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Autore: Natsumi Raimon    05/01/2017    2 recensioni
Lena Luthor ha un rapporto complesso col Natale. Troppi ricordi, troppe menzogne, troppa nostalgia.
La storia partecipa all'Iniziativa Femstmas, indetta dal gruppo Facebook "In Femslash, We Trust (Official Group)".
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Dal testo:
Lionel Luthor, dopo ogni cena di Natale, sedeva alla poltrona vinaccia del suo studio e fumava per venti minuti esatti. In quei venti minuti, le cameriere sparecchiavano, i colleghi danzavano nel salone immenso, sotto il grande e imponente albero di Natale, sua moglie discorreva con altre mogli e Lex stringeva mani, sorrideva e annuiva.
Lena Luthor non era presente.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri, FemSlash | Personaggi: Kara Danvers, Lena Luthor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia partecipante all’Iniziativa Femstmas indetta dal gruppo In femslash, We Trust (Official Group)
 
Prompt: Nostalgia, sigari, pianoforte, pizza e birra, albero, imponente
 
 





 
 
Christmas Memories






 
 
 
 
 
 
Il grattacielo della L-Corp era avvolto da nubi grigiastre. Kara osservò la neve avvolgerlo, come una coperta bianca, appannando i vetri e ghiacciando gli infissi. 
Aveva cercato di ignorare il più possibile il suono straziante di quei singulti strozzati, di chiudere le orecchie, di isolarsi, o di aprirle all’intera città, di accogliere il frastuono, sperando che l’una o l’altra soluzione la aiutassero a non sentire quel sottofondo incessante che le bruciava i timpani.
 
Fu un lampo a scuoterla da quello stato di silenziosa attesa, un nome bisbigliato, che colse appena, un singhiozzo soffocato, portato dal vento. 
 
Lex.
 
Si arrese. Si lasciò cadere, arrestandosi appena al di sopra del balcone di Lena Luthor. Non osava ancora palesarsi, entrare.
Aveva pensato di attendere finché Lena, orgogliosa e fiera, non si fosse ripresa e ricomposta, ma, in quel gelido ventitré dicembre, la donna non sembrava esser in grado di mostrare l’usuale contegno. 
Kara non riuscì più a sopportare il rumore del diaframma, il respiro spezzato, il vino rosso che roteava e lambiva le pareti del calice di vetro, lo scricchiolio delle ossa del polso, che accompagnavano il bicchiere nel suo movimento circolare; tutto quel chiasso… le saturava le orecchie.
 
Scese lentamente, poggiando i piedi sul piazzale di freddo marmo, scostò il mantello e bussò al vetro brinato. 
Lena alzò rapidamente lo sguardo e, quando vide Supergirl osservarla, abbassò il capo e si asciugò frettolosamente gli occhi rossi e il viso rigato di lacrime. Si sporse sul tavolino bianco, afferrando un telecomando nero e la porta del balcone si aprì con uno scatto. 
 
Kara scivolò all’interno dell’ufficio e notò, non senza una stretta al cuore, che non solo non c’era nessuna decorazione natalizia, a parte un piccolo alberello folto ma spoglio, all’angolo della libreria, ma che Lena aveva tolto dalle mura bianche anche l’unica foto di famiglia che aveva. 
 
La Ragazza d'Acciaio l’aveva notata durante le sue interviste ma non le aveva mai voluto chiedere, per delicatezza, per imbarazzo, per far sì che non si sentisse a disagio o giudicata, nulla al riguardo.
 
 
La foto raffigurava la cerimonia di diploma di Lex Luthor. Il primogenito della famiglia Luthor sorrideva impettito, fasciato nella lunga toga nera, mentre Lilian e Lionel lo stringevano, gli sguardi lampeggianti d’orgoglio. Lena era al centro, Lex le aveva messo le mani sulle spalle, e sorrideva gioiosa. Doveva esser stata una giornata felice, aveva pensato la giovane, doveva esser stata davvero una bella giornata.
Lex, in quella piccola foto, sembrava un comune ragazzo, col sorriso sincero e spensierato di chi è finalmente pronto a realizzare i suoi sogni.
Di chi è pronto per vivere una nuova esperienza. Di chi sente di avere il mondo intero nelle sue mani.
 
 
 
Ora, quella stessa foto, era capovolta all’ingiù, sulla scrivania di lucido vetro temperato. Ora, il sorriso di Lex Luthor era rivolto al pavimento di marmo bianco.
 
Lena rimase seduta, scostandosi appena per dare a Kara uno spazio e per farle capire che poteva raggiungerla e sedersi accanto a lei. Non sarebbe riuscita a dirlo, ma poteva mostrarlo, nei suoi gesti.
 
Non parlava, Lena, perché sapeva come sarebbe suonata la sua voce: spezzata, fragile, arrochita dal pianto e dalla stanchezza.
Non alzava il suo viso perché sapeva come sarebbe apparso agli occhi della supereroina, una maschera intrisa di lacrime, gli occhi rossi lucidi e traboccanti, ancora, di rimpianto, di nostalgia, di memorie avvelenate.
 
Aveva cercato di proteggerle, ci riusciva per la maggior parte del tempo, ma era tutto più difficile a Natale.
 
Kara si sedette sul bordo del divano bianco, scostando i cuscini morbidi, che profumavano di fresca lavanda, osservando il volto di Lena. Gli occhi azzurro ghiaccio erano vacui, probabilmente persi in una spirale di ricordi sofferenti e stava per richiamare Lena, per farla tornare tra loro, quando la donna allungò una mano e cercò la sua stretta: calda, protettiva, delicata.
Poi sollevò il viso e sospirò -Odorava di sigari.-.
Supergirl non osò parlare, temendo di infrangere quel momento, di spezzare quella connessione, quella fiducia che Lena le stava donando, facendola sua confidente, permettendole di conoscere parte di lei, condividendo i suoi ricordi.
La guardò appoggiare il capo sulla testata del divano, reclinarlo e chiudere gli occhi. Le ciglia di Lena erano lunghe e scure, le sfioravano la pelle lattea come fuliggine.
 
Kara, per un momento, ebbe paura che fosse finita, che Lena non le avrebbe concesso altro, che sarebbero rimaste in silenzio finché lei non avrebbe deciso di andar via, di volare via da lei e allora la ragazza avrebbe eretto nuovamente mura, castelli, fossati a proteggere il suo cuore già ferito.
 
Ma doveva fidarsi di lei; Kara voleva che Lena sapesse che non l’avrebbe mai fatta soffrire.
Sapeva di amarla e non aveva altro scopo, altro desiderio, se non quello di proteggerla. Ma era difficile. I suoi poteri proteggevano il corpo, non il cuore.
 
-Mio padre odorava di sigari.- soffiò la donna e lo sguardo di Kara corse alle sue labbra rosse, umide, tremando di sollievo. Non la stava chiudendo fuori.
 
 
Ricordava la sua figura, avvolta dal fumo biancastro del sigaro che gli si muoveva tra le labbra: era austera. 
 
Lionel Luthor, dopo ogni cena di Natale, sedeva alla poltrona vinaccia del suo studio e fumava per venti minuti esatti. In quei venti minuti, le cameriere sparecchiavano, i colleghi danzavano nel salone immenso, sotto il grande e imponente albero di Natale, sua moglie discorreva con altre mogli e Lex stringeva mani, sorrideva e annuiva.
Lena Luthor non era presente. 
Ogni Natale, Lionel, in accordo con la moglie, lasciava Lena nella stanza dei bambini, con la sua tata, e la teneva lontana da quel mondo di squali nel quale lui nuotava da anni.
Lena, però, sapeva cosa gli squali dicevano, lo sentiva bisbigliare lungo la tavola imbandita, lo percepiva negli sguardi che la accompagnavano, mentre dava la buonanotte ai suoi genitori, e saliva per la lunga scalinata di legno di faggio, intarsiata, lucida.
 
La piccola opera di carità della famiglia Luthor. La povera bambina adottata dalla grande famiglia.
Una futura giovane donna cui milioni di porte erano state aperte dal caso, dalla fortuna.
 
Lionel sapeva la verità, come la sapevano Lilian e Lena, come la ignorava il giovane Lex.
Ogni Natale, Lena approfittava di quegli istanti, della tata che si appisolava sulla sedia a dondolo bianca, della madre impegnata a dare direttive nelle cucine, e sgattaiolava da lui. Prendeva il vecchio libro delle fiabe che Lionel le aveva regalato anni prima, bussava alla porta della camera di Lex, e correva nello studio, socchiudendo la porta alle sue spalle.
Lui posava il sigaro nel posacenere di porcellana, le prendeva il libro dalle mani e lo apriva, accarezzandone le pagine sottili prima di iniziare a leggere, con la voce arrochita dal fumo. Era il minimo che potesse fare, si diceva, mentre trascinava Lena in mondi fatti di principesse, castelli, animali parlanti, missioni.
 
 
Kara studiò il profilo di Lena: il naso dritto, le labbra piene, il collo niveo. Le tremavano le mani, piccole, magre, mentre parlava e Supergirl le strinse tra le sue, d’istinto, sobbalzando non appena constatò quanto erano gelide. Una parte di lei era conscia del fatto che Alex e tutti i suoi amici la stavano aspettando nel suo appartamento, con pizza e birra già sulla tavola, pronti a passare una serata insieme, tra giochi da tavolo e chiacchierate, ma voleva restare. Voleva dare a Lena il supporto che meritava.
Lena era annegata nel passato, gli occhi, azzurri e verdi, erano spalancati sul vecchio studio, sul pianoforte polveroso sul quale si esercitava giornalmente insieme a Lex, sulla scrivania di mogano, sulla libreria traboccante di classici, di testi filosofici.
 
-Parlava per enigmi, per citazioni. Lex cercava di imitarlo ma trovava che fosse un’ostentazione della sua cultura…- sussurrò Lena, umettandosi di tanto in tanto le labbra rosse -…io, invece, lo ammiravo. Veneravo mio padre.-
 
Kara annuiva, stringendo di tanto in tanto la mano della donna.
Lena sospirò -Lui…era l’unico, oltre Lex, che mi amava davvero e che sapeva quanto io fossi…- deglutì, cercando gli occhi azzurri di Kara, onesti, caritatevoli -sapeva cosa pensavano tutti, riguardo la mia adozione. Sapeva come mia madre mi aveva presentata, fin dal primo istante. Aveva quella consapevolezza che mancava a Lex e ha sempre cercato…ogni giorno…di ripagarmi per ogni singolo sussurro malevolo.-
Lena tremò, il corpo scosso dai singulti che le scoppiarono nel petto. Kara scivolò tra i cuscini bianchi, prendendo Lena tra le braccia forti e stringendola a sé, delicatamente.
 
Non ti lascio sola, voleva dirle, vieni con me, stasera. Festeggia con me, con la mia famiglia.
 
Però Kara non parlò, continuò invece a cullare Lena tra le braccia, silenziosa.
-Grazie Supergirl…-bisbigliò, sincera -quando Lex è…quando è cambiato…quando ha iniziato a dare vita al suo piano, lui non è riuscito a contrastarlo, ma nemmeno ad approvarlo. 
È andato via e basta. 
Ha preso il suo elicottero, ha portato con sé una valigia ed è svanito nel nulla. 
Erano tutti sconvolti, spaventati…gli amici di sempre, gli investitori, i colleghi, stavano tutti fuggendo mentre l’impero dei Luthor minacciava di crollare e mio padre è scappato.-
 
Kara strinse Lena più forte -Va tutto bene. Sei stata forte, Lena…hai salvato la tua famiglia…stai provando a ripulire il nome dei Luthor…io…- Kara deglutì -io ti ammiro.-
Lena alzò il viso e Kara fu scossa da un brivido. Era bella da morire.
 
Gli occhi verdi e azzurri brillavano, ancora lucidi, i capelli corvini le circondavano il viso, carezzandole le guance vermiglie.
 
-Tu? Tu mi ammiri?- boccheggiò la donna, colta da una risata incredula.
 
Kara non seppe controllarsi, perché era assurdo che Lena si sminuisse così tanto, che non si rendesse conto della persona meravigliosa che era e dell’amore che meritava; era semplicemente ridicolo e folle e sbagliato.
Così Kara si sporse in avanti, allungandosi verso il volto di Lena, verso le guance calde e gli occhi luminosi, perché voleva che Lena conoscesse l’amore che meritava. Accostò le labbra a quelle rosso ciliegia della donna, assaporandole appena, per poi ritrarsi fulminea.
 
Oh, Rao.
 
-Oh, Rao!- strillò, avvampando e alzandosi di scatto dal divano, blaterando e boccheggiando come Supergirl non avrebbe mai fatto ma come Kara faceva sempre, travolta dall’imbarazzo -io…mi dispiace tantissimo, non avrei dovuto e tu ti stavi confidando e io…oh, Rao…ora sembra che…io non volevo approfittarne, davvero!- percepì le guance scaldarsi -Lena, sono sinceramente mortificata è solo che tu stavi parlando e poi eri così bella e io volevo solo che sapessi che tu meriti di essere amata e volevo solo mostrartelo…non che mi stia proponendo, non lo sto facendo…non che non lo farei, ma…-
 
Lena sollevò le sopracciglia nere, arcuandole mentre un sorriso flebile sbocciava sul viso rosso -Supergirl…- deglutì la nostalgia e la sofferenza e quel che rimaneva di quel piccolo sfogo, di quel crollo -la prossima volta- proseguì con quell’inflessione divertita, quel tono forte e deciso e seducente che le apparteneva -…aspetta il vischio.-
 
Kara vacillò, significa che posso baciarti ancora?
 
Annuì freneticamente, con entusiasmo, non osando chiedere altro, mentre inciampava nel tappeto nero, ritornando alla porta del balcone, claudicante. 
Regalò a Lena un’ultimo, enorme sorriso, prima di librarsi in volo e allontanarsi dalla torre, con le orecchie ora sature della risata cristallina di Lena Luthor, che la osservava dal vetro, illuminata dal bagliore argenteo della scritta luminescente della L-Corp.
 
Aspetta il vischio.
 
 
 
   
 
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