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Autore: AliceMiller    11/01/2017    9 recensioni
Emma torna a casa dal lavoro e trova Regina in soffitta, tra ricordi in grado di riaprire vecchie ferite.
"Si accorse che c’era qualcosa che non andava nell’istante in cui aprì la porta e varcò la soglia di casa.
Emma Swan fece mente locale: Henry era dagli amici, e questo spiegava l’assenza di rumori di videogiochi dal salotto, ma di Regina nessuna traccia.[...]Proprio mentre stava tirando fuori il telefono dalla tasca dei jeans, sentì un rumore, come un tonfo, provenire dalla soffitta. Si precipitò per le scale. Rannicchiata per terra, in mezzo a scatole e bauli trovò Regina. "
Genere: Angst, Drammatico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Un giorno sarò bella e allora mi ameranno.
 
Gave it all
Play my part
I gave everything I had but my heart
Worked so hard
Made a name
But the loneliness inside stays the same
 
Cher - Perfection
 

Si accorse che c’era qualcosa che non andava nell’istante in cui aprì la porta e varcò la soglia di casa.

Emma Swan fece mente locale: Henry era dagli amici, e questo spiegava l’assenza di rumori di videogiochi dal salotto, ma di Regina nessuna traccia.

Non un rumore o il consueto profumo di cena dalla cucina, Regina non si era precipitata alla porta per ricordarle che anche quella settimana aveva dimenticato di spedire le spese dell’ufficio dello sceriffo a quello del sindaco e che avrebbe provveduto lei stessa a svegliarla alle sette del mattino anche se era sabato.

Niente scuse, Sceriffo Swan.

Emma girò la casa, dal seminterrato all’ufficio, il bagno di servizio, il bagno di Henry, il loro bagno, le stanze degli ospiti, la loro stanza. Era tutto perfettamente in ordine, ma di Regina nessuna traccia. Non un biglietto, o un messaggio in segreteria. Emma era sempre più preoccupata.

Proprio mentre stava tirando fuori il telefono dalla tasca dei jeans, sentì un rumore, come un tonfo, provenire dalla soffitta. Si precipitò per le scale.

Rannicchiata per terra, in mezzo a scatole e bauli trovò Regina. Le gambe al petto, si stringeva con le braccia ed era talmente ripiegata su di sé che il suo stesso corpo attutiva i suoni del pianto della donna.

Emma si buttò per terra, terrorizzata. Prese Regina e la avvicinò a sé. Un abbraccio, stretto, strettissimo.

Ci sono.
Non ti lascio.
Ti amo.

Sapeva che Regina non avrebbe realmente ascoltato le sue parole e cercò di metterle tutte lì, in quell’abbraccio. Le testa sulla spalla. Le mani sul cuore.

Fu allora che lo vide, una specie di quaderno di pelle nera, le mani di Regina erano diventate bianche, lo artigliava in una morsa serrata. Una tigre ferita che non vuole lasciare andare la preda.

Le mani di Emma strinsero quelle di Regina finché non le sentì rilassarsi e poi cedere, contemporaneamente alla sua schiena, al collo. Il corpo di Regina, stremato, posava su quello di Emma.

Il quaderno scivolò dalle mani di Regina. Emma lo prese e lo aprì.

Era un diario. Il diario di Regina.

O meglio il diario di Sua Maestà, la Regina.

Regina, sempre senza parlare, sfogliò alcune pagine, finché non arrivò quasi alla fine.

«Vuoi che lo legga?» le sussurrò Emma all’orecchio.

Regina annuì.

Tratteneva i singhiozzi, ma non aveva mai smesso di piangere. Sapeva che se le fosse sfuggita una parola, anche una sola sillaba, avrebbe ricominciato a urlare.

***

Erano appena le cinque del pomeriggio, Regina pensava di avere tutto il tempo necessario, fino alle sette, per preparare la cena. Voleva fare una sorpresa ad Emma: formaggio grigliato, lasagne, torta di mele e per finire delle foto. Tutte le foto di Henry che Regina custodiva in soffitta. Album, scrapbook, negativi, polaroid, copie, copie delle copie. Tutte.

Spostò l’ultimo album dal fondo del baule e lo vide. Si era dimenticata di averlo nascosto lì. Tra i suoi ricordi più cari, più belli, più felici. Forse aveva pensato che quel diario, quelle memorie sarebbero state seppellite da quelle con Henry. Che il peso, l’importanza di quegli album avrebbero piano piano fatto accartocciare quel diario fino a farlo sparire. Fino a far sparire i suoi, di ricordi.

Il suo primo diario da regina. La morte di Daniel. L’agonia e la morte di Regina stessa. Il matrimonio col re. Leopold. Cora. Rumple. Le persone che l’avevano distrutta. Ancora qualche flebile speranza di salvarsi da quella vita, di scappare. Speranze soffocate con la stessa violenza con cui si spegne una candela prima di andare a dormire.

Seduta sul pavimento cominciò a sfogliarlo, poi a leggerlo.
 
Eva. La bellezza di Eva. L’ombra di Eva.

Io sono Regina. Non amata. Inamabile.

L’amore è debolezza. Ma senza amore sono ancora più debole.

Eva. Eva. Eva. Mi chiama in continuazione Eva.

Eva era bella. La amava. Era bellissima.

Eva è morta. Eva è dovunque.

Un giorno sarò bella e allora mi ameranno.
 

Regina urlò. Sbatté i pugni sul pavimento e urlò ancora.

Tirava calci al pavimento, sbatteva i piedi e urlava. Piangeva e urlava.

Urlava per tutte le volte che era stata in silenzio. Per sua madre che le aveva rovinato la vita. Per suo padre che non era riuscito a proteggerla. Per tutte le volte in cui Leopold le aveva messo le mani addosso, dalla prima dopo il matrimonio, all’ultima quando finalmente aveva abbandonato il proposito di un erede maschio. Per i “sì” che era stata costretta a dire, la magia che era stata costretta a imparare. La morte di Daniel. Il momento esatto in cui aveva capito che persino la maledizione non era stata una scelta sua. Per Henry, per non avergli detto la verità. Per Emma, che non poteva amare l’inamabile.

Una donna orribile e distrutta. Restò sul pavimento. Le restava solo la forza di piangere.
 
***


Emma iniziò a leggere.
 
Palazzo Reale, 6 Giugno.

Sono due mesi che siamo sposati. Lo ha fatto di nuovo. Mi ha chiamata Eva. Eva. Eva. Eva. Mi chiama in continuazione Eva. Si scusa poi, perché non sono bella come lei. “Lei era una donna bellissima, tu sei una ragazzina passabile, carina forse…”. Di notte non sono una ragazzina, però… Mi chiama comunque Eva, ma non sono una ragazzina. Sua figlia è una ragazzina, vorrei sapere cosa direbbe il vecchio se alla sua adorata e preziosa Snow venisse riservato lo stesso trattamento che viene riservato a me. Un soprammobile. Una prostituta. Una puttana. Non sono ancora abituata a scrivere come voglio, tanto Madre non può più leggere, non mi può punire. Puttana. Puttana. Puttana.  Ci sono ritratti di Eva ovunque. La sala da ballo ne è tappezzata, Leopold li mostra agli ospiti prima di cena. Dopo cena mostra me. Li hanno nelle cucine. Nella stanza di Snow, in quella di Leopold. Uno persino nelle mie stanze, di fronte al mio letto. È bellissima e tutti la amano ancora, dopo anni che è morta. Io vengo a malapena tollerata, sono qui e ora, ma non sono abbastanza bella. L’ombra di Eva mi copre e mi soffoca dalle parole, dalle pareti.  Leopold non è l’unico a elogiarla in continuazione. “Un giorno sarete la più bella del reame, proprio come vostra madre, principessina Snow”.  Ripetono le domestiche. “Bella come mia mamma”. Dice la ragazzina. E io resto qui. Non amata e inamabile. Madre ha sempre sostenuto che l’amore è debolezza, ma io sono qui senza amore e senza potere. Senza amore non ho nulla, nemmeno la speranza. Senza amore sono ancora più debole. Forse amore e bellezza sono collegati in qualche modo. Eva era bella. Leopold la amava perché era bellissima. Daniel è morto perché non sono bella, sono passabile, carina forse. Anche Eva è morta eppure è ovunque.

Un giorno anch’io sarò bella, bella, bellissima, e allora mi ameranno.

Un giorno sarò bella e allora mi ameranno.

Un giorno sarò bella e allora mi ameranno.

Un giorno sarò bella e allora mi ameranno.
 
L’ultima frase riempiva almeno cinque pagine del diario. Poi seguivano diete, digiuni, consigli per il trucco, incantesimi per far sparire le cicatrici, modelli di vestiti.

Emma chiuse il diario e lo scaraventò dall’altro lato della stanza. Non poteva piangere. Non voleva piangere, non ora che il respiro di Regina era più regolare, e le lacrime si erano seccate intorno agli occhi.

Strinse Regina ancora più forte e questa volta sussurrò:

«Ci sono. Resto qui. Ti amo».

Le lacrime scesero comunque. Non aveva bisogno che Regina rispondesse. Sapeva quello che Regina provava. I ricordi, i dubbi, le paure. Si sdraiò con Regina sul pavimento. Non riusciva a credere a quello che la mora aveva passato. Non voleva crederci che suo nonno, quella sottospecie di essere umano… L’avevano distrutta. E se la Foresta Incantata, il luogo magico per eccellenza, con le sue promesse di lieto fine e la polvere di fata, poteva distruggere una ragazzina in quel modo, Storybrooke, senza magia, nata da una maledizione, in confronto era il posto migliore del mondo. Il posto che aveva permesso a Regina di ricominciare da capo, di diventare chi era destinata ad essere. Il posto che, a lei, aveva fatto trovare una casa. Henry. Regina. Il posto che senza false promesse di finali felici a caro prezzo, aveva permesso ad entrambe di costruire un inizio nuovo. Insieme.

«Ti amo» ripeté Emma all’orecchio di Regina.

«Ti amo perché sei tu. Con la tua cicatrice sul labbro e gli occhi che dicono sempre la verità anche se sono stanchi dopo ore di lavoro. Ti amo da sempre. La persona che sei, quella che eri e quella che diventerai. Ti amerò per sempre. Per me sei perfetta e non perché sei bellissima, ma perché sei tu e sai cosa vuol dire soffrire, essere inseguiti dai propri demoni e poi inseguirli. Tu sei bellissima perché sei uscita fuori da tutto quello con le unghie e coi denti. Non eri tu, non sei tu ad essere inamabile. Sono gli altri a non essere capaci di amare. Tu sei bellissima di una bellezza vera, non raccontata. E io ti amo Regina Mills».

Regina si voltò e sorrise.

Emma prese il volto di Regina tra le mani. Lo accarezzò. Centimetro per centimetro.

Un’opera d’arte.

Poi la baciò, lentamente.

In quel momento Regina seppe che quello che diceva Emma era vero.

Emma la amava e lei amava Emma. Non c’era niente di più vero, niente di più importante.

«Ti amo».

Disse finalmente Regina, baciando di nuovo Emma.

Restarono ancora un po’ lì. Immobili, in silenzio, abbracciate, tra la polvere e i ricordi. Quelli brutti, quelli belli, quelli ancora da costruire.

Finché la pancia di Emma non brontolò.

Regina rise.

«Pizza?» chiese.

«Pizza» rispose sorridendo Emma.
 

Pretty, pretty, please, don't you ever, ever feel
Like you're less than fucking perfect
Pretty, pretty, please, if you ever, ever feel
Like you're nothing. You're fucking perfect to me
You're perfect, to me.
Pink- Fuckin’ Perfect
 
NdA
Grazie per aver letto!
Grazie alla mia #Shipmate che è fantastica e meravigliosa, nemmeno lei sa quanto.
Grazie a Mara (Trixie) che non si perde mai d’animo davanti alle mie mille paranoie e soprattutto alle mie battute stupide.
A presto!

 
 
 
  
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