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Autore: Aoboshi    22/01/2017    1 recensioni
Cosa vuol dire essere un eroe, cosa si nasconde dietro queste figure fulgide come stelle?
L'ostentata sicurezza del loro nome è davvero così inattacabile? Un eroe deve essere davvero perfetto? E soprattutto, puoi scegliere di essere un eroe, puoi scegliere il tuo destino, o è lui a scegliere te?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Pyrrha Nikos
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Cosa vuol dire essere un eroe?

Da bambina ho sempre ascoltato con occhi sognanti le storie di queste figure straordinarie, capaci di qualsiasi cosa. Le stelle più brillanti del firmamento, il cui nome, oltre che nel cielo, è scritto anche nei cuori di chi ricorda le loro gesta.

Un eroe non sbaglia, sa sempre cosa fare, dove andare e quando. E' nel posto giusto al momento giusto pronto a dimostrare ancora una volta quanto intensa sia la sua luce. E' una figura ammirata, amata, imitata, un esempio per tutti, qualcosa a cui i comuni mortali dovrebbero tendere, perché un eroe è anche questo: immortale.

Un eroe sconfigge tutte le avversità che gli altri non riescono a superare, mostra una bontà d'animo che i più non riescono ad elargire. E' come un diamante: pieno di brillanti sfaccettature che lo rendono unico e prezioso; ogni avventura altro non è che il taglio preciso e lungimirante di un orafo d'eccezione di nome destino.

Alla fine di ogni racconto, quando mia madre chiudeva il libro, si specchiava nei miei occhi imploranti: più storie, più eroi! Allora mi dava un bacio sulla fronte:

“ Potresti diventare tu un eroe, così avrei altre storie da raccontare!”

Frasi di circostanza, semplici pagliativi per bambini insonni.

Sono passati anni, nessuno mi ha più letto storie di eroi da allora e non perché sono cresciuta. Non so quando sia successo di preciso: forse dopo aver stampato la mia faccia su ogni singola scatola di immangiabili cereali -gli eroi non mentono- o magari dopo le settanta due vittorie nella mia scuola -un eroe è umile. O semplicemente dopo essere stata messa su un piedistallo così alto da non poter essere più raggiunto da nessuno – un eroe è solo.

Quella che era una frivola frase di buonanotte si è trasformata in qualcosa di più, tutti conoscevano il mio nome, tutti sapevano chi ero, cosa sapessi fare, c'erano persino figurine con la mia immagine – un eroe non è vanitoso.

Ci sono voluti anni ma tutti, ormai, hanno cominciato a considerarmi un eroe.

Sono stata addestrata a diventarlo, scontro dopo scontro, forgiando le mie capacità, a prescindere dalla mia semblance – un eroe non usa trucchi.

La migliore, sempre, imbattibile, in tutto. Questa ero io, un eroe, uno stereotipo impeccabile, realizzato con cura e maestria. La migliore alla Beacon, nei corsi, come nei combattimenti.

Era quello a cui miravo, il podio da raggiungere, l'esempio da diventare. Non dovevo solo superare le difficoltà, dovevo farlo nel modo migliore, non potevo accontentarmi di vincere, io dovevo brillare. Un manichino umano pieno delle aspettative della gente, questo è un eroe, questo quello che sono diventata. Ma non mi hanno solo resa forte, no, hanno fatto di più, mi hanno reso buona, mi hanno reso disponibile, altruista, mi hanno resa incapace di oppormi al mio destino.

Io sono un eroe, nulla di meno, solo di più.

Tutti attraversano dei momenti in cui la loro identità non è chiara, istanti di confusione in cui ognuno cerca la propria immagine nello specchio. Nella sconfortante ricerca di se stessi, io sono stata fortunata, non dovevo cercare, sapevo cosa ero destinata ad essere, sapevo cosa fare per diventarlo. Quello era il mio destino preconfezionato, il mio traguardo, essere, semplicemente, un eroe. Dubbi, insicurezze, non potevano toccarmi, non dovevano toccarmi – gli eroi non temono nulla. Ero il risultato delle aspettative altrui, incapace di essere altro, persino di disattenderle.

Attraevo gli onori come facevo con i metalli. Ero la sicurezza dei miei compagni, dei miei professori. L'ammirazione nei loro sguardi e non era una promessa, ma un obbligo a cui non potevo sottrarmi. Non potevo, perché sono stata cresciuta così, nella sicurezza di diventare l'eroe di qualcuno, nella certezza di non poter essere altro e di non doverlo neppure desiderare.

Il mio nome doveva essere accompagnato solo dal plauso delle genti, dall'ovazione del pubblico, dai loro occhi incantati. Tutto questo era diventato una costante nella mia vita, una routine a cui non mi sono mai sottratta- un eroe non si arrende.

Un ruolo in cui mi sono immersa... sino ad affogare.

Pyrrha Nikos, l'eroe, una nomea talmente pesante, da soffocare qualsiasi cosa sotto di sé, me compresa. Non avevo più un'identità, la possibilità di scegliere cosa fare, il privilegio di sbagliare.

Così, davanti alla proposta di diventare una Dama delle Stagioni, uno dei quattro esseri più potenti del nostro mondo, non potevo rifiutare. Ho avuto davanti a me il viso sofferente di Amber, una sconosciuta a cui nessuno aveva chiesto se volesse o meno quel dono, ridotta ad un vegetale, perché quel dono era diventato una condanna. In quel momento mi sono chiesta se, accettare, non volesse dire finire come lei -gli eroi non hanno paura. Mi stavano chiedendo di rinunciare a me, alla mia personalità, di sacrificarmi per il bene degli altri, di fare quel salto che sì, mi avrebbe reso, definitivamente e irrimediabilmente, un eroe.

Sono scappata.

Come potevano chiedermi una cosa simile!? Perché proprio io?

Probabilmente perché io e Amber eravamo simili, entrambe eravamo state toccate dal destino senza davvero la possibilità di scegliere. La nostra sorte era speciale, negli onori, quanto nei tormenti.

Ma poi ho capito, come poteva Ozpin chiedere ad altri? Come poteva pretendere che qualcuno sacrificasse la propria personalità in nome degli altri? Per questo lo ha chiesto a me, perché la mia personalità non esisteva, perché semplicemente nessuno avrebbe colto la differenza o sentito una miserabile nostalgia di quella che ero davvero, sotto l'armatura, dietro la spada.

Io non ero una persona, io ero un eroe, il baluardo del coraggio, della rettitudine, un'imbattibile sicurezza nata per rendere meno angosciante l'esistenza degli altri esseri umani.

E lo ero davvero, una statua, una pietra dalle fattezze umane da rivestire di onori, ma anche di oneri, di potere e forza. Il mio, difatti, non sarebbe stato un vero sacrificio, perché sono stata addestrata a questo, anzi, questa era la mia ufficiale cerimonia di consacrazione all'olimpo degli eroi, l'ultimo scalino che avrebbe definitivamente sgretolato anche quella piccola parte di Pyrrha che avevo egoisticamente lasciato per me.

La cosa peggiore era sapere che fosse la verità, avevo la certezza di essere sacrificabile, dopotutto, chi si sarebbe opposto a sacrificare una persona che nessuno ha mai conosciuto?

Ma non volevo farlo, non lo avrei fatto, non potevano chiedermi così tanto. Non sarei stata la loro Dama, non sarei stata il loro eroe, dovevo solo dimostrarlo.

Vedere i pezzi di Penny, lacerata dalle sue stesse lame, a causa mia, è stato uno shock, potevo sbagliare! Io, Pyrrha Nikos, potevo fallire, il mio errore era lì incarnato in scintillanti pezzi di metallo. Non ero condannata ad essere un eroe, non ero costretta ad essere la migliore, ero come gli altri, avevo una possibilità. Era sconvolgente, la mia vita non si sarebbe fermata, quell'ombra tra le mie gesta, rappresentava uno spiraglio di luce per la mia esistenza. Non mi ero mai sentita così libera, sollevata. La frenesia degli scontri mi ha però riportata alla realtà, i miei amici erano in pericolo e non potevo restare a guardare. Il pericolo era lì, gli innumerevoli Grimm erano lì, quasi come la punizione del destino alla sua discola protetta. Li ho affrontati per proteggere quella possibilità che ormai avevo di essere normale, ho combattuto solo per quello e non me ne vergogno. Poi le cose sono ad un tratto cambiate, i Grimm sono aumentati, tutte le persone a me care avrebbero pagato il prezzo del mio egoismo, tu, Jaune, avresti pagato il prezzo di un mondo senza eroi. Ero già pronta a scattare per portarti via, in salvo, convinta di ricominciare una nuova esistenza in cui potevo essere davvero io e lo sarei stata con te, ma Ozpin è arrivato prima, trascinandomi davanti al mio destino e portando te con noi.

Una mossa crudele, davvero, probabilmente sapeva che avrei desistito, ma mai, davanti a te. Nella cripta, di fronte a quel macchinario infernale, ho contato un'infinità di vie di fuga, mille modi per sfuggire a qualcosa che mi terrorizzava, ma c'era una sola ragione per rimanere.

Non mi importava di essere un eroe per tutti, io volevo essere un eroe per te! Avevo cercato instancabilmente qualcuno che mi vedesse per quello che ero e, ironia del destino, adesso volevo essere vista per quello da cui cercavo di scappare.

Per quello ho accettato, lanciandoti un ultimo sguardo per essere sicura di star facendo la cosa giusta, non per me, non per Ozpin, non per la gente di Vale, ma per te. Non so cosa mi abbia fatto più male, se l'ondata di energia di Amber o la consapevolezza di non poter davvero scegliere, di essere maledettamente impotente.

Quando è arrivata la prima freccia, quella che ha messo definitivamente fine alla vita di Amber, è stato un sollievo. Un eroe dovrebbe essere disgustato dalla morte di un innocente, invece ne ero felice, non sarei stata io quella potente, non sarei stata io quella invincibile. Ero salva. Cinder era arrivata prima. Ma il sollievo è durato poco, mi è bastato abbassare lo sguardo, per capire quale fosse il prezzo della mia libertà... C'era solo una persona tra Cinder e Ozpin, ed eri tu, Jaune.

Non avevi speranza, come non ne avevo io, eravamo incatenati entrambi ad un destino troppo più grande di noi. Non potevo permetterle di vincere, non potevo permetterle di ucciderti; se tu morivi, moriva anche l'unica speranza di essere qualcosa di diverso, moriva la Pyrrha che vedevo nel tuo sguardo, quella vera. Se fossi morto tu, sarei morta anche io. Per una volta ho guardato in faccia il mio destino, implorando qualcuno lassù di rendermi davvero un'eroina, quella di cui avevi bisogno, e sono scesa in campo.

Non l'avrei sconfitta, non ci sarei mai riuscita, ma dovevo provare, dovevo prendere tempo, dovevo darti la possibilità di scappare e vivere. In quel momento non ho scelto la gloria, ho scelto l'amore. Dovevo combattere e basta, non mi sarei contenuta e per una volta avrei lasciato andare tutto ciò che ero senza la tecnica perfetta, senza misurare le mie mosse per non umiliare gli altri.

La seconda freccia mi ha ridotta in ginocchio, mi ha costretto ad abbassare la testa per la prima volta in vita mia, mi ha umiliata come per molto tempo ho sperato accadesse.

Ricordo le parole di Cinder

“E' un peccato che tu sia stata destinata ad un potere che non è mai stato davvero tuo...”

No, il vero peccato è stato vivere come se fossi destinata ad un'esistenza che non avrei mai voluto fosse la mia.

Un eroe è una speranza, come una gemma preziosa e sfaccettata circondata da anonime pietre smussate. Tutti guardano e ammirano le sue qualità, la sua luce, la sua forza, dimenticando però una cosa importante: per quanto unica e preziosa, quella, è pur sempre una pietra come tutte le altre. Sono stata una privilegiata, non avevo bisogno di cercare me stessa, avevano già confezionato la mia esistenza, la mia essenza e il mio destino, ma ero una persona, come tutte le altre.

Ero convinta fossi destinata ad essere un'eroina, così come Cinder lo era della sua vittoria, per quello le ho posto solo una domanda:

Tu credi nel destino?

Le mie ceneri si sono perse nel vento dopo un secco “Si”, non ho avuto modo di avvertirla, che, credere in un destino, deciso da altri, è una trappola letale.

NdA: allooora, salve! E' la mia prima volta in questa sezione, mi scuso in posticipo per quello che scrivo, ma purtroppo mettere per iscritto questo capitolo era diventato un'esigenza fisiologica. Mi scuso per qualche imprecisione verbale e vari altri errori/orrori di battitura. a parte ciò, buona lettura e grazie per quanti passeranno a leggere (e a recensire :3 )
Namasté
   
 
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