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Autore: geal righ    28/12/2016    0 recensioni
[Heaven’s Door Yaoi GDR]
[Heaven’s Door Yaoi GDR][Heaven’s Door Yaoi GDR][Heaven’s Door Yaoi GDR][Heaven’s Door Yaoi GDR][...] "ho deciso di partire. lascio Londra."
"ah. davvero? beh, sono sicuro che ti troverai bene ovunque andrai, e che non ti sarà difficile trovare lavoro vista la tua esperienza."
"già. beh... allora ci sentiamo eh. stammi bene, Cedric."
"anche tu, Calintz."
"non guardare! non guardare!" disse il Corvo.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Lime, Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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quando ti capaciti che in questo modo non può andare avanti.
quando t’accorgi che puoi provare a sostituirlo con chiunque, ma se non è lui, non vuoi nessun’altro al tuo fianco.
quando ti rendi conto che l’unica cosa che vuoi fare quando lo vedi con altri è urlare e correre via.
allora, forse, è arrivato il momento di smettere di prendersi in giro. smettere di far finta di essere solo amici davanti agli altri, e comportarsi come compagni quando si è da soli.
è arrivato il momento di prendere una decisione. una decisione che non per forza sarà quella giusta, o verrà accettata fin da subito.
 
[...]
 
[no, lui ancora non sa niente.] la mia tranquillità era quasi imbarazzante mentre parlavamo di un argomento cosi importante. importante poi per chi? per me sicuramente, per Erika non saprei. non mi sono mai preoccupato di chiederle nulla in merito, forse ipotizzava ma è sempre stata ad ascoltarmi in silenzio, senza fare troppe domande. [ah...] è la prima replica che ebbi da parte sua. un’esclamazione che nel tono mostrava parecchio stupore. [e quando avresti intenzione di dirglielo Cal, vuoi forse chiamarlo quando sei in aeroporto?] gira la testa verso di me mentre parla, cercandomi con quei suoi occhi smeraldo che mi mandavano letteralmente ai matti. non riuscivo a capacitarmi di come sia riuscito a non metterle mai le mani addosso, eppure ho sempre pensato che non dev’essere niente male, a letto. [in realtà era proprio quello che volevo fare...] muovo le braccia tirandole verso l’alto e piegandole cosi da poggiarle al di sotto della mia testa, tra questa e il cuscino del letto. avevo i suoi occhi puntati addosso, me ne rendevo conto, eppure continuavo a fissare il soffitto senza girarmi mai. quando chiusi i miei sbuffai cacciando aria dalla bocca e solo in quel momento mi mossi sul letto girandomi e mettendomi di profilo, col braccio sinistro piegato e la mano a palmo aperto su cui appoggiare il mento. lei era seduta a mo di indiano sul tappeto in terra, con entrambe le braccia contro il bordo del letto, e mi osservava ancora [senti.] e già che partivo in quel modo vuol dire che non sono minimamente convinto di quello che sto dicendo, infatti la sua prima reazione fu inarcare un sopracciglio. però mi ha lasciato parlare senza dire ancora nulla [già devo trovare un cazzo di modo per approfondire l’argomento con Edward, come pensi che possa anche parlarne a Cedric a distanza di ancora due settimane dalla partenza?] serro le labbra rimanendo a fissarla come se in quel momento la stavo sfidando a trovarla lei una soluzione. lei si limitò a scuotere la testa un paio di volte e sbuffare appena. più un sospiro rassegnato [ti fai troppi problemi Cal, te l’ho sempre detto.] muove la mano destra avvicinandomela al viso e spostandomi una ciocca di capelli [sappiamo bene tutti e due che Eddy è solo un passatempo, quindi perché non ne parli a Cedric fin da subito? insomma, lui è il tuo amico d’infanzia, io al suo posto ci rimarrei male a venirlo a sapere all’ultimo minuto.] quindi mi sono sentito tirare la medesima ciocca, che mi accorsi non aveva spostato, ma se la stava intrecciando tra le dita, arricciolandola. e poi ha sorriso. e quando sorrideva mi rincoglionivo [ci provo. Eddy comunque lo vedo stasera quindi il problema, almeno con lui, è presto risolto.] Erika mi lasciò andare i capelli e si limitò ad annuire, quindi si alzò facendo leva sulle mani che premono contro il materasso [vado a preparare il tea e torno. ci sono cose per cui non dovremmo impensierirci troppo ma lasciare che vadano come devono.]
 
rividi Erika altre volte in quelle due settimane, più che tutti gli altri del gruppo con cui uscivamo di solito. abbiamo parlato di com’era andata la serata con Eddy, del fatto che non avevo ancora accennato niente a Cedric ma, al contrario, i suoi genitori lo sapevano. lei non ha più insistito e io ancora non avevo capito le sue parole di quel giorno. con Erika passavo le giornate libere dal lavoro, mentre con Cedric quasi tutte le notti. mia madre non si faceva problemi dal momento che siamo cresciuti assieme.
 
fu proprio durante una di quelle notti che mi chiese di Eddy, uscendosene di punto in bianco quasi senza motivo. rimasi a fissarlo per una buona manciata di secondi prima di rispondergli. insomma, eravamo entrambi nudi sotto le coperte, accaldati per via dell’amplesso appena conclusosi, e lui ha tirato in mezzo un’altra persona come se niente fosse [con Eddy è finita, perché me lo chiedi proprio ora?] poco importa del reale motivo per cui me lo chiese, apprezzai comunque la sua domanda e il suo interesse, anche se decisamente egoistico [mhm.] Quei mugugni spesso racchiudono un universo di parole che non diceva mai, lasciandomi il più delle volte con dei dubbi atroci che nemmeno esponevo, dal momento che sapevo già non avrei ricevuto alcuna risposta [non era adatto a te. erano più le volte che ti lamentavi di lui che quelle in cui ne parlavi col sorriso.] penso di non essermi mai abituato a quelle parole, quel “non era adatto a te.” detto in quel modo cosi morbido e dolce. mi spiazzava ogni volta che lo diceva [no... non lo era.] una risposta pressoché inutile ma pure l’unica che mi sentii di dargli in quel frangete, prima di abbracciarlo e nascondere la testa contro il suo petto.
 
ammetto di essermi adagiato molto in quelle due settimane rimanenti, rimandando ogni volta il parlare con Cedric, fino alla fine, fino a che anche Erika non mi ha strappato la promessa di dirglielo almeno qualche giorno prima.
non ce l’ho fatta. ogni volta che provavo a prendere l’argomento c’era qualcosa che mi bloccava e glissavo, glissavo sempre. lui in quelle due settimane stava vedendosi con una ragazza, ma non sembrava poi cosi importante visto che spesso mi trascinava a casa sua per farlo o si fermava da me.
il giorno prima della mia partenza Cedric l’ha piantata senza darle troppe spiegazioni. questo mi mise ancora più agitazione addosso.
poi, il tempo è finito.
Ci ritroviamo entrambi col pomeriggio libero dal lavoro. ci vediamo con gli amici, l’ultimo giorno insieme al gruppo, per me. la cena fuori tutti assieme. Erika che si era seduta vicino a me e, quando è arrivato il momento di salutarci, mi ha abbracciato sussurrandomi un [ci vediamo presto, Cal.] solo per me. un miracolo che non sia scoppiato a piangere li, tra le sue braccia, in quel preciso momento. invece mi limitai ad abbracciarla a mia volta rispondendole un semplice [si.]. il ritorno a casa insieme a Cedric. lui che mi aveva chiesto di passare la notte insieme perché era già qualche giorno che non trascorrevamo del tempo da soli. io che ci ho provato, davvero, a dirgli di no, che era tardi, che forse era meglio se tornavo a casa, che, che, che, mille altri che inutili e mille altre scuse, tutto zittito e messo a tacere dalle sue labbra contro le mie, dalle sue braccia che mi stringevano i fianchi.
ci era voluto davvero poco a ritrovarmi nel suo letto, stretto contro di lui, con in testa le sue parole, i suoi gemiti, il rumore del suo respiro e il mio respiro pieno del suo odore.
e le lacrime, dannate fottute, quelle maledettissime lacrime che ho cercato in tutti i modi di ricacciare indietro, mascherandole da dolore quando non riuscivo, per le volte in cui mi stringeva più forte, o che mi mordeva nel punto sbagliato. e tutte le volte sentivo le sue scuse e le sue dita che salivano al mio viso, sugli occhi ad asciugare quelle dannate lacrime. gli sguardi e le attenzioni che mi ha rivolto quella sera erano dolcissimi, cosi tanto che il giorno dopo scrissi a Erika chiedendole se per caso avesse accennato qualcosa a Cedric. mi disse di no, che lei non si sarebbe mai permessa e la conosco troppo bene per sapere che mi stava dicendo la verità.
 
è l’istinto ad essere più forte di ogni parola o pensiero logico, alle volte. Cedric probabilmente immaginava qualcosa, ma non ha mai detto assolutamente nulla fino alla mattina dopo. fino a quando non sono stato io a parlare, finalmente.
è quando stavo per tornarmene a casa che mi sono deciso. stavo fermo davanti alla porta d’ingresso di casa sua, mi sono girato per salutarlo e ho sfoggiato il mio miglior sorriso, niente di costruito per lui. non c’è mai stata falsità o menzogna tra noi.
[ho deciso di partire. lascio Londra.] mi rendo conto che non sarei dovuto essere cosi brusco, ne cosi diretto. e mi resi conto solo dopo di quanto posso averlo ferito con quelle poche parole. [ah.] i secondi di silenzio che seguirono furono interminabili e atroci, sentivo le lacrime che tornavano a premere dietro i miei occhi e mi resi conto di averli lucidi. eppure non piansi mai mentre gli parlavo [davvero? beh, sono sicuro che ti troverai bene ovunque andrai, e che non ti sarà difficile trovare lavoro vista la tua esperienza.] non so se quelle parole mi fecero più male perché le pensai prive di interesse, o semplicemente per la freddezza che, seppur nascosta, si sentiva nelle stesse. ci misi un po’ a continuare, devo essere sembrato un cretino in quel momento [già.] e infatti la mia prima replica non fu nemmeno niente di cosi sensato. semplicemente confermai quanto lui stesso aveva appena detto [beh... allora ci sentiamo eh. stammi bene, Cedric.] non mi sono nemmeno fermato ad aspettare, mi sono girato aprendo la porta e andandomene, quasi stessi scappando come un vigliacco. Cedric ha tenuto gli occhi bassi, sulla tazza di tea che stringeva tra le mani, per tutto il tempo -interminabile quasi- in cui abbiamo parlato, io non gli ho mai chiesto di alzarli e guardarmi, lui semplicemente non lo ha mai fatto. me ne sono andato con solo il suo saluto che mi accompagnava [anche tu, Calintz.] il suono della sua voce mentre pronunciava il mio nome era dolcissimo. scoppiai in lacrime non appena svoltato l’angolo di casa sua.
 
per la strada di casa mi venne in mente una scena tratta da Il Corvo di O’Barr che avevo riletto giusto qualche giorno prima. il momento in cui Eric trova e parla con Tin Tin di quando questi e il suo gruppo uccisero lui e Shelly in una notte di ottobre. tra una vignetta e l’altra c’è il corvo che si rivolge ad Eric dicendogli “non guardare! non guardare!”
in quel momento mi resi davvero conto che se mi fossi voltato sarei tornato di corsa a casa di Cedric e le mie intenzioni di andarmene sarebbero andate bellamente a puttane, oltre che avrei rovinato tutto: lui non sapeva il reale motivo della mia partenza. ed andava bene cosi.
 
ricordo di aver passato tutto il resto della mattinata chiuso in camera mia, e anche buona parte del pomeriggio, prima di essere accompagnato in aeroporto da mia madre che erano quasi le otto di sera. dovevo sembrare davvero scemo, per quanto ci fosse ancora un po’ di luce io tenevo su degli occhiali da sole scurissimi, ed enormi, che mi coprissero completamente gli occhi arrossati e gonfi.
quando la salutai lei non mi chiese nulla, sapeva che avevo passato la notte da Cedric e immaginava glie ne avessi parlato, ma in quel momento si limitò solamente a sorridere e ad abbracciarmi [ti ho messo Tolkien nel borsone, cosi potrai leggere qualcosa durante il volo. fa buon viaggio tesoro mio.] Tolkien. io adoro Tolkien e nella fretta e nell’agitazione non avevo preso nessuno dei suoi libri. [siamo liberi nelle scelte, non dalle conseguenze di quanto scegliamo.] è con quelle parole che si è allontanata posandomi un bacio sulla fronte e lasciandomi decisamente zittito.
mentre la salutavo e recuperavo la  valigia per avviarmi sentivo le lacrime che tornavano di nuovo a spingere dietro i miei occhi. cercai di trattenerle fino alla fine, fino a che non fui certo di non poter cambiare idea.
fino a che l’aereo non decollò facendomi lasciare a terra, in quella calda e afosa Londra d’inizio estate, a cosi pochi giorni dal suo compleanno, tutto ciò cui tenevo di più.
 
non riuscii a leggere niente durante il volo per quanto ci abbia provato. passai quelle 12 ore piangendo e dormendo a fasi alterne, fino a che, alla fine, mi addormentai con il libro tra le mani.
   
 
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