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Autore: gattina04    21/01/2017    2 recensioni
È un momento tranquillo ed Emma ha tutto ciò che ha sempre cercato e voluto; non c’è niente che possa desiderare, nemmeno il giorno del suo compleanno, ad eccezione di un piccolo insignificante rammarico. E sarà proprio quel pensiero a stravolgere completamente la sua esistenza catapultandola in un luogo sconosciuto, popolato da persone non così tanto sconosciute. E se ritrovasse persone che pensava perse per sempre: riuscirà a salvarle ancora una volta?
E cosa succederà a chi invece è rimasto a Storybrooke? Riusciranno ad affrontare questo nuovo intricato mistero? E se accadesse anche a loro qualcosa di inaspettato?
Dal testo:
"Si fermò e trasse un profondo respiro. «Benvenuta nel mondo delle anime perse Emma»."
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Robin Hood, Un po' tutti
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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1. Desiderio di compleanno
 
Era tutto tremendamente buio, freddo e lontano, era un posto che non avevo mai visto prima: metteva i brividi. Non era qualcosa di tangibile, era come una sensazione che ti faceva accapponare la pelle e salire i brividi lungo la schiena. Non mi sarei mai voluto trovare lì per nessuna ragione al mondo; tutto il mio corpo mi gridava a gran voce di scappare. Eppure i miei piedi continuavano a restare ben saldati a terra, come se avessi perso ogni facoltà di muovermi.
«Emma sei qui?», mormorai titubante. La mia voce sembrò rimbombare e perdersi nell’infinità di quel luogo. Nessuna risposta mi giunse all’orecchio, lasciandomi una strana sensazione di inquietudine. Mi guardai intorno cercando di distinguere qualcosa, qualsiasi cosa che non fosse basato sul mio sesto senso.
All’improvviso, però, fui colto dalla consapevolezza di non essere realmente in quel luogo; cioè non ero io ad essere lì, era come se invece vi stessi cercando qualcuno. Ma chi mai poteva stare in un posto che emanava solo sofferenza e solitudine? La risposta alla mia domanda mi apparve subito ovvia dopo averla formulata nella mia mente. Nessuno poteva rimanere lì di sua spontanea volontà, doveva trovarsi come imprigionato, senza alcuna possibilità di fuga.
Poi a poco a poco qualcosa cambiò, o meglio la scena cambiò. Ero di nuovo sulla Jolly Roger, al sicuro, ma c’era qualcosa di strano, qualcosa che non tornava. Tenevo tra le braccia una piccola bambina bionda, una tenera e vivace neonata. Il modo in cui la tenevo, in cui lei mi guardava, faceva presupporre un legame intenso tra me e quella creaturina.
Era una scena talmente paradossale che sentii lo stomaco attorcigliarsi. Ero Capitan Uncino, sicuramente una figura difficilmente associabile alla parola “padre”; eppure quella bambina aveva una somiglianza incredibile con Emma. Chi altro sarebbe potuta essere?
Sentii il cuore partire all’impazzata, mentre la mia mente andava a mille e il panico cresceva dentro di me. Tre parole continuavano a ronzarmi nella testa: “non sono pronto”. Non ero preparato a tutto quello, non ero mai stato padre e non mi ero mai dovuto occupare di un bambino, o meglio di un neonato. Era ovvio che avessi pensato all’idea di avere dei figli con Emma, ma data la velocità con cui progrediva la nostra storia, non mi ero aspettato niente di così immediato.
“Non adesso, non ancora, non sono pronto”.
All’improvviso però un’idea rassicurante si fece breccia tra il panico che mi aveva completamente raggelato. Quella scena non poteva essere reale, era senza senso: una gravidanza durava nove mesi, non c’era niente di così improvviso. Era solo un sogno che al risveglio mi sarebbe sembrato ridicolo. Era ovvio che dovesse essere solo di un sogno ma per un attimo mi chiesi se non poteva trattarsi anche di qualcosa di più.
 
Il rumore di qualcuno che si agitava accanto a me, mi svegliò nel cuore della notte. Killian non si muoveva quasi mai quando dormiva e quella differenza fu sufficiente a ridestarmi dal mondo dei sogni e a riportarmi alla realtà. Mi rigirai verso di lui, cercando di distinguere qualcosa nell’oscurità.
«Killian?». Riuscii a scorgere la sua figura seduta sul letto proprio accanto a me. «Stai bene?».
Le sue spalle si alzavano e si abbassavano, segno evidente che aveva il respiro affannato. «Sì», balbettò. «Mi dispiace di averti svegliata».
«Che cosa è successo?». Mi sedetti anch’io e con un gesto della mano accesi le luci nella stanza. Certe volte saper usare la magia era davvero comodo.
«Niente». Mi avvicinai a lui, accarezzandogli una guancia; a quel mio contatto chiuse gli occhi, cercando di rilassarsi. Aveva la pelle velata di sudore e aveva ancora il respiro corto.
«Hai fratto un brutto sogno?», gli domandai passandogli le dita nei capelli. Era davvero strano vederlo perdere il controllo per così poco, ma del resto dovevo ancora abituarmi a molto di lui. Era la prima volta che lo vedevo alle prese con un incubo, di solito ero io quella che faceva brutti sogni.
«Sei incinta?», mi chiese all’improvviso. La domanda mi lasciò del tutto basita al tal punto da credere di aver capito male.
«Come scusa?». Mi sistemai meglio, sedendomi sulle ginocchia e lo guardai confusa.
«Oddio perdonami, devo suonare ridicolo». Si passò la mano tra i capelli ributtandosi giù disteso.
«Mi vuoi spiegare cosa succede? E perché mi hai chiesto se sono incinta?».
«Beh lo sei?». Non stava rispondendo alla mia domanda ed iniziava a farmi innervosire.
«Certo che no», proruppi. «Cosa diavolo te lo fa pensare?».
«Beh non lo so, non è che siamo stati molto attenti». Lo sapevo benissimo, come sapevo con altrettanta certezza che non ero in stato interessante.
«Non aspetto nessun bambino Killian, ne sono certa. Adesso sarà bene che tu mi dia qualche spiegazione prima che mi arrabbi sul serio».
«D’accordo». Si posò il braccio sugli occhi, nascondendomi così la sua espressione, ma almeno si decise a parlare. «Ho un fatto un sogno molto strano, prima ero in un luogo che metteva i brividi. Beh non so se ci ero veramente o se tu eri lì, e poi mi sono ritrovato con una bambina tra le braccia. Mi è preso il panico e mi sono svegliato con le palpitazioni». Sentirgli dire che si era spaventato era un evento più unico che raro, ma almeno adesso le sue domande avevano un senso.
«Ti sei impaurito all’idea di poter aver un figlio?», conclusi e senza volerlo scoppiai a ridere.
«Ehi!». Si tolse la mano da sopra il viso per lanciarmi un’occhiataccia. «Cosa ci trovi di tanto divertente?».
«Oddio», ridacchiai, «non sto ridendo di te. È solo che… beh è davvero un sollievo». Mi distesi di nuovo anch’io, mentre lui non aggiunse altro aspettando che fossi io ad andare avanti con le mie spiegazioni.
«Oh Killian di solito sono io quella che si agita e si fa prendere dal panico. Se ci abbiamo messo così tanto per riuscire ad arrivare a questo punto nella nostra relazione buona parte è per colpa mia. È davvero un sollievo sapere che per una volta anche tu non sei così dannatamente maturo per quanto riguarda il nostro futuro».
«Non è che non voglia», borbottò a mezza voce. Avevo capito anche se non aveva specificato.
«Lo so, ma è davvero confortante sapere che se adesso fossi davvero incinta non sarei l’unica a dare in escandescenze».
«Anche tu sei terrorizzata all’idea?». Sapevo cosa mi stava domandando anche se non me l’aveva chiesto direttamente.
«Adesso sì, ma probabilmente tra un po’ di tempo potrei sentirmi… anzi potremo sentirci pronti».
«D’accordo». Voltò la testa per guardare l’ora sulla sveglia del suo comodino e subito dopo si girò verso di me, mettendosi su un fianco e appoggiando la testa alla mano. Mi girai anch’io, mentre con l’uncino mi sfiorava un fianco da sotto le coperte.
«Sono ufficialmente un pessimo fidanzato», dichiarò. Lo guardai perplessa aspettando che si spiegasse. «Non solo ti ho svegliata nel cuore della notte, ma mi sono anche dimenticato di farti gli auguri». Feci una smorfia capendo dove volesse andare a parare.
«Beh non mi hai fatto aspettare mezzanotte, ma adesso posso dirtelo: buon compleanno Emma. Tanti auguri amore».
«Grazie», sussurrai appena. Non amavo particolarmente il giorno del mio compleanno, ma era comprensibile visto che l’avevo passato per la maggior parte della mia vita da sola.
«Guardiamo se riesco a farmi perdonare». Si avvicinò, portandosi sopra di me e baciandomi dolcemente. La reazione del mio corpo fu istantanea e decisamente esagerata. Le mie labbra si schiusero in modo tale che la sua lingua potesse incontrare la mia, le mie mani iniziarono a risalire su lungo la sua schiena, insinuandosi sotto la maglia del pigiama; le mie gambe si intrecciarono alle sue, costringendolo a non lasciare neanche un centimetro di distanza tra i nostri corpi, col piede gli accarezzai il polpaccio, sollevandogli i pantaloni del pigiama. Quando la sua bocca si spostò lungo il mio collo, depositando una scia di roventi baci, la mia mente si scollegò del tutto e un gemito di piacere mi uscì dalle labbra.
«Bene», sussurrò prima di baciarmi sulla bocca un’ultima volta per poi staccarsi e tornare al suo posto. Lo fissai imbronciata per quel repentino cambiamento e lui scoppiò a ridere.
«Aspetta Swan», mi disse accarezzandomi con l’uncino. «Adesso è il momento del tuo regalo».
Feci una smorfia sentendo la parola “regalo”, ma fui pronta a ribattere. «Beh spero che almeno preveda la presenza di un pirata nudo nel mio letto».
Rise e il mio cuore partì a mille. Amavo tremendamente la sua risata, ogni volta mi faceva sentire le farfalle nello stomaco. «Quella tesoro è la seconda parte, dovrai avere un po’ di pazienza». Per tutta risposta gli feci una linguaccia incrociando le braccia al petto; era un gesto infantile, ma lui mi aveva fatto infiammare, lasciandomi poi a bocca asciutta.
«Sii paziente. Lo so che mi avevi detto di non volere regali, ma è il tuo compleanno». Si era messo seduto e con le dita mi stava sfiorando il labbro. Non ero infastidita per il regalo in sé, sapevo benissimo che non mi avrebbe dato ascolto; era una vecchia abitudine quella di non voler festeggiare ed era difficile togliermela di dosso. E poi si aggiungeva il fatto che in sua presenza fossi del tutto preda del mio corpo; era irritante non riuscire a controllare i miei istinti quando lui iniziava a baciarmi in maniera un pochino più spinta.
«E va bene», sospirai, mettendomi anch’io a sedere. «Dammi questa sorpresa».
Il suo sorriso si allargò, i suoi occhi si fecero ancora più chiari e qualsiasi irritazione avessi provato nei suoi confronti si sciolse come neve al sole. Aveva un tale effetto su di me, tanto che bastava uno sguardo che io perdevo del tutto le mie facoltà mentali.
«Prima però», aggiunse intrecciando la sue dita alle mie, «devi promettermi che non darai di matto».
«Cosa?». Avevo urlato e mi costrinsi ad abbassare il tono, visto che eravamo nel cuore della notte. «Potrei dare di matto?».
«Beh sì». Mi lanciò uno sguardo colpevole da sotto le folte ciglia nere. Sapeva benissimo il potere che i suoi occhi avevano su di me, stava giocando sporco, ma io non mi sarei fatta abbindolare.
«Hook!», gemetti.
«Beh Swan devi solo promettermi che non andrai fuori di testa subito, ma che mi lascerai spiegare. Andrà tutto bene tesoro ne sono sicuro, devi solo lasciarmi parlare». Non capivo cosa dovesse andare tutto bene, ma non mi restava altro che acconsentire. Non avevo molta scelta.
«D’accordo lo prometto», mormorai incrociando le braccia al petto. Il sorriso che gli comparve sulla faccia, mi fece di nuovo dimenticare di tutto. Avrei dato qualsiasi cosa pur di vederlo sorridere così sempre.
Si girò e prese qualcosa dal cassetto del comodino. Quando tornò a guardarmi, notai che nella mano stringeva una piccola scatolina di velluto. Il mio cuore perse un colpo e poi iniziò a battere all’impazzata; lo sentivo martellarmi nelle orecchie mentre realizzavo quello che stava succedendo. Era una scatolina troppo grande per contenere dei semplici orecchini e allo stesso tempo troppo piccola per contenere qualsiasi altro gioiello. Era ovvio che ci fosse un anello dentro, non c’era altra possibilità.
Quando nel mio cervello si fece strada la consapevolezza che mi stesse chiedendo di sposarlo, entrai nel panico. Me lo stava davvero chiedendo il giorno del mio compleanno? Oh mio Dio!  Eravamo davvero pronti per quel passo? Certo ormai convivevamo da un po’, eravamo una coppia stabile, ma l’idea di un matrimonio, di un qualcosa di così solenne…
Era ovvio che l’avrei voluto sposare un giorno, ma così su due piedi era tutta un’altra storia. E proprio lui che pochi minuti prima era entrato nel panico all’idea di avere un figlio, adesso mi chiedeva di sposarlo? Era paradossale!
«Calma Emma, respira». Non mi ero accorta di aver trattenuto il fiato, ma probabilmente era così visto che lui stava studiando attentamente ogni mia reazione. Feci un respiro profondo, trovando la forza di alzare lo sguardo da quella scatolina e riportarlo su di lui. I suoi occhi erano così chiari e così tranquilli, sembrava che quella mia reazione non l’avesse per nulla sorpreso.
«Io… io…». Tentai di articolare una frase ma non ci riuscii.
«Tranquilla Swan». Mi tese la scatolina in modo tale che la potessi prendere. Sentii le dita formicolare mentre afferravo quel piccolo astuccio di velluto. «Perché adesso non lo apri e ascolti quello che ho da dire?».
Il mio primo istinto sarebbe stato scappare o come minimo iniziare a camminare urlando per la stanza. Ma gli avevo promesso di non dare di matto, ed io mantenevo sempre la parola data. Con molta fatica, andando contro ai miei istinti, aprii la scatolina. Come avevo immaginato all’interno c’era un anello: era bellissimo, semplice e stupendo, un diamante senza particolari rifiniture. Era sorprendentemente adatto a me, eppure sentivo ancora crescere la paura.
«Io… Killian…», tentai di nuovo, ma questa volta fu lui a fermarmi.
«Lasciami spiegare Emma». Mi prese la mano libera con la sua, stringendola forte, mentre i suoi occhi si incatenavano ai miei. «Non ti sto chiedendo di sposarmi Emma, o meglio non te lo sto chiedendo adesso. Non voglio nessuna risposta da te in questo momento, né voglio che tu ci pensi ora. Questo anello è come un promemoria».
«Un promemoria?», mormorai sbattendo gli occhi.
«Sì, perché un giorno Emma ti sposerò. È questo quello che ti aspetta, non ci sono alternative. So che adesso l’idea ti spaventa, come d’altronde qualsiasi novità nella nostra relazione».
«Questo non è vero», ribattei.
Lui alzò un sopracciglio e mi fisso con uno sguardo che fece vacillare qualsiasi mia certezza. «Beh Emma ci stiamo andando piano, stiamo andando al rallentatore e questo per la maggior parte è dovuto a te». Sapevo che era vero, però non pensavo che per lui fosse un peso.
«Questo ti da fastidio? È un problema per te?».
«No Emma, certo che no». Mi scostò una ciocca di capelli con l’uncino portandomela dietro l’orecchio. «È per questo che ti sto dando questo anello adesso».
«Non capisco».
«Così avrai tutto il tempo di prepararti all’idea di diventare mia moglie. Così quando te lo chiederò, perché un giorno te lo chiederò di nuovo Emma, tu mi risponderai di sì senza nessuna esitazione. E lo sai perché non esiterai? Perché avrai avuto tutto il tempo di capire che per noi due non c’è nessun’altra possibilità oltre allo stare insieme per sempre. E quale modo migliore e più tradizionale se non sposarsi?».
Per la prima volta da quando avevo visto quella scatolina riuscii a sorridere. Il mio cuore rallentò anche se le sue parole erano riuscite a farmi emozionare. Avevo capito cosa intendeva e la cosa mi andava più che bene, anzi era in qualche modo giusto. Killian ci sapeva proprio fare quando ci si metteva. Il suo era stato un gesto molto dolce; avrebbe mai smesso di sorprendermi in quel modo? Speravo proprio di no.
«Grazie», sussurrai rivolgendogli il mio migliore sorriso. «Questa è la migliore non proposta che io abbia mai ricevuto».
Ridacchiò, accarezzandomi il dorso della mano con il pollice. «Sono contento che tu abbia capito».
«Ti amo», mormorai baciandolo.
«Ti amo anch’io». Mi fece di nuovo distendere, portandosi sopra di me. Ci baciammo dolcemente e lentamente, assaporandoci l’un l’altro. Lasciai perdere l’anello, iniziando ad accarezzargli la schiena, toccando ogni suo muscolo, ogni centimetro di pelle, mentre lui faceva lo stesso con me.
«Credo», sussurrò ad un centimetro dalla mia bocca, «di potermi riprendere questo per il momento». Stringeva nella mano la scatolina che io avevo sbadatamente lasciato andare. «Come promesso niente regali per te Swan». Sorrisi e lo baciai di nuovo, non riuscendo più a resistere ai miei istinti.
«Ovviamente», si fermò di nuovo per poter riporre l’anello al suo posto nel comodino, «stiamo parlando di regali materiali». Posò la mano, finalmente libera, sul mio fianco, tirandomi su la maglietta del pigiama. Le mie mani erano già alle prese con i suoi pantaloni.
«Perché Swan», continuò accarezzandomi il seno e stuzzicandomi un capezzolo, «ho tutta l’intenzione di regalarti uno degli orgasmi più potenti che tu abbia mai avuto in tutta la tua vita». Un fremito mi risalì dal basso ventre, incendiandomi. Se prima ero accaldata, adesso stavo andando letteralmente a fuoco.
La voce mi uscì arrochita dal desiderio quando gli risposi. «Beh era l’ora Capitano».
 
Ovviamente chiedere a mia madre di non organizzare niente era stato del tutto inutile. Come poteva Biancaneve non festeggiare il compleanno della sua meravigliosa figlia? L’unica consolazione era il fatto che fossi riuscita a contenere la sua esultanza, limitandola ad organizzare una piccola festicciola in famiglia al loft. C’erano comunque troppi invitati e troppi regali da scartare, ma non era una celebrazione in pompa magna.
 Per fortuna anche nel loft avevo i miei nascondigli per proteggermi dall’euforia di mia madre, almeno finché non fossero arrivati Henry o Killian, o tutti gli altri ospiti. Non avevo di certo accolto con i salti di gioia il giorno di ferie che mi aveva costretto a prendere mio padre. Lavoravo molto, era vero, sempre alle prese con magie, sortilegi, mostri e cattivi, ma non c’era nessun motivo per cui non potessi fare il mio dovere anche quel giorno, soprattutto quando mia madre mi aveva detto espressamente di non voler nessun aiuto. Oddio! Non avevo proprio il coraggio di scendere di sotto per vedere cosa avesse combinato.
«Emma? Sei qui?». La voce di mia madre alle mie spalle mi fece capire che il mio nascondiglio non era poi così ben architettato. «Cosa diavolo ci fai seduta per terra?».
«Io…». Cercai di trovare una scusa plausibile, ma il mio cervello sembrava non voler collaborare.
«Lo so che ti stai nascondendo da me».
«Ma no! Non è affatto vero». Feci per alzarmi ma lei mi fermò, appoggiandosi a me per poi mettersi a sedere proprio al mio fianco.
«Invece è così, sono tua madre non puoi mentirmi».
«Scusa se mi sono rifugiata quassù, è che questo giorno…».
«Non fa nulla, ormai è quasi tutto pronto. Possiamo starcene un po’ qua a fare una chiacchierata tra madre e figlia». Non sapevo cosa fosse peggio, forse la festa non era la cosa più brutta.
«Non hai molta voglia di festeggiare il tuo compleanno», affermò visto che io restavo in silenzio. «Spiegami perché? È per lo stare al centro dell’attenzione?».
«No, non è per quello», risposi sinceramente. «Sono la Salvatrice, sono abituata a stare al centro dell’attenzione». Il problema, però, sarebbe stato spiegarle il vero motivo.
«E allora cosa c’è che non va Emma? Stamattina sembravi felice, quando sei arrivata con Hook eri così rilassata e contenta, adesso invece sembri solo nervosa e contrariata».
«È difficile da spiegare», risposi. «Soprattutto a te».
«Beh provaci».
«Non vorrei che tu…».
Mi interruppe non lasciandomi finire. «Smettila di pensare a me e dimmi la verità». Posò la mano sulla mia stringendomela forte.
«Non ho mai festeggiato il mio compleanno», ammisi, «almeno non con una festa e con degli amici».
«D’accordo», cercò di seguire il mio ragionamento. «E perché il fatto di poterlo finalmente fare ti infastidisce?».
«Non è questo, è che odio questo giorno, lo odio con tutta me stessa». La guardai per poter osservare la sua reazione; mi fissava stupita, non aspettandosi quelle mie parole. Potevo benissimo scorgere sul suo volto le mille domande che aveva in mente; tuttavia non disse nulla, lasciandomi il tempo e il modo per poter elaborare la cosa.
«Vedi…», iniziai non sapendo bene come continuare, «non è una cosa che riesco a controllare, è che il giorno del mio compleanno è sempre stato il più brutto dell’anno. Anche se adesso è diverso, non riesco a scrollarmi di dosso quella sensazione».
«Perché? Perché era il giorno più brutto dell’anno?». Sapevo che me l’avrebbe chiesto, anche se speravo che non lo facesse. La risposta le avrebbe fatto male, ma meritava la mia sincerità.
«Perché ero sola, non avevo nessuno. Stavo sola tutto l’anno, ma la solitudine quel giorno diventava più opprimente, era palese il fatto che nessuno tenesse a me. Quando ero alla casa famiglia c’erano gli altri bambini, ma erano pochi quelli che festeggiavano più di un compleanno lì dentro. Anno dopo anno diventava evidente che nessuno mi voleva. Ovviamente c’erano periodi più felici, come il periodo con Ingrid o con Neal, ma il giorno del mio compleanno non è mai stato uno di quelli». Mentre parlavo cominciai a torturarmi le mani, concentrandomi sulle mie dita per evitare di incrociare il suo sguardo.
«Scusa», sussurrò dopo un secondo, «non avevo pensato al fatto che il giorno della tua nascita è anche il giorno in cui ti ho abbandonata».
«Tu non mi hai abbandonata», protestai non riuscendo ancora ad alzare lo sguardo.
«No è vero, però tu l’hai creduto per ventotto anni, per quasi tutta la tua vita». Mi posò la mano sotto il mento in modo tale da alzarmi il viso e farmi incrociare il suo sguardo. Nei suoi occhi non c’era la minima traccia di offesa, c’era solo tenerezza e forse rimpianto.
«Emma», mi disse tenendomi inchiodata ai suoi occhi, «ho capito perché ti senti così e vorrei tanto poter cancellare questa tua sensazione. Però adesso le cose sono diverse, ci sono molte persone che ti amano e che tengono a te e che vogliono festeggiare il tuo compleanno. Io ho ascoltato le tue ragioni, adesso lascia che sia io a spiegarti le mie».
Annuii. «D’accordo».
«Avrei voluto davvero festeggiare ogni tuo compleanno, ma non ho avuto nulla, non abbiamo avuto nulla. Avrei fatto delle feste stupende dove tu saresti stata la principessa, avrei voluto davvero condividere con te ogni momento, ogni anno, vederti crescere, andare a scuola, diventare grande, condividere anche quei momenti imbarazzanti dove tu non avresti più voluto la mia intromissione. Per tutti questi motivi permetti di recuperare almeno in parte il tempo perso con questa specie di festa, anche se non potrà mai compensare una vita passata lontano».
Lo capivo, riuscivo a capirlo benissimo e per quanto fossi diventata la donna che ero affrontando tutte le peripezie che mi erano capitate, avrei preferito che le cose fossero andate diversamente.  Certe volte mi dimenticavo di non essere stata l’unica a soffrire per colpa di quel sortilegio. Certo grazie a quello avevo avuto conosciuto Neal, avuto Henry e in qualche modo poi avevo potuto conoscere Hook, però era stato doloroso. Avevo pensato molte volte a come sarebbe potuta essere la mia vita se le cose fossero andate diversamente e ancora non avevo una risposta. Restava il fatto che il passato non poteva essere cambiato e che adesso  non avrei più voluto modificare nulla della mia vita. Avevo la mia famiglia, avevo Henry, tanti amici e soprattutto avevo Killian.
«Certo», affermai abbracciandola. «Ti voglio bene mamma».
«Ti voglio bene anch’io», rispose ricambiando il mio abbraccio.
«Per quanto può valere», dissi staccandomi da lei, «vorrei davvero tanto che avessi avuto la possibilità di vedermi crescere, di festeggiare con me ogni mio compleanno».
«Lo so». Si alzò tendendomi la mano per aiutarmi a sollevare. «Adesso che ne dici di iniziare a prepararti? Tra poco gli ospiti cominceranno ad arrivare». Presi la sua mano rivolgendole un sorriso, pronta ad affrontare con uno stato d’animo diverso quella serata.
Fu così che mi ritrovai qualche ora dopo in mezzo a tutti i miei amici, con il braccio di Killian intorno alla vita, pronta a spegnere le candeline sulla torta.
«Ti stai comportando benissimo Swan», mi sussurrò Killian all’orecchio. Gli sorrisi accarezzandogli l’uncino che aveva posato sul mio fianco.
«Sono molto fiero di te», continuò, «credevo che non l’avresti presa così bene l’idea della festa. Credo proprio che dovresti essere ricompensata e penso che troverò un modo piuttosto piacevole per farlo più tardi». Arrossii involontariamente, mentre lui mi depositava un bacio sotto il lobo.
«Allora Hook», intervenne mio padre, che evidentemente aveva notato quel nostro piccolo scambio di effusioni. «Che cosa hai regalato ad Emma?». Killian si staccò leggermente da me, in modo da poter guardare David negli occhi.
«Le ho regalato…».
«Killian non mi ha regalato niente come avevo chiesto a lui e a tutti voi», intervenni prontamente, fermandolo prima che potesse aggiungere qualcosa di compromettente. Non ero sicura che mio padre avrebbe apprezzato l’idea molto romantica che Killian aveva avuto riguardo all’anello. Anzi probabilmente avrebbe iniziato a dare di matto più di quanto avessi già fatto io.
«Come non le hai regalato niente?», continuò David, come se avesse appena colto in fallo Hook.
«Beh papà», lo difesi prima che potesse farlo da solo, «almeno lui mi ha dato ascolto non credi?». Non sopportavo quando faceva così, quando mi trattava ancora da bambina e cercava di difendere in qualche modo la mia virtù. Sapevo che ormai accettava Killian e che loro erano per così dire “amici”, però certe volte l’istinto protettivo prendeva il sopravvento e si dimenticava di ciò che veramente c’era tra me e Hook. Era Vero Amore, come fra lui e la mamma, ma a volte sembrava dimenticarsene.
«D’accordo», sospirò sentendo la mia brusca risposta. «Vado a vedere a che punto è tua madre con la torta».
«Beh Swan almeno potevi inventarti una scusa migliore», mi rimproverò Hook una volta che si fu allontanato.
«Come scusa?».
«Beh potevi inventarti una qualche sciocchezza? Uno stupido regalo, non so… qualcosa. Credo che David l’avrebbe gradito di più della tua rispostaccia».
«Come?», lo fissai sbalordita. «Io ti ho appena difeso e tu difendi mio padre?». Ero più divertita che infastidita.
«Beh tesoro so difendermi da solo», mi corresse, «e soprattutto da un principe azzurro qualsiasi. Iniziavo a piacere a tuo padre, non vorrai rovinare tutto ciò che ho faticosamente costruito?».
Sorrisi e scossi la testa, ma non feci a tempo a ribattere perché mia madre si avvicinò portando tra le mani una gigantesca torta al cioccolato.  La depositò sul tavolo, mentre io mi avvicinavo e tutti gli invitati mi facevano spazio. Sopra la scritta “buon compleanno Emma” erano state posizionate molte candeline, che però erano ancora spente.
«Ci penso io», disse Regina come leggendomi nel pensiero. Con un gesto della mano spense la luce e accese le candeline. Dopo ci fu il momento più imbarazzante: ecco forse era quello il momento peggiore dei compleanni. Tutti che ti guardano, cantando tanti auguri, mentre tu spegni delle dannate candeline. Ma come tutti i momenti imbarazzanti terminò in fretta.
«Esprimi un desiderio mamma», disse Henry appena finito di cantare. Alzai lo sguardo su di lui e assecondai le sue parole: esprimere un desiderio. Beh non era certo una cosa facile.
Per la prima volta nella mia vita ero arrivata ad un momento in cui non avevo davvero più nulla da chiedere. Possedevo tutto quello che avevo sempre voluto e anche se la mia vita non era proprio perfetta andava bene così.
Avevo un figlio che stava pian piano diventando un uomo e che mi rendeva orgogliosa. Lo guardai per un attimo e sorrisi pensando che quello era anche l’anniversario del giorno in cui l’avevo conosciuto; il giorno che mi aveva radicalmente cambiato la vita. Mi era comparso davanti così piccolo e impertinente e adesso era così cresciuto, diventato già quasi più alto di me. Era grazie a lui se avevo ottenuto tutto ciò che desideravo.
Avevo anche molti amici, e soprattutto ero riuscita a trovare un’amica in quella che all’inizio era stata la mia peggior nemica. Non l’avrei mai ammesso di fronte a Regina, né lei avrebbe fatto altrettanto, ma lei era diventata la mia migliore amica e una persona di cui avrei potuto fidarmi al cento per cento.
E poi avevo finalmente ritrovato quei genitori che avevo cercato per tutta la vita e con cui ero stata arrabbiata per buona parte di essa. Avevo capito cosa era accaduto e li avevo perdonati. Loro mi amavano, erano la mia famiglia ed io amavo loro in egual misura.
E poi c’era Hook. Non avevo mai pensato di poter trovare anche qualcuno che mi potesse amare come faceva lui, eppure eccolo lì al mio fianco. Era Vero Amore ed io stentavo ancora a crederci; facevo ancora fatica a realizzare quanto io potessi amarlo e quanto lui potesse amare me.
Per questo non desideravo niente di più: avevo la mia famiglia, i miei amici e l’amore della mia vita e tutto questo mi bastava.
«Forza Emma esprimi un desiderio», mi incitò mia madre, ridestandomi dai miei pensieri. Mi voltai un attimo a guardarla, riuscendo a scorgere l’emozione nei suoi occhi. Era così felice e per così poco, solo perché aveva la possibilità di condividere quel piccolo momento con me.
Ecco, una cosa che desideravo c’era: avrei voluto concedere a mia madre la possibilità di vedermi crescere. Tuttavia il passato non si poteva cambiare ed io ero diventata ciò che ero anche grazie a quello che avevo trascorso durante la mia infanzia. Purtroppo sia io che lei avevamo perso molto, ma avremo avuto una vita per recuperare.
Con un soffio spensi le candeline, pur sapendo che il mio desiderio sarebbe stato irrealizzabile. Ma mi andava bene così, perché mi ero resa conto di essere felice come non lo ero mai stata. Spensi le candeline pensando che non sarebbe cambiato niente e che tutto sarebbe rimasto perfetto come era.
Beh mi sbagliavo. I desideri si realizzano sempre e come ogni magia hanno sempre un prezzo.
Accadde in un attimo, prima che il buio potesse inghiottirmi, prima che potessi riaprire gli occhi: un istante ero lì, quello dopo non c’ero più.


 
Angolo dell'autrice:
Ciao a tutti! Come promesso sono tornata: anno nuovo, storia nuova. Ancora non so come verrà fuori questa mia pazza idea, ma intanto ho cominciato a buttare giù qualcosa e poi vedremo capitolo dopo capitolo come si evolverà la vicenda.
Bene, iniziamo col commentare il primo capitolo: ovviamente l'attesa di marzo mi sta sfiancando e l'effetto del promo della prossima puntata ha portato a questo. Una proposta/non proposta da parte di Killian. Chissà se sarà realmente così anche nella serie...
Quindi tornando al punto, è il compleanno di Emma e dopo la chiacchierata tra madre e figlia lei è piuttosto propensa ad affrontare questo giorno. Ormai la sua vita è, se non proprio perfetta, quasi. Ha tutto ciò che vuole, ha solo il rimpianto di aver perso molti momenti importanti con sua madre. E poi bum... cosa sarà successo? Lo scoprirete nel prossimo capitolo ;)
Beh fatemi sapere cosa ne pensate, se la mia idea vi piace e se vi incuriosisce. Fatemi capire se sto andando nella direzione giusta!
Io intanto vi prometto di pubblicare il prossimo capitolo nel prossimo finesettimana!
Un bacione
Sara
 
  
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