Note
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Numero parole (con il contatore Utelio): 499, note e titolo eslcusi.
Mia amata Clara
II
«Grande Giove!» Emmet spalancò
improvvisamente gli occhi e si rese conto
che era stato tutto un incubo. Clara dormiva di fianco a lui avvolta
nelle
lenzuola, i riccioli castani sparsi sul cuscino, il viso sereno e le
labbra
leggermente imbronciate. Si alzò lentamente, facendo
attenzione a non
svegliarla e andò in cucina a prepararsi una tisana.
Da quando aveva iniziato a
fare incubi tanto angosciosi? Generalmente sognava cose
più tranquille: aggeggi
futuristici che aspettavano solo lui per essere inventati.
Certo, non tutte le visioni
che gli si palesavano erano comprensibili: gran parte
delle
volte – per non dire tutte le volte – che tentava
di creare ciò che aveva
visto, finiva per fare un buco nell’acqua. Forse interpretava
male gli indizi,
chissà. Solo il flusso canalizzatore
aveva funzionato
perfettamente, consentendogli di realizzare la macchina del tempo.
Ah, il tempo. Se gli uomini
sapessero che cos’è veramente il tempo! Passato,
presente e futuro, direte voi?
All’inizio lo credeva anche lui, ma poi si era reso conto che
quella visione era
limitata.
Spense il fornello e mise
nell’acqua bollente due cucchiaini di tiglio esiccato.
Aspettò qualche minuto,
poi si mise a sorseggiare la tisana guardando la notte stellata dalla
finestra
della cucina.
Si era messo a studiare
più
a fondo la quarta dimensione dopo aver trascorso qualche anno nel 1885
con
Clara. Non che gli dispiacesse stare lì, sia chiaro.
Indubbiamente Martin gli
mancava, ma nel contempo si sentiva sollevato sapendolo a casa a
riprendere la
sua normale vita. Quanto a lui, aveva sempre voluto vivere nel vecchio
west, e
la presenza della donna che amava rendeva le giornate ancora
più significative.
Poi era nato Giulio e l’anno dopo Verne: due graziosi
fagottini dai capelli
biondi. Aveva desiderato fare qualcosa per regalare loro il miglior
futuro
possibile, così, se in un primo momento aveva pensato di
stabilirsi nel 1885
per sempre, poi aveva ripreso a svolgere calcoli su calcoli, in cerca
di
qualcosa che sembrava sfuggirgli.
Era stato più volte
tentato
di lasciar perdere: se non fosse stato per gli incoraggiamenti di
Clara,
probabilmente avrebbe rinunciato e si sarebbe occupato
d’altro. Dunque, se era
riuscito a risolvere l’arcano, era tutto merito di quella
donna e non passava giorno
senza che la ringraziasse e le ricordasse quanto si sentisse fortunato
ad
averla incontrata. Quella dimensione nella dimensione, in cui si erano
finalmente
stabiliti, era un limbo misterioso da esplorare giorno per giorno.
Terminò di bere la
tisana
guardando oltre la finestra: la locomotiva
a vapore parcheggiata in giardino appariva come una sagoma oscura, parzialmente
illuminata dalla luce di
un’enorme galassia a spirale dalle tonalità
azzurre. Di giorno, verso
l’orizzonte sorgeva un pianeta smeraldino. Avrebbe potuto
scattare una foto da
portare a Martin, ma infine pensò che gli avrebbe fatto
più piacere qualcosa
che gli ricordasse la loro avventura nel vecchio west.
Un fruscio di stoffa lo
distrasse dai suoi pensieri. Clara avanzò verso di lui e gli
si sedette sulle
ginocchia con un sorriso malizioso. Si scambiarono uno sguardo di
intesa, poi
lui la prese in braccio e tornarono assieme in camera.
Questo racconto © Monique Namie è distribuito con Licenza
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