Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Hermes    30/12/2016    1 recensioni
Diciassette anni di giorni da spiegare e mettere a fuoco.
Un’autopsia al tempo fra la nebbia di San Francisco e la polvere del deserto, per arrivare nel presente che potrebbe essere solo una possibilità nel futuro.
Il mondo è costruito sulle nostre scelte.
[Questa storia fa parte della serie 'Steps']
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Steps'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

You're like me
You can flip in a second
Step into rage what d'you reckon?
Serenade or use a weapon
You're like me
Your scars are like your badges
Climb up into these branches
I guess that's the way your life is

Don't be afraid
Fear does you no good
It will take you for all you own
Richard Ashcroft ~ Songs of experience

Il mattino dopo, con suo grande dispetto, la sveglia aveva suonato alle sei.
Il suo risveglio non fu dei migliori dato che aveva passato buona parte della notte per portarsi avanti con i compiti assegnati per la durata delle vacanze estive…
Per fortuna era abituato a organizzarsi per tempo e con metodo e per lei sei e trenta, nonostante la mancanza di sonno, era già uscito di casa trascinandosi dietro un borsone, lo zainetto ed una fetta di toast fra i denti diretto verso il capolinea dei pullman.
Alle sette il mezzo motorizzato si muoveva a velocità sostenuta per Sacramento e lui – resuscitato da un’intero thermos di caffè espresso - scriveva qualche riga sul Mac a proposito di una tesina sulla storia moderna americana che gli interessava particolarmente.
Contava di finire i compiti estivi per la fine della prossima settimana e spedirli ai diversi professori.
E poi ci diamo alla pazza gioia, Kurt tesoro…
[…]
Parecchie ore dopo gli occhi di suo padre lo guardavano dal riflesso del finestrino e la bocca di Kurt si arricciò in una smorfia mentre Saint Vincent scavalcava la playlist ed il secondo pullman della giornata continuava a correre sulla federale in un tardo pomeriggio di fuoco, dirigendosi verso Rachel, NV.
Il deserto gli ricordava la piccola casa di Grandma Ines a nord-ovest da lì, era parecchio che sua madre si era presa qualche giorno di ferie per andarla a trovare.
Ma ora che siamo arrivati qui, in questo punto di mezzo nel viaggio per il non si sa dove, è meglio levare qualche curiosità…che ne dite?
Kurt non era mai stato un ragazzo molto socievole.
Aveva compito diciassette anni quel marzo ed a quindici aveva raggiunto la sua altezza massima di sei piedi e due pollici , un’accelerazione fomentata dallo sbalzo ormonale tipico dell’adolescenza.
In fisionomia era una perfetta copia del padre: il fisico smilzo e nervoso, viso angolare, zigomi alti e guance incavate, il naso leggermente curvo dopo averlo rotto più di una volta in alcune risse, labbra sottili ed occhi neri e brillanti.
Nel suo bouquet genetico erano rimasti pochi tratti della fisionomia da parte materna: un accenno quasi invisibile nel colore della pelle ed i capelli di un nero corvino, il taglio degli occhi. La presenza di lei era tutta insita nel carattere, nei suoi gesti mentre parlava.
Sua madre concentrava tutto il suo amore – quasi morboso – in poche scelte ore della giornata; solitamente il mattino e la sera se era libera dal lavoro.
Kurt non aveva dubbi sul suo affetto materno ma da quando aveva raggiunto i nove anni Michelle aveva lasciato il part-time per tornare a lavorare a tempo pieno, tutta presa dalla ricerca.
Rinchiusa dal mattino alla sera nel suo laboratorio a districare la formula esatta della nascita della specie umana.
Kurt dovette reprimere una risatina, scuotendo la testa.
Sua madre era Michelle Hervas, un nome noto nel campo della genetica.
Era una splendida donna ispanoamericana quarantaseienne che il tempo non era riuscito ad intaccare se non per qualche ruga d’espressione ed un paio di capelli grigi che avevano fatto capolino di recente nella sua folta chioma un po’ crespa; per il resto aveva il fisico snello di una trentenne e la grinta di una tigre.
Intanto il deserto continuava, all’orizzonte i contorni frastagliati delle montagne giallastre sullo sfondo blu del cielo sfumati dalla nuvola di fine sabbia che le ruote del pullman alzavano in aria.
Riusciva quasi a sentirla in bocca quella dannata polvere.
Che cazzo di posto…
Si passò distrattamente la mano fra i capelli dando un’occhiata all’ora, aveva ancora dieci minuti prima che il bus si fermasse e lo consegnasse ad un Giugno in compagnia dell’altra persona che l’aveva generato.
Kurt non aveva mai preso abbastanza in considerazione suo padre negli ultimi anni per evitare di trarre conclusioni difficili da digerire o – nel peggiore dei casi – spaccargli la faccia.
Non aveva buoni motivi ma se avesse provato a cercarli era sicuro che non sarebbero mancati.
Da bambino tutto era stato diverso…il suo papà lavorava fuori, quindi non lo vedeva che qualche volta a colazione quando – se - tornava dal deserto.
In quei brevi anni di beata innocenza e dalla sua piccola statura non aveva potuto che immaginarlo come un supereroe, capace di tutto.
Poi era arrivata la cosiddetta doccia gelata. Papà e mamma avevano iniziato a chiudersi un’immaginaria porta alle spalle quando parlavano di ‘loro’.
Quindi le visite si erano fatte sempre più rare finché non si erano fermate completamente e lui aveva iniziato ad andarlo a trovare.

Kurt non soffriva lo sguardo di suo padre quando erano costretti a vivere sotto lo stesso tetto in quel mese.
Ogni anno Linds lo guardava meravigliato come se lo vedesse per la prima volta nella sua vita, faceva qualche domanda di base sull’andamento dei suoi studi e su come stava poi gli argomenti di stampo personale si esaurivano.
Non parlavano mai della mamma se non per qualche vago accenno alla sua salute. Come se non esistesse…
Il pullman aveva iniziato a rallentare per poi fermarsi con un leggero scricchiolio ed un distinto odore di gasolio sotto la pensilina del distributore dove avrebbe fatto rifornimento per continuare il suo viaggio sulla famosa Extraterrestrial Highway.
Kurt disincastrò le lunghe gambe dal sedile, recuperando il suo borsone dalla rastrelliera e agganciando lo zainetto alla spalla, deambulando goffamente nello stretto passaggio centrale e scendendo dal mezzo con gli occhi stretti a fessura per evitare che il sole a picco gli togliesse la vista.
La fermata di servizio consisteva in un’officina, un minuscolo negozio/bar di prime necessità con accanto due pompe del carburante – a quell’ora in self-service – e dall’altra parte uno spiazzo di roulotte di medie dimensioni, la vernice dei mezzi opaca dalla polvere. La costruzione più grande era lo sgangherato motel leggermente più in là.
Di suo padre neanche l’ombra.
Tipico…figurati se viene ad aspettarmi, il vecchio.
Kurt rimase dov’era, dove i 105° Fahrenheit sembravano appena sopportabili e si appoggiò al muro in attesa a braccia conserte mentre il sudore gli incollava la maglietta addosso.
Il guidatore del bus di linea finì di fare rifornimento e si portò due dita alla tempia in un saluto prima di risalire ed allontanarsi.
Ping!
Recuperò il telefono dalla tasca dei jeans.
*Allegro il deserto, K? Ti sei già ridotto in cenere od aspetti il canto del gallo? ;*
Kurt sorrise appena per poi iniziare a rispondere.
*Per ora Dracula aspetta, Lizard.*
*Papino in ritardo?*
*Yep.*
Aveva appena mandato la risposta quando un rombo aveva iniziato a far tremare l’aria pesante di quel pomeriggio e Kurt aveva strizzato ancora di più gli occhi dove la strada si perdeva nell’orizzonte, sfocato dal calore.
Non ci volle molto prima che avvistasse un puntino bianco in rapido avvicinamento in proporzione con il boato.
Mezzo minuto dopo una Jaguar F type bianca scivolò nel minuscolo agglomerato addormentato per la siesta, subito seguita da un nugolo di polvere provocato dal brusco spostamento d’aria. Lo sorpassò poi fece retromarcia cambiando senso di direzione ed il cofano posteriore si aprì.
Kurt si affrettò a caricare il suo bagaglio per poi salire dal lato passeggero, nell’abitacolo l’aria condizionata pompava al massimo ed al volante c’era l’unica persona in quella spopolata Contea nel bel mezzo del nulla che poteva permettersi di possedere una sportiva di quel tipo.
Suo padre.
Linds Lagden.
“Ciao, Kurt.”
“Ciao.”
“Tutto bene?”
“A-ha.”
Il ruggito amichevole dell’auto era perfetto per coprire l’ostentato silenzio mentre marciavano alla velocità sostenuta di cento miglia orarie sulla pista di strada sterrata che si diramava dalla federale per finire in mezzo al nulla.
Od almeno così sostenevano le cartine, finché non era arrivato in gioco Google Maps ed i servizi d’immagine satellitare giapponesi e russi vent’anni prima.
Kurt fissava avanti a sé, per niente curioso di analizzare il profilo di Linds dopo un anno esatto da quando l’aveva visto l’ultima volta.
Con lui il tempo non era stato magnanimo quanto con sua madre.
Quell’inverno aveva raggiunto i cinquant’anni.
I suoi capelli biondo platino avevano perso parte del loro lustro ed si erano striati di bianco sulle tempie.
La pelle pallida, esposta al sole del deserto, si era permanentemente dorata e punteggiata di nei.
Il viso asciutto e squadrato aveva iniziato a perdere elasticità, mentre una serie di fini linee iniziavano a marcare la sua bocca e la fronte quando si concentrava su qualcosa. Il fisico ancora magrissimo si era un po’ appesantito sulla vita a causa della continua alimentazione da fast-food.
Il silenzio dell’abitacolo si ruppe da parte dell’uomo al volante che non sembrava particolarmente desideroso di continuare la conversazione se non per una serie di informazioni basilari.
“Ho sbloccato la connessione wi-fi e ci dovrebbero essere delle birre nel freezer. Se hai fame c’è una lista per l’asporto appesa accanto al telefono, ordina a mio nome.”
Cinquant’anni e dubito che abbia mai imparato a cuocere un uovo sodo…
“’Kay.” gli rispose indifferente.
La Jaguar aveva progressivamente rallentato mentre arrivava in vista di una piccola costruzione bianca costituita da un solo piano, delimitata davanti da una recinzione di filo spinato sgangherato.
Home Sweet Home!” canticchiò ridacchiando Linds, fermando l’auto e rovistando nelle tasche del camice che indossava sopra una maglietta stinta dei Metallica, estraendo un mazzo di chiavi e porgendolo al figlio “Tornerò tra un paio di giorni. Goditi l’NBA, Kurt.”
L’adolescente accettò l’offerta con un grugnito, sbattendo la portiera e recuperando il borsone prima che la Jaguar ripartisse a tutta manetta facendogli assaggiare la polvere.
Sbattuto come un pacco postale sulla soglia di casa.
[…]
“Oh Cristo…”
Dopo una doccia aveva dato una scorsa al frigo, chiudendolo subito dopo, disgustato dall’odore di carcassa e dalla sostanza giallo-verde che era cresciuta sopra un piatto di pasta al sugo che sembrava essere stato abbandonato a se stesso da minimo sei mesi, una forchetta ancora conficcata rigidamente nel bel mezzo della poltiglia.
No, suo padre non sarebbe sopravissuto in un luogo senza mensa aziendale, tavole calde o Burger King.
Pinzandosi il naso Kurt riaprì lo sportello ed afferrò il piatto, affrettandosi ad aprire uno spiraglio nella vetrata a specchio e poggiarlo fuori.
Questa volta tentò il freezer trovandoci una dozzina di bottiglie di birra semi-congelate, estraendone una ed accomodandosi sul divano nel centro della stanza scorrendo con lo sguardo cosa aveva intorno.
Quasi dieci anni e quella casa non era cambiata.
Non c’erano segni del passaggio di suo padre, di quadri o di fotografie.
Era solo un’insieme di mura e mobili lasciate lì dal proprietario precedente.
Una tana per dormire.
Un vuoto.

La casa gli era stata assegnata solo per la collaborazione con la base quaranta chilometri più a sud, faceva parte del primo blocco di sorveglianza – abbandonato da forme di vita umane - che delimitava la zona militare.
Kurt raggiunse il telefono a muro non degnando di uno sguardo i numeri dell’asporto, alzando il ricevitore e schiacciando un bottoncino rosso poi una combinazione di quattro numeri: trucchetto che aveva scoperto un paio d’anni prima per mettersi in contatto con la mensa della base.
“Sì?” rispose una professionale voce di donna che Kurt riconobbe con un sorriso.
“Buongiorno, Signora Hunter.”
“Ohò, Lagden Junior! Di nuovo qui eh?!” la fredda serietà si era sciolta al sole come un cono gelato “Di cosa hai bisogno?”
“Beh…mi chiedevo se potevate passarmi qualche bene di prima necessità. Un po’ di verdura, della pasta…il frigo è una landa desolata.”
“Con la fame da lupo che ha il Dottor Lagden quando ci degna della sua presenza non mi stupisce! Tranquillo caro, ci penso io. Un paio d’ore e mando il primo aiuto-cuoco che trovo da te!”
“L’adoro Signora Hunter.”
Kurt sorrise al saluto allegro della donna e riattaccò la cornetta, sfregandosi le mani compiaciuto.
Al diavolo il take-away…
A differenza di Linds, Kurt sapeva cucinare anche un po’ a causa dell’assenza semitotale di Michelle da casa.
Ad un certo punto si era stufato di ingozzarsi di patatine e hotdog ed aveva imparato in una serie di trial and error come nutrirsi da solo, con un piccolo aiuto da parte di quella chioccia di Alice.
Il ragazzo aveva anche la fondata impressione che suo padre mangiasse meglio e con gusto i suoi sforzi culinari dato che raramente trovava gli avanzi della sera precedente al mattino.
Vivere con il padre era in tutto e per tutto come vivere da solo.
Linds passava la quasi totalità della settimana imbucato in qualche laboratorio sotterraneo della base, dormendo nelle stanze adiacenti se era troppo occupato od il progetto richiedeva la sua presenza. Quindi sempre.
Di solito spuntava dal nulla verso il giovedì sera/venerdì mattino, dormiva cinque o sei ore poi passava due giorni in assoluto relax o partiva per Las Vegas tornando solo la Domenica notte e ricominciando il ciclo.
La prima volta che aveva passato il mese di Giugno a Rachel, aveva scoperto presto cosa comprendevano quelle visite…e da quel momento in poi le loro conversazioni si erano ridotte ad un solo argomento: lo studio.
Suo padre andava a donne.
Ma non toccava sua madre.

La fatidica chiacchierata sulle api e sui fiori era stata affrontata l’anno dopo, quando aveva compiuto undici anni. Completa ed estensiva sulla meccanica dell’atto in sé, senza alcun fronzolo o zucchero per alleggerire la pillola.
Quando Linds gli spiegava qualcosa era conciso e distaccato, e quando Kurt aveva domandato rare volte qualche approfondimento sul passato il padre non gliela aveva mai negato, rimanendo vago ma di una sincerità brutale.
Un tipo di atteggiamento che dimostrava l’alienazione del suo ruolo nella vita del figlio.
Si era accorto subito in tenera età che la sua non era una famiglia ma non era nemmeno un surrogato.
Portava il cognome Lagden solo per qualche motivazione ignota di Linds.
Un padre che non c’era mai stato ma che gli aveva permesso di vivere agiatamente, senza contare l’introito più che rispettabile di sua madre.
Ma quel last name senza alcun apparente significato nascondeva il cuore del radicato risentimento di Kurt.
Lagden era la parola d’ordine che gli spalancava le porte dei migliori college americani senza alcun merito suo personale.
Lagden, la parola che avrebbe pagato la sua retta universitaria, senza bisogno di mutui studenteschi, senza problemi.
Quando un ragazzo della sua età invece si sarebbe fatto sanguinare le mani per entrare in una league, ma l’avrebbe fatto con il proprio sudore e con il proprio orgoglio intatto.
Lagden Kurt no, lui partiva avvantaggiato con il peso di un cognome che l’avrebbe seguito fino alla fine.

Tutti si aspettavano che seguisse le orme di Linds come un bravo cagnolino, immatricolandosi al MIT e fondendosi il cervello.
Le poche volte che aveva visitato la base parecchie persone commentavano sempre nelle linee ‘Son sicuro che lavorerete assieme in futuro!’
Suo padre a quelle dichiarazioni sorrideva rigidamente ma non aveva mai replicato, c’era solo indifferenza nelle sue pupille buie.
Kurt invece mandava telepatico sempre la solita risposta mentale del: Manco da morto!
Aveva tutte le intenzioni di strappare il tessuto di quelle convinzioni il più presto possibile.
Non aveva ereditato l’intelligenza mostruosa di suo padre e ne era più che felice.
Poi otto dottorati non erano proprio la sua idea di divertimento…la vita era fatta anche per essere vissuta.
Sì, era abbastanza bravo nelle materie scientifiche e più che discreto in fisica e biologia ma aveva dei propri piani per dopo il diploma. Anzi ho già dei piani per la fine della prossima settimana…figurati.
A guardare dai libri sparsi sul tavolino della zona soggiorno suo padre stava per collezionare una nona laurea in Astrogeologia.
Come sua madre…rinchiuso in gabbia per districare la formula esatta della nascita dell’universo con il suo talento universale.
Con dei genitori così simili e diversi non aveva potuto che crescere presto.
Si sentiva un individuo a sé stante, perfettamente capace di trarre conclusioni. Adulto.
In tutta coscienza Kurt non riteneva i genitori parte della propria vita.
Due macchine per far soldi, dove il denaro non interessava a nessuno dei due.
Due idioti che non vedono più in là dei loro stessi passi.

Two things are infinite:
the universe and human stupidity;
and I'm not sure about the universe.
~ Albert Einstein

~~~

Canzone del capitolo:
- Richard Ashcroft ~ Songs of experience.

Le note di questo capitolo sono:
- Saint Vincent è il nome d'arte di Anne Erin "Annie" Clark, una polistrumentista, cantautrice e compositrice statunitense, la canzone che sente Kurt è più precisamente The Antidote uscita nel 2012, potete ascoltarla qui;
- La cittadina di Rachel si trova nello stato del Nevada e non ` molto diversa da come la descrive Kurt. Si trova veramente lungo la Extraterrestrial Highway e la sua popolazione di 54 persone (censimento 2010) è composta perlopiù da maniaci degli UFO, pensionati e ricercatori. Dall'autostrada lì intorno si diramano varie strade sterrate che portano alla famosa Area 51; il clima di questo pezzo di deserto è proibitivo ma non invivibile, Kurt parla di 105°F che si possono convertire in 40,5°C, stiamo parlando della massima temperatura misurabile da Giugno a Luglio;
- Kurt è alto sei piedi e due pollici, in conversione con il sistema metrico stiamo parlando di quasi 1,90 metri...un'adolescente stangone praticamente! xD
- Jaguar F-type è un modello di sportiva biposto, ovviamente il topo monta il modello R 5.0 v8 550CV Supercharged (0-100 Km/h in 4,2 secondi, velocità massima nominale di 300 Km/h) . Per immagini di riferimento potete vederla qui e qui. Piccola nota: ADORO questa auto e Linds...come dire...ci fa la sua porca figura, fortunato lui!
- Fare le le cento miglia orarie su un strada sterrata significa pressapoco fare i 160Km/h, e noi ci fidiamo delle capacità da pilota di Linds, ovviamente;
- L'NBA oppure la National Basketball Association è la principale lega professionistica di pallacanestro degli USA, il livello complessivo della competizione è considerato il più alto del mondo. L'NBA fu fondata a New York nel 1946. Il campionato si suddivide in tre fasi che portano all'assegnazione del titolo di campioni: la regular season (fine ottobre), i playoff (aprile/maggio) e le finali;

Ed rieccomi qui...eh scusate per l'attesa! -__-""
Comunque abbiamo conosciuto meglio Kurt...vi gusta?
Nel prossimo torneremo in California per un breve momento, tanto per mettere un po' di basi e far partire la miccia...LoL
Si saluta e ringrazia petitecherie per la recensione al capitolo precedente (ho visto che hai pubblicato due storie...vorrei leggerle ma non trovo il tempo! Uffa! xP).
Per il resto dei lettori silenti sapete cosa fare se vi và...
*indica il bottone 'recensisci'*
Ci rivediamo nel prossimo, spero più velocemente =)
Hermes

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Hermes