Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |       
Autore: Futeki    21/12/2016    1 recensioni
Silente è morto e Hogwarts non è più un luogo sicuro, mentre il Ministero della Magia è in mano ai Mangiamorte. Con l'ascesa del Signore Oscuro, una nuova Guerra Magica sembra ormai inevitabile.
Per allontanarsi dal tragico scenario che si pone loro di fronte, la famiglia Greengrass e Blaise cercano rifugio in una città del Galles meridionale, Caerphilly, dove Daphne non potrà fare a meno di chiedersi se è il caso di rivalutare la sua idea di casa.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Blaise Zabini, Daphne Greengrass
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Da VII libro alternativo
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Rusty Halo'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Questa minilong è una sorta di spin-off di The end where I begin e appartiene quindi alla serie di Rusty Halo. Si tratta di una storia a sé stante e in quanto tale potrebbe essere letta indipendentemente dalle altre.

Poiché su EFP non è previsto l’avvertimento “trash” tra le caratteristiche di una fanfiction, mi preme specificare che questa storia presenta volutamente dei cliché e delle situazioni che potrebbero tranquillamente dirsi già viste un milione di volte.

Ma, come diceva il grande Mark Sloan, i cliché sono cliché per una ragione: perché funzionano.

 

 

 

GREEN GREEN-GRASS OF HOME

 

 

 

A Legar.

L'ho fatto davvero

e ci sono anche i petali di rosa.

 

 

 

 

I

TAKE ME HOME

If I’m laying here, will you take me home?

 

 

Il quartiere di Energlyn era uno dei pochi sobborghi di Caerphilly abitati quasi esclusivamente da Babbani. Già dalle prime ore del mattino si potevano scorgere tra le strade i furgoncini della consegna della posta e addirittura – quando il clima lo permetteva, perlopiù nella stagione estiva – alcuni postini si muovevano per i quartieri residenziali sulle loro bici, fermandosi di tanto in tanto a lasciare la corrispondenza in una buca delle lettere o un giornale dalle immagini immobili sui gradini di un portico.

Nonostante ciò, non era affatto raro che una civetta o un barbagianni solcassero il cielo con un biglietto legato a una zampa, per poi infilarsi in una casa passando per un camino o una finestra socchiusa. La posta via gufo era pressoché l’unico indizio che rivelasse la presenza di maghi all’interno della città. Non che fosse facile intravedere uno di questi rapaci notturni perfettamente addestrati, visto quanto erano discreti nell’adempiere ai propri doveri.

Il barbagianni che si infilò nella silenziosa villetta a due piani celata agli occhi dei Babbani era tanto bravo a passare inosservato da potersi definire quasi invisibile. Precipitò giù per la canna fumaria senza sporcarsi neanche una piuma di fuliggine ed entrò nel salottino non emettendo il minimo suono.

Il signor Greengrass sollevò lo sguardo dal giornale che teneva tra le mani per spostarlo sulla creatura, la quale si adagiò sullo schienale della sua poltrona per consentirgli di ritirare la lettera a lui destinata.

Annuì un paio di volte mentre leggeva, poi congedò l’animale con un colpetto, posò la missiva sul tavolino da caffè che aveva davanti e tornò al suo quotidiano.

Seduta su un’altra poltrona, sua moglie agitava la bacchetta con grazia, controllando con la magia un carboncino nero con il quale tracciava linee decise su una tavoletta bianca. L’abilità con cui immaginava e disegnava innovativi capi d’abbigliamento le aveva garantito un discreto successo nel settore, tanto che perfino nel negozio di Madama McClan a Diagon Alley si potevano acquistare prodotti della sua linea. Il suo lavoro era tanto apprezzato che se la famiglia Greengrass non fosse già stata una delle più ricche della Gran Bretagna, la sua opera sarebbe bastata a procurarle più galeoni di quanti avrebbe mai potuto spendere nella sua vita.

La minore delle sue figlie, Astoria, aveva ereditato la sua fantasia, ma aveva scelto di metterla a frutto nella nobile arte del preparare pozioni, sperimentando continuamente nuovi filtri. Nessuno ebbe da ridire sulla pericolosità di compiere tali esperimenti sul tavolino da caffè del salotto di casa senza alcuna protezione, perché Astoria Greengrass non sbagliava mai. Il suo genio superava addirittura quello già notevole di sua sorella Daphne, che, sebbene altrettanto capace e intelligente, mancava della pazienza necessaria a studiare ogni singolo aspetto di una pozione.

Invece di collaborare con la sorella, infatti, lei se ne stava stesa in maniera scomposta sul divano, le gambe allungate su un bracciolo e la testa posata su quelle di Blaise.

Quest'ultimo non pareva affatto infastidito dall'essere usato come cuscino, anzi di tanto in tanto accarezzava i capelli biondi di Daphne e ne arricciava qualche ciocca sulle proprie dita.

«Cara, dovresti davvero sederti come si converrebbe a una persona educata», le fece notare sua madre.

Daphne sapeva che non le interessava che fosse audacemente stesa addosso a Blaise, né la preoccupava che fosse così vicina al suo basso ventre da poterlo sfiorare semplicemente voltando la testa. No, a sua madre importava solo che stesse composta.

«Usciamo a fare una passeggiata?», propose, ignorando il richiamo della donna.

Nessuno le rispose.

Daphne si voltò verso sua sorella. «Astoria, ti va...»

«Ora non posso», la interruppe lei, senza alzare gli occhi dal suo calderone. «Sto cercando di capire cosa potrei usare al posto dell'Elleboro.»

Daphne scrollò le spalle. Avrebbe potuto aiutarla se si fosse sforzata di capire cosa stava facendo, ma non ne aveva voglia. Era stanca di stare in casa.

«Tu mi accompagni?», chiese, guardando Blaise dal basso.

Lui si sporse leggermente sopra di lei, per entrare completamente nel suo campo visivo. Rimase qualche istante in silenzio, prima di rispondere: «Sì.»

La strega si alzò e lo tirò per un braccio, poi chiamò uno dei due elfi domestici che gestivano la casa per farsi portare il cappotto, che aveva preferito al mantello per evitare di attirare l'attenzione tra i Babbani.

«Ci vediamo più tardi», salutò il resto della famiglia.

«Non fate tardi», li ammonì sua madre, senza distogliere l'attenzione dal proprio lavoro.

Suo padre invece rivolse loro una fugace occhiata. «State attenti.»

Daphne spalancò la porta e uscì portandosi dietro Blaise senza degnare di uno sguardo il resto della famiglia.

Il sole era appena tramontato e il paesaggio era tinto di viola. La strega si guardò intorno e cercò di apprezzare quei suggestivi ultimi istanti di luce, ma non ci riuscì. Le parve che ci fossero soltanto case e alberi per miglia, perché non vedeva altro.

Si incamminò in silenzio lungo la via che portava a Mill Road, la strada principale di Caerphilly, all’altezza in cui incrociava il fiume Nant yr Aber, che separava il loro quartiere dal resto della città.

Si trattava di una divisione puramente formale, eppure Daphne non riusciva a non sentirsi isolata dal resto del mondo e cercava spesso rifugio nel centro. Tuttavia, complice la netta maggioranza di cittadini Babbani, l’accogliente città di Caerphilly la faceva sentire un’estranea anche dopo averla ospitata per quasi sei mesi.

La verità era che non aveva modo di vincere la noia. Aveva addirittura pensato di mettersi a studiare, cosa che sua sorella faceva regolarmente, ma poi si era detta di non essere così disperata. Da quando si erano trasferiti, all’inizio dell’estate, non aveva fatto altro che girovagare per le strade più affollate della città in cerca di distrazione. Il suo disagio era accentuato dal fatto che nessun altro della famiglia sembrava sentirsi come lei. Tutti avevano approfittato dell’isolamento forzato per dedicarsi a ciò che amavano di più: suo padre leggeva giornali e gestiva i propri affari internazionali tramite posta via gufo, sua madre disegnava tutto il giorno, Astoria studiava o sperimentava nuove pozioni e Blaise, per non essere da meno e coltivare i propri interessi, passava tutto il tempo con Daphne. Eppure la sua presenza, benché la rendesse felice, non riusciva a sollevarle il morale.

A mano a mano che scemava l’entusiasmo che aveva accompagnato l’idea di uscire, Daphne rallentava. In silenzio, Blaise si adattò al suo passo, anche quando si ritrovarono ad andare così piano che sebbene riuscissero già a vedere il fiume, avrebbero impiegato una vita a raggiungerlo.

«Odio questa città», sentenziò Daphne.

Blaise si accigliò. «Non è così male.»

«Ma se non c’è mai niente da fare!», protestò lei.

«Sei tu che sei incontentabile», precisò Zabini. «Stiamo evitando i luoghi frequentati da soli maghi per non dare nell’occhio, ma ce ne sono molti altri interessanti. Ricordi quel posto dove si mangiava cibo spazzatura Babbano

«Il fast food

«Quello. Fu una bella giornata.»

Quella domenica mattina, lei, Blaise e sua sorella avevano fatto una passeggiata a Morgan Jones Park ed erano stati sorpresi dalla pioggia. Impossibilitati ad usare le bacchette davanti ai Babbani, avevano trovato rifugio all’interno del primo locale pubblico che avevano incrociato su Mill Road, rivelatosi poi un fast food. Scettici ma affamati, avevano deciso di dare una possibilità a quello strano cibo Babbano e si erano ritrovati seduti attorno a un tavolino a mangiare patatine fritte che sembravano Asticelli e a bere una frizzante bevanda marrone che Astoria giurava stesse per uscirle dal naso. Avevano riso così tanto da dimenticare di trovarsi in mezzo ai Babbani.

«Vero», gli concesse. «Un caso raro.»

Blaise alzò gli occhi al cielo. «Se mi prometti di non bocciare a priori tutte le mie proposte, entro stanotte troverò qualcosa di interessante da fare.»

Daphne sorrise. «Andata.»

 

 

Mill Road era più affollata del solito. I Babbani si fermavano davanti alle vetrine illuminate e si infilavano nei negozi per poi uscirne carichi di borse e pacchetti. Camminavano sui marciapiedi in compagnia, ridendo e chiacchierando spensierati.

Non faceva abbastanza freddo perché nevicasse, ma nessuno sembrava aver bisogno delle strade imbiancate per sentire l’aria natalizia.

Blaise lanciò un’occhiata a Daphne, che si guardava intorno con aria leggermente infastidita. Sapeva a cosa stava pensando. Non c’era niente, in quel posto, che le desse l’idea di essere a casa. L’assenza di magia le risultava inaccettabile e proprio non riusciva a capire come i Babbani potessero comportarsi come se ne fossero circondati. La chiamavano magia del Natale, mentre lei non vedeva altro che decorazioni immobili e spente, luci fredde e artificiali, colori opachi e immutabili.

«È soffocante», disse infatti di punto in bianco e se Blaise non l’avesse conosciuta così bene, probabilmente non avrebbe capito a cosa si stesse riferendo.

«Lo so», concordò in tono tranquillo. «Ma siamo al sicuro proprio perché è un posto così scialbo che a nessuno verrebbe in mente di cercarci qui.»

«Dov’è la Comunità Magica?»

Gli faceva quella domanda almeno una volta al giorno e lui le dava sempre la stessa risposta, benché sapesse che non era realmente necessario. «In periferia, tutti i quartieri lontani dal centro della città sono perlopiù abitati da maghi.»

«Noi stiamo in periferia», gli fece notare come al solito.

«Energlyn è un sobborgo Babbano

Camminarono fianco a fianco in silenzio, rallentando quando Daphne scorgeva qualcosa di interessante in una vetrina. Si fermava in preda alla curiosità ad ammirare prodotti Babbani di cui non riusciva a spiegarsi il funzionamento, poi distoglieva lo sguardo in fretta e riprendeva a camminare.

Blaise pensava a sua madre.

Gli aveva scritto una lettera che i signori Greengrass gli avevano consegnato a mano quando erano andati a prendere lui e le loro figlie alla stazione di King’s Cross, di ritorno dal loro sesto anno, dopo la morte di Albus Silente. Nella lettera, sua madre gli diceva di andare con loro in una casa sicura, mentre lei avrebbe detto in giro che suo figlio aveva deciso di rimandare l’ultimo anno di scuola per visitare l’Europa. Sarebbe rimasta a casa dei Malfoy per aiutare Narcissa e Draco a sopravvivere alla guerra e all’ira del Signore Oscuro, ancora furioso con loro, nonostante Draco avesse portato a termine l’incarico che gli era stato assegnato.

Nessuno si sarebbe fatto troppe domande sulla sparizione dei Greengrass dall’Inghilterra. Non di rado i genitori di Daphne erano partiti alla volta di qualche capitale europea in cui avevano affari da gestire. E una volta che qualcuno si fosse reso conto che non sarebbero tornati tanto presto, sarebbe stato troppo tardi per rintracciarli. Quasi nessuno era a conoscenza della casa che avevano acquistato moltissimi anni prima in un quartiere Babbano di Caerphilly, nel Galles sud-orientale, lontano da tutti coloro che conoscevano.

«Allora?», gli chiese Daphne, improvvisamente allegra. Si era distratto un istante di troppo e aveva perso il filo dei suoi pensieri, che normalmente le leggeva in faccia a chiare lettere. «Cosa stai architettando?»

Intrecciò la mano alla sua e Blaise non protestò, né la strinse. «Che intendi?»

«Hai detto che avresti proposto qualcosa da fare», gli ricordò.

Blaise batté le palpebre e si trovò a guardare il laghetto artificiale illuminato dai lampioni. «Che ne dici di visitare il Castello?», suggerì.

Lei parve perplessa. «Ma a quest’ora è chiuso. Dovremmo tornare domattina.»

«Penso che sia molto più suggestivo di notte», replicò lui con un mezzo sorriso.

«Vuoi entrare di nascosto?», tentò di indovinare Daphne, eccitata all’idea.

Blaise scosse la testa. «Sarebbe rischioso, potrebbero vederci. Ma domani potremmo entrare prima dell’orario di chiusura e nasconderci all’interno. Basterà non farci trovare.»

Daphne approvò e Blaise non ne fu affatto sorpreso. Sapeva di poterla convincere con l’allettante presupposto di infrangere qualche regola.

 

 

Una volta rientrati, Daphne si diresse allegramente verso la camera della sorella e le spiegò cosa avevano deciso di fare lei e Blaise. Astoria non si mostrò affatto entusiasta come si era aspettata e si rifiutò di andare, sostenendo che preferiva restare a casa a leggere un buon libro.

Litigarono.

Al piano inferiore, nel salotto con il camino acceso, i signori Greengrass si scambiarono un’occhiata.

«Vai tu?», domandò la madre delle ragazze.

Suo marito bevve un sorso di Whiskey Incendiario. «Sì, ma non subito. Lasciamo che si sfoghino un po’.»

«D’accordo», acconsentì lei. «Ma intervieni prima che mettano mano alle bacchette.»

In quello stesso istante udirono un rumore sospetto di vetri infranti.

I due coniugi si scambiarono un’occhiata eloquente, poi il signor Greengrass fece per alzarsi.

«Potrei andare io», suggerì Blaise, attirando i loro sguardi su di sé. Scrollò le spalle. «Magari riesco a farle ragionare.»

Acconsentirono, quindi Blaise salì le scale due gradini alla volta ed entrò in camera di Astoria senza neanche bussare.

«Expelliarmus

Le disarmò entrambe contando sull’effetto sorpresa. Poi riparò il vetro della finestra, probabilmente distrutto da un incantesimo, e fece Evanescere i resti di una pozione rovesciata che stava corrodendo il tappeto.

«Piantatela», disse in tono secco.

Astoria fulminò sua sorella con lo sguardo. Daphne strinse i pugni e aprì la bocca per dire qualcosa, poi la richiuse. Si voltò e uscì senza neanche riprendersi la bacchetta. Sbatté la porta della propria stanza, in un chiaro invito a non essere disturbata.

Blaise guardò la minore delle Greengrass come a chiedere spiegazioni.

«Oh, andiamo, Blaise!», disse lei, irritata. «Non fare quella faccia, sai bene che non sono stata io a cominciare. Come può lei essere la sorella maggiore se è così infantile

«Astoria…»

«Si è arrabbiata perché le ho detto che non ho voglia di venire con voi al castello domani notte», spiegò in breve.

«Ma tu sapevi che si sarebbe arrabbiata, perché sapevi quanto si annoiasse. E sapevi che voleva soltanto fare qualcosa di diverso insieme a te.»

Lei sospirò.

«Vuoi negarlo?»

«No, ma…»

«Perché le hai detto di no?», chiese in tono più gentile. «Non ti costa nulla e potrebbe perfino piacerti. C’è una grande biblioteca nel castello.»

Astoria lo fissò come se fosse idiota. «Perché volevo lasciarvi soli, ovviamente

Blaise inarcò un sopracciglio. «Prego?»

«È frustrata!», esclamò lei. Poi aggiunse, abbassando la voce: «Dovreste fare un po’ di sesso in più, magari sarebbe meno acida e irrequieta.»

«E tu perché mai stai parlando di sesso con me?», domandò, leggermente a disagio. Per lui Astoria era come una sorella minore.

«Perché c’è un limite all’acidità che posso sopportare da parte sua e lei l’ha superato da mesi.»

Blaise roteò gli occhi. «Daphne non avrà un carattere facile…»

«Questo è l’eufemismo dell’anno.»

«… ma ti assicuro che neanche tu sei una Puffola Pigmea.»

«Io odio le Puffole Pigmee.»

«Ecco, appunto», le fece notare Blaise. «È tua sorella e ti vuole bene. Falla contenta. Ti assicuro che non è affatto il caso di lasciarci soli. Non sono le occasioni a mancarci.»

«Certo, quello che manca è il sale nella zucca di Daphne», borbottò lei in risposta.

Lui sospirò. «Lasciamo perdere», disse, poi posò la bacchetta di Astoria su una mensola e fece per uscire.

«Blaise?», lo chiamò lei prima che se ne andasse.

Si voltò.

«Non assecondarla troppo, soprattutto quando ti allontana», gli disse piano. «Daphne non ha idea di cosa sia meglio per lei.»

Blaise si limitò a guardarla attentamente e si chiese quando fosse diventata così perspicace. Probabilmente, si disse, lo era sempre stata, ma non aveva mai ritenuto necessario farglielo sapere.

 

 

Bussò alla camera di Daphne e lei gli urlò di andarsene. Blaise aveva ancora la sua bacchetta, quindi sapeva che la porta non era sigillata con la magia e che avrebbe potuto aprirla comunque, ma non lo fece.

Tornò un’ora dopo, bussò ancora e, senza attendere risposta, entrò con un sacchetto di carta marrone tra le mani.

«Cibo spazzatura Babbano», disse sollevando il bottino. «Non dirò a nessuno che l’hai mangiato se farai altrettanto per me.»

Daphne era seduta sul letto con le ginocchia strette al petto. Sollevò lo sguardo su di lui e sorrise.

Blaise si chiuse la porta alle spalle e andò a sedersi di fronte a lei. Le allungò un sacchetto pieno di patatine fritte e lei lo prese.

«Sono invidiosa di mia sorella minore, Blaise», decretò mentre iniziava a mangiare. «La detesto.»

«Non è vero, le vuoi bene», replicò lui.

«Sì, ma la detesto anche. Lei è così... equilibrata. È intelligente, ha spirito di iniziativa e sa cavarsela benissimo in qualsiasi situazione.»

Blaise si accigliò. «Anche tu sei così.»

«Non è vero! Da quando siamo qui mi sembra di impazzire! Ha ragione lei quando dice che mi comporto in maniera strana.»

Lui rifletté. «Non sei strana. Però tu sei più sensibile di Astoria, lei è molto più fredda, mantiene sempre il controllo. Tu sembri... turbata.»

Daphne si limitò a guardarlo, confermando la sua teoria.

«Vuoi dirmi a cosa pensi?», le domandò alla fine, in tono serio.

Lei sospirò e mangiò una patatina prima di rispondere: «A niente.»

Blaise non insisté, ma neanche le fece credere di essersela bevuta.

«Alla guerra», ammise.

«Quale guerra?»

«Quella che ci sarà tra poco.»

Lui le fece segno di spiegarsi meglio.

Daphne inspirò profondamente. «Hai mai visto la guerra, Blaise? Certo che no. Neanche io», disse senza aspettare la sua risposta. «Però concordano tutti nel dire che non è bella. Il Signore Oscuro vuole emarginare i Nati Babbani e uccidere Potter. Potter vuole uccidere il Signore Oscuro e proteggere i Nati Babbani. Silente è morto, quindi non può aiutarlo, perciò Potter è in fuga perché la realtà è che non esiste al mondo un mago abbastanza potente da uccidere il Signore Oscuro. L'unica possibilità che ha è quella di trovare tutto l'aiuto possibile, il che significherebbe guerra aperta, morti e distruzione», spiegò tutto d'un fiato.

Blaise non la interruppe.

«Supponiamo invece che Potter fallisca e che il Signore Oscuro lo uccida prima che lui riesca a crearsi un esercito. Le uniche vittime saranno i Nati Babbani, qualche dipendente del Ministero e qualche insegnante di Hogwarts troppo attaccato al passato. Senza Potter si arrenderanno quasi tutti e i Mangiamorte governeranno la Comunità Magica Britannica. A poco a poco spariranno tutti i Nati Babbani. Poi sarà il turno dei Mezzosangue. I maghi saranno sempre di meno, sempre più incuranti dei Babbani, convinti di essere superiori. Non ci saranno più rapporti diplomatici con loro, né leggi che li tutelino dalla magia dei maghi. I Babbani si spaventeranno e allora sai cosa succederà? Ci sarà una guerra anche in questo caso e loro saranno molti più di noi, saranno armati con la loro assurda tecnologia e anche se dovessimo vincere, morirà un sacco di gente.»

Blaise rimase senza parole.

Lei si schiarì la voce. «Ti rendi conto che la migliore possibilità per la Comunità Magica è quel babbeo di Harry Potter?»

Poi mangiò un'altra patatina.

«Merlino, da quant'è che ci pensi?», le domandò Blaise, decisamente sorpreso.

Scrollò le spalle. «Da un po'.»

«Daphne, qualsiasi cosa accada noi saremo lontani.»

«Lo so», si affrettò a rispondere lei. «E non fraintendermi, non è questo a spaventarmi. Sono in pensiero per tua madre, per Draco, per Pansy, ma egoisticamente posso dire che tutte le persone che amo sono tra queste mura e che qualunque cosa succeda in Inghilterra o a Hogwarts non mi toccherà direttamente. Ma quanto ci vorrà perché le strade diventino un campo di battaglia? Il Ministero è praticamente caduto, Hogwarts è in mano ai Mangiamorte e la situazione non può che peggiorare. Non dovremmo neanche essere qui, la cosa più saggia sarebbe lasciare la Gran Bretagna. Ma come posso accettare di non tornare più indietro? Quella è casa mia

Blaise si allungò verso il comodino di Daphne e prese una salvietta per pulirsi le mani, poi fece Evanescere il proprio sacchetto di patatine, ormai vuoto.

«Se davvero le cose dovessero andare così male e non potrai tornare a casa, tutto ciò che dovrai fare sarà ricominciare altrove. Non sarà facile, ma neanche impossibile», disse con dolcezza. «E poi hai la tua famiglia con te, non sei sola.»

Daphne sospirò. Estrasse l'ultima patatina dal sacchetto, che poi allungò a Blaise perché lo facesse Evanescere.

«Mi sento meglio», ammise.

«Sfogarsi fa sempre bene», replicò lui, stendendosi al suo fianco.

Daphne gli porse l'ultima patatina, ma lui scosse la testa. «Mangiala tu.»

«Dividiamola», propose con uno sguardo malizioso.

Blaise intuì cosa aveva in mente e lasciò che gli infilasse la patatina tra le labbra. Poi lei si chinò su di lui, tenendosi i lunghi capelli biondi con la mano pulita, e morse l'altra metà della patatina. Blaise sentì il sapore del sale sulle sue labbra, prima che lei si sollevasse e si allungasse dall'altra parte per prendere una salvietta.

Poi si stese accanto a lui.

«Hai ancora tu la mia bacchetta, non è vero?»

Blaise annuì, la sfilò dal mantello e gliela porse. Daphne la posò sul comodino.

«Credo che domani Astoria verrà con noi», disse mentre lei sistemava la testa sulla sua spalla.

«Davvero?»

La abbracciò. «Sì.»

«Perché a me non dà retta e a te sì?»

«Forse ha una cotta per me.»

Daphne gli diede una gomitata nelle costole e lui scoppiò a ridere.

«Pensi che i miei genitori abbiano mai visto il castello?», chiese di punto in bianco. «Dopotutto hanno questa casa da moltissimi anni, venivano qui prima ancora di sposarsi.»

«Oh, certo», fece lui divertito. «Sono sicuro che venissero in questa casa, acquistata sotto falso nome da due giovani innamorati prima del matrimonio, proprio per visitare il castello.»

Lei gli diede un’altra gomitata, ma non poté fare a meno di ridere.

Continuarono a chiacchierare del più e del meno fino a che Daphne non si addormentò. Quando il suo respiro si fece più pesante, Blaise la strinse di più a sé e prese ad accarezzarle la schiena.

La signora Greengrass li trovò in quella posizione quasi un’ora dopo, quando fece capolino dalla porta per dare un’occhiata alla figlia.

«Dorme?», chiese a Blaise in un sussurro.

Lui annuì. «Vado via tra poco.»

Lei fece un gesto con la mano per suggerirgli di non preoccuparsi, poi entrò e si chiuse la porta alle spalle.

«La prima volta che vi trovai a dormire insieme avevate quattro anni ed eravate in questa stessa posizione», commentò divertita.

Blaise la osservò. Era facile intuire da chi Daphne avesse ereditato la sua avvenenza. Nonostante l’età, la signora Greengrass era ancora una bella donna e i suoi aristocratici modi di fare la rendevano molto elegante.

«Siamo tradizionalisti», replicò con un sorriso.

Le voleva bene come a una seconda madre.

«Grazie per avermi portato qui con voi», le disse riconoscente. «E per tutto quello che fate per me.»

«Blaise, tesoro, non dire sciocchezze», lo redarguì lei, «tu sei parte della famiglia. E poi Merlino solo sa quanto Daphne abbia bisogno di te e cosa farebbe se non ci fossi», disse in tono ovvio. «Tu tiri fuori il suo lato migliore e ancora non so come ci riesci.»

«È perché non la lascio mai vincere», suggerì lui con un mezzo sorriso, ma lei scosse la testa.

«Neanche Astoria, eppure non ottiene lo stesso risultato.»

Blaise non disse nulla e la donna si limitò a sistemare la coperta addosso alla figlia, poi si allontanò.

«Buonanotte, Blaise

«Buonanotte», rispose lui, ma la porta si era già richiusa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Green Green Grass of Home è una canzone del 1965 interpretata da numerosi artisti britannici. Il titolo si traduce con L’erba verde verde di casa e rimanda ai luoghi familiari dell’infanzia dell’autore. Il riferimento, nel mio caso, è alla situazione che vede i Greengrass (di qui il trattino nel titolo, grazie al quale l’erba verde diventa il cognome di Daphne) lontani da casa e alla ricerca di un luogo sicuro, più metaforicamente che in senso letterale.

 

Take me home è una canzone dei Jess Glynne del 2015. La traduzione è Portami a casa e il sottotitolo (If I’m laying here, would you take me home?) significa: Se io stessi qui distesa, tu mi porteresti a casa?

 

Note

Rieccoci con la minilong promessa!

Ci tengo a precisare che questa fanfiction nasce su esplicita richiesta della beta, che ha anche suggerito dei prompt per rendere ancora più trash il tutto, nella migliore tradizione defilippiana (perché Queen Mary docet), quali esterne, balli improvvisi, petali di rosa e canzoni di Alessandra Amoroso.

E io, che sono la paladina dei cliché e del trash, non potevo tirarmi indietro.

Comunque questa fanfiction vuole mantenere una parvenza di serietà, quindi a dispetto della sua genesi, vediamola per quello che è, ovvero un extra su Blaise e Daphne, le cui vicende in Rusty Halo erano state tanto apprezzate.

Le descrizioni della città di Caerphilly e del quartiere di Energlyn sono quanto più accurate possibile, ma presentano ovviamente elementi fuori dal canon: la Rowling menziona Caerphilly in riferimento alla sua squadra di Quidditch, i Caerphilly Catapults, ma non aggiunge informazioni sulla Comunità Magica del luogo, quindi il tutto è opera della mia fantasia.

Anche per quanto riguarda la famiglia Greengrass ho inventato gran parte delle informazioni, perché assenti nel canon.

 

Il prossimo aggiornamento avverrà tra una settimana circa, nel frattempo colgo l’occasione per augurare a tutti buone feste e ringraziarvi per aver continuato a seguire le mie fanfiction.

Un abbraccio virtuale e buon Natale!

 

Futeki Efp

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Futeki