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Autore: ChiiCat92    17/01/2017    0 recensioni
"Mi guardo intorno, spaesato, nudo di fronte a quella strana, nuova sensazione, finché non mi rendo conto che a provocarla è uno sguardo, uno sguardo d'oro tagliente, che mi osserva dall'altra parte del bar.
Lo sguardo appartiene ad un uomo, seduto su di uno sgabello al bancone, una tazzina di caffè tra le mani. Come una Viola Black Moon in una serra di colori, spicca silenziosamente sullo sfondo."
Genere: Erotico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Saix, Xemnas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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16/01/2017


 

Come il novanta per cento dell'umanità, vorrei sempre essere altrove...”


 

...dove non sono, nel luogo dal quale sono or ora fuggito.

-Thomas Bernhard-


 

BENVENUTI ALLA WALDKLINIK,

CLINICA SPECIALIZZATA IN PSICHIATRIA,

PSICOTERAPIA E PSICOSOMATICA


 

Il limite di velocità all'interno della clinica era di venti chilometri l'ora, ma il tachimetro della dottoressa Ellen Roth ne segnava almeno cinquanta.

Ellen era diretta all'edificio che ospitava il reparto 9.

Per l'ennesima volta quella mattinata lanciò un'occhiata al cruscotto, quasi sperasse che le minuscole cifre digitali dell'orologio fossero così premurose da...”


 

Plin plon.

Alzo gli occhi dalle pagine del libro per quella che deve essere la centesima volta stamattina.

Sullo schermo accanto al numero del mio volo continuo a leggere “delay 2 h' 00 m'”.

A questo punto aspetto di sentire solo altre brutte notizie.

Tendo l'orecchio più che posso per sentire la gracchiante voce di una hostess che, formale come una macchina, annuncia:

Il volo American Airlines AA400 in partenza da Boston destinazione Phoenix delle ore 09:30 subirà un ulteriore ritardo di un'ora. Ci scusiamo per il disagio.”

Non ci posso credere. È il mio volo.

Il tabellone delle partenze lampeggia per un attimo, poi la sconsolante scritta “delay 2 h' 00 m'” sale di livello ad un devastante “3 h' 00 m'”.

Fuori dalle vetrate la neve continua a cadere a fitti fiocchi, a malapena si intravede la pista di atterraggio e gli aerei che lentamente la percorrono.

Ormai è chiaro che non arriverò in tempo per la presentazione del mio libro.

Non riesco neanche ad arrabbiarmi.

Con chi dovrei prendermela? Con Dio?

Dio non esiste, è l'inverno che sta dando il meglio di sé.

Posso prendermela con l'inverno?

Certamente no.

Constatando che non riuscirò a leggere un'altra parola de “La psichiatra” – giacché è più di un'ora che lo tengo in mano senza superare mai la sesta riga – chiudo il volume con un tonfo irritato e lo infilo in borsa, accanto al mio, fresco di stampa e due volte più grosso, di cui avrei dovuto parlare in una libreria di Phoenix.

Non che mi aspettassi chissà quale partecipazione per un romanzo storico, ma il mio editore ha insistito così tanto per aggiungere una tappa al mio tour promozionale che non ho saputo dirgli di no.

Evidentemente l'universo deve avere ben altro in serbo per me per oggi.

Un'altra occhiata al tabellone e ho già una mano in tasca per recuperare il cellulare. Devo fare una chiamata veloce al mio editore per comunicargli di annullare la presentazione, magari spostarla a domani?

Il volo sarebbe dovuto atterrare alle 13:08 a Phoenix, dove un'auto mi avrebbe portato in albergo per il pranzo, per poi accompagnarmi alla libreria per la presentazione.

Anche se riuscissi a prendere quel volo avrei comunque tre ore di ritardo.

Potrei valutare l'opzione di tornarmene in albergo, o tentare la fortuna e vedere di cambiare il volo con Phoenix con uno per New York, così anticiperei di due giorni il rientro a casa.

Ma ho la vaga impressione che con questo tempo gelido qualsiasi volo accumulerà ritardo, e che io accumulerò inutile stress, e per di più dovrei pagare di tasca mia il cambio, quando da Phoenix un bel volo in Business Class è già stato pagato per me dalla casa editrice.

Devo solo avere pazienza.

Un'immensa, infinita pazienza.

Il via vai confusionario dei viaggiatori si interrompe bruscamente davanti allo schermo delle partenze.

Facce frustrate, emozionate, arrabbiate e tristi si alternano in un caleidoscopio di emozioni difficile da comprendere.

C'è chi parte per amore, chi parte per lavoro, chi parte per tornare, chi parte per fuggire.

E chi, invece, deve rimandare di qualche ora la sua avventura per colpa della nevicata.

Seduto su di una poltroncina abbastanza lontana dal resto della folla – nel qual caso a qualcuno venisse voglia di instaurare un qualche rapporto umano con me – osservo la vita nel suo caotico scorrere.

Io non ho mai voluto fare la scrittore, e quando ad un certo punto ho sentito lo spasmodico bisogno di raccontare una storia ho provato a negare a me stesso di essere portato a farlo – dopo gli studi classici e l'università in lettere moderne, cos'altro potevo aspettarmi? Parecchio ingenuo da parte mia pensare di esserne immune –, e il fatto di essere stato pubblicato ad un pessimistico primo tentativo ha rafforzato in me la negazione.

Eppure eccomi qui, reduce da dieci giorni di tour promozionale, bloccato in aeroporto prima di raggiungere l'ultima tappa.

Il mio editore non risponde, il telefono squilla a vuoto. Due secondi dopo che l'ho infilato in tasca mi arriva un messaggio.

So tutto del volo in ritardo, non posso risponderti, ma non preoccuparti. Ci penso. Ti richiamo.”

Perfetto, anche questa è sistemata.

Manca un quarto alle undici, e voglio un altro caffè.

Non posso fare a meno di guardare lo schermo un'ultima volta, neanche mi aspettassi un miracolo di Natale, prima di alzarmi.

L'aria calda dell'aeroporto è così pesante che rende impossibile tenersi il cappotto addosso, e lo stesso vale per sciarpe, cappelli e guanti. In questo si distinguono i viaggiatori appena arrivati da quelli in attesa.

Chi ha appena superato i controlli si è rivestito a forza, in maniera sconclusionata, sperando di potersi subito mettere in fila al gate ed essere imbarcato sull'aereo, chi invece ha appena controllato lo stato del suo volo si è sbucciato come un frutto abbandonando la giacca sul bagaglio a mano.

Scopro di non essere l'unico, né il primo, né l'ultimo a dover convivere con la sindrome da “aereo in ritardo”.

Una madre arrabbiata rimprovera il figlio di sette anni per aver preso nello zainetto un peluche con cui giocare, mentre quelli che devono essere i fratelli, se ne stanno imbacuccati come eschimesi seduti accanto a lei. Un rimprovero immotivato, riesco a cogliere che la signora è diretta a Los Angeles, e anche il loro volo è in ritardo.

Una ragazza urla arrabbiata al telefono in tedesco, paonazza. Capisco qualche stralcio di frase solo grazie ad un vago interesse per le lingue germaniche che mi ha fatto seguire un paio di lezioni da adolescente. Anche il suo volo è in ritardo.

Supero le persone in attesa, nella speranza di liberarmi del nervosismo, e imbocco il primo corridoio in cui scorgo l'indicazione “BAR”. Poi è il profumo di caffè e paste dolci a guidarmi.

Per arrivare in orario in aeroporto questa mattina ho dovuto lasciare l'albergo alle sei, bevendo un caffè d'acqua nel minor tempo possibile e sperando di non trovare confusione al chek-in. Ce n'era, e alle nove ero ancora in coda ai controlli, convinto di aver perso l'aereo.

La mancanza di caffeina, di una colazione decente e di sonno sono una combinazione letale.

Il bar è pieno come un uovo. Chi può prende una bevanda alcolica, altri invece preferiscono qualcosa di salato, io mi perdo nell'aroma del caffè. Amaro e intenso si espande nell'aria sovrastando quello dei dolci esposti sul bancone.

Mi metto in coda, dietro una coppietta che amoreggia come tortorelle in primavera, non avranno più di vent'anni. Non condivido, ma non riesco a non pensare al mio ex. La sua immagine è ancora impressa a fuoco nella mia mente.

Quando arriva il mio turno sono di malumore più che mai, mi mancava solo rivangare ricordi spiacevoli. Ordino il mio caffè, lungo, e la mia faccia scura deve impressionare il commesso, perché sembra sbrigare il mio ordine nel più breve tempo possibile, così che possa mandarmi via quanto prima.

Meglio così.

Una famigliola tutta appallottolata in un micro-tavolino si alza, e ne approfitto per prenderne il posto. C'è una buona visuale sul tabellone delle partenze anche da qui. Il mio volo ha ancora tre ore di ritardo.

Comincio a sorseggiare il caffè sovrappensiero. Le immagini del presente e del passato si mischiano a tal punto che non riesco a distinguerle. Sono immerso in una dimensione senza tempo, caotica e dai colori accesi che ha il sapore di caffè amaro.

Riesco a vederlo, Axel, proprio accanto all'edicola dell'aeroporto, mentre si sbraccia per salutarmi, o seduto su una sedia in attesa, quello sguardo perso immerso nel verde che tanto ho amato, o sulle scale mobili, in corsa verso chissà quale destinazione.

Dopo di lui non c'è stato più nessuno per me. Mentre la sua vita si è ravvivata del giallo grano dei capelli del suo nuovo ragazzo, la mia, tinteggiata di fresco di pervinca, va allo sbando.

Scuoto la testa, e Axel scompare. Non è realmente qui, è solo la mia mente che mi gioca un brutto scherzo.

Magari leggere mi aiuterà a distrarmi. Prendo il libro dalla borsa per l'ennesima volta, rileggendo le ennesima sei righe prima di essere interrotto di nuovo. Ma stavolta da qualcosa di diverso.

Lo sento arrivare prima ancora di vederlo, con la carica elettrica di nubi temporalesche. È una sensazione sulla pelle mai provata prima, che si accappona all'improvviso facendomi rabbrividire.

Mi guardo intorno, spaesato, nudo di fronte a quella strana, nuova sensazione, finché non mi rendo conto che a provocarla è uno sguardo, uno sguardo d'oro tagliente, che mi osserva dall'altra parte del bar.

Lo sguardo appartiene ad un uomo, seduto su di uno sgabello al bancone, una tazzina di caffè tra le mani. Come una Viola Black Moon in una serra di colori, spicca silenziosamente sullo sfondo. La pelle è scura, in contrasto con quegli occhi d'oro così come con i capelli, di un argento finissimo lunghi sulle spalle. I lineamenti fieri lo fanno sembrare una statua, irta a protezione di un tempio sacro.

Per un attimo mi convinco che non stia guardando me, ma attraverso me, come fosse sul punto di balzare su qualcosa accucciata alle mie spalle. Poi realizzo che non c'è nient'altro da guardare: l'oro non mente, e brilla nella mia direzione.

Confuso e inaspettato il battito del mio cuore accelera, e sono veloce a distogliere lo sguardo, come se nulla fosse, mantenendo un'espressione disinteressata mentre prendo un altro sorso di caffè.

È strano come la mente segua i suoi pensieri, e adesso mi chiedo se la sua pelle ha lo stesso sapore del caffè.

Mi ritrovo a leccarmi lentamente le labbra, disegnando ad occhi socchiusi i lineamenti di quelle spalle.

Scuoto di nuovo la testa, e quando alzo gli occhi la Viola Black Moon è sparita. Forse l'ho immaginata.

Essere scrittori fa perdere il senno, un giorno mi ritroverò a paragonare uomini a fiori e a sognare ad occhi aperti i loro corpi nudi, prima ancora di rendermene conto. Esattamente come adesso.

Forse deluso, forse solo gelato dalla realtà, torno a immergere il naso nella tazza di caffè, salvo poi accorgermi del vago riflesso che vi si specchia dentro.

Prima ancora che io possa tradurlo in immagini, una voce mi fa sobbalzare.

« Posso sedermi? »

Profonda, vibrante, una corda di violoncello tesa al punto giusto. Sento il cuore accelerare di nuovo.

È la Viola Black Moon, il suo sguardo d'oro su di me, una mano guantata poggiata quasi per caso sullo schienale della sedia di fronte alla mia.

« Prego. »

Riesco a dire, e non so quale parte di me sia riuscita ad emettere quella parola.

Nell'eleganza con cui l'uomo prende posto vedo il danzare dei petali della viola in una notte scura, mentre i capelli argentei brillano di riflessi lunari.

« Io la conosco. »

Continua la Viola Black Moon, e sento il mio volto contrarsi in una smorfia.

Decenni e decenni di pessime sceneggiature di film d'amore tornano alla mente.

Quante volte ho visto questo scenario, quante volte ho visto questo approccio. Forse la Viola si maschera soltanto da fiore.

Sto per rispondere che è impossibile, che non può conoscermi, quando le sue labbra – così morbide, sembrano così morbide ora che posso vederle da vicino – si piegano in un sorriso.

« Saïx. Saïx Karalis. Lo scrittore. »

Il mio nome, pronunciato da quelle labbra, assume sfumature che non avrei mai immaginato.

È come se davvero mi conoscesse, e non solo come “Saïx Karalis lo scrittore”, ma come se prima di adesso avesse vissuto cento, mille vite inseguendomi, e solo in questa fosse finalmente riuscito a raggiungermi.

Lo scrittore, certo, che idiota. Deve aver letto il mio libro. Non sarebbe neanche la prima volta che qualcuno mi indica allo stesso modo o mi mostra una copia del libro. No, beh, non mi è neanche capitato così spesso, ma non dovrei sorprendermi. O forse continuo a non accettare di essere uno scrittore emergente pseudo famoso.

Cos'è che ho pensato un attimo fa?

Mille vite inseguendomi?

Devo avere la mente confusa.

« Oh, sì, certo. »

Commento, un po' più asciutto e sterile di quanto vorrei, mentre gli occhi della Viola brillano, più taglienti che mai.

Qualcosa dentro di me sta subendo un attacco feroce, e non riesco a difendermi.

« Ho visto il suo libro su tutti gli scaffali, sta avendo successo. »

« Un discreto successo, sì. »

Solo un lettore curioso. Un viaggiatore come tanti in attesa del suo volo che ha accidentalmente incontrato una persona conosciuta. Quando tornerà a casa potrà raccontarlo a tutti e probabilmente sarà il momento più alto della sua giornata.

No, non suona, non coincide con quello sguardo, con quei lineamenti, con il corpo teso verso di me senza però toccarmi. Non è solo un lettore curioso. Né è come tanti altri.

« Fa il modesto, signor Karalis? »

Sussurrato quasi, quella corda di violoncello che è la sua voce vibra un tono più basso. Mi sento rabbrividire, come se ci fosse un altro nella mia pelle a farlo per me.

« La prego, può darmi del tu. »

« Solo se fa lo stesso. »

Perché improvvisamente mi sento tornato ragazzino, con l'imbarazzo nascosto dietro una ciocca di capelli portata velocemente dietro l'orecchio e lo sguardo indeciso che passa da mani, a labbra, a occhi, a...

Annuisco, abbastanza bruscamente da sembrare uno stupido, e mi maledico per non essere altrettanto bravo a parlare. Le parole si traducono in frasi di senso compiuto solo quando scrivo.

« Xemnas. » dice, portandosi una mano al petto come in un mezzo inchino. Trovo affascinante il suo modo di muoversi. Da un'importanza ad ogni gesto, misura ogni movimento, neanche fosse fatto d'ombre sul punto di svanire. « Anche il tuo volo è in ritardo? »

Prima di capire che mi ha rivolto una domanda ho dovuto aspettare di finire di guardare come si toglie i guanti di pelle. Le dita che si toccano tra loro, quasi inavvertitamente, la stoffa che fruscia, le sue iridi sotto le palpebre appena abbassate che mandano bassi bagliori.

« Sì, di tre ore. »

« E così il mio. » alza lo sguardo sfiorando il mio corpo, e avverto un brivido prima che lui si soffermi a guardare il vento che spinge i fiocchi di neve contro le vetrate. « Immagino che lo siano tutti, con questo tempo. »

L'istinto di voltarmi a guardare quello che sta guardando lui è fortissimo, mi trattengo a stento. Sembra un bellissimo spettacolo attraverso i suoi occhi. Eppure, ho la netta sensazione che la neve su di lui, così bianca e pura, finisca con il diventare rosso sangue.

« Beh, ti ho rubato abbastanza tempo. Non vorrei disturbarti oltre. »

No! Rimani. Non andartene.

E invece gli rivolgo un sorriso di cortesia mentre lui si alza. Prende i guanti e li infila nella tasca della giacca.

« Ti auguro buon viaggio, Saïx. »

« Altrettanto. »

Con voce strozzata, è già un traguardo che io sia riuscito a spiccicare parola.

Lo guardo alzarsi e allontanarsi, il cappotto nero ondeggia lungo il suo corpo in una danza di petali di viola, i capelli argentei illuminano la sua notte.

Non mi ero reso conto di stare trattenendo il fiato, perché adesso il petto mi fa male e respiro a stento. Mi sembra di aver appena perso il mio cuore.

Seguo la figura di Xemnas tra la folla, stirando il collo più che posso, finché...finché non mi alzo.

Raccolgo velocemente le mie cose e corro, volo, seguo la sua scia argentea.

Mi sembra quasi di sentire i suoi passi, diversi dalle centinaia di migliaia di altri, mi sembra di vedere solo lui, girato tutti gli angoli, dietro ogni persona, in fondo ad ogni corridoio.

Mi ritrovo ansimante a cercarlo ovunque, ma si è come dissolto nel nulla, tornando nel buio da cui è nato.

Avrei dovuto fermarlo prima, avrei dovuto...avrei potuto...

Eccolo!

Il cuore sobbalza, allora tutto sommato non l'ho ancora perso.

Quasi corro verso di lui, mugugnando versi di scusa per le persone che ho investito nella mia corsa.

A malapena noto un cartello “out of order” prima di infilarmi in un bagno deserto e semibuio.

Mi arresto quando la porta si chiude alle mie spalle. I rumori della vita che continua, fuori, sono così soffusi da assere appena udibili, come se quella porta avesse abbassato drasticamente il volume.

Non ho il tempo di chiedermi come mai le luci siano quasi del tutto spente e perché non ci sia nessuno, perché mi sento afferrare per un braccio e sbattere contro il muro.

Vorrei urlare, più per la sorpresa che per lo spavento, ma una mano grande si preme sulle mie labbra, strozzando sul nascere qualunque tentativo.

L'adrenalina inonda all'improvviso il mio corpo, tanto che mi sento percorrere da un brivido gelido e poi caldo, e sono già pronto a lottare, a scalciare, a ribellarmi con tutte le mie forze.

Ma poi due occhi d'oro si fissano nei miei, e gli arti diventano come di ghiaccio, e tutto ciò che posso fare è rimanere a fissare il predatore che ha appena messo all'angolo la preda.

La sua mano sulle labbra non sa di caffè, il suo profumo è mille volte più assuefacente, più piccante, qualcosa che non ho mai sentito prima.

Le sue labbra si tendono in un sorriso, ed è abbastanza sicuro che non urlerò perché abbassa la mano, dandomi la possibilità di parlare per...un battito di ciglia.

Sto per chiedergli che cosa sta facendo e perché, ma le sue labbra hanno raggiunto le mie.

Sono straordinariamente morbide, proprio come avevo pensato. Il suo sapore è diverso da qualsiasi altra cosa abbia mai provato.

Non penso più, la sua mano tra i capelli ha come staccato la spina alla coscienza.

Non c'è niente che conti come le mani di quello sconosciuto sul mio corpo.

Mai prima d'ora sento il bisogno di ridere.

È tutto come nel mio romanzo.

Alessandro Magno ed Efestione, sulla collina dove sorge Troia.

Soffoco le risa contro le sue labbra, le sue belle labbra, e la sua mano si insinua sotto la mia maglia.

La pelle scotta, si accappona, respiro a piccoli singhiozzi.

Mi sento così assurdamente eccitato da provare vergogna e lui sa dove toccarmi per farmi sobbalzare

Dove ha trovato una così accurata mappa del mio corpo, perché si muove su di me come in terra già battuta.

Rovente, il suo tocco scivola sui miei fianchi, e mi spinge contro di lui.

Boccheggio, imbarazzato come un ragazzino, come alla mia prima volta.

Cerco i suoi occhi e scorgo il suo sorriso. Blando, storto, appena accennato. Perché ho come l'impressione che voglia divorarmi?

Torna a baciarmi, con più foga, la lingua che si infila tra le labbra e trova subito la mia per intrecciarvisi contro.

Poi si allontana, e mi manca quasi l'aria, faccio per avvicinarmi a lui, ma le sue labbra sono scese sul mio collo, a mordere, forte, tanto da farmi gemere.

Non ho mai provato dolore più piacevole di questo.

Ogni qual volta provo a toccarlo, lui morde, e sento la carne pulsare nel profondo come dopo il morso di un serpente velenoso.

Mi lascerà il segno, come se ci fosse bisogno di lasciarmene uno fisico.

Il sangue mi pulsa furioso nelle orecchie e lo lascio fare.

Mi spoglia lentamente, attento, esattamente come quando si è sfilato il guanto. Un gesto calcolato in cui mi sfiora appena, e il mio corpo trema, desiderando di più. Ma ho paura a spingermi contro di lui, paura del dolce dolore che potrebbe infliggermi.

Il terrore di essere scoperti aumenta solo di più l'eccitazione, eppure il mio guardo si sposta verso la porta, ansioso. Lui mi costringe a voltare il viso verso di lui, afferrandomi saldamente.

« Non verrà nessuno. »

Bisbiglia, e suona come una meravigliosa condanna.

Poi le sue dita scivolano sulle mie labbra e per quanto lo trovi vergognoso...non riesco a non prenderle in bocca e cominciare a succhiare piano.

Non riesco a sostenere il suo sguardo e allora serro le palpebre, mentre con la lingua percorro le sue dita.

« Guardami. »

È il suo sussurro, e non posso fare a meno di tornare ad aprire gli occhi. Un brivido mi scuote da capo a piedi, non è né la prima né l'ultima volta, soprattutto perché, all'improvviso, la sua mano è tra mie gambe.

Inaspettato il mio inarcarmi contro di lui, come a volerlo sentire di più, sempre di più, mentre la sua sommessa risata gorgogliante mi fa accapponare la pelle.

Non riesco a decifrare il suo sguardo, ma qualcosa di brillante e crudele si accende sul fondo dei suoi occhi dorati.

Il fiato che prendo si mozza in gola quando mi costringe faccia al muro, il suo corpo straordinariamente muscoloso premuto contro il mio.

Con il campo visivo ridotto non riesco a vederlo, ed è un vero peccato, perché sento che deve essere uno spettacolo meraviglioso.

Torna a baciarmi il collo solo per darmi l'illusione del piacere, perché poi mi morde e non c'è scampo al dolore.

Sento che potrei perdermi, e già una parte di me è stata estirpata a forza, o forse solo uccisa dal suo veleno.

Poggia le mani sui miei glutei nudi e stringo i denti prima che mi penetri con una spinta del bacino.

Trattengo il fiato, stringo gli occhi, mi mordo la lingua per non urlare. Non è solo il dolore, no, è l'immenso, soverchiante piacere.

Devo aggrapparmi al muro per non perdere l'equilibrio, sebbene sarebbe impossibile con le sue mani così saldamente strette intorno ai miei fianchi, eppure mi tremano così tanto le gambe.

In un attimo senti i suoi sospiri caldi all'orecchio, la sua stretta farsi graffiante, la pelle scorticarsi al suo passaggio.

Mi sento gemere senza ritegno mentre lui spinge contro di me, non riesco a impedirmelo.

Madido di sudore caldo l'unica cosa che riesco a sentire è il suo corpo contro il mio, il suo respiro ansante, sempre più veloce.

Mi pianta le unghie nei fianchi e ringhio, un suono così non credo di averlo mai emesso. Sembra divertirlo, perché continua ancora e ancora, ed io continuo ancora e ancora a ringhiare come se non avessi mai smesso.

Nelle sue mani posso essere quello che desidera.

Spinge con più foga, sento la sua urgenza, così come sento la mia, e il piacere che cresce tanto da essere insopportabile.

Lancerei uno strillo se non fosse per la sua mano di nuovo contro la mia bocca, che preme tanto quasi da soffocarmi, quando raggiungo l'orgasmo inarcandomi contro di lui.

Lo sento spingere ancora una volta prima di raggiungermi, ma non posso neanche rendermi contro di ciò che è appena successo perché lui mi spinge a terra, violentemente, e mi è sopra in un istante.

Le sue labbra sono dappertutto e la foga crescente è quella di un animale affamato.

Mi divorerà fino all'ultimo boccone.


 

*


 

« Si prega di allacciare le cinture, vi auguriamo buon viaggio. »

Distrattamente le mani allacciano la cintura.

Fuori dal finestrino tutto è coperto di neve, ma la tempesta si è calmata.

Il corpo mi fa male, sento fisicamente le sue mani addosso. A malapena posso toccarmi il collo.

Il motore gorgoglia sotto i sedili, e tutto traballa un po' quando l'aereo comincia a muoversi.

Tre ore di ritardo. Non pensavo che sarei mai riuscito a desiderare di ritardare ancora.

Al decollo lo stomaco sprofonda verso il basso con una capriola, per poi tornare al suo posto, la pressione mi schiaccia contro il sedile. Le nuvole bianche avvolgono l'aereo ancora prima di essere ad altezza crociera.

C'è solo bianco, bianco ovunque, ed io non riesco a smettere di pensare ad occhi dorati e Viola Black Moon. 

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The Corner 

Cara FanNumeroUno,
mi dispiace di averti mentito 
non stavo studiando
stavo scrivendo,
scrivevo questa per l'esattezza.
Se non ti è piaciuta sei liberissima di arrabbiarti con me.

Non sono riuscita a scrivere una shot xemsai per il 07/01 
per ho pensato:
cosa meglio del 17/01/2017 per una storia xemsai? 
Oh c'è meno angst del solito, lo ammetto,
ma chi lo sa, magari non è così tanto male.

Chii

ps. all'inizio di questo testo troverete un brevissimo paragrafetto tratto da "La Psichiatra" di Wulf Dorn 
Vi consiglio di leggerlo, bellissimo libro, di cui ovviamente non posseggo la proprietà e che è solo una libera citazione. 
 

   
 
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