Questa minilong è una sorta di spin-off di The end where I begin e appartiene quindi
alla serie di Rusty Halo. Si tratta di una storia a
sé stante e in quanto tale potrebbe essere letta indipendentemente dalle altre.
Poiché su EFP non è
previsto l’avvertimento “trash” tra
le caratteristiche di una fanfiction, mi preme
specificare che questa storia presenta volutamente dei cliché e delle
situazioni che potrebbero tranquillamente dirsi già viste un milione di volte.
Ma, come diceva il grande
Mark Sloan, i
cliché sono cliché per una ragione: perché funzionano.
GREEN GREEN-GRASS OF HOME
A Legar.
L'ho fatto
davvero
e ci sono
anche i petali di rosa.
I
TAKE ME HOME
If I’m laying here, will
you take me home?
Il quartiere di Energlyn era uno dei pochi sobborghi di Caerphilly
abitati quasi esclusivamente da Babbani. Già dalle
prime ore del mattino si potevano scorgere tra le strade i furgoncini della
consegna della posta e addirittura – quando il clima lo permetteva, perlopiù
nella stagione estiva – alcuni postini si muovevano per i quartieri
residenziali sulle loro bici, fermandosi di tanto in tanto a lasciare la
corrispondenza in una buca delle lettere o un giornale dalle immagini immobili
sui gradini di un portico.
Nonostante ciò, non era
affatto raro che una civetta o un barbagianni solcassero il cielo con un
biglietto legato a una zampa, per poi infilarsi in una casa passando per un
camino o una finestra socchiusa. La posta via gufo era pressoché l’unico
indizio che rivelasse la presenza di maghi all’interno della città. Non che
fosse facile intravedere uno di questi rapaci notturni perfettamente
addestrati, visto quanto erano discreti nell’adempiere ai propri doveri.
Il barbagianni che si
infilò nella silenziosa villetta a due piani celata agli occhi dei Babbani era tanto bravo a passare inosservato da potersi
definire quasi invisibile. Precipitò giù per la canna fumaria senza sporcarsi
neanche una piuma di fuliggine ed entrò nel salottino non emettendo il minimo
suono.
Il signor Greengrass sollevò lo sguardo dal giornale che teneva tra
le mani per spostarlo sulla creatura, la quale si adagiò sullo schienale della
sua poltrona per consentirgli di ritirare la lettera a lui destinata.
Annuì un paio di volte
mentre leggeva, poi congedò l’animale con un colpetto, posò la missiva sul
tavolino da caffè che aveva davanti e tornò al suo quotidiano.
Seduta su un’altra
poltrona, sua moglie agitava la bacchetta con grazia, controllando con la magia
un carboncino nero con il quale tracciava linee decise su una tavoletta bianca.
L’abilità con cui immaginava e disegnava innovativi capi d’abbigliamento le
aveva garantito un discreto successo nel settore, tanto che perfino nel negozio
di Madama McClan a Diagon
Alley si potevano acquistare prodotti della sua linea. Il suo lavoro era tanto
apprezzato che se la famiglia Greengrass non fosse
già stata una delle più ricche della Gran Bretagna, la sua opera sarebbe
bastata a procurarle più galeoni di quanti avrebbe mai potuto spendere nella
sua vita.
La minore delle sue
figlie, Astoria, aveva ereditato la sua fantasia, ma aveva scelto di metterla a
frutto nella nobile arte del preparare pozioni, sperimentando continuamente
nuovi filtri. Nessuno ebbe da ridire sulla pericolosità di compiere tali
esperimenti sul tavolino da caffè del salotto di casa senza alcuna protezione,
perché Astoria Greengrass non sbagliava mai. Il suo genio superava addirittura
quello già notevole di sua sorella Daphne, che, sebbene altrettanto capace e
intelligente, mancava della pazienza necessaria a studiare ogni singolo aspetto
di una pozione.
Invece di collaborare
con la sorella, infatti, lei se ne stava stesa in maniera scomposta sul divano,
le gambe allungate su un bracciolo e la testa posata su quelle di Blaise.
Quest'ultimo non pareva
affatto infastidito dall'essere usato come cuscino, anzi di tanto in tanto
accarezzava i capelli biondi di Daphne e ne arricciava qualche ciocca sulle
proprie dita.
«Cara, dovresti davvero
sederti come si converrebbe a una persona educata», le fece notare sua madre.
Daphne sapeva che non
le interessava che fosse audacemente stesa addosso a Blaise,
né la preoccupava che fosse così vicina al suo basso ventre da poterlo sfiorare
semplicemente voltando la testa. No, a sua madre importava solo che stesse composta.
«Usciamo a fare una
passeggiata?», propose, ignorando il richiamo della donna.
Nessuno le rispose.
Daphne si voltò verso
sua sorella. «Astoria, ti va...»
«Ora non posso», la
interruppe lei, senza alzare gli occhi dal suo calderone. «Sto cercando di
capire cosa potrei usare al posto dell'Elleboro.»
Daphne scrollò le
spalle. Avrebbe potuto aiutarla se si fosse sforzata di capire cosa stava
facendo, ma non ne aveva voglia. Era stanca di stare in casa.
«Tu mi accompagni?»,
chiese, guardando Blaise dal basso.
Lui si sporse
leggermente sopra di lei, per entrare completamente nel suo campo visivo.
Rimase qualche istante in silenzio, prima di rispondere: «Sì.»
La strega si alzò e lo
tirò per un braccio, poi chiamò uno dei due elfi domestici che gestivano la
casa per farsi portare il cappotto, che aveva preferito al mantello per evitare
di attirare l'attenzione tra i Babbani.
«Ci vediamo più tardi»,
salutò il resto della famiglia.
«Non fate tardi», li
ammonì sua madre, senza distogliere l'attenzione dal proprio lavoro.
Suo padre invece
rivolse loro una fugace occhiata. «State attenti.»
Daphne spalancò la
porta e uscì portandosi dietro Blaise senza degnare
di uno sguardo il resto della famiglia.
Il sole era appena
tramontato e il paesaggio era tinto di viola. La strega si guardò intorno e
cercò di apprezzare quei suggestivi ultimi istanti di luce, ma non ci riuscì.
Le parve che ci fossero soltanto case e alberi per miglia, perché non vedeva
altro.
Si incamminò in
silenzio lungo la via che portava a Mill Road, la
strada principale di Caerphilly, all’altezza in cui
incrociava il fiume Nant yr
Aber, che separava il loro quartiere dal resto della
città.
Si trattava di una
divisione puramente formale, eppure Daphne non riusciva a non sentirsi isolata
dal resto del mondo e cercava spesso rifugio nel centro. Tuttavia, complice la
netta maggioranza di cittadini Babbani, l’accogliente
città di Caerphilly la faceva sentire un’estranea
anche dopo averla ospitata per quasi sei mesi.
La verità era che non
aveva modo di vincere la noia. Aveva addirittura pensato di mettersi a
studiare, cosa che sua sorella faceva regolarmente, ma poi si era detta di non
essere così disperata. Da quando si erano trasferiti, all’inizio dell’estate,
non aveva fatto altro che girovagare per le strade più affollate della città in
cerca di distrazione. Il suo disagio era accentuato dal fatto che nessun altro
della famiglia sembrava sentirsi come lei. Tutti avevano approfittato
dell’isolamento forzato per dedicarsi a ciò che amavano di più: suo padre leggeva
giornali e gestiva i propri affari internazionali tramite posta via gufo, sua
madre disegnava tutto il giorno, Astoria studiava o sperimentava nuove pozioni
e Blaise, per non essere da meno e coltivare i propri
interessi, passava tutto il tempo con Daphne. Eppure la sua presenza, benché la
rendesse felice, non riusciva a sollevarle il morale.
A mano a mano che
scemava l’entusiasmo che aveva accompagnato l’idea di uscire, Daphne
rallentava. In silenzio, Blaise si adattò al suo
passo, anche quando si ritrovarono ad andare così piano che sebbene riuscissero
già a vedere il fiume, avrebbero impiegato una vita a raggiungerlo.
«Odio questa città»,
sentenziò Daphne.
Blaise
si accigliò. «Non è così male.»
«Ma se non c’è mai
niente da fare!», protestò lei.
«Sei tu che sei
incontentabile», precisò Zabini. «Stiamo evitando i
luoghi frequentati da soli maghi per non dare nell’occhio, ma ce ne sono molti
altri interessanti. Ricordi quel posto dove si mangiava cibo spazzatura Babbano?»
«Il fast food.»
«Quello. Fu una bella
giornata.»
Quella domenica
mattina, lei, Blaise e sua sorella avevano fatto una
passeggiata a Morgan Jones Park ed erano stati sorpresi dalla pioggia.
Impossibilitati ad usare le bacchette davanti ai Babbani,
avevano trovato rifugio all’interno del primo locale pubblico che avevano
incrociato su Mill Road, rivelatosi poi un fast food.
Scettici ma affamati, avevano deciso di dare una possibilità a quello strano
cibo Babbano e si erano ritrovati seduti attorno a un
tavolino a mangiare patatine fritte che sembravano Asticelli
e a bere una frizzante bevanda marrone che Astoria giurava stesse per uscirle
dal naso. Avevano riso così tanto da dimenticare di trovarsi in mezzo ai Babbani.
«Vero», gli concesse.
«Un caso raro.»
Blaise
alzò gli occhi al cielo. «Se mi prometti di non bocciare a priori tutte le mie
proposte, entro stanotte troverò qualcosa di interessante da fare.»
Daphne sorrise.
«Andata.»
Mill
Road era più affollata del solito. I Babbani si
fermavano davanti alle vetrine illuminate e si infilavano nei negozi per poi
uscirne carichi di borse e pacchetti. Camminavano sui marciapiedi in compagnia,
ridendo e chiacchierando spensierati.
Non faceva abbastanza
freddo perché nevicasse, ma nessuno sembrava aver bisogno delle strade
imbiancate per sentire l’aria natalizia.
Blaise
lanciò un’occhiata a Daphne, che si guardava intorno con aria leggermente
infastidita. Sapeva a cosa stava pensando. Non c’era niente, in quel posto, che
le desse l’idea di essere a casa. L’assenza di magia le risultava inaccettabile
e proprio non riusciva a capire come i Babbani
potessero comportarsi come se ne fossero circondati.
La chiamavano magia del Natale,
mentre lei non vedeva altro che decorazioni immobili e spente, luci fredde e
artificiali, colori opachi e immutabili.
«È soffocante», disse infatti di punto in bianco e se Blaise non l’avesse conosciuta così bene, probabilmente non
avrebbe capito a cosa si stesse riferendo.
«Lo so», concordò in
tono tranquillo. «Ma siamo al sicuro proprio perché è un posto così scialbo che a nessuno verrebbe in mente
di cercarci qui.»
«Dov’è la Comunità
Magica?»
Gli faceva quella
domanda almeno una volta al giorno e lui le dava sempre la stessa risposta,
benché sapesse che non era realmente necessario. «In periferia, tutti i
quartieri lontani dal centro della città sono perlopiù abitati da maghi.»
«Noi stiamo in
periferia», gli fece notare come al solito.
«Energlyn
è un sobborgo Babbano.»
Camminarono fianco a
fianco in silenzio, rallentando quando Daphne scorgeva qualcosa di interessante
in una vetrina. Si fermava in preda alla curiosità ad ammirare prodotti Babbani di cui non riusciva a spiegarsi il funzionamento,
poi distoglieva lo sguardo in fretta e riprendeva a camminare.
Blaise
pensava a sua madre.
Gli aveva scritto una
lettera che i signori Greengrass gli avevano
consegnato a mano quando erano andati a prendere lui e le loro figlie alla
stazione di King’s Cross, di ritorno dal loro sesto
anno, dopo la morte di Albus Silente. Nella lettera,
sua madre gli diceva di andare con loro in una casa sicura, mentre lei avrebbe
detto in giro che suo figlio aveva deciso di rimandare l’ultimo anno di scuola
per visitare l’Europa. Sarebbe rimasta a casa dei Malfoy
per aiutare Narcissa e Draco
a sopravvivere alla guerra e all’ira del Signore Oscuro, ancora furioso con
loro, nonostante Draco avesse portato a termine
l’incarico che gli era stato assegnato.
Nessuno si sarebbe
fatto troppe domande sulla sparizione dei Greengrass
dall’Inghilterra. Non di rado i genitori di Daphne erano partiti alla volta di
qualche capitale europea in cui avevano affari da gestire. E una volta che
qualcuno si fosse reso conto che non sarebbero tornati tanto presto, sarebbe
stato troppo tardi per rintracciarli. Quasi nessuno era a conoscenza della casa
che avevano acquistato moltissimi anni prima in un quartiere Babbano di Caerphilly, nel Galles
sud-orientale, lontano da tutti coloro che conoscevano.
«Allora?», gli chiese
Daphne, improvvisamente allegra. Si era distratto un istante di troppo e aveva
perso il filo dei suoi pensieri, che normalmente le leggeva in faccia a chiare
lettere. «Cosa stai architettando?»
Intrecciò la mano alla
sua e Blaise non protestò, né la strinse. «Che
intendi?»
«Hai detto che avresti
proposto qualcosa da fare», gli ricordò.
Blaise
batté le palpebre e si trovò a guardare il laghetto artificiale illuminato dai
lampioni. «Che ne dici di visitare il Castello?», suggerì.
Lei parve perplessa.
«Ma a quest’ora è chiuso. Dovremmo tornare domattina.»
«Penso che sia molto
più suggestivo di notte», replicò lui con un mezzo sorriso.
«Vuoi entrare di
nascosto?», tentò di indovinare Daphne, eccitata all’idea.
Blaise
scosse la testa. «Sarebbe rischioso, potrebbero vederci. Ma domani potremmo
entrare prima dell’orario di chiusura e nasconderci all’interno. Basterà non
farci trovare.»
Daphne approvò e Blaise non ne fu affatto sorpreso. Sapeva di poterla
convincere con l’allettante presupposto di infrangere qualche regola.
Una volta rientrati,
Daphne si diresse allegramente verso la camera della sorella e le spiegò cosa
avevano deciso di fare lei e Blaise. Astoria non si
mostrò affatto entusiasta come si era aspettata e si rifiutò di andare,
sostenendo che preferiva restare a casa a leggere un buon libro.
Litigarono.
Al piano inferiore, nel
salotto con il camino acceso, i signori Greengrass si
scambiarono un’occhiata.
«Vai tu?», domandò la
madre delle ragazze.
Suo marito bevve un
sorso di Whiskey Incendiario. «Sì, ma non subito. Lasciamo che si sfoghino un
po’.»
«D’accordo», acconsentì
lei. «Ma intervieni prima che mettano mano alle bacchette.»
In quello stesso
istante udirono un rumore sospetto di vetri infranti.
I due coniugi si
scambiarono un’occhiata eloquente, poi il signor Greengrass
fece per alzarsi.
«Potrei andare io»,
suggerì Blaise, attirando i loro sguardi su di sé.
Scrollò le spalle. «Magari riesco a farle ragionare.»
Acconsentirono, quindi Blaise salì le scale due gradini alla volta ed entrò in
camera di Astoria senza neanche bussare.
«Expelliarmus!»
Le disarmò entrambe
contando sull’effetto sorpresa. Poi riparò il vetro della finestra,
probabilmente distrutto da un incantesimo, e fece Evanescere
i resti di una pozione rovesciata che stava corrodendo il tappeto.
«Piantatela», disse in
tono secco.
Astoria fulminò sua
sorella con lo sguardo. Daphne strinse i pugni e aprì la bocca per dire
qualcosa, poi la richiuse. Si voltò e uscì senza neanche riprendersi la
bacchetta. Sbatté la porta della propria stanza, in un chiaro invito a non
essere disturbata.
Blaise
guardò la minore delle Greengrass come a chiedere
spiegazioni.
«Oh, andiamo, Blaise!», disse lei, irritata. «Non fare quella faccia, sai
bene che non sono stata io a cominciare. Come può lei essere la sorella
maggiore se è così infantile?»
«Astoria…»
«Si è arrabbiata perché
le ho detto che non ho voglia di venire con voi al castello domani notte»,
spiegò in breve.
«Ma tu sapevi che si sarebbe arrabbiata, perché
sapevi quanto si annoiasse. E sapevi che voleva soltanto fare qualcosa
di diverso insieme a te.»
Lei sospirò.
«Vuoi negarlo?»
«No, ma…»
«Perché le hai detto di
no?», chiese in tono più gentile. «Non ti costa nulla e potrebbe perfino
piacerti. C’è una grande biblioteca nel castello.»
Astoria lo fissò come
se fosse idiota. «Perché volevo lasciarvi soli, ovviamente.»
Blaise
inarcò un sopracciglio. «Prego?»
«È frustrata!», esclamò lei. Poi aggiunse, abbassando la voce:
«Dovreste fare un po’ di sesso in più, magari sarebbe meno acida e irrequieta.»
«E tu perché mai stai
parlando di sesso con me?», domandò, leggermente a disagio. Per lui Astoria era
come una sorella minore.
«Perché c’è un limite
all’acidità che posso sopportare da parte sua e lei l’ha superato da mesi.»
Blaise
roteò gli occhi. «Daphne non avrà un carattere facile…»
«Questo è l’eufemismo dell’anno.»
«… ma ti assicuro che
neanche tu sei una Puffola Pigmea.»
«Io odio le Puffole Pigmee.»
«Ecco, appunto», le
fece notare Blaise. «È tua sorella e ti vuole bene.
Falla contenta. Ti assicuro che non è affatto il caso di lasciarci soli. Non
sono le occasioni a mancarci.»
«Certo, quello che
manca è il sale nella zucca di Daphne», borbottò lei in risposta.
Lui sospirò. «Lasciamo
perdere», disse, poi posò la bacchetta di Astoria su una mensola e fece per
uscire.
«Blaise?»,
lo chiamò lei prima che se ne andasse.
Si voltò.
«Non assecondarla
troppo, soprattutto quando ti allontana», gli disse piano. «Daphne non ha idea
di cosa sia meglio per lei.»
Blaise
si limitò a guardarla attentamente e si chiese quando fosse diventata così
perspicace. Probabilmente, si disse, lo era sempre stata, ma non aveva mai
ritenuto necessario farglielo sapere.
Bussò alla camera di
Daphne e lei gli urlò di andarsene. Blaise aveva
ancora la sua bacchetta, quindi sapeva che la porta non era sigillata con la
magia e che avrebbe potuto aprirla comunque, ma non lo fece.
Tornò un’ora dopo,
bussò ancora e, senza attendere risposta, entrò con un sacchetto di carta
marrone tra le mani.
«Cibo spazzatura Babbano», disse sollevando il bottino. «Non dirò a nessuno
che l’hai mangiato se farai altrettanto per me.»
Daphne era seduta sul
letto con le ginocchia strette al petto. Sollevò lo sguardo su di lui e
sorrise.
Blaise
si chiuse la porta alle spalle e andò a sedersi di fronte a lei. Le allungò un
sacchetto pieno di patatine fritte e lei lo prese.
«Sono invidiosa di mia
sorella minore, Blaise», decretò mentre iniziava a
mangiare. «La detesto.»
«Non è vero, le vuoi
bene», replicò lui.
«Sì, ma la detesto
anche. Lei è così... equilibrata. È intelligente, ha spirito di iniziativa e sa
cavarsela benissimo in qualsiasi situazione.»
Blaise
si accigliò. «Anche tu sei così.»
«Non è vero! Da quando
siamo qui mi sembra di impazzire! Ha ragione lei quando dice che mi comporto in
maniera strana.»
Lui rifletté. «Non sei
strana. Però tu sei più sensibile di Astoria, lei è molto più fredda, mantiene
sempre il controllo. Tu sembri... turbata.»
Daphne si limitò a
guardarlo, confermando la sua teoria.
«Vuoi dirmi a cosa
pensi?», le domandò alla fine, in tono serio.
Lei sospirò e mangiò
una patatina prima di rispondere: «A niente.»
Blaise
non insisté, ma neanche le fece credere di essersela bevuta.
«Alla guerra», ammise.
«Quale guerra?»
«Quella che ci sarà tra
poco.»
Lui le fece segno di
spiegarsi meglio.
Daphne inspirò
profondamente. «Hai mai visto la guerra, Blaise?
Certo che no. Neanche io», disse senza aspettare la sua risposta. «Però
concordano tutti nel dire che non è bella. Il Signore Oscuro vuole emarginare i
Nati Babbani e uccidere Potter. Potter vuole uccidere
il Signore Oscuro e proteggere i Nati Babbani.
Silente è morto, quindi non può aiutarlo, perciò Potter è in fuga perché la
realtà è che non esiste al mondo un mago abbastanza potente da uccidere il
Signore Oscuro. L'unica possibilità che ha è quella di trovare tutto l'aiuto
possibile, il che significherebbe guerra aperta, morti e distruzione», spiegò
tutto d'un fiato.
Blaise
non la interruppe.
«Supponiamo invece che
Potter fallisca e che il Signore Oscuro lo uccida prima che lui riesca a
crearsi un esercito. Le uniche vittime saranno i Nati Babbani,
qualche dipendente del Ministero e qualche insegnante di Hogwarts
troppo attaccato al passato. Senza Potter si arrenderanno quasi tutti e i Mangiamorte governeranno la Comunità Magica Britannica. A
poco a poco spariranno tutti i Nati Babbani. Poi sarà
il turno dei Mezzosangue. I maghi saranno sempre di meno, sempre più incuranti
dei Babbani, convinti di essere superiori. Non ci
saranno più rapporti diplomatici con loro, né leggi che li tutelino dalla magia
dei maghi. I Babbani si spaventeranno e allora sai
cosa succederà? Ci sarà una guerra anche in questo caso e loro saranno molti
più di noi, saranno armati con la loro assurda tecnologia e anche se dovessimo
vincere, morirà un sacco di gente.»
Blaise
rimase senza parole.
Lei si schiarì la voce.
«Ti rendi conto che la migliore possibilità per la Comunità Magica è quel
babbeo di Harry Potter?»
Poi mangiò un'altra
patatina.
«Merlino, da quant'è
che ci pensi?», le domandò Blaise, decisamente sorpreso.
Scrollò le spalle. «Da
un po'.»
«Daphne, qualsiasi cosa
accada noi saremo lontani.»
«Lo so», si affrettò a
rispondere lei. «E non fraintendermi, non è questo a spaventarmi. Sono in
pensiero per tua madre, per Draco, per Pansy, ma egoisticamente posso dire che tutte le persone
che amo sono tra queste mura e che qualunque cosa succeda in Inghilterra o a Hogwarts non mi toccherà direttamente. Ma quanto ci vorrà
perché le strade diventino un campo di battaglia? Il Ministero è praticamente caduto,
Hogwarts è in mano ai Mangiamorte
e la situazione non può che peggiorare. Non dovremmo neanche essere qui, la
cosa più saggia sarebbe lasciare la Gran Bretagna. Ma come posso accettare di
non tornare più indietro? Quella è casa
mia.»
Blaise
si allungò verso il comodino di Daphne e prese una salvietta per pulirsi le
mani, poi fece Evanescere il proprio sacchetto di
patatine, ormai vuoto.
«Se davvero le cose
dovessero andare così male e non potrai tornare a casa, tutto ciò che dovrai
fare sarà ricominciare altrove. Non sarà facile, ma neanche impossibile», disse
con dolcezza. «E poi hai la tua famiglia con te, non sei sola.»
Daphne sospirò.
Estrasse l'ultima patatina dal sacchetto, che poi allungò a Blaise
perché lo facesse Evanescere.
«Mi sento meglio»,
ammise.
«Sfogarsi fa sempre
bene», replicò lui, stendendosi al suo fianco.
Daphne gli porse
l'ultima patatina, ma lui scosse la testa. «Mangiala tu.»
«Dividiamola», propose
con uno sguardo malizioso.
Blaise
intuì cosa aveva in mente e lasciò che gli infilasse la patatina tra le labbra.
Poi lei si chinò su di lui, tenendosi i lunghi capelli biondi con la mano
pulita, e morse l'altra metà della patatina. Blaise
sentì il sapore del sale sulle sue labbra, prima che lei si sollevasse e si
allungasse dall'altra parte per prendere una salvietta.
Poi si stese accanto a
lui.
«Hai ancora tu la mia
bacchetta, non è vero?»
Blaise
annuì, la sfilò dal mantello e gliela porse. Daphne la posò sul comodino.
«Credo che domani
Astoria verrà con noi», disse mentre lei sistemava la testa sulla sua spalla.
«Davvero?»
La abbracciò. «Sì.»
«Perché a me non dà
retta e a te sì?»
«Forse ha una cotta per
me.»
Daphne gli diede una
gomitata nelle costole e lui scoppiò a ridere.
«Pensi che i miei
genitori abbiano mai visto il castello?», chiese di punto in bianco. «Dopotutto
hanno questa casa da moltissimi anni, venivano qui prima ancora di sposarsi.»
«Oh, certo», fece lui
divertito. «Sono sicuro che venissero in questa casa, acquistata sotto falso
nome da due giovani innamorati prima del matrimonio, proprio per visitare il
castello.»
Lei gli diede un’altra
gomitata, ma non poté fare a meno di ridere.
Continuarono a
chiacchierare del più e del meno fino a che Daphne non si addormentò. Quando il
suo respiro si fece più pesante, Blaise la strinse di
più a sé e prese ad accarezzarle la schiena.
La signora Greengrass li trovò in quella posizione quasi un’ora dopo,
quando fece capolino dalla porta per dare un’occhiata alla figlia.
«Dorme?», chiese a Blaise in un sussurro.
Lui annuì. «Vado via
tra poco.»
Lei fece un gesto con
la mano per suggerirgli di non preoccuparsi, poi entrò e si chiuse la porta
alle spalle.
«La prima volta che vi
trovai a dormire insieme avevate quattro anni ed eravate in questa stessa
posizione», commentò divertita.
Blaise
la osservò. Era facile intuire da chi Daphne avesse ereditato la sua avvenenza.
Nonostante l’età, la signora Greengrass era ancora
una bella donna e i suoi aristocratici modi di fare la rendevano molto
elegante.
«Siamo
tradizionalisti», replicò con un sorriso.
Le voleva bene come a
una seconda madre.
«Grazie per avermi
portato qui con voi», le disse riconoscente. «E per tutto quello che fate per
me.»
«Blaise,
tesoro, non dire sciocchezze», lo redarguì lei, «tu sei parte della famiglia. E
poi Merlino solo sa quanto Daphne abbia bisogno di te e cosa farebbe se non ci
fossi», disse in tono ovvio. «Tu tiri fuori il suo lato migliore e ancora non
so come ci riesci.»
«È perché non la lascio
mai vincere», suggerì lui con un mezzo sorriso, ma lei scosse la testa.
«Neanche Astoria,
eppure non ottiene lo stesso risultato.»
Blaise
non disse nulla e la donna si limitò a sistemare la coperta addosso alla
figlia, poi si allontanò.
«Buonanotte, Blaise.»
«Buonanotte», rispose
lui, ma la porta si era già richiusa.
Green Green
Grass of Home è una canzone del 1965
interpretata da numerosi artisti britannici. Il titolo si traduce con L’erba verde verde
di casa e rimanda ai luoghi familiari dell’infanzia dell’autore. Il
riferimento, nel mio caso, è alla situazione che vede i Greengrass
(di qui il trattino nel titolo, grazie al quale l’erba verde diventa il cognome
di Daphne) lontani da casa e alla ricerca di un luogo sicuro, più
metaforicamente che in senso letterale.
Take me home è una
canzone dei Jess Glynne del 2015. La traduzione è Portami a casa e il sottotitolo (If I’m laying here, would
you take me home?) significa: Se io stessi qui distesa, tu mi porteresti a
casa?
Note
Rieccoci
con la minilong promessa!
Ci tengo
a precisare che questa fanfiction nasce su esplicita
richiesta della beta, che ha anche suggerito dei prompt
per rendere ancora più trash il tutto, nella migliore tradizione defilippiana (perché
Queen Mary docet),
quali esterne, balli improvvisi, petali di rosa e canzoni di Alessandra
Amoroso.
E io,
che sono la paladina dei cliché e del trash, non potevo tirarmi indietro.
Comunque
questa fanfiction vuole mantenere una parvenza di
serietà, quindi a dispetto della sua genesi, vediamola per quello che è, ovvero
un extra su Blaise e Daphne, le cui vicende in Rusty Halo erano state tanto apprezzate.
Le
descrizioni della città di Caerphilly e del quartiere
di Energlyn sono quanto più accurate possibile, ma
presentano ovviamente elementi fuori dal canon: la
Rowling menziona Caerphilly in riferimento alla sua
squadra di Quidditch, i Caerphilly
Catapults, ma non aggiunge informazioni sulla
Comunità Magica del luogo, quindi il tutto è opera della mia fantasia.
Anche
per quanto riguarda la famiglia Greengrass ho
inventato gran parte delle informazioni, perché assenti nel canon.
Il
prossimo aggiornamento avverrà tra una settimana circa, nel frattempo colgo l’occasione
per augurare a tutti buone feste e ringraziarvi per aver continuato a seguire
le mie fanfiction.
Un
abbraccio virtuale e buon Natale!