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Autore: EveLWilliams    26/12/2016    4 recensioni
Dopo la firma della Grande Pace, Chicago è suddivisa in cinque fazioni consacrate ognuna a un valore: la sapienza per gli Eruditi, il coraggio per gli Intrepidi, l'amicizia per i Pacifici, l'altruismo per gli Abneganti e l'onestà per i Candidi.
Theia, una giovane Pacifica, deve scegliere a quale unirsi, con il rischio di rinunciare alla propria famiglia.
Prendere una decisione non è facile e il test che dovrebbe indirizzarla verso l'unica strada a lei adatta, si rivela inconcludente: Theia ha attitudini per tutte le fazioni.
Theia è una Divergente e la scelta di unirsi agli Intrepidi potrebbe costarle la vita, ma non quanto abbandonarsi ai sentimenti che prova per il più pericoloso dei capifazione degli Intrepidi: Eric.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Nuovo personaggio
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Chissà se il cielo sarà così bello anche visto dalla città e se mi mancherà il profumo delle mele. Amo tutto quello che mi circonda e presto potrebbe diventare solo uno sfocato ricordo.
Mi sdraio sul prato e lascio che i miei occhi si perdano nel blu del cielo.
Il frinire delle cicale e il tubare delle colombe mi aiuta a rilassarmi.
Tra poche ore ci sarà il test attitudinale e, sebbene il mio orgoglio non voglia ammetterlo, sono terrorizzata dal suo esito.
Cosa sono? Qual è la mia inclinazione?
Non mi sento una Pacifica fino in fondo, amo la vita che facciamo ma non le persone che mi circondano. Sono sempre allegre e gentili, ogni minuto della giornata, se qualche forestiero passeggiasse in uno dei campi o nei frutteti, penserebbe di essere finito in un luogo incantato, dove tutto va sempre bene. Non è così. Non va sempre tutto bene, gran parte delle persone fingono di essere quello che nel profondo non sono.
È vero, siamo una delle fazioni più fortunate e dove le persone sono davvero felici e la loro gentilezza non è forzata come negli Abneganti.
Noi amiamo davvero quello che facciamo, ma non siamo come le altre fazioni ci immaginano. Non è sempre tutto pace e amore, litighiamo e, a volte, capita di essere più cruenti di quello che si dovrebbe, ma gli episodi peggiori vengono tenuti gelosamente nascosti.
Anche in questa fazione, ritenuta la più pacifica, si sono consumate violenze o, come li chiama Johanna Reyes, errori d’impeto. Le persone che si macchiano di un crimine vengono allontanate dalla fazione e poi reintegrate dopo un lungo esilio oltre i campi più lontani ma, a volte, alcuni di essi non fanno più ritorno. Cosa c’è oltre i campi più distanti nessuno lo sa, ma quando gli esiliati fanno ritorno, sembrano in qualche modo cambiati.
«Theia, sei nervosa per il test?»
Johanna Reyes si siede accanto a me e, sorridendomi come una madre, forse un po’ troppo preoccupata, ma fiera della figlia, mi passa una mano tra i capelli.
Questa è una delle tante cose che non sopporto dei Pacifici, trattare tutti come se fossimo una grande famiglia. Ho già dei genitori e a volte sembrano anche troppo, non voglio altri madri o padri o dei fratelli, soprattutto invadenti fino quasi a sembrare morbosi.
«Forse un pochino, è un momento importante, devo decidere cosa fare per il resto della mia vita» le rispondo con voce un pochino tremolante, non tanto per la preoccupazione, quanto per il nervoso che mi suscita essere trattata come una figlia da una persona che non sa nulla di me. Non è una mia amica, è solo una conoscente che passa gran parte del suo tempo con la sua ristretta cerchia di persone fidate.
Lei è la nostra capofazione e, anche se si proclama più una mediatrice, in realtà è un capo vero e proprio.
«È un semplice test, serve per aiutarti a capire quali sono le tue potenzialità, ma sarai tu l’artefice del tuo destino, sarà tua la scelta. Segui quello che ti suggerisce la tua voce interiore, lei non sbaglia mai.»
Si alza e mi tende la mano.
«Il camion è pronto. È ora di andare.»
Prendo la sua mano e lascio che mi aiuti ad alzarmi più per educazione che per il reale desiderio di farlo. La ringrazio e la saluto velocemente in modo da evitare almeno l’ennesimo abbraccio del quale non sento per niente la necessità.
 

Il camion è rumoroso e il tanfo del gas di scarico è quasi soffocante.
È vecchio e cammina per miracolo, ma in fondo mi piace perché è il mezzo che prendo da anni per andare in città.
Noi ragazzi lo prendiamo solo per andare a scuola, è raro che ci permettano di seguire gli adulti durante le consegne, sarebbe vietato ma, soprattutto in inverno, quando è coperto dal telone, ci permettono di nasconderci tra le casse in modo che gli Intrepidi di guardia alla recinzione non facciano storie.
Siamo quasi in estate e quindi il telone è stato tolto ed io posso guardarmi intorno e osservare la grande città, circondata dall’imponente recinzione, avvicinarsi in questo viaggio speciale, forse uno degli ultimi per me.
Resto in silenzio a fantasticare su come potrebbe essere vivere in città. Alcuni dei miei compagni di viaggio chiacchierano rumorosamente, mentre altri cantano una canzone accompagnati dal banjo suonato da un uomo tarchiato e quasi del tutto pelato che si è offerto di accompagnarci.
Il camion si ferma alla base della recinzione e due Intrepidi si avvicinano all’autista. Non riesco a sentire quello che si dicono e non mi importa. La mia attenzione è catturata dall’imponente struttura e dagli Intrepidi che passeggiano tranquillamente a poca distanza dalla cima di essa. Sono vestiti di nero, maglie aderenti che mettono in mostra muscoli perfetti e pantaloni larghi pieni di tasche. Guardo il mio abito arancione, sbiadito e scomodo. La gonna mia arriva fino quasi alle caviglie e, anche se sono cresciuta indossando questi abiti, adesso li sento più scomodi di come li ho sempre percepiti, la stoffa sembra diventare pesante e opprimente, sembrano più una prigione di lino che i vecchi e leggeri abiti di una vita. Mi ritrovo a pensare a quanto sarei agile con quei vestiti neri, quanto sarebbe facile arrampicarsi su un albero o correre. So bene che il vestito non fa la differenza e che l’oppressione che sento non è fisica, è la mia fazione a opprimermi davanti alla libertà degli Intrepidi.
Il camion riprende la sua marcia facendoci sobbalzare ogni volta che passa sopra una delle tante buche sull’asfalto ormai sbriciolato dal tempo e dalla mancanza di manutenzione, solo quelle del centro sono state ripavimentate, lasciando la periferia in uno stato pietoso.
Si mormora che l’unico quartiere periferico ad essere stato sistemato sia quello che ospita la fazione degli Abneganti e che i loro privilegi non si fermino solo a strade intatte. Credo sia solo una delle malignità che da qualche tempo sembra stiano crescendo in maniera esponenziale.
Caleb, un Abnegante che frequenta il mio stesso corso di matematica, afferma che il suo quartiere è uno dei più disastrati e smentisce la notizia che circola con più insistenza. Mi ha ripetuto più volte che gli Abneganti non nascondono risorse utili a tutte le fazioni. Sostiene che vivono in maniera umile in modo da poter aiutare di più le persone che non hanno una fazione: gli Esclusi.
Mi fido di Caleb, è il ragazzo più dolce che abbia mai conosciuto, sembra l’Abnegante perfetto e mi chiedo se deciderà di restare nella sua fazione o sarà così coraggioso da seguire la sua passione per la conoscenza.
Lascio che i ricordi mi cullino per tutto il viaggio fino alla scuola, unico luogo dove i ragazzi delle fazioni possono mischiarsi.
Mentre cammino per i corridoi della scuola mi chiedo se anche io avrò il coraggio di seguire la mia voce interiore o scapperò via, tornando a rifugiarmi nella mia sicura, anche se poco sopportabile, vecchia fazione.
Entro nell’aula di matematica avanzata e vedo Caleb, già seduto al suo posto, assorto nella lettura di un libro.
I suoi capelli e gli abiti sono perfetti, non una piega sulla giacca o sui pantaloni, nessun ciuffo ribelle, mentre io sembro appena uscita da una tempesta. I miei capelli, lisci e scuri, sono legati in una treccia ma ci sono ciuffi che spuntano ovunque e il mio vestito ha talmente tante pieghe che sembra stato appallottolato prima di essere indossato.
Mi avvicino a lui e appoggio i libri sul mio banco.
«Il grande giorno è arrivato.»
Lui solleva gli occhi dalla sua lettura e appena mi vede le sue labbra si allungano in un sorriso che farebbe impallidire quelli dei miei compagni di fazione.
«Ci siamo. Nervosa?»
«No, sono calmissima. Sono così rilassata che se mi sparano me ne accorgo domani.»
Scoppiamo entrambi a ridere e io inizio sentire la tensione allentarsi.
Il modo in cui Caleb mi guarda e il suo sorriso hanno qualcosa di magico, mi fanno sentire a mio agio e mi aiutano a tenere lontane le preoccupazioni.
Cerco di non pensare che le nostre scelte ci separeranno e che, molto probabilmente, non troverò mai più un amico come lui.
«È solamente un test.»
«Non è il test a spaventarmi, è quello che verrà dopo. La scelta.»
«Non devi aver paura, il test ti farà capire chi sei e cosa vuoi. Devi fidarti del test.»
Invidio la sua fede nella scienza, ma dentro di me sento che le cose non saranno affatto facili come lui crede.
Ho sedici anni e dovrò prendere una decisione che cambierà in modo irreversibile la mia vita e ad aiutarmi ci sarà solo un test.
Nessuno mi ha mai detto in cosa consiste, tutti l’hanno fatto, ma nessuno vuole rivelare di cosa si tratta. Come faccio ad avere fiducia in qualcosa che non conosco?
Johanna mi ha detto che il test mi aiuterà, ma che alla fine dovrò seguire la mia voce interiore, quindi potrebbe essere un test inutile e io mi ritroverei nelle stesse condizioni in cui sono ora: pericolosamente vicina al panico.
Guardo Caleb, è il ritratto della pace e della tranquillità. Vorrei essere come lui.

   
 
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