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Autore: geal righ    31/12/2016    0 recensioni
[Heaven’s Door Yaoi GDR]
[Heaven’s Door Yaoi GDR][Heaven’s Door Yaoi GDR][Heaven’s Door Yaoi GDR][Heaven’s Door Yaoi GDR][...] "ho deciso di partire. lascio Londra."
"ah. davvero? beh, sono sicuro che ti troverai bene ovunque andrai, e che non ti sarà difficile trovare lavoro vista la tua esperienza."
"già. beh... allora ci sentiamo eh. stammi bene, Cedric."
"anche tu, Calintz."
"non guardare! non guardare!" disse il Corvo.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Lime, Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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l’aereo non faceva scalo e non c’erano cambi nella tratta. era un diretto per Narita e all’atterraggio trovai mio padre che era li ad aspettarmi già da un’ora abbondante. arrivai nel primo pomeriggio e il fuso orario, combinato con le fasi di pianto e dormiveglia durante il volo si fecero sentire tutte assieme. gli crollai letteralmente addosso quando mi abbracciò, rifugiandomi in un pianto liberatorio che spacciai per la mancanza da lui [ehi. che misera figura ci fai se alla tua età piangi ancora in questo modo?] lo disse scherzando, ma si sentiva che era più che felice di vedermi li. mi infilai nuovamente gli occhiali e lo seguii fuori dall’aeroporto, non andammo subito a casa ma mi portò a mangiare. ero a stomaco vuoto praticamente dalla sera prima, e anche in quel momento avevo comunque mangiato come un uccellino. anche quello influiva sulla pesantezza dovuta al fuso orario tra Narita e Londra.
mentre tornavamo a casa mi spiegò un po’ le regole, dal togliersi le scarpe una volta entrati che era quella che valeva per ogni appartamento, poi passò direttamente a quelle di casa: non toccare nessuno dei reperti che aveva dentro casa (una volta, quando avevo circa dieci anni, gli feci cadere un vecchio vaso cinese. probabilmente non gli è mai andata giù pur non dandomi mai colpe esagerate proprio perché ero un bambino), non tenere la musica o la tv troppo alta, non lasciare in giro gli attrezzi da disegno e relativi fogli... insomma, cose che io puntualmente mi scordavo nel giro di due giorni e lui era costretto a ripetermi fino a che non si stancava, allora mi lasciava fare. quella stessa sera chiamai a casa avvisando che ero arrivato, che stavo bene e che il fuso orario era davvero massacrante. prima di chiudere la chiamata chiesi a mia madre di avvisare anche Cedric. sapevo che lo avrebbe fatto in ogni caso, anche se non glie lo avessi chiesto, ma chiederglielo mi fece sentire un po’ meno in colpa nei suoi confronti.
 
nel giro di due di giorni mi era salita una febbre veramente indecente. mio padre era andato fuori per una settimana circa lasciandomi li dopo il mio rifiuto a volerlo seguire per non intralciarlo nel suo lavoro, e non sapevo come muovermi. chiamai direttamente mia madre ricordandomi solo quando rispose che a Londra era notte inoltrata e che l’avevo appena svegliata. lei mi disse di chiamare la guardia medica e parlare con loro, ma come prima cosa vedere se mio padre avesse qualche medicina in casa cosi da prendere almeno delle pasticche.
se non mi ricoverarono fu un miracolo, quando la guardia medica arrivò a casa mi disse che avevo sfiorato i 40° di temperatura, e me ne rendevo conto di mio perché non riuscivo in alcun modo ad essere lucido, non capivo più della metà delle cose che mi diceva e spesso mi agitavo e avevo attacchi di pianto senza motivo. mi diede un tranquillante subito dopo avermi fatto una puntura con non so quale roba dentro, disse che era per far scendere la febbre. ricordo solo che mi addormentai non appena andò via e dormii per il resto della giornata e per tutta la notte. la mattina dopo mio padre era di nuovo a casa, preoccupatissimo per me [mi ha chiamato la mamma dicendo che stavi male.] non so se era maggiore la felicità di vederlo li, o il senso di colpa per averlo fatto tornare prima dal suo lavoro per stare con me [mamma esagera sempre. se dormo mi passa.] mi resi conto solo dopo che in mano aveva il foglio che la guardia medica mi aveva lasciato il giorno prima, nemmeno me ne ricordavo [qui dice che avevi 40°, non è proprio stare bene.] non trovai niente da rispondere, e per una volta lo lascia fare senza trovare niente che non andasse. la  febbre durò una settimana in tutto, ma gli ultimi due giorni ormai era solo una leggera alterazione perché stavo decisamente meglio. quando chiamai nuovamente mia madre per avvisarla e tranquillizzarla mi disse che anche Cedric sarebbe stato contento di sapere che ora stavo bene, e che si era agitato parecchio all’inizio.
la cosa mi tolse ogni parola di bocca, tanto che la salutai piuttosto frettolosamente e chiusi la chiamata tornandomene in camera e chiudendomi dentro. piansi di nuovo.
 
mi  resi conto di sentirmi veramente in colpa nei confronti di Cedric, per svariati motivi. il primo era proprio il non avergli dato modo e maniera di sapere niente fino alla mattina stessa della mia partenza, salutandolo in quel modo veramente ignobile. gli altri erano piccolezze, all’incirca, l’avergli buttato addosso anche i miei turni al negozio, il non avergli spiegato il motivo della mia partenza, l’aver reagito in maniera eccessiva ogni volta che si toccavano determinati argomenti... eppure non avevo il coraggio di chiamarlo per parlarne, anzi evitai ogni contatto possibile con lui, tranne il chiederne notizie a mia madre o alla sua. non gli feci nemmeno gli auguri per il compleanno pur sapendo cosa quel giorno rappresentasse, per entrambi.
chiamai casa sua quel giorno, mi rispose sua madre ma quando sentii la voce di Cedric cosi poco distante dal telefono chiusi la chiamata in maniera rapidissima, dicendo di avere fretta e che lo avrei richiamato più tardi per gli auguri.
non lo richiamai. penso di averlo ferito davvero tanto, in quel modo.
non lo richiamai per parecchio tempo, giorni, settimane, quasi due mesi.
 
in realtà non so nemmeno per quale motivo decisi di tenere il telefono ancora attivo, li. in fondo mio padre aveva il pc e io usavo Skype per chiamare o mandare messaggi, e c’era ben poca gente che avevo interesse di sentire ancora.
quando mi arrivò il messaggio di Cedric a distanza di due settimane dal mio arrivo a Narita, un semplicissimo “come stai? ti stai ambientando bene?” non ebbi il coraggio di rispondergli, ma allo stesso tempo lessi e rilessi quelle due domande, quelle sei parole un’infinità di volte, senza avere il coraggio di cancellarlo. la sera dissi a mio padre che volevo disattivare il numero, che non ne avevo bisogno. me lo chiese il motivo, ma avevo già la risposta pronta [perché posso usare il tuo pc senza dover spendere soldi per il telefono.] questo lo convinse e il giorno dopo passammo in un negozio di telefonia e disattivammo il numero. tenni comunque il telefono, quel messaggio mi fece compagnia fino a che non fui io, più di un mese dopo, ad agosto, a decidermi a scrivergli.
 
non mi applicai nemmeno troppo, quando lo feci. semplicemente copiai direttamente il suo messaggio, inviandoglielo su Skype. mio padre era di nuovo fuori per lavoro e io stavo cercando un appartamento dove potermi spostare per avere un po’ di privacy, pur cercandolo vicino al suo, per necessità.
a Londra era notte fonda in quel momento, ma Cedric era ancora loggato quindi provai a scrivergli. lui non mi rispose, mi chiamò direttamente mandandomi letteralmente nel panico. ci misi qualche secondo buono prima di andare a rispondergli, e anche in quel momento non ne ero troppo convinto [ehi, va tutto bene? è successo qualcosa?] non mi diede nemmeno il tempo di rispondere che mi buttò addosso quelle due domande con un tono fin troppo preoccupato. sentire la sua voce, in quel momento, mi fece crollare letteralmente. dovetti fare uno sforzo enorme per non mettermi a piangere e per non chiudere la chiamata. ma soprattutto, dovetti fare uno sforzo enorme per tenere un tono di voce tranquillo [no, io... non ci sentivamo da un po’ e volevo sapere come te la passassi.] che idiota, con la voce che mi tremava non davo proprio l’impressione di qualcuno tranquillo. mi disse che non era a Londra e che aveva raggiunto la madre in Norvegia, come ogni estate, quando gli chiesi come mai andò  cosi in anticipo rispetto al solito la sua risposta fu molto evasiva, mi disse che al negozio non c’era troppo lavoro e che quindi era partito prima. non ho insistito.
non rimanemmo molto in chiamata, ma proprio mentre lo stavo salutando mi chiamò per nome [Calintz...] non ebbi il coraggio di parlare. non ebbi il coraggio di chiudere la chiamata in quel preciso istante, per paura di cosa avrebbe potuto dire, per paura di cosa avrei potuto dire io in risposta. non ne ebbi il coraggio e, semplicemente, rimasi ad ascoltarlo in silenzio [...sono felice di averti sentito. dovresti tornare a farti sentire più spesso.] sentivo qualcosa di caldo che mi scivolava lungo le guance e gli occhi iniziavano ad appannarsi, mentre fissavo la schermata di Skype aperta sulla sua chat. chiusi gli occhi cercando di calmarmi un momento, prima di rispondere. non potevo fargli sentire che stavo piangendo, non potevo e non volevo mostrarmi cosi debole. non avevo il diritto di farlo, non dopo essermene andato per cercare di dimenticarlo [ha fatto piacere anche a me.]
me ne resi conto solo quando chiusi la chiamata, era inutile scappare perché ovunque fossi andato Cedric sarebbe sempre stato presente. e più cercavo di allontanarlo, meno mi era possibile.
 
mi rendevo conto di cercarlo in ogni cosa che facevo, in ogni posto in cui andavo.
scelsi il mio appartamento perché aveva un balconcino abbastanza grande che girava su due lati di casa prendendo tutte le stanze tranne il bagno, perché a Cedric piace avere le stanze ben illuminate.
tenevo sempre del tea in casa, quello inglese ovviamente. anche se ne bevevo pochissimo me ne facevo mandare da mia madre quando lo finivo, perché a lui piace e ne va matto e se in casa manca si agita.
trovai una libreria con una piccola sala di lettura nel retro negozio dove facevano anche il tea. mi ci fermavo spesso per il puro gusto di stare li a leggere e bere tea. però ogni volta restavo fossilizzato sulla medesima pagina, sulla medesima frase alle volte, trovandomi a pensare a tutti i possibili sviluppi che ci sarebbero stati se avessi parlato a Cedric delle mie intenzioni di trasferirmi, con l’anticipo che voleva Erika. ma soprattutto, se gli avessi detto il perché, che mi trasferivo perché volevo allontanarmi da lui. che mi trasferivo perché non sopportavo più di vederlo assieme ad altri che non fossi io. che non accettavo il suo essere dolce verso altri che non fossi io. che ero io quello che doveva avere affianco, non tutti quei cretini e quelle cretine che gli rivolgevano sorrisini solo perché volevano finirci a letto.
ma che diritto avevo di dirgli delle cose del genere, quando lui per primo non ha mai cercato di cambiare il rapporto che avevamo, tenendomi stretto in quel modo senza mai fare quel singolo passo in più che avrebbe evitato tante e tante cose. e io che accettai la cosa, pur di non perderlo del tutto. io che al suo compleanno gli sono piombato a casa dicendogli che mi piaceva, che avrei voluto stare con lui e che per tutta risposta mi sono visto riempire di attenzioni uniche, credendo che dietro quelle stesse attenzioni ci sarebbe potuto essere qualcosa di più.
ogni volta che mi fermavo a pensare a tutto questo, finivo sempre per innervosirmi e lasciavo perdere qualunque cosa stessi facendo in quel preciso momento, per evitare di rovinarla. se potevo sfogavo disegnando e ascoltando musica, altrimenti semplicemente mi buttavo sul letto restando a luci spente fino ad addormentarmi.
la lontananza a volte aiuta. altre, semplicemente, distrugge.
dovevo andare avanti, in un modo o nell’altro.
 
[...]
 
non ho avuto nessuna storia seria nei mesi che passarono. quelle che c’erano erano solamente scappate da una notte in cui la mattina non ricordavo nemmeno più il nome della persona in questione, o forse non lo avevo mai davvero saputo. non che la cosa m’importasse poi cosi tanto dal momento che quasi non gli davo il tempo di rivestirsi che già li accompagnavo alla porta.
cercavo  sempre di non aprirmi mai mentalmente quando passavo le notti con qualcuno, perché non ne ero intenzionato e non volevo impegnarmi in alcun modo, con nessuno. i miei erano semplici sfoghi che rigettavo contro chi catturava il mio interesse a livello prettamente fisico. non permettevo a nessuno di loro di vedere qualcosa di me che avrebbe potuto avvicinarli di più, cosi come non permettevo a me stesso di fare la medesima cosa in opposto. non andavo mai a letto con la stessa persona più di una volta, proprio per questo motivo.
non permettevo nemmeno di avere il comando a letto se si trattava di uomini, ero sempre io a gestire tutto. io a decidere quando iniziare e quando finire. io a decidere quando smetterla, se la cosa mi stava venendo a noia.
e quello ormai succedeva sempre più spesso nell’ultimo periodo perché mi rendevo conto che per quanto ci provassi, non era nessuno di loro che volevo nel letto. non erano le loro mani che volevo mi sfiorassero, non erano i loro sguardi a volere addosso, non erano le loro voci e il loro chiamarmi ciò che volevo davvero sentire.
spesso capitava anche che mi bloccassi nel bel mezzo dell’amplesso, togliendomi e infilandomi in bagno, lasciando il ragazzo o la ragazza di turno li sul letto a cercare di capire il mio comportamento, a chiedersi se non fossero loro, forse, ad aver sbagliato qualcosa, qualche gesto o qualche parola fuori posto.
dopo un po’ smisi perfino di cercare una via di fuga in quei rapporti occasionali che, mi rendevo conto, non mi soddisfacevano nemmeno più. volevo stare solo, semplicemente.
 
verso la fine di settembre conobbi un ragazzo al babylon, era abbastanza tranquillo e ci si parlava pure piuttosto bene. ci vedemmo qualche volta fino a che, una sera, in spiaggia dopo la mia solita corsa pomeridiana, mi ha baciato quasi senza preavviso. non mi sono tolto anche se probabilmente avrei dovuto, ma in quel momento la mia testa ha azzerato ogni pensiero possibile lasciandomi in silenzio. nel frattempo mio padre decise che dovevo avere nuovamente un numero a cui poter essere raggiungibile visto che ora abitavo per conto mio e mi stavo anche cercando un nuovo lavoro li. diceva che cosi sarebbe stato più semplice anche per lui contattarmi, oltre che per mia madre.
alla fine accettai, ma con la sola condizione che il telefono lo avremmo pagato assieme e non lui per intero. un compromesso che andò bene ad entrambi, anche se per me all’iniziò fu quasi solo un peso dal momento che me lo dimenticavo spesso a casa e il più delle volte acceso.
con Cedric avevo ripreso a sentirmi più o meno come prima, quasi tutti i giorni, anche se non era più realmente come prima. si sentiva che c’era qualcosa che non andava, qualcosa che mancava in quei contatti. ma nessuno dei due sollevò mai la questione e la cosa rimase cosi.
è  proprio Cedric che chiamai, la sera in cui abbiamo acquistato il telefono. ero alla stazione della metro e stavo tornando a casa, stavo aspettando un treno un po’ meno affollato cosi da non dovermi fare le poche fermate che dovevo in piedi o in mezzo alla calca. decisi di chiamarlo per aggiornarlo un po’ sulla situazione fino a che non me ne sono uscito in maniera totalmente imprevista, tanto per me quanto, probabilmente di più, per lui [perché non vieni qui, a Natale?] ci ho pensato dopo a cosa quella domanda comportava. se Cedric fosse davvero venuto a Narita quei mesi sarebbero stati annullati nel giro di un solo istante, solo vedendolo, e il suo rientro a Londra mi avrebbe lasciato distrutto. ci avevo messo quasi quattro mesi a trovare un modo per andare avanti, e tutt’ora non riuscivo a sentirlo senza agitarmi. che cazzo mi era saltato in mente? che cazzo stavo pensando, mentre gli ho fatto quella domanda? [posso provare a chiedere ai miei, magari ti faccio sapere meglio più avanti, ma in generale cerco di venire.] la sua risposta è stata il colpo finale ad un muro che era ormai fin troppo pieno di crepe e punti morti. o forse non era mai stato davvero cosi solido come credevo. sta di fatto che fui davvero felice di sentire quelle parole, che fosse riuscito o meno a venire era indifferente. mi accorsi che quei mesi, quella distanza tra noi, sembrava stesse iniziando a diminuire lentamente, ma in maniera inarrestabile e io non potevo (o forse non volevo) fare niente per arginare la cosa.
[mi manchi.] mi rendo perfettamente conto che avrei dovuto mordermi la lingua in quel momento, invece gli dissi quelle due parole che non riuscii a trattenere in alcun modo, andarono da sole e ritrattare era impossibile. il silenzio successivo, prima dell’eventuale risposta di Cedric, era decisamente pesante, oltre che anche imbarazzante, in parte. non volevo parlare più proprio per evitare di dire chissà che altra roba, quando ho sentito le sue parole [mi manchi anche tu, mostriciattolo.] mi sono reso conto che quelle poche parole mi fecero crollare davvero malissimo. per fortuna è arrivato il ragazzo del babylon a tirarmi fuori da una situazione che, sapevo perfettamente, avrei rischiato solo di far degenerare, in un modo o nell’altro.
le cose con lui hanno avuto un picco inaspettato -per me almeno- la sera che l’ho invitato a casa per una pizza. ci siamo ritrovati a parlare del più e del meno fino a che lui non mi disse di voler provare a farmi dimenticare il ragazzo  con cui mi trovò al telefono la sera alla stazione della metro. gli avevo detto proprio pochissime cose riguardo a Cedric, e soprattutto gli avevo detto che era un mio amico d’infanzia, quindi non so proprio perchè se ne sia uscito in quel modo ma soprattutto non so cosa si aspettasse da me. con lui non era poi tanto diverso rispetto agli altri, ma ebbi la buona grazia di dirgli che non ero in grado di dargli ciò che voleva a livello emotivo. accettò le mie parole e ci ritrovammo a letto nel giro di poco.
anche con lui, come è stato con tutti gli altri, fui io a dirigere i giochi dall’inizio alla fine.
 
mia madre sapeva che non avevo un rapporto stabile con nessuno e per quanto accettasse la cosa, non passava volta che mi chiedesse come stavo, in quel frangente. fu proprio durante una delle nostre conversazioni che uscì, di nuovo, l’argomento [perché non cerchi di costruire un rapporto stabile con qualcuno?] la domanda ormai era talmente attesa che non la feci nemmeno aspettare troppo a lungo, risposti in maniera quasi meccanica [perché non ho la minima intenzione di impegnarmi in una relazione con qualcuno, al momento, mamma.] fu la sua risposta che però mi zittì, trovandomi decisamente impreparato sotto quel punto di vista. il discorso si era evoluto in maniera strana [Cal, continuando a fuggire non riuscirai mai a risolvere nulla. se anche chiudi gli occhi i problemi non spariscono, rimangono li davanti in attesa che tu li riapra e torni ad occupartene.] chiudemmo li l’argomento e cambiammo discorso, eppure a chiamata chiusa tornai a pensare più volte a quelle parole, immaginando come sarebbe potuto andare se io e Cedric avessimo trovato una qualche soluzione al nostro rapporto, tanto fragile quanto illusorio e per questo ancor più da proteggere.
 
non sono mai riuscito a darmi una risposta, almeno fino a che questa mi è piombata letteralmente davanti il giorno dopo il mio compleanno, ed aveva precisamente il suo aspetto. credo di aver provato una felicità simile ben altre poche volte nella vita.
   
 
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