attrazione che li aveva coinvolti, stravolti e cotti entrambi a fuoco lento, in quella ch'era stata una piacevole tortura.

Kagome parlava molto, le piaceva conversare, ma mai un'interruzione del genere le sembrò più giusta. Mai si era azzardata a baciare qualcuno dopo così poco tempo. Beh, aveva ufficialmente cominciato! E le sembrò assolutamente perfetto. Portò le mani al viso di lui e lo carezzò dolcemente, completamente assuefatta dal suo profumo, dalla sua vicinanza.

Mamma, è questo il destino di cui parli sempre?

Inuyasha non era bravo con le parole, non lo era mai stato, aveva sempre preferito agire e mai azione gli sembrò più azzeccata di quella. Tentò di stringerla più a sé, goffamente, nonostante il bracciolo delle due sedie impedisse un po' quel gesto che gli venne così naturale. Si sentiva così bene, quanto gli piaceva! Approfondire il bacio, avrebbe voluto approfondire il bacio...

«Ehiii, Ka-chaaaan! Oh, mammina! Scusascusascusa!»

L'urlo di Rin interruppe i due ragazzi e li fece volgere di scatto; dalle espressioni atterrite sui loro volti paonazzi, sembrava che fossero stati colti in flagranza di ben altro reato. Rimasero fermi per una manciata di secondi, senza riuscire a muoversi immediatamente, mentre Rin, Sango, Ayame e Bankotsu erano fermi sulla soglia.

«Ahm, ahm. Kagura l'aveva detto che sarebbero sicuramente finiti a pomiciare. Dovevamo aspettare ancora.», commentò Bankotsu, masticando un qualche dolcetto dalla forma strana. Sango e Ayame annuirono con aria solenne, come a dargliene atto.

«Non potevo saperlo!», piagnucolò Rin, mortificata.

Alle parole di Bankotsu, i due sembrarono prendere finalmente coscienza della situazione e fecero per alzarsi entrambi in piedi ma, nel modo di farlo, Kagome diede una manata involontaria sul viso del povero Inuyasha. Quello ricadde sulla sedia con un ringhio appena mugugnato, reggendosi il naso.

«Dei celesti! Scusa! Stai bene?», irruppe Kagome, preoccupata, dandogli immediatamente addosso.

«Ouch! Porca put-», biascicò interrompendosi, mentre si reggeva il naso. «Stavo meglio prima!»

«Rin! Si può sapere che ci fate voi qui?!», chiese poi la ragazza con voce stridula, mentre teneva le proprie mani pressate sul naso di Inuyasha. Come se ve ne fosse bisogno.

Quello annaspò, cercando di liberarsi, ma Kagome sembrava ancorata alla sua faccia!

«Siamo rimasti giù a parlottare e abbiamo visto Kagura andare via. Ci siamo sentiti tutti in colpa e allora abbiamo deciso di aspettarti, per farti una sorpresa e pranzare insieme... ma non scendevi mai...»

«E chissà perché.», commentò Bankotsu inarcando un sopracciglio e sorridendo.

Inuyasha riuscì finalmente ad alzarsi e prese a sistemarsi la felpa con concitazione, paonazzo, cercando di coprire il cavallo dei pantaloni inopportunamente gonfio. Quei dannati! Ma come gli era venuto in mente di presentarsi così, all'improvviso? Accidenti a loro! Si stava vergognando da morire! Una sorpresa... feh! Ecco perché odiava le sorprese. E le feste natalizie. E le persone! Fece per uscire dalla fila di sedie, ma fu immediatamente attorniato da quei quattro ragazzi.

«Inuyasha! Sei l'Inuyasha che penso, non è vero? Certo, non avrei voluto che ci conoscessimo così. Dovevo aspettare Natale, era una sorpresa. Ma pazienza.», disse la ragazza più alta, quella con i capelli castani raccolti in una coda alta. «Io sono Sango, la ragazza di Miroku! Lui mi ha parlato così tanto di te! A Natale sei a casa mia! Non vedo l'ora!», cominciò a dirgli, contenta.

La ragazza di Miroku? Quella era Sango? Allora, esisteva sul serio! Non ebbe il tempo di riuscire a capire se avesse voglia di formulare una risposta coerente da darle che Sango fu immediatamente soppiantata dalla ragazza più bassa, quella li aveva praticamente interrotti per prima.

Kagome si diede una manata in fronte e arrossì fino alla punta dei capelli. Ma perché lo stavano assediando in quel modo? Stavano bloccando il passaggio, impedendo ad entrambi di sgusciare via. La stavano mettendo in imbarazzo! Rivolse un'occhiata in tralice a Bankotsu ma quello fece spallucce, sporgendo le labbra in fuori.

«Io sono Rin! Piacere di conoscerti! Ero lì in mezzo, mentre posavi. Beh, in realtà lo eravamo tutti.», disse partendo come una furia, stordendolo, per poi ridacchiare, imbarazzata. «Verrai a Natale, non è vero? Sarebbe fantastico!»

«Ciao! Ayame, piacere!», s'intromise l'ultima ragazza, la rossa, e scalzò completamente Rin.

Inuyasha, completamente frastornato e voglioso di scappare – portandosi dietro Kagome, magari – rimase un attimo colpito dal nome della frizzante rossa e assottigliò gli occhi a due fessure.

«"Ayame" hai detto? Conosci mica uno che si chiama Koga Yoro?», chiese con tono sprezzante, incrociando le braccia.

Kagome aggrottò le sopracciglia, confusa, e così fecero tutti gli altri. Inuyasha conosceva anche Koga?!

Ma che coincidenze sono mai queste?, pensò, profondamente stupita.

«Certo che lo conosco! È il mio ragazzo!», affermò quella, fiera. Bankotsu scosse la testa, in segno di disapprovazione, e la ragazza si strinse nelle spalle. «...cioè, quasi. Tu lo conosci?!»

«Feh! Purtroppo per me! Un tale rompipalle!», si lamentò incrociando le braccia, stizzito, ignorando l'occhiata perplessa della rossa. «Me l'ha presentato Miroku qualche mese fa. Stesso centro sportivo. Accidenti a lui!»

«Ohhh! Che fatalità! Ma allora non puoi proprio non venire, a Natale!», chiocciò Rin, tutta contenta.

«Assolutamente! Oltre tutto, faccio una torta di Natale che non puoi perdere, la fine del mondo!», rincarò Ayame con un sorrisone.

«...la fine del mondo nel senso che la mangi e dopo muori. Permesso, permesso!», irruppe Bankotsu e si fece spazio fra le tre ragazze accalcate intorno ad Inuyasha. «Io sono Bankotsu e adesso sposterò queste tre rompipalle permettendovi di passare. Però... vieni a Natale. Dài. Mi serve presenza maschile, insomma, lo vedi, amico, sono praticamente in minoranza. La squadra è-»

«Okay, ragazzi, okay, basta!», cominciò Kagome passando a stento nello spazio angusto e frapponendosi fra Inuyasha e i quattro. «Stop. Time out. Respirare. Indietreggiare. Ecco. Inuyasha deve andare, adesso.», disse volgendosi lievemente verso di lui, le gote ancora arrossate.

Quello colse la palla al balzo e per poco non si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Improvvisamente, era impaziente di andare a trovare quel dannato pervertito nel suo ufficio, ed era ben dire! Anche se gli dispiaceva lasciar Kagome.

«Sì, ecco, infatti. Devo recuperare i miei dannati crediti.», disse, impacciato, dedicando ai quattro un cenno del capo a mo' di saluto e un'occhiata significativa a Kagome, prima di dirigersi già verso la porta.

Accidenti, non aveva neanche potuto salutare per bene la ragazza, darle il suo numero, chiederle di uscire. Sarebbe sicuramente finito a domandare a Miroku di chiedere di Kagome a Sango, ma che seccatura dovergli poi spiegare tutto! E che giro infinito! Ma lo avrebbe fatto.

«Ehi, Inuyasha. Aspetta un attimo!», lo chiamò Kagome quand'era ormai arrivato a metà corridoio. Inuyasha si fermò e si volse e la ragazza lo raggiunse in una manciata di falcate. «Hai dimenticato questo. Voglio che lo tenga tu.», disse porgendogli un foglio.

Inuyasha prese il foglio fra le mani e scoprì ch'era il disegno che la ragazza aveva fatto poco prima. Con scritto in basso il proprio numero di telefono. Arrossì e non poté impedirsi di curvare le proprie labbra in un sorriso.

«Allora... tu... verrai a Natale?»

Inuyasha la testa di scatto e incontrò gli occhi limpidi di Kagome. Nel suo tono colse un che di speranzoso. Serrò le labbra. Non era esattamente il tipo che amava le feste natalizie – o le feste in generale – ma realizzò ch'era disposto a partecipare a quella specie di pranzo di Natale, sorbirsi Koga, Miroku e anche quei tipi strani di poco prima, pur di poter rivedere Kagome.

«Mah, sì. Insomma, non ho niente da fare.», rispose infine, con apparente noncuranza, cercando di mantenere un contegno – miseramente. Poi, un nuovo pensiero cominciò a tormentarlo e decise coraggiosamente di dargli voce. «Per esempio, non ho niente da fare neanche per la Vigilia. C-ci vediamo? Cioè, ti andrebbe?», chiese guardandosi i piedi e grattandosi la testa, per dissimulare l'imbarazzo.

Kagome si aprì in un grandissimo sorriso che le illuminò anche gli occhi. Non riusciva a nascondere quanto fosse contenta! Non solo Inuyasha sarebbe venuto a Natale, ma le stava praticamente chiedendo di passare la Vigilia insieme! Quel 20 Dicembre si era definitivamente spostato nella top ten delle migliori giornate della sua vita. Deciso.

«Sì, mi andrebbe.», rispose annuendo. «Tanto, neanch'io ho nulla da fare.», disse con un sorrisetto, facendo anche lei la finta indifferente, per prenderlo un po' in giro.

«Beh, io non ho da fare neanche per il 23, se è per questo.», aggiunse allora lui, come se stesse buttando la cosa lì, a caso.

«Io nemmeno per il 22.», replicò allora lei, intrecciando le mani dietro la schiena, e cominciò a calciare leggermente con un piede. 

Inuyasha incrociò le braccia e le rivolse un sorrisetto di sfida, nonostante continuasse ad essere leggermente imbarazzato. Quella dannata, stava giocando al suo stesso gioco!

«Feh! Ed io neanche per il 21!», sbottò di nuovo.

Kagome gli rivolse un sorriso furbo e incrociò le braccia a sua volta.

«Allora, ci vediamo domani, Inuyasha.», snocciolò, soddisfatta. Gli si avvicinò e gli lasciò un bacio sulla guancia, quasi vicino alle labbra.

«S-sì, ecco. A domani!», acconsentì avvampando nuovamente, sfiorandosi una guancia. Si riscosse, cacciò il disegno in tasca – con una cura che non gli apparteneva – e si volse, imboccando nuovamente il corridoio.

Kagome aspettò svoltasse l'angolo, prima di voltarsi per tornare in aula. Esultò, non poté impedirselo, e tornò verso la stanza saltellando. Letteralmente. Si sentiva quasi Rin. Quando varcò la soglia dell'aula, sorprese i suoi amici che mangiavano bellamente, seduti alla cattedra.

«Allora?!», irruppero in coro le tre ragazze non appena la videro, alzandosi di scatto, all'unisono.

Kagome fece una pausa teatrale, per poi scoppiare a ridere. Era normalmente una persona allegra, ma era possibile sentirsi così contenti? Le sembrava troppo persino per lei!

«Verrà a Natale, ci vedremo per la Vigilia... e anche domani!», le informò, entusiasta, e quelle la circondarono immediatamente.

«Ed io che ti ho comprato del fragolino perché mi sentivo in colpa! Tieni!», disse Ayame dandole un bicchiere mezzo pieno di liquido rosso, per poi trascinarla vicino alla lunga cattedra.

«A cosa brindiamo?», chiese Kagome tutta felice, guardando prima il liquido scuro e poi gli amici.

«Ai colpi di fulmine?», chiese Bankotsu con un sorrisetto.

Sango e Rin si rivolsero uno sguardo complice e poi sollevarono i bicchieri.

«No... alla sindrome di Stendhal!», dissero in coro per poi scoppiare a ridere, contagiando anche gli altri.

«Alla sindrome di Stendhal!», replicarono tutti in coro, facendo cozzare i bicchieri.

Se gli eventi di quella giornata fossero opera del destino tanto decantato dalla madre, Kagome non lo sapeva e non l'avrebbe mai saputo. Tuttavia, se davvero fosse stato tutto merito suo, allora realizzò che non l'avrebbe ringraziato mai abbastanza.


Note:
**La sindrome di Stendhal è un'affezione psicosomatica che provoca vertigini, tachicardia, capogiri – e talvolta altri sintomi più seri – in soggetti messi al cospetto di opere d'arte di grande bellezza, spesso poste in spazi limitati. Volgarmente, si dice che ci si innamora perdutamente di ciò che si ha davanti, colpo di fulmine nei confronti di un quadro, una statua e così via. Ho giocato con questa definizione poiché Inuyasha qui ricopre le vesti di un soggetto artistico.
**In Giappone la scansione degli anni d'università è diversa. Non vi sono corsi di laurea divisi fra triennale e magistrale o a ciclo unico di cinque anni. L'università può essere a ciclo breve (due anni) o normale (quattro).
**Essendo il Natale una festa “d'importazione”, i Giapponesi hanno un modo diverso di festeggiarlo. Le vacanze natalizie sono delle vacanze che si festeggiano con il fidanzato e gli amici, piuttosto che con i parenti. Più importante del giorno di Natale stesso è la sera della Vigilia, poiché è tradizione passarla con il fidanzato o con qualcuno che si spera possa diventarlo. Molte ragazze che non riescono ad impegnarsi per la Vigilia, si intristiscono... è come se fosse un secondo San Valentino, in pratica. XD
**L'oden è una zuppa giapponese che prevede vari ingredienti (in prevalenza verdure) immersi in un brodo fatto con tonno secco o alghe konbu, il tutto insaporito con salsa di soia. Sia nel manga che nell'anime, Kagome mostra di essere ghiotta di questo piatto.
**Semplice torta – spesso di pan di spagna e fragole – che i giapponesi usano mangiare in periodo natalizio, nello specifico la sera del 24 Dicembre.
**La tanatosi (santi dei, non posso credere di star scrivendo davvero una nota su questa cosa) dal greco "thanatos" (θάνατος) col significato di morte, è un comportamento messo in atto da alcuni animali, che implica l'irrigidimento totale del corpo in seguito ad una situazione di pericolo o come semplice reazione da contatto, al fine di simulare uno stato di morte. [Wikipedia docet]
**Fidia (490 a. C. - 430 a.C.) è uno sculture e architetto di Atene, attivo a partire dal 470 a.C. circa.
**In Giappone sono gli studenti ad occuparsi della pulizia delle aule. Non so se lo facciano anche nelle università, ma mi è piaciuto immaginare che fosse così, per esigenze di trama. xD
**Nota doverosa su Jakotsu: so che la sua figura vi risulta forse poco professionale... in realtà, l'ho immaginato come uno di quei professori con cui si ha un rapporto di scherzo e frecciatina, che ti parlano di fatti loro, però al contempo ti terrorizzano a morte e sono tremendamente preparati. A me è successo, vi assicuro che è possibile incontrare una persona così! L'unico comportamento veramente poco professionale ce l'ha nei confronti di Inuyasha... ma lui non è un suo studente. u.u Ps. Se può sembrarvi strano un corso universitario con soli dieci studenti, mi sono ispirata al corso di Neogreco che sto seguendo all'università. Materia d'esame. Iscritti al corso: dieci. Più la professoressa. xD 

 

Angolo autrice.
Lo so, lo so. Cominciate pure a tirare ortaggi di vario tipo. Senza pietà. Sono consapevole. Anzi, se siete arrivati fin qui, miei prodi, miei individui assolutamente temerari, vi ringrazio! Anche se accrescerete le fila dei tiratori scelti di pomodori! Grazie della pazienza! :D
Devo dire che è stata ostica, soprattutto per l'IC dei personaggi che, santa papaya, non so assolutamente capire se siano venuti bene. Io, Inuyasha e Kagome abbiamo delle divergenze con l'IC.
Un'altra cosa della quale mi sono accorta è che io – già di mio – non ho capacità di sintesi ma scrivendo con una traccia data da qualcun altro, ho cominciato ad allungare sempre di più. xD dicevo ogni giorno “tra poco è finita, ci sono!”.... non era mai così. C'era sempre qualcosa da chiarire e spiegare meglio. Credo di aver consumato più cioccolato scrivendo questa cosa, che in tutta la vita! xD
Inoltre, fin dal principio si era creata una precisa idea nella mia testa (quella che avete letto, precisamente) e non sono riuscita a sradicarla in nessun modo! Quindi, il polpettone è questo. La cosa che mi preme, come al solito, è la resa dei meccanismi psicologici e ovviamente del Santo IC. Speriamo bene! xD
La spiegazione d'arte è servita per farli avvicinare... ahh, spero non sia risultato troppo noioso! Chiudo qui, sono logorroica.
Ringrazio tantisssssimo la mentore Miyu87 per aver fornito la bella e stimolante traccia, "cucita sulla mia pelle"; spero tu possa ritrovare nel mio scritto un po' dei tuoi desideri e che tu possa essere almeno un pelino soddisfatta e non delusa. Ringrazio doppio lei e anche Napee che si sono sorbite le mie lagne sceme e infinite (infinite, sì, però censurate: non potevo rivelare loro niente! xD)
Ringrazio, nuovamente, voi che leggerete (sia che arriviate fino a qui, sia che no). Ne approfitto per farvi gli auguri di serene e felici feste!
Vi auguro di innamorarvi di qualcosa di bello e gentile, che vi tolga il fiato e vi tocchi il cuore. Che sia una persona, un monumento, un quadro, un tramonto, una nevicata, un gatto, una torta... o un Inuyasha nudo.

Alla prossima! :)

RJ

  
Leggi le 13 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Inuyasha / Vai alla pagina dell'autore: RodenJaymes