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Autore: Terre_del_Nord    24/05/2009    34 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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That Love is All There is

Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Hogwarts - II.015 -  Un Gryffindor a Grimmauld Place

II.015


Sirius Black
Hogwarts Express - sab. 18 dicembre 1971

    “E comunque sappiate che me la pagherete tutti e due!”

Peter continuava a guardarlo e a ghignare, io e Remus ci lanciavamo dei piccoli sorrisetti innocenti e insieme maliziosi.

    “E tu non ridere, Pettigrew, perché potrei vendicarmi anche di te! Dovevi montare la guardia, non dormire!”

Peter smise di ridere e rischiò di strozzarsi con le Cioccorane con cui si stava ingozzando. James per l’ennesima volta si controllò la capigliatura sui vetri del finestrino, scuotendo rassegnato la testa. A quel punto non potemmo fare a meno di scoppiare a ridere sguaiatamente: fatture “Orcovolanti” o meno, l’espressione di Potter non poteva non strapparci ancora una risata a suo danno.

*

Sirius Black
Castello di Hogwarts, Highlands - 17/18 dicembre 1971

… Al termine della festa, quando ormai le tenebre erano scese nella nostra stanza, su alla torre di Grifondoro, Remus ed io avevamo dato vita al famigerato attacco: intorno a noi regnava un silenzio leggero, intervallato solo dal russicchiare regolare di Peter, che era svenuto sul letto dopo le abbondanti abbuffate di quella sera e aver dovuto fare un paio di giri di”ballo” con Martina Stevens.

    “Dai Peter buttati! Buttati! Sei tutti noi! Vai! Vai dalla tua fan…”

E lui era andato, rosso come un pomodoro maturo, a farsi pistacchiare i piedi dall’unica ragazzina di Hogwarts forse più goffa e imbranata di lui. Remus si avvicinò con il suo passo leggero dalla sinistra, sollevando e ritirando piano la tenda del baldacchino, non facendo il benché minimo rumore, io sfoderai la bacchetta e mi avvicinai da destra, avendo cura di evitare gli oggetti distribuiti caoticamente da Potter: ogni volta che si spogliava per andare a dormire, la zona della stanza intorno al suo letto pareva reduce dal passaggio di un uragano. Sussurrai piano l’incantesimo con cui mio padre mi aggiustava i capelli, riportandomeli alla giusta lunghezza, ebbi però l’ardire di aggiungere la parola “Totalus”, con cui mia madre più volte mi aveva minacciato di raparmi a zero, se non avessi smesso di fare i dispetti a Regulus. Remus, che solo a quel punto capì cosa stavo combinando, mi fulminò con lo sguardo, ma ormai era troppo tardi: la chioma fluente, sparata per aria, che ci faceva tanto ridere, aveva lasciato il posto alla vista della testa completamente liscia e glabra di James Potter.

    “Oh Merlino, stavolta siamo nei guai!”

Remus si ritrasse spaventato e si gettò rapidamente sui suoi quaderni, sperando di trovare tra le formule “salvavita” che sua madre gli aveva appuntato, anche qualcosa che facesse ricrescere rapidamente i capelli, io invece mi stavo rotolando a terra dalle risate, non avendo ben capito in quale mostruoso guaio mi ero appena cacciato.

    “Taci, idiota, e aiutami, piuttosto! Vuoi forse che Potter si accorga subito e che il preside ci cacci? Merlino, ma si può essere più… Vieni qua e aiutami!”
    “Dai, Remus... Almeno adesso nessuno potrà più dirgli “porcospino”!”

Mi ero seduto sul suo letto, in preda alle risate mi tuffai all’indietro, con la chiara intenzione di distogliere Lupin dai suoi libercoli e soffocare le risate sul suo cuscino. Remus però non mi seguiva, quando mi risollevai, anzi, vidi che mi fulminava con lo sguardo, severo.

    “E se non gli ricrescessero più?”

Guardai intensamente la sua espressione, Remus era davvero terrorizzato e solo a quel punto capii che forse aveva ragione… Merlino… e se davvero non fossero più ricresciuti? Quando avevo affatturato la coda della gatta di Meissa, nemmeno mia madre e Deidra erano riuscite a correggere i miei errori… Passammo metà della notte sul suo letto, a cercare tra i libri e gli appunti, invano, alla fine, uno dopo l’altro, cademmo in un sonno agitato, da cui mi risvegliai solo all’alba. Ero già in bilico sul bordo del letto di Remus, rischiando di cadere, quando mi sentii prendere per la collottola del pigiama e tirare a terra.

    “Tu…”
    “Ahhhhh… che….”

Non finii la frase: con gli occhi ancora annebbiati dal sonno, intravidi una figura nera e minacciosa piombarmi addosso; ci rotolammo a terra, portandoci dietro le coperte di Remus, parte delle tende del suo baldacchino e almeno un paio di calzini maleodoranti di James. Uno dei due mi fu ficcato quasi in gola con insistenza dal mio aggressore. E questo fu il meno.

    “Ma cos….

Aprii definitivamente gli occhi, quando per staccarmi quella furia da dosso, le mie mani salirono fino alla sua testa e cercarono di aggrapparsi e stringere le sue orecchie: non le trovai. James Potter incombeva su di me, una foresta di capelli neri e cespugliosi irti in testa ancora più del solito: per un attimo mi si gelò il sangue, complice la confusione del brusco risveglio e l’impossibilità di quello che vedevo. Temetti di avere di fronte il suo fantasma, non James in carne e ossa.

    “O santo boccino! Ma come hai fatto?”

La voce ancora un po’ impastata di Remus lo colse di sorpresa e Potter allentò la pressione su di me, si voltò verso Lupin, rosso in viso, i capelli che sembravano fluttuare nell’aria come i tentacoli di Medusa.

    “Ah quindi sei coinvolto pure tu! Quale diavolo d’incantesimo mi avete fatto?”

Si voltava una volta verso di me, una volta verso Remus, brandendo la bacchetta e più si arrabbiava, più misteriosamente i capelli si allungavano e s’incasinavano sempre più sulla sua testa. Non che l’avessi mai visto con i capelli in ordine, ma quel giorno sembravano animati di vita propria.

    “James calmati, che mi pare… la situazione stia peggiorando ulteriormente….”

James corse al suo baule, riprese lo specchio e, isterico, affondò una mano nella foresta nera: ero convinto che non sarebbe più riuscito a tirarla fuori.

    “Oh santo Boccino...”
    “Dai stai fermo… provo a sistemarteli!”
    “Non ti avvicinare Black… non ti avvicinare o ti affatturo le chiappe… giuro... oggi non rispondo di me!”

Mi avvicinai, senza sapere nemmeno io cosa potessi fare, a parte ridere, e non era esattamente quello il momento. Eppure vedere che il mio esperimento notturno aveva avuto delle conseguenze ben diverse dalla tragedia annunciata, mi rendeva particolarmente euforico e persino un po’ impudente.

    “Ma io te li avevo solo accorciati un pochino, James, non avevo di certo… Diglielo tu, Remus, diglielo che io non ho fatto nulla di male!”
    “Oh Black… smettila un po’… Che sei sempre tu a far casino!”

Remus era al colmo dell’esasperazione, mentre riprendeva a stropicciare i suoi appunti cercando una formula: quel ragazzo era troppo fiducioso nella “scienza magica”, era più che evidente che James Potter andava contro tutte le regole della natura e della magia. In quel momento Peter uscì dal bagno e vedendo di spalle James rimase sconvolto, mettendosi a balbettare frasi sconnesse sulla presenza di uno sconosciuto in camera.

    “Sono io, Peter!”

Il nostro Pettigrew rimase in stato di shock sulla porta, le sue cose caddero a terra e i suoi occhi rimasero a fissarsi sui capelli svolazzanti, io scoppiai a ridere, mentre James aveva definitivamente una crisi isterica. Fu Remus come sempre a riportare la calma. All’improvviso, si alzò con la sua classica flemma, prese la bacchetta e pronunciò con un’intonazione e uno svolazzamento della bacchetta diverso da quello usato da me, lo stesso incantesimo che avevo pronunciato io la sera prima: era riuscito a stabilizzare la situazione, sembrava che ora i capelli crescessero a una velocità inferiore.

    “Forse dovremmo andare dalla Pomfrey prima che ricomincino a crescere selvaggiamente.”
    “No… rischieremmo di perdere il treno… ci penserai tu a tenere sotto controllo la situazione, durante il viaggio… Mi pare il minimo… A casa ci penseranno i miei…”
    “Ma ti porteranno al San Mungo se ti vedono conciato così!”
    “No… mio padre sa come fare... Se ne intende, di queste cose…”
    “Che cosa vorresti dire? Che tuo padre fa il barbiere dei maghi?”

Ripresi a ridere, ma gli sguardi di fuoco di Remus e di James mi rimisero a “cuccia”.

    “No... è che…. In famiglia abbiamo dei capelli un po’ strani, e mio padre ha elaborato un incantesimo apposta per cercare di tenerli sotto controllo… non so come diavolo abbiate fatto, stanotte, a far cadere l”’incanto di mantenimento”…”
    “Oh ... se è per questo, io non ti avevo fatto cadere solo l’”incantesimo”…”

James mi fulminò, senza per fortuna capire di cosa parlassi, Remus fece no con la testa e convinse Potter a non indagare oltre, i capelli già tendevano ad allungarsi di nuovo ed era necessario che facessimo colazione prima che tutti gli altri si accorgessero troppo della stranezza, o James sarebbe diventato il fenomeno da baraccone della scuola…
Ci rivestimmo e scendemmo rapidamente in Sala Grande, io lasciai nella mia stanza un pezzetto del mio cuore, ben sapendo che quella per me era ormai, davvero, "casa".

*

Sirius Black
Hogwarts Express - sab. 18 dicembre 1971

Tornai a guardare fuori dal finestrino, il paesaggio scorreva via veloce, nascosto sotto una candida coltre di neve fresca: quella notte, notte oscura di luna nuova, aveva nevicato ancora abbondantemente. I minuti e i kilometri mi avvicinavano sempre più rapidamente a casa, un groppo mi stringeva alla gola ed io mi aggrappavo al pensiero della sera precedente, del ballo e degli scherzi con i miei amici per non soccombere alla paura.

*

Sirius Black
Castello di Hogwarts, Highlands - 17/18 dicembre 1971

Subito dopo la colazione, mentre Remus prendeva da parte James e lo sottoponeva per la terza volta a un incantesimo ai capelli, avevo raggiunto Meissa, che sembrava meno tesa della sera precedente. Dopo averla vista con quel biondo damerino di Corvonero e aver accettato di ballare a mia volta con quell’ochetta della Dickens, solo per stare sulla pista e controllare da vicino cosa combinava Emerson, ero riuscito a passare il resto della serata con lei, il cui umore era a dir poco funereo. Mi aveva spiegato che aveva quell’impegno a causa di una tradizione del Nord e che probabilmente non avrebbe potuto passare con me il giorno del matrimonio di Mirzam. Io ero dispiaciuto, vero, ma anche piacevolmente sollevato quando mi fu chiaro che non aveva scelto spontaneamente di ballare con uno dei ragazzini più celebri di Hogwarts, soprattutto ora che, catturato il boccino dopo tre minuti dall’inizio della partita con i Tassorosso, aveva portato la squadra dei Corvi in testa alla classifica. Mi dispiaceva però che fosse tanto turbata e triste a causa di queste storie: le dissi che la consideravo la più bella ragazzina presente al ballo, ma lei diventò rosso fuoco e invece di ringraziarmi diventò ancora più taciturna… Io non la capivo, non sapevo cosa dovevo dirle e cosa dovevo fare perché fosse allegra come sempre. Ai miei occhi lei era davvero meravigliosa: aveva un bellissimo abito rosso e i capelli corvini intrecciati in una serie di trecce che si sistemavano in maniera complicata sulla testa, esaltando il candore e la grazia del collo. Avevamo ballato per un po’, lei molto controvoglia, così presto c’eravamo ritirati a chiacchierare come nostro solito: lei mi aveva raccontato un paio di leggende del Nord ed io già immaginavo che meraviglia sarebbe stato il matrimonio di suo fratello, se davvero tutto il castello di Herrengton, già bellissimo, sarebbe stato parato a festa. Se non fossi stato impegnato a tramare ai danni di Potter, probabilmente avrei passato tutta la notte a immaginarmi che ballavo nel salone di Herrengton con Meissa. Poi quella mattina, avevamo raggiunto la stazione insieme. L’avevo tenuta per mano, avanzando lentamente nella neve, un po’ indietro rispetto agli altri, con lei che mi distraeva dal pensiero di casa, facendomi notare gli aghi di ghiaccio che addolcivano tutto ciò che ci circondava, e mi coinvolgeva in una piccola battaglia a palle d neve: non so quante volte mi centrò, preso com’ero ad ammirare il suo ritrovato sorriso.

*

Sirius Black
Hogwarts Express - sab. 18 dicembre 1971

    “Sei ancora dei nostri, Black?”

Mi riscossi dai pensieri, avevamo ormai superato la metà del viaggio, restavano poco più di un paio di ore all’arrivo, come compresi quando la signora delle cibarie passò, offrendoci ogni genere di delizia. Con gli altri misi in atto una specie di “assalto alla diligenza”, avendo cura di non negarci niente: “Bolle bollenti”, ”Cioccorane” e ”Gelatine Tuttigusti +1” su tutto il resto. Quel viaggio ci permetteva di passare insieme, seppure anticipatamente, il Natale: per questo, per una volta, avevo preferito la loro compagnia a quella di Meissa, che se ne stava a qualche scompartimento di distanza con Zelda, Snivellus, Lily, Emily e le due ragazze Corvonero, provenienti da famiglie del Nord. A meno d’imprevisti, con lei ci saremmo rivisti già il lunedì seguente, quando sarei andato con la mia famiglia a Herrengton per il matrimonio di Mirzam. E, tradizioni o meno, avrei trovato il modo di salvarla dall’obbligo di passare il suo tempo con quel dannato damerino biondo.

    “Come pensate di passare i prossimi giorni? Tutte abbuffate?”

James era seduto sul sedile centrale, accanto a me: stava scartando l’ennesima barretta al cioccolato, io distolsi lo sguardo dal timido sole che andava a tramontare dietro le colline, per osservare la minuziosa devastazione che infliggeva alla carta stagnola che un tempo ricopriva il pezzo di cioccolata. Remus e Peter si scambiarono le figurine dei maghi che avevano trovato con le ultime Cioccorane: di sicuro ce le saremmo giocate nelle nostre lunghe serate in camera, sfidandoci a Sparaschiocco e a Gobbiglie. Da parte mia, benché avessi speso una piccola fortuna in Gelatine e Cioccorane, mi sentivo lo stomaco chiuso dalla tensione.

    “Io passerò le feste dai miei nonni babbani, vicino a Birmingham, con i cugini, gli zii, un po’ tutti, insomma: canteremo le canzoni di Natale e mangeremo i dolci di mia nonna, non vedo l’ora di essere a casa…”

Peter aveva gli occhi con dentro le stelline, per l’emozione: quando passò alla descrizione delle leccornie che lo attendevano, sentii lo stimolo della fame. Ma non era solo quello: di sicuro a casa mia si mangiava molto di più e le pietanze erano molto più raffinate, ma il senso di partecipazione e calore che trasparivano dai racconti di Pettigrew, a casa mia non l’avevo percepito mai.

    “E tu Remus?”
    “Starò a casa, probabilmente, dubito che riusciremo ad andare dai nonni… Non lo so… forse verranno a trovarci loro…”
    “Ho capito, al contrario di me, avete tutti delle famiglie numerose, anche tu, vero Sirius? Oltre alla tua bella cugina Serpeverde hai altri parenti, giusto?”

Li guardai, distogliendomi annoiato dalla spettacolo del sole ormai sparito all’orizzonte, l’ultimo bagliore color lilla si specchiava tendente al nero sui campi spogli, nascosti sotto il ghiaccio e la neve: quell’oscurità che scivolava tutto intorno a noi, richiamava l’oscurità soffocante di Grimmauld Place. Ero irrequieto: avrei volentieri tirato il freno di emergenza per fermare il treno, e poi mettermi a correre tra quei capi, fino all’orizzonte e infine sparire.

    “Sì, Potter, ho una famiglia numerosa anch’io, anche se non tanto quanto piacerebbe ai Black…”

Ghignai.

    “… Probabilmente passeremo il Natale nello Wiltshire, da mio zio Cygnus, il padre di Narcissa, e forse ci sarà anche Bellatrix, la sorella maggiore, con suo marito, Rodolphus Lestrange, che poi sarebbe il fratello maggiore di Rabastan Lestrange…”
    “Wow…. Non immaginavo fossi imparentato anche con quel simpaticone!”

James ghignava, ma a me quella storia non faceva ridere per niente. Più passava il tempo più avevo paura di quel giovane, anche più di Malfoy.

    “E poi che cosa fate tutti insieme? Oltre ai gran balli di società, ai pettegolezzi e ai matrimoni combinati? Se non sbaglio devi andare anche al matrimonio del fratello maggiore di Meissa, il cercatore del Puddlemere, giusto?”
    “Sì… Mirzam si sposerà martedi… ma non so se mia madre mi porterà a Herrengton…”
    “Perché non dovrebbe portarti, scusa?”

Remus che mi aveva fatto la domanda, si morse la lingua basito quando mi vide afferrare il cravattino per mostrarlo a tutti: immediatamente il ghigno divertito di James lasciò il posto a un’aria preoccupata.

    “Scherzi, vero? Voglio dire… Noi ci abbiamo giocato in questi quattro mesi con la storia del tuo smistamento… era tutto uno scherzo, giusto?”
    “Non lo so, James, davvero, con i miei posso aspettarmi di tutto: hai visto da te quanto si son sprecati a scrivermi …”
    “Ma che razza di gente…? No scusa… scusami Sirius, io... non volevo…”

Feci spallucce e sorrisi incurante a James. Volevo mostrarmi indifferente, volevo che pensassero che non m’importava niente. Anche se il cappello non aveva riconosciuto in me una serpe, restavo pur sempre un orgoglioso Black. Nel cuore però avevo il fuoco. Che cosa mi aspettava a casa? Alla fine il treno rallentò fino a fermarsi, da tutti i vagoni si levarono grida di giubilo, a me si gelò il sangue nelle vene: titubante presi la valigetta con le mie poche cose, i miei amici erano euforici, io, al contrario, non avevo alcuna intenzione di scendere. Invece era giunto il momento. Avevamo rimesso a posto le nostre cose e rindossato gli abiti normali: non sapevo che cosa mi aspettasse, ma il buon senso mi diceva che avrei fatto meglio a mostrare il meno possibile la mia divisa da Grifondoro. Mi chiedevo se sarebbero venuti a prendermi in stazione: qualche dubbio a quel punto l’avevo, visto che non avevo ricevuto alcuna lettera da parte loro. Mi avrebbero lasciato solo sotto la neve a King’s Cross? Beh magari… magari gli Sherton a quel punto mi avrebbero ospitato… Se fossi stato fortunato, davvero i miei genitori non si sarebbero presentati a riprendermi... Sbirciai appena fuori dal vetro, carico di una nuova speranza. La luce tremula dei lampioni a gas rimandava l’immagine del binario pieno di gente, arrivata a riprendersi i figli, io però non ebbi il coraggio di affacciarmi a cercare la figura nota dei miei genitori. Per i corridoi scorreva una folla urlante, che si spingeva e non vedeva l’ora di scendere, all’improvviso vidi l’alta figura di Rigel farsi largo tra gli altri fino a raggiungermi. Meissa era dietro di lui. Per un attimo, incrociando il suo sguardo, anche la paura di mia madre si sciolse come neve.

    “Ciao ragazzi! Sirius… dovresti scendere con me e Meissa… Ti aspettiamo, qui fuori, saluta i tuoi amici e poi vieni con noi, così raggiungiamo anche tua cugina, d’accordo?”

Lo guardai trasecolato. Il pensiero di Narcissa, con magari anche Malfoy e i suoi amici boriosi, mi fece storcere il naso, e apprezzare poco persino l’idea di passare quegli ultimi minuti con Mei io non volevo lasciare i miei amici. James percepì la mia indecisione, si avvicinò, la solita aria spensierata e petulante che sapeva coinvolgere, quando non ti faceva venire voglia di picchiarlo selvaggiamente.

    “Forse è meglio che ti faccia vedere dai tuoi con degli amici di Serpeverde, invece che con dei grifoni come noi”

Mi fece l’occhietto, poi mi abbracciò e mi augurò buone feste, salutai calorosamente anche Remus e Peter, i miei amici fecero gli auguri a Meissa e a Rigel, poi si dileguarono in mezzo agli altri. Sospirai. Dentro di me sapevo che un giorno avrei trovato la forza di scendere con i miei amici, affrontando a testa alta i pregiudizi della mia famiglia. In quel momento era ancora troppo forte in me il terrore di non trovare nessuno ad attendermi, o trovare un’accoglienza anche più gelida del solito… Guardai Meissa, stretta nel suo cappotto scuro, i capelli intrecciati, un’aria molto più bambina di quanto avesse mostrato la sera precedente: era tornata a essere la deliziosa monella che mi piaceva tanto, anche se non disdegnavo nemmeno la ragazzina raffinata che avevo scoperto la sera prima. Mi diede la mano e insieme scendemmo dal treno. Sull’ultimo gradino mi trattenne, avvicinandosi mi parlò piano dandomi poi un leggero bacio sulla guancia. Un senso di calore e uno strano brivido mi pervasero, quando percepii le poche parole che mi disse all’orecchio e le labbra sfiorarono appena la mia guancia.

***

Orion Black
12, Grimmauld Place, Londra - sab. 18 dicembre 1971

Mi ero nascosto nel mio studio già dalla prima mattina, con la solita scusa dei miei affari, ordinando agli elfi di non disturbarmi per nessun motivo e di servirmi il pranzo in quella stanza. La verità era che non mi andava di affrontare, come al solito, lo sguardo pieno di rimprovero di Walburga o le sue frecciatine velenose a proposito di quanto le facessero schifo i grifoni o di quanto fossero orgogliosi i Mulciber o gli Yaxley per le notizie che arrivavano da Hogwarts sui loro figli. Non volevo si ripetesse più una scena simile a quella del primo settembre, per lo meno non davanti a Regulus: avevo temuto davvero che gli volesse fare qualcosa, solo per punirmi. Quando però il bambino stava dagli Sherton, per imparare a stare sulla scopa o per andare alle partite del Puddlemere, Walburga coglieva l’occasione per insultarmi in tutti i modi, mi sembrava di essere tornato indietro di alcuni anni, il clima di odio tra noi ormai era lo stesso di allora. Stavolta, però, le avevo fatto capire da subito che erano finiti i tempi delle sue maledizioni. E che nonostante l’amassi ancora, non le avrei permesso di fare a Sirius quello che aveva fatto a me. Il suo ghigno divertito alle mie manifestazioni d’amore per lei e di preoccupazione tardiva per i ragazzi mi gelò l’anima. Il momento peggiore fu quando avevano aggredito Sirius a Hogwarts, perché avevo sempre immaginato che Walburga con i nostri figli recitasse la parte della donna distaccata come facevo io, ma quando vidi il suo totale disinteresse per le sorti del ragazzo, capii: non recitava affatto. Tutte le mie idee, i miei tentativi erano solo patetiche illusioni: in quegli ultimi anni avevo sperato che in fondo al suo cuore fosse rimasto qualcosa di ciò che eravamo stati, ma la vergogna, l’orgoglio e il silenzio, avevano fatto morire quella timida eppure travolgente scintilla che c’era stata tra noi e tra lei e i nostri figli. In lei, la maledizione dei Black, il nostro essere gelidi e senza cuore, alla fine aveva preso il sopravvento. Ed era solo colpa mia.
Erano mesi ormai che mi chiedevo come avessi fatto a gettare al vento così la mia vita: quante stupidaggini avevo inanellato fino a quel momento? Avevo scelto di proteggerli rinunciando a loro, ma la verità era che li avevo solamente privati del mio sostegno. E in cambio, per loro, non avevo ottenuto niente. Niente. Tutto inutile… La mia era una vita dannatamente inutile. Affondai nel divano, le mani nei capelli, quelli sarebbero stati giorni d’inferno, lo sapevo. E anche quello era colpa mia: da quando Sirius era stato smistato a Grifondoro, mi perseguitavano le ultime parole che gli avevo detto prima della sua partenza. Tutte le notti rimanevo per ore insonne al pensiero del terrore che sicuramente provava a causa delle mie parole…

    “Rinnegato…. Un Black che si allontanasse dalla propria famiglia sarebbe solo un rinnegato …”

Infilai la mano nel panciotto e presi il tubetto, mi versai una manciata di quelle pastiglie dal roseo colore plastico e le ingurgitai, sperando di placare il mal di testa feroce e insieme non pensare più a niente… Almeno per un po’, almeno fino alla partenza per King’s Cross.

*

Orion Black
12, Grimmauld Place, Londra - dom. 29 agosto 1971
(Missing Moment di "Una settimana e un giorno")

La giornata era calda, un caldo piacevole, leggermente ventilato, la pioggia della sera prima aveva portato via l’afa degli ultimi giorni, e ora l’aria era intrisa di un odore umido e pulito, in cui si mischiavano gli ultimi profumi dell’estate. Anche quel giorno mi ero sottratto alle mie responsabilità di genitore e mi ero nascosto lì dentro, tra le mie carte, tra i miei stupidi affari, per cercare di far tacere la realtà che avevo intorno. E la mia coscienza. Ero un uomo, un uomo che aveva fatto delle scelte, e dovevo portarle avanti, troppe volte ero già tornato sui miei passi, e ora non era più tempo per permettersi di essere deboli o avere dei ripensamenti, non con quella cena da Malfoy che incombeva a giorni, non con tutto quello che stava accadendo al Ministero e nel mondo magico. Non aveva senso avere dubbi adesso, Sirius era sul punto di partire e ormai, giusto o sbagliato, quello che dovevo fare non l’avevo fatto. O non l’avevo fatto come avrei dovuto. Ogni volta che parlavo con Alshain mi prendevano i dubbi. Quel dannato scozzese… mi dicevo sempre che doveva occuparsi degli affari suoi… lui e quelle sue astruse idee… Due mesi… Due stramaledetti mesi gli erano bastati per entrare nel sangue di mio figlio e ora Sirius… Sirius a sorpresa aveva già trovato il coraggio di parlarmi delle Rune…

    Che cosa ho trasmesso invece io in undici anni a mio figlio?

Sdraiato sul divano, scorrevo le righe della prima pagina della Gazzetta senza però capire cosa stessi leggendo: il pensiero, come sempre, correva all’ultimo piano, alle stanze in cui stavano studiando Regulus e Sirius, me li immaginavo chini sui libri, perfetti ometti, nel loro atteggiamento compito, ma con quella certa tensione per il mondo, quella che volente o meno, gli avevo trasmesso con il colore degli occhi e le nobili fattezze. Sospirai: di nuovo un lancinante mal di testa. All’improvviso sentii bussare leggermente alla mia porta. Maledizione! Avevo detto chiaramente a quegli stupidi elfi che non volevo essere disturbato!

    “Che diavolo succede!”

Restai sorpreso, dopo un attimo di esitazione, avevo sentito di là della porta la voce di mio figlio chiedermi di poter entrare. Glielo permisi.

    “Posso disturbarti padre?”
    “L’hai già fatto, Sirius, ora vedi di andare al sodo e toglierti dai piedi in fretta! Ho da fare!”
    “Non è una cosa rapida, padre…”

Alzai per la prima volta gli occhi dal giornale, colpito dalla serietà della voce, e soprattutto dalla mancanza del solito tono lamentoso nella stessa. Non osava muoversi, sapevo che aveva paura di me, come dargli torto, ma pur immobile la sua figura emanava un’aria di urgenza e i suoi occhi… Mio figlio stava ancora sulla porta, come migliaia di altre volte, ma era diverso, non doveva supplicarmi per uno sconto di pena, o per ottenere uno stupido regalo, voleva invece la mia attenzione per qualcosa che lo stava facendo ardere dentro. Non riuscii a sostenere a lungo il suo sguardo, cercai di cancellare il mio stupore vestendo la mia maschera più arcigna.

    “Entra, non stare là in piedi come un idiota!”

Fece pochi passi, dopo essersi richiuso la porta alle spalle, lo fissai, studiandolo: si muoveva con maggiore sicurezza come se fosse capace di contenere la sua paura nei miei confronti. Ghignai tra me, quel bastardo scozzese sapeva il fatto suo, era indubbio.

    “Puoi metterti seduto alla scrivania, basta che non tocchi nulla! Intesi?”
    “Tu resti lì?”
    "Sirius, per il tuo bene, non farmi perdere la pazienza, dimmi cosa diavolo vuoi!”
    “Devo parlarti di una cosa importante…”
    “Spero per te che non sia ancora quella dannata faccenda delle Rune, o ti tatuo io le chiappe, ma a suon di frustate!”

Quella storia non mi andava giù, benché avessi una buona parte di responsabilità: sapevo benissimo che se li avessi lasciati andare da Alshain sarebbe successo. Ma… per Merlino! Ora mi rendevo conto che anche solo una di quelle Rune sul suo corpo dichiarava la mia inettitudine come uomo e come padre! Ovvero la verità, la stramaledetta verità! Lo vidi impallidire, ma la sua reazione fu soltanto quella: di solito avrebbe frignato clemenza. Mi rimandò anzi un’occhiata strana: che fosse di sfida? Sì, senza dubbio dovevo mandarceli prima. Poteva non piacermi, potevo rattristarmi, ma quella era l’unica cosa buona che avessi fatto per loro in tutta la mia vita.

    “Vorrei chiederti una cosa… di magia… credo che tu solo potresti rispondermi…”
    “Sirius, ho tolto dalla piazza i due migliori precettori d’Europa, da quando tu e tuo fratello siete nati, solo per garantirvi l’istruzione migliore: mi stai dicendo che quei vecchi cialtroni, dopo tutti i soldi che gli verso da anni, non sanno rispondere nemmeno alle domande di un ragazzino? Merlino santissimo!”
    “No… ecco io… io vorrei sapere qualcosa di più sulla maledizione degli Sherton…”
    “Pagina 372, Storia della magia volume I, dietro di te, secondo ripiano, il terzo volume da destra, ora puoi andare…”
    “NO! Voglio che mi ascolti!”

Alzai definitivamente gli occhi dal giornale, Sirius sapeva che certe cose in casa mia non potevo accettarle: cosa diavolo gli era preso? Che fosse impazzito? Sirius stava in piedi, in fondo al divano, tremava appena, i pugni chiusi tanto da sbiancarsi le nocche, era pallido dalla paura e si mordeva quasi a sangue il labbro inferiore. Sapeva di averla fatta grossa, stavolta, ma i suoi occhi… Merlino se ricordavo bene quello sguardo… carico di passione, di curiosità, di voglia di vivere… Erano undici anni che lo allontanavo da me, per paura di rivedere in lui quello sguardo, perché sapevo quanto quegli occhi potevano ferirmi, identici ai miei, identici a quelli di un Orion Black ormai perduto.

    “Ti sei appena guadagnato un viaggio fino a Hogwarts in piedi, perché di certo non potrai sederti prima di una settimana, piccolo, arrogante, viziato e pure maleducato!”
    “D’accordo, puniscimi quanto vuoi, però… prima ascoltami… e rispondimi seriamente…!”

Mi aspettavo di vederlo piangere e implorare, non che si mettesse a mercanteggiare per una mia risposta. Sirius si era guadagnato la mia attenzione, e anche se era bene che non lo sapesse, la mia stima, oltre alla mia clemenza. Perché se era arrivato a tanto, quello non era più solo il capriccio di un moccioso, ma qualcosa di davvero importante per mio figlio.

    “Alshain deve esserti entrato davvero nell’anima se sei disposto a farti picchiare solo per toglierti una curiosità… perché non hai chiesto direttamente a lui della maledizione?”
    “Perché ho saputo alcune cose solo dopo che è nata Adhara…”
    “Ah già… La notte che Meissa ha dormito qui e siete rimasti a chiacchierare per ore nella sala da pranzo… Kreacher mi ha detto tutto…”

Guardarlo così sconvolto, spaventato e, pur tuttavia, caparbio era una gioia per gli occhi. Da sempre facevo il bastardo con mio figlio, dovevo mantenere la mia copertura ma… Salazar… dovevo ammettere che quello era uno dei giorni più belli della mia vita… Era riuscito a spezzare quel muro di noia che mi aveva inghiottito da anni. E anche se lo temevo da undici anni, ero così orgoglioso di accorgermi di quanto mi assomigliasse davvero.

    Se solo non fossi stato un vigliacco…

    “Puniscimi anche per quello, però, per favore, prima spiegami come funziona quella maledizione!”
    “Hai forse intenzione di maledire qualcuno Sirius?”

Mi alzai, andai a versarmi del whisky, stavo per preparare qualcosa per Sirius quando mi accorsi che non avevo idea di cosa amasse mio figlio: succo di zucca come tutti i ragazzini, o qualcosa di più strano? Perché se aveva preso anche solo un decimo da me…

    “KREACHER!”

L’elfo, l’orrido elfo ottenuto insieme alla casa sposando Walburga, apparve all’istante: mi bastava guardare lui per capire quanto dovevo maledire e augurare l’inferno a mio padre, per avermi intrappolato in quel dannato matrimonio! Eppure, qualcosa di buono alla fine ne era venuto fuori, e stava in piedi impettito davanti a me… Se solo fossi riuscito a percorrere quei pochi dannati metri e abbracciarlo e riconquistarlo…

    “Portami della frutta e quello che ti chiede di solito mio figlio per merenda… Non ci siamo per nessuno, lo studio è vietato anche alla tua padrona almeno finché non sono uscito, siamo intesi, stupido elfo?”

Il mostriciattolo squadrò mio figlio con un ghigno, di sicuro pensava che fosse lì per qualche castigo e il fatto che avessi chiesto, alle quattordici, la merenda per Sirius, forse lo illudeva che sarebbe stato un lungo pomeriggio di punizione: l’elfo non li amava, esattamente come mia moglie, in particolar modo rispecchiava lo scarso interesse, per usare un eufemismo, che Walburga aveva per Sirius. Più di una volta, negli ultimi anni, le avevo chiesto il perché di quell’atteggiamento col nostro primogenito un bambino sano, robusto, sveglio, pienamente Black, l’erede perfetto delle nostre famiglie. Dopo vari tentativi, alla fine, avevo avuto la risposta:

    “Lo odio perché è la tua copia perfetta! Non posso guardare lui senza vedere l’uomo che mi ha rovinato la vita!”

Non potevo darle torto, le avevo rovinato la vita, ma la colpa era mia e dei nostri genitori, di certo non di nostro figlio. Cercai di rimandare giù, nelle profondità più oscure del mio essere, quelle immagini ed evocai un “Muffliato” alla porta e alle pareti, invitai di nuovo Sirius a sedersi, mentre io, sempre alla finestra, lasciavo scorrere gli occhi sulla piazzetta: ogni volta, non potevo evitare che mi si rivoltasse lo stomaco, guardando dov’ero finito: io che amavo gli spazi aperti, ero chiuso come un topo di fogna in un dannato palazzo di città.

    “Che cosa vuoi sapere sulla maledizione che non è scritto sui libri?”
    “Se il Cappello Parlante sente quello che un ragazzo vuole nel profondo dell’anima, perché manda le figlie degli Sherton a Corvonero? La maledizione confonde il Cappello?”
    “La maledizione fa vacillare la volontà, fa in modo che siano troppo deboli, inadatte a quella Casa.”
    “Meissa non è debole, e avrebbe troppo da perdere, non può vacillare…”
    “Lo sapremo la sera del primo…”
    “Ma padre… se… “
    “Se?”
    “E’ mai successo che qualcuno abbia proposto uno scambio al Cappello?”
    “Il Cappello non fa stupidi giochetti, e ciascuno è responsabile per se stesso.”
    “Ma…”
    “Non dire idiozie, per favore, chi mai vorrebbe sacrificare il proprio destino per quello di un altro? Te l’ho spiegato da quando eri piccolo, ormai dovresti saperlo: chiunque si allontani dalla propria famiglia, dalla propria tradizione, dalla propria essenza, è solo un rinnegato, poco importano i motivi… Resta sempre e solo un rinnegato… Non si può rinunciare al proprio destino, nessuno potrebbe, è qualcosa che si eredita come il colore degli occhi, il nome, il sangue. Prendi noi… siamo Black, Sirius: a parte i capricci da mocciosi, alla fine il sangue torna sempre fuori, aiutato dall’esperienza, dai giusti maestri, dalle giuste amicizie, perché un Black sa che senza la sua famiglia sarebbe nessuno, che senza la sua famiglia perderebbe tutto ciò che gli spetta di diritto e non avrebbe più la forza per combattere per ciò che vuole. Un Black che si allontanasse dalla propria famiglia sarebbe solo un rinnegato… Non scordarlo mai…”

*

Orion Black
12, Grimmauld Place, Londra - sab. 18 dicembre 1971

    “…Sono le 16, padrone…”

La voce stridula di Kreacher mi riportò al presente, rimisi la giacca, uscii, presi il mantello che il servo mi porgeva, gettai un’occhiata verso Walburga, che impassibile, leggeva nel salone uno dei suoi dannati giornali inneggianti Voldemort che le aveva lasciato la nipote: di tutto si curava, tranne nostro figlio. Mi voltai, appena sentii il passo leggero di Regulus che scendeva le scale.

    “Sei pronto, ragazzo?”
    “Sì…”

Notai che aveva la scatola di Dulcitus che mi aveva chiesto con insistenza, nascosta sotto il mantello: come me, non vedeva l’ora di riabbracciare Sirius. Lo invidiai: a lui era permesso farlo. A me grazie, alla mia idiozia, non più.

***

Sirius Black
12, Grimmauld Place, Londra - sab. 18 dicembre 1971

Mi lasciavo guidare in mezzo alla folla dalla figura sicura di Rigel, tutto preso da un’apparente piacevole discussione con Cissa, e dalla mano stretta alla mia di Meissa: aveva una straordinaria capacità di orientarsi tra le persone ed evitare gli ostacoli, lo sapevo dall’estate. Era l’unica fonte di calore e vita per me, mentre il fiato si cristallizzava in nuvolette di vapore gelido e il cuore mi balzava irrequieto nel petto, stretto in un misto di paura e speranza. Alla fine individuai la figura alta e inconfondibile di Alshain, con un ampio sorriso stampato sul volto e al suo fianco, un po’ arretrati, zio Cygnus e mio padre, accompagnato da Regulus: benché avesse la classica faccia arcigna delle migliori occasioni, sentii un piacevole senso di appartenenza e sollievo quando vidi papà lì, la possibilità che non mi venisse nemmeno a prendere non mi era sembrata tanto remota nelle ultime ore. Andò però subito a salutare Narcissa e i figli di Alshain, non degnandomi di uno sguardo. Regulus si avvicinò lento e impettito, da bravo Black, non mi espresse i suoi sentimenti liberamente come sia io sia lui avremmo voluto fare, non era possibile per noi esibirci a quel modo davanti a tutti, ma quando mi diede la mano per salutarmi, sentii quanto fosse forte e desiderosa la sua presa e quegli occhi dicevano molto di più di quanto fosse lecito per quelli come noi. Lo abbracciai, con compostezza, ma baciandogli la guancia esitai, il tempo di sussurrargli:

    “Mi sei mancato, piattola!”

Sentii il suo brivido e l’abbraccio che si faceva più serrato.

    “Questo è per te… idiota!”

Sì, era sempre il mio fratellino: mi porgeva una scatola, la carta rossa non tradiva il contenuto, ma immaginavo che avesse spedito un elfo da Dulcitus per farmi trovare quello che amavo di più. Poi mi lasciò per fare i suoi saluti a Narcissa e agli Sherton: mi ritrovai così di fronte a mio padre, il quale continuò a non rivolgermi una parola, si limitò ad afferrarmi la faccia con la sua grande mano, girarmi il viso sotto la luce del lampione a destra e sinistra e sbuffare un semplice.

    “No, per lo meno sulla faccia non sono rimasti segni…”

Tutto qui. Non mi disse altro, non mi diede la mano, non mi abbracciò: come se non fossi altro che un pezzo di carne in vendita o qualcuna delle sue proprietà, che temeva si fossero deprezzate a causa di un difetto fisico. Mi diede le spalle per mettersi a ridere e scherzare con Meissa e Rigel, che ricoprì di complimenti per com’erano cresciuti e, soprattutto Meissa, quanto si fossero fatti belli. Ed io che mi ero fatto chissà quali fantasie su quel pacco di abiti che mi aveva mandato!

    Bastardo!

Strinsi i pugni e mi morsi un labbro per non urlargli addosso… Avevo una rabbia feroce dentro in quel momento, avrei voluto, avrei voluto… Sherton era scivolato accanto a me e da qualche secondo mi parlava e mi salutava, io quasi non me ne resi conto, preso com’ero dalla mia rabbia. Riuscì ad attirare la mia attenzione, spettinandomi e sorridendomi, mi chiese come stessi e si complimentò per quanto ero cresciuto in quei pochi mesi, sostenendo ancora una volta che per i Black l’aria della Scozia era davvero portentosa. Eppure, per quanto mi facessero piacere la sua attenzione e il suo incoraggiamento, dovevo avere chiaro in faccia un forte turbamento, perché rivolse a mio padre con un’occhiata gelida e la sua presa sulla mia spalla si fece più possessiva e protettiva.

    “E’ ora di tornare a casa, ci vedremo domani per gli ultimi dettagli…”

Mio padre cinse con il braccio Regulus e mi fece cenno col capo perché lo seguissi. Non potevo crederci… Quindi non erano scherzi, davvero la mia vita, da quel momento, sarebbe stata così? Per sempre? Qualsiasi cosa giusta o sbagliata avessi fatto nella mia vita, ero condannato per sempre? Solo perché il mio cravattino non era del colore giusto?

    Ma io sono suo figlio…

Sentivo il sangue andarmi alla testa.

    E quando ha mostrato in undici anni di considerarti suo figlio?

Infondo di che cosa mi meravigliavo? Per undici anni avevo sentito ogni genere di nefandezze sui grifoni e anche prima dello smistamento non è che mi ricoprissero d’amore: perché mi ero illuso che le cose potessero essere diverse? Solo perché Alshain continuava a dirmi che infondo mio padre era diverso da come si mostrava a me e mio fratello? Magari si sbagliava, magari aveva anche lui dei motivi per mentirmi. Perso nelle mie recriminazioni, sentii, all’improvviso, la sua mano prendere la mia con mala grazia, poi il turbinio della smaterializzazione congiunta mi si strinse addosso e in pochi secondi mi ritrovai nel corridoio d’ingresso di Grimmauld Place.

    “Nessuno di voi si muova, non fate un passo di più…”

Per tutto il viaggio avevo soffocato il pensiero di dover affrontare mia madre con l’idea che non sarebbero venuti a prendermi. Sentire la sua voce dopo tutti quei mesi, però, m’inchiodò a terra. Mentre Kreacher e altri due elfi, -non vidi Domizia, la nuova elfa che mia madre mi aveva assegnato al ritorno dalla Scozia-, si occupavano di mio padre e mio fratello, accompagnandoli di sopra, lei avanzò verso di me, temibile: mi squadrava arcigna, nel suo abito nero, attillato, i capelli raccolti in alto, la sigaretta con il lungo bocchino tenuto mollemente con la mano sinistra, alla destra la sua bacchetta. Notai mio padre passarle accanto e bisbigliarle qualcosa all’orecchio, lei gli rivolse un sorriso strano, cattivo, colsi la straordinaria somiglianza tra lei e Bellatrix solo in quel momento.

    “Tu, lascia qui le tue cose e seguimi, ci penseranno gli elfi a buttarle via…”
    “Come buttare via? Ci sono i miei regali per voi e i miei vestiti e i miei libri in quella borsa…”
    “E allora? Nulla che sia stato a Grifondoro entrerà nella casa dei miei padri… fosse dipeso da me, non saresti entrato nemmeno tu…”

Volevo urlarle che potevano lasciarmi restare a Hogwarts, che ormai non m’importava niente di loro, che li odiavo, li odiavo profondamente, mai come in quel momento mi resi conto di quanto avrei voluto…

    “Muoviti, non ho tempo da perdere, devo controllare che le elfe facciano un lavoro accurato, non posso permettermi sbagli…”

Non capivo, ma la seguii, mi condussero fino al bagno che mi era assegnato ormai da anni, probabilmente se voleva distruggere le mie cose, voleva che prima mi lavassero, così che non puzzassi di Grifondoro alla sua presenza. In fondo non mi dispiaceva, adoravo sentirmi pulito, e dopo un viaggio così lungo e un’accoglienza così ruvida, Merlino solo sapeva se avevo bisogno di stare di solo, nell’acqua calda a rilassarmi un po’. Quando però le elfe iniziarono a spogliarmi m’inquietai: mia madre non accennava ad andarsene.

    “Ma…”
    “Non ti aspetterai che ti lasci fare quello che vuoi? Non uscirai da qui finché non sarò più che sicura che tu non abbia più addosso nemmeno un granello di polvere di quella sudicia topaia.

Umiliato e rabbioso, mi sottoposi a quell’ennesima manifestazione di amore materno: mentre le elfe mi strigliavano in malo modo, con mia madre che le incitava a fare più forte, pensavo a quanto fosse diverso in quel momento il ritorno a casa dei miei amici e mi domandavo con una certa preoccupazione per quanto sarebbe durato questo comportamento nei miei confronti.

    “Bene, ora lasciateci soli…”

Lavato, asciugato e rivestito, ero in piedi davanti a mia madre, seduta alla consolle da cui aveva osservato tutto il rituale del mio bagno impartendo ordini secchi alle elfe a ripetizione.

    “E ora ascolta quello che ho da dirti e imprimitelo nel cervello, ammesso tu lo abbia. Nella loro incredibile bontà, tuo padre e i tuoi nonni hanno deciso di darti un’altra possibilità, potevano cancellarti dall’arazzo già il primo settembre, come abbiamo fatto con quell’altra… ma secondo loro sei ancora giovane e magari è colpa nostra se non hai ancora capito bene che cosa ci si aspetta da uno col tuo nome e il tuo sangue. Io però ti conosco, io so: sono undici anni che combatto con te per renderti un Black degno di questo nome, ma evidentemente sei irrecuperabile, o ora non saresti in mezzo alla feccia. Ebbene… sappi che io non ti permetterò di svergognare me e la mia famiglia più di quello che sei riuscito a fare fino adesso. E ti dico un’altra cosa… avvicinati a mio figlio con quelle teorie babbanofile dei tuoi amici e compagni e giuro che ti uccido con le mie mani. La cena è servita alle 19.30, gradirei non vederti prima di allora.”

Ero pietrificato. Non appena vidi la sua figura varcare la porta e scendere le scale, scappai fino alla mia stanza, mi chiusi dentro e mi abbandonai al pianto.


*fine della seconda parte*


NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc, hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP
(maggio 2010).
Valeria


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