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Autore: Old Fashioned    23/01/2017    17 recensioni
Nel corso della guerra mahdista il tenente Eldred Grosvenor compie un atto eroico e viene proposto per la più alta decorazione conferita dall'Impero Britannico, ovvero la Victoria Cross.
Il capitano Lewis, suo diretto superiore, si occupa di ricostruire la vicenda che ha portato il tenente ad essere candidato al conferimento della prestigiosa medaglia, e così facendo scoprirà tante versioni dell'episodio, ma soprattutto tante sfaccettature del carattere del suo subalterno.
La storia è ispirata al film di Kurosawa "Rashomon", dove varie persone narrano, ognuna col proprio punto di vista, lo stesso episodio e ne vengono fuori storie sempre diverse.
Genere: Avventura, Guerra, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Grosvenor'
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(seconda parte)


Allontanandosi dall'ospedale, Lewis incontra il cappellano militare.
“Siete andato a trovare i feriti, capitano?” gli chiede il reverendo stringendosi come sua abitudine il messale al petto, “un'attività molto commendevole.”
“Ho fatto visita al tenente Grosvenor, padre,” risponde Lewis.
“Povero giovane,” sospira il prete.
“Sì, una brutta ferita.”
“Oh, non alludo certo alle piaghe della carne,” risponde il cappellano. “Un ragazzo davvero sfortunato.”
Il capitano lo fissa incuriosito. “A cosa vi riferite, reverendo?”
“Non dev’essere facile crescere senza l’amore dei genitori, non credete? Senza un padre che vigili su di te, che mostri orgoglio quando ti comporti bene e ti faccia capire quando stai sbagliando perché ti ritiene degno di migliorare.”
“Come sapete della famiglia di Grosvenor?”
“È stato lui a parlarmene. A suo modo, s’intende, ma io dico sempre che bisogna andare al di là delle apparenze e saper ascoltare col cuore, più che con le orecchie.”
Sospettando che stia per arrivare una predica su buoni sentimenti e amore per il prossimo, il capitano nasconde a fatica un moto di fastidio. Quando il reverendo ci si mette sa essere piuttosto prolisso, e senza neanche qualcosa di fresco da sorseggiare mentre parla diventa difficile sopportarlo.
Ma il religioso non sembra intenzionato a concionare. “Povero giovane,” ripete invece con fare rassegnato, “quanti talenti sprecati.”
Guarda in direzione delle capanne pomposamente definite ospedale, quindi torna a voltarsi verso il capitano e dice: “È intelligente e coraggioso, avrebbe tutte le potenzialità per essere un ottimo ufficiale.”
“A giudicare dal suo fascicolo personale, sembra che la cosa non gli interessi molto,” risponde cautamente Lewis.
“Non fatevi ingannare anche voi, capitano,” replica il reverendo, “quel ragazzo è un incompreso. Tutto ciò che chiede è un po’ di considerazione.”
“Non mi sembra che abbia scelto il modo migliore per ottenerla.”
“Non gli si può fare una colpa se non avendo mai ricevuto amore non sa come fare a chiederlo, non vi pare?” Sospira di nuovo, guarda il breviario come alla ricerca di ispirazione. Infine prosegue: “Tutte le sue bravate, come vengono con spregio definite, sono in realtà dei tentativi di ottenere quella considerazione paterna che non ha mai ricevuto. Se solo trovasse qualcuno in grado di capirlo, credo che gli darebbe anche l’anima.”
“Come Bucefalo con Alessandro Magno?” chiede ironico il capitano.
“Una cosa del genere.”

§

Lewis guarda il cappellano procedere verso l’ospedale traballando sul terreno irregolare. L’idea del mite religioso che cerca di portare conforto al tenente Grosvenor lo fa sorridere. Quel diavolo di un tenente se lo rigirerà come vuole. Gli farà due moine, gli rivolgerà quel suo sguardo da furbetto e riuscirà a farsi portare di nascosto persino il brandy che il dottore gli ha così energicamente proibito.
Mentre si incammina verso gli alloggi degli ufficiali riflette sulle parole del religioso.
Ecco che emerge un'altra faccia del tenente Grosvenor, ovvero il ragazzino in cerca d’affetto. Certo che se è veramente così fa di tutto per dissimularlo: i suoi comportamenti sembrano quelli di chi è intenzionato a farsi detestare, piuttosto. Non sarebbe più facile essere un bravo ufficiale, rispettoso e capace? Così sì che otterrebbe quella considerazione cui tanto sembra anelare.
Ma forse il cappellano ha ragione, non bisogna fermarsi alle apparenze.
Così camminando e ragionando tra sé e sé passa davanti alla tenda che funge da circolo ufficiali e decide di fermarsi a bere qualcosa.
Non che ci sia una gran scelta, ma con quaranta gradi all'ombra anche un semplice bicchiere d'acqua diventa decisamente piacevole. Basta poi avvolgere le bottiglie in una pezzuola bagnata e per effetto dell’evaporazione le bevande in esse contenute diventano anche piacevolmente fresche. Trucchi da colonie.
All’interno ci sono alcuni suoi colleghi: il capitano Ross della compagnia comando, il maggiore Feldman e il tenente Hogarty delle neo-costituite truppe cammellate, il capitano Stevens del diciannovesimo ussari e un tenente dei dragoni di cui non conosce il nome.
“Capitano Lewis!” lo accoglie Ross, “Dite, è vero quel che si sente ripetere in giro?”
“Cosa?” chiede il nuovo arrivato.
“Che state cercando di convincere Turner ad autorizzare l'avvio delle pratiche per il conferimento della Victoria Cross al tenente Grosvenor.”
Si sentono alcune risatine soffocate.
“È così,” risponde Lewis, come se si trattasse della cosa più normale del mondo.
“Decisamente, capitano, siete una persona cui non fa difetto il senso dell'umorismo!”
Le risatine aumentano di intensità, serpeggia persino qualche commento ironico.
Stoicamente, Lewis fa finta di nulla. Si siede a un tavolino e si appoggia all'indietro sulla sedia con l'aria di non dare alcun peso alla faccenda.
Un'ordinanza in giacca bianca gli porta un bicchiere di limonata accettabilmente fresca.
A questo punto il capitano percepisce intorno a sé un silenzio innaturale. “Ebbene?” chiede, senza rivolgersi a nessuno in particolare.
“Allora è proprio vero? La vostra non era una battuta?” s'informa cautamente Ross, che evidentemente non si capacita della questione.
“Certo che è vero,” il capitano Lewis è anche un po' piccato. “Il tenente Grosvenor ha compiuto un'azione eroica, l'ho visto io con questi occhi. Ha caricato all'arma bianca un gruppo di mahdisti per proteggere i marinai dell'Alexandra, e nel corso dell'azione è anche rimasto gravemente ferito!”
“L'ho sentito dire,” conferma il maggiore Feldman.
“E non credete che sia un'azione degna di encomio?”
“Teoricamente lo sarebbe,” concede l'altro.
“Anche in pratica.” Con la solita compunzione Lewis recita i requisiti per il conferimento della Victoria Cross: “Cospicuo coraggio o audacia, o importanti atti di valore o auto-sacrificio, o estrema devozione al dovere in presenza del nemico.”
Silenzio siderale. Qualcuno tossicchia con fare imbarazzato.
“Il coraggio non gli manca, in effetti,” ammette il capitano degli ussari.
“Io la definirei faccia di bronzo più che coraggio, signore,” replica freddamente Hogarty.
Cominciano a parlare di Grosvenor. La fazione più moderata lo classifica essenzialmente come un giovane scapestrato che però quando c'è da sparare non si tira indietro, mentre i censori più severi lo definiscono un cialtrone arrogante e debosciato del tutto inadatto alla vita militare.
Sono tutti d'accordo però nel ritenere che la più alta decorazione dell'Impero conferita a uno come Grosvenor segnerebbe la fine della leggendaria disciplina per cui l'Esercito britannico va giustamente famoso.
“L'unica sarebbe che morisse in seguito alle ferite,” conclude Feldman con salomonica equanimità, “così non ci sarebbe più il problema di questa benedetta Victoria Cross. Non mi risulta che venga conferita alla memoria.”
L'unico a commentare la frase è Hogarty, che freddamente dice: “Dubito che il Signore Iddio ci farà un dono così grande.”

§

“Signor capitano, posso dirvi due parole?” È il tenente Hogarty.
Lewis lo fissa perplesso.
“In privato,” specifica il giovane ufficiale. A giudicare dalla sua espressione tesa e risoluta, sembra che la sua missione sia quella di scongiurare il verificarsi di un disastro.
“D'accordo, tenente, seguitemi.”
I due si allontanano di qualche centinaio di iarde dall'accampamento. Hogarty cammina svelto, addirittura superando il capitano. Sembra che abbia una certa urgenza di parlare con il suo superiore. Continua a guardarsi in giro, come per essere sicuro che il luogo sia effettivamente deserto come sembra.
Quando tutt'intorno ci sono solo sassi bruciati dal sole e sabbia rossastra, il tenente dice: “Io ho fatto l'accademia con Grosvenor, signore, quindi posso dire di conoscerlo meglio di chiunque altro.” Fa una breve pausa poi specifica: “ Anche di voi, con rispetto parlando, signore.”
“Voi dite, tenente?”
“Sì, signore. E perdonatemi se vi dico che il tenente Grosvenor vi ha ingannato nascondendovi chi è... cos'è veramente.”
“Che intendete dire?” chiede Lewis incuriosito.
“Senza dubbio avrà fatto la parte del giovanotto simpatico, vero?” prosegue Hogarty come se non avesse neppure sentito la domanda del capitano, “sarà stato ironico e signorile, vi avrà detto delle battute spiritose, non è così?”
“Sì, l'ha fatto.”
“Quello è il suo modo di ingraziarsi le persone. Probabilmente cercherà di ottenere qualcosa da voi.”
“Un momento, tenente. Grosvenor non sa nulla della Victoria Cross, se è questo che intendete.”
“Allora vorrà qualcos'altro,” replica con sicurezza Hogarty, “probabilmente nei prossimi giorni ve lo farà discretamente sapere. Comunque non è questa la cosa di cui volevo parlarvi.” Si morde il labbro inferiore e distoglie lo sguardo dal capitano come se di colpo fosse molto imbarazzato.
L'altro non dice nulla limitandosi a fissarlo.
Dopo qualche secondo di silenzio, il tenente dice: “Signore, conferire la Victoria Cross a Grosvenor sarebbe un abominio.” Sillaba la parola con espressione disgustata, come per assicurarsi che al capitano sia ben chiaro il concetto.
La conversazione è privata e informale, quindi Lewis non dà peso al modo in cui il subalterno gli ha rivolto la frase. “Perché, tenente?” gli chiede invece incuriosito.
“Signore, il tenente Grosvenor è un...” esita, di nuovo si morde il labbro inferiore. “...è un invertito.”
È come se sputasse fuori la parola perché troppo schifosa da tenere in bocca.
“E voi come lo sapete?” chiede con calma il capitano.
“Tutti lo sanno,” risponde Hogarty, non accorgendosi, o fingendo di non accorgersi delle possibili implicazioni della domanda.
Il capitano deve ammettere a se stesso che in effetti anche lui ha sentito strane voci sul tenente Grosvenor.
“È un crimine molto grave,” dice comunque, “come può essere ancora nell'Esercito se tutti sanno delle sue tendenze?”
“Suo padre, ovviamente.”
“Sarebbe a dire?”
“Il duca di Westminster ha sempre messo a tacere gli scandali che la vergognosa condotta di Grosvenor periodicamente sollevava. Non certo per amore paterno – quale padre degno di questo nome amerebbe un figlio del genere? – quanto piuttosto per far sì che il buon nome della famiglia non venisse sporcato dalla depravazione di quell'individuo sordido e corrotto.”
“Siete sicuro di quello che dite, tenente?” chiede Lewis dopo aver ascoltato quello che ha più che altro l'aria di uno sfogo esasperato.
“Certo che ne sono sicuro. Pensate forse che sia una mia invenzione? Grosvenor è un essere spregevole, un pervertito abietto e senza moralità.”
“Se è tutto così chiaro e alla luce del sole, perché non l'avete mai denunciato?”
Hogarty ha un sorriso sprezzante. “A che servirebbe? Tanto suo padre metterebbe tutto a tacere.”
Lewis sospira allontanandosi di qualche passo. Dà un calcio a un ciottolo, che rotola via con un rumore sordo. Nel cielo di smalto azzurro non si ode nulla, nemmeno il richiamo d'un uccello o il frinire di un insetto. L'aria è perfettamente immobile.
È vero? Non è vero? Hogarty vuole difendere il decoro della Nazione o è semplicemente invidioso della noncurante spregiudicatezza del collega?
Quello che lo fa parlare è il fiero sdegno dell'appassionato censore o l'astio meschino di uno spasimante respinto?
“Conferire la Victoria Cross a Eldred Grosvenor sarebbe un abominio,” ripete il giovane ufficiale alle sue spalle. “Faccio appello al vostro senso etico, signore. Disonorerebbe le Forze Armate.”

§

“Caporale Bruce McKenna a rapporto, signore!” esclama il robusto graduato della Black Watch, peraltro a voce ben più alta del necessario.
È un montanaro delle Highlands grosso come un armadio ed estremamente fiero del suo kilt.
“Riposo, caporale,” dice Lewis. “Immagino che sarete curioso di sapere perché vi ho fatto chiamare.”
“Con tutto il rispetto, signore, credo di saperlo!” risponde il caporale con un tono che vorrebbe essere basso e confidenziale ma somiglia al muggito di un elefante marino. “È per quella faccenda della Victoria Cross, vero?”
“Abbassate la voce, che diamine! Volete che vi senta Osman Digna in persona?”
“Scusate, signore.”
“Come sapete della Victoria Cross?”
“Ne parlano tutti, signore, e se volete la mia opinione è una cosa dannatamente giusta.”
Il capitano sospira con fare rassegnato. Per quanto abbia cercato di fare le cose con la massima discrezione, i misteriosi canali di informazione della truppa sono stati più efficienti di lui.
“Ditemi quello che ricordate, allora, così vediamo se riesco a convincere il signor colonnello a mandare avanti questa benedetta pratica.”
“Il problema è nato con quei marinai,” esordisce lo scozzese. Si interrompe un istante con l'aria di riflettere su quanto ha appena detto, quindi con tono che denota una certa familiarità prosegue: “Che poi non è che gli si possa fare una colpa a quelli là se fuori dalle loro bagnarole non sanno nemmeno tenere un fucile in mano.”
Dopo l'inciso si stringe nelle enormi spalle con fare rassegnato e continua col racconto: “Finché sono riusciti a far funzionare la mitragliatrice le cose sono andate per il loro verso, ma poi l'aggeggio si è inceppato. A quei pecorai non gli pare vero. Partono di corsa urlando come invasati e agitando le armi con una gran voglia di fare usare le frattaglie dei ragazzi dell'Alexandra per fare lo haggis.”
“Voi dov'eravate, caporale?” chiede Lewis.
“Lì vicino, signore. I miei ragazzi ed io ci stavamo guadagnando la paga.”
“Non lo metto in dubbio, caporale.”
“Era per dire che ne stavamo facendo fuori parecchi, signore,” precisa il caporale.
“Certo, capisco.”
“Insomma, ad un certo punto ci accorgiamo che quelli in bianco sono nella merda fino al collo, con rispetto parlando.”
“Erano attaccati dai mahdisti?”
“Se erano attaccati? C'erano più mahdisti su quella collina che pulci su un cane randagio!”
“Capisco, caporale.”
“A questo punto arriva Grosvenor, salta giù dal suo dromedario e ci fa: venite, ragazzi. Andiamo a dargli una mano! Poi tira fuori la pistola e parte in testa a tutti.” Il tono di voce del caporale si alza nel rievocare l'episodio. “Avrebbe potuto restarsene tranquillo sul suo animale, capite, signore? Avrebbe potuto mandarci avanti e starsene a guardare lo spettacolo dall'alto, e invece niente di tutto questo. A piedi e per primo. Uno così lo si segue anche all'inferno, dico io.”
“Anch'io sono del parere che sia un bravo ufficiale,” dice il capitano Lewis.
“Allora gliela farete avere?” chiede il caporale McKenna dopo una pausa.
“Ci proverò, caporale. Ci proverò.”

§

Il capitano congeda lo scozzese con la sensazione che il tenente Eldred Grosvenor abbia più avatar di una divinità indù.
Ne ha appena scoperti altri due: il sodomita vizioso e il condottiero carismatico.
Certamente nella Storia non mancano esempi di personaggi che assommavano in sé entrambe le caratteristiche, ma ormai conciliare in un uomo solo tutte le versioni del tenente Grosvenor di cui è venuto a conoscenza sta diventando complicato.
I suoi passi meditabondi lo conducono all'ospedale.
Là c'è il dottor Owen con un diavolo per capello. “Volete per caso vedere il vostro caro tenente, Lewis?” ringhia vedendolo arrivare.
“Beh, sì. Sarebbe la mia intenzione,” risponde cautamente il capitano. Lanciandogli un'occhiata preoccupata chiede: “Qualcosa non va?”
“È ubriaco fradicio!” sbraita il dottore, “qualcuno gli ha portato una bottiglia di brandy e lui se l’è scolata fino all’ultima goccia! Con questo caldo e nelle sue condizioni!”
“E come sta adesso?” chiede Lewis preoccupato.
“Come sta? Benissimo, che Dio lo strafulmini!”
Non è chiaro se il medico sia più arrabbiato perché Grosvenor ha bevuto di nascosto o perché nonostante abbia bevuto non è morto e non manifesta particolari aggravamenti delle sue condizioni.
“Posso vederlo?”
“Ma certo, vedetelo finché volete! Portatevelo anche via, già che ci siete!”
Lewis ritiene più saggio non insistere e raggiunge autonomamente la capanna dove è ricoverato Grosvenor.
Il tenente è molto allegro. Non si riesce a capire quanto sia ubriaco, perché dissimula con consumata abilità. Solo l’umore garrulo e lo sguardo ancora più brillante del solito fanno sospettare una generosa assunzione di derivati della Vitis Vinifera.
“Caro capitano!” lo accoglie, “siete venuto a farmi un po’ di compagnia?”
È in piedi accanto al buco pomposamente definito finestra. Indossa una vestaglia di seta blu recuperata chissà dove e ha il braccio destro al collo.
“Come state, tenente?” gli chiede Lewis.
“Molto bene, signore.”
“Per caso avete… ehm… bevuto, tenente?” La bottiglia vuota troneggia al centro del tavolino tra le garze e l’ovatta per le medicazioni.
“Certo, signore,” risponde Grosvenor con la massima naturalezza.
“Ma il dottore ve l’aveva proibito.”
Il tenente sorride. “È la ferita. Da quando mi hanno colpito sono terribilmente smemorato, non so perché. Sicuramente sarà colpa dell’indebolimento legato alla perdita di sangue.”
Fissa il suo superiore con un’espressione che probabilmente instillerebbe anche in San Francesco d’Assisi un prepotente desiderio di prenderlo a sberle.
“Ma tenente! E se vi avesse fatto male?”
“Ma no, era solo un sorso per buttare giù meglio le medicine.”
“La bottiglia è vuota!”
“Beh, diciamo allora due o tre sorsi. Ma vi assicuro, non è niente di così terribile, e se il dottor Owen non fosse così apprensivo lo riconoscerebbe lui stesso. Comunque lo capisco, è un tipo molto affezionato ai suoi pazienti.”
L’ultima frase suona ferocemente sarcastica, e forse lo è anche, ma al solito è impossibile capire se Grosvenor stia parlando sul serio o stia scherzando.
“Vedo che siete in piedi, tenente,” dice Lewis cambiando discorso.
“Ormai quella branda mi aveva ammaccato tutte le ossa, signore.”
“Non vi sentite debole?”
“No, non particolarmente.”
Il giovane ufficiale muove qualche passo per dimostrare al suo superiore che non ha alcun bisogno di riposo a letto, ma barcolla miseramente e si affloscerebbe al suolo se il capitano non si precipitasse a prenderlo fra le braccia.
Rimangono teneramente avvinti al centro della piccola stanza.
“Che irruenza, signore,” sussurra Grosvenor con un sorriso impertinente, “ma non vi sembra una cosa un po’ prematura? In fondo ci siamo appena conosciuti.”
Lewis fa un salto indietro come se di colpo avesse scoperto di essere abbracciato a un serpente velenoso. Lo fissa torvo, incapace di trovare una risposta adeguata. Dannato tenente, anche su quello deve fare battute?
“Non prendetevela, signore, scherzavo,” gli dice Grosvenor con la più grande tranquillità.
“Scherzi di cattivo gusto, tenente,” non può fare a meno di replicare Lewis.
Grosvenor lo guarda con un’espressione che sembra voler dire allora anche tu sei come gli altri.
“Intendevo dire che mi avete colto un po’ alla sprovvista,” brontola il capitano, come se di fronte a quello sguardo sentisse il bisogno di giustificarsi in qualche modo.
“Naturalmente, signore.”
Ma l’atmosfera in certo qual modo confidenziale che si era creata sembra essersi incrinata irrimediabilmente. Il capitano ha la sensazione di aver rovinato qualcosa, come se dopo aver abituato un animale selvatico a mangiargli dalla mano l’avesse fatto scappare colpendolo senza motivo.
“Sarà meglio che vada,” dice.
“Sono certo che abbiate innumerevoli cose da fare.” Il tono del tenente gronda letteralmente di spocchia aristocratica. Ecco un altro dei suoi avatar: il rampollo con otto secoli di nobiltà nel gentilizio.

§

Quando si allontana dall’ospedale, il capitano è stranamente scombussolato.
Brutta esperienza deludere una fiducia così spontaneamente concessa.
Ripensa alle parole del reverendo: Grosvenor desidera considerazione, ma non avendone mai ricevuta non sa come chiederla.
Raccoglie le sue carte e va dal colonnello Turner con insolita trepidazione. È tutto pronto: ha scritto una relazione di suo pugno, ha la testimonianza di McKenna e quella di Larkin. Ora basta solo che Turner dia il parere positivo e la pratica partirà col prossimo corriere. Arriverà prima al generale Stewart e poi al Cairo, da lì a Londra e a Dio piacendo nelle mani di Sua Maestà la Regina, che graziosamente stabilirà se concedere o meno la Victoria Cross al coraggioso tenente Grosvenor.
Lewis ci spera, nonostante tutto quel ragazzo la meriterebbe.
Il colonnello però non è dello stesso parere. “Capitano, ora basta,” dice con tono esasperato. “Ho avuto pazienza, ho tollerato la vostra idea stravagante per dieci giorni, ma ora la misura è colma. Lasciate perdere la Victoria Cross e tornate alla realtà.”
Il capitano è sull’attenti di fronte al suo comandante. Fissa con impegno un punto all’infinito dietro di lui, tipico atteggiamento del militare che non vuole cedere ad un superiore ma non vuole nemmeno uscire dai limiti imposti dalla disciplina. “Signore, mi permetto di insistere,” dice imperterrito.
Turner sospira innervosito.
“Riposo, capitano,” dice per prima cosa, poi pazientemente prosegue: “Lewis, io non sono il papà di Eldred Grosvenor, io comando un Reggimento. Questo significa, come voi potete immaginare, che non ho solo il vostro tenente a cui pensare, sebbene lui faccia di tutto per essere sempre al primo posto nei miei pensieri, e non certo per la sua buona condotta. Ho seicento uomini che si aspettano da me giustizia, correttezza e imparzialità.”
“Se posso permettermi, signore, gli uomini vedrebbero di buon occhio il conferimento di questa decorazione” interviene il capitano.
Duramente, il colonnello risponde: “Gli uomini vedrebbero allo stesso modo una distribuzione straordinaria di liquore o una licenza a Suakin, capitano. Sono persone semplici e amano le cose insolite e divertenti. Tocca a noi, come accorti genitori, dare loro ciò di cui veramente hanno bisogno, ovvero comportamenti esemplari cui conformarsi. Una decorazione, come potete ben capire, non è solo un premio per chi l'ha meritata, ma anche un esempio per tutti gli altri. Conferire una Victoria Cross a Grosvenor sarebbe come dire: ma certo, comportatevi pure da cialtroni, rientrate in ritardo dalla libera uscita, siate insolenti, ubriacatevi. Basta che poi spariate quando c’è da sparare e si passa sopra a qualsiasi cosa.”
Fa una pausa, fissa il capitano negli occhi. “E come diretta conseguenza questo non sarebbe più un esercito,” dice con vago disgusto, “diventerebbe una banda di predoni. I nostri nemici, forse, potrebbero accettare un ragionamento del genere, noi decisamente no.”
Nella tenda c’è un silenzio greve, rotto solo dal marciare cadenzato di una colonna di soldati all’esterno.
“Fino ad ora ho tollerato la vostra iniziativa, capitano,” prosegue Turner, “siete un bravo ufficiale e tutti abbiamo bisogno di svagarci un po’, ma ora basta. Questo scherzo è durato anche troppo, e sta già avendo un effetto negativo sulla truppa e sugli ufficiali. Datemi le vostre carte e consideriamo chiusa la questione.”
Tende la mano.
“Signore, mi permetto di insistere,” ripete Lewis.
La mano non si muove.
“Signore…” la voce del capitano ora suona vagamente implorante.
“Datemi quelle carte e facciamola finita,” dice il colonnello.

§

Quando esce dalla tenda del colonnello Turner, il capitano Lewis sta fremendo di rabbia impotente. È furibondo, fuori di sé, avrebbe solo voglia di prendere a pugni qualcuno e ubriacarsi, non necessariamente in quest’ordine.
Ce l’ha col suo superiore, che non ha voluto concedere a Grosvenor la possibilità di ottenere un’onorificenza che gli spettava di diritto, ce l’ha con se stesso per non aver resistito con maggiore fermezza alle pressioni del colonnello e ce l’ha anche col tenente, che col suo comportamento da stupido si preclude una carriera che date le sue indubbie capacità sarebbe senz’altro rapida e smagliante.
Entra nella tenda che funge da circolo ufficiali e chiede un doppio whisky.
Lo sorseggia cupamente, nessuno osa rivolgergli la parola. Persino Hogarty, che con ogni probabilità ha intuito il motivo del suo umore plumbeo, evita saggiamente di avvicinarsi per godersi il trionfo della virtù sulla perversione.
Lewis finisce di bere ed esce.
“Qualcuno sa cosa gli sia accaduto?” chiede il capitano Ross seguendo con lo sguardo le spalle rigide del collega che si allontanano.
“Niente Victoria Cross,” spiega il tenente Warren, segretario del colonnello Trurner.
“Manco l'avessero dovuta conferire a lui,” commenta Ross scuotendo la testa.

§

Il capitano Lewis si dirige per l'ennesima volta verso l'ospedale. Sta calando la sera e le capanne immerse nella penombra acquisiscono un aspetto quasi gradevole. Spira anche una brezza relativamente fresca, che mormora gentilmente tra le foglie delle palme.
Stavolta Eldred Grosvenor è confinato a letto, proibite le passeggiate in vestaglia di seta. La medicazione è stata rifatta di recente, probabilmente la sua ultima prodezza gli aveva fatto riaprire la ferita.
Ma come sempre il tenente dice che sta benissimo. Mai stato meglio.
Il capitano si siede sul solito sgabello. Si sente piuttosto infelice. Colpa dell'alcol a stomaco vuoto, probabilmente. Forse non è stata una grande idea scolarsi quel doppio whisky. Forse neppure la questione della medaglia è stata una grande idea.
“Qualcosa non va, signore?” gli chiede ad un certo punto Grosvenor.
Lewis sospira. “Soliti problemi coi superiori, sapete com'è.”
“Se c'è qualcuno che lo sa sono proprio io,” risponde il tenente con un sorriso.
“Già, avete ragione.” Il capitano sorride a sua volta.
I due rimangono in silenzio per un po', infine con il consueto tono noncurante Grosvenor dice: “Non datevi pena per quella decorazione, signore. Sono piuttosto allergico alla retorica, per cui temo che sarei arrivato alla cerimonia completamente ubriaco e Turner non me l'avrebbe mai perdonato. Inoltre Sua Maestà sarebbe dovuta salire su una predella o qualcosa del genere per arrivare ad appuntarmela sul petto. Una cosa decisamente antiestetica.”
Le parole di Grosvenor giungono talmente inaspettate che Lewis non può fare a meno di esclamare: “Cosa?”
“La Victoria Cross, signore,” spiega il giovane ufficiale col tono svagato di una conversazione da salotto, “apprezzo i vostri sforzi, ma è una decorazione piuttosto inadatta a me, non credete?”
“Ma cosa... come sapete della Victoria Cross?”
“Non esiste categoria umana meno discreta dei militari. Buffo, no? Dal momento che teoricamente dovremmo vivere nella segretezza.”
Fa un teatrale sospiro come di esasperazione.
“Mi dispiace, tenente,” dice il capitano dopo una pausa.
“Davvero, non datevi pena,” risponde Grosvenor, “sono certo di poter fare a meno delle dieci sterline annuali della rendita, e di sicuro l'aspirazione della mia vita non è farmi salutare anche dai generali quando passo per la strada. Poveri generali, vi immaginate? Costretti a salutare uno come me.”
Rivolge al capitano uno sguardo ironico.
“La meritavate, tenente” dice Lewis con convinzione.
“Meritare e ricevere sono due concetti che raramente coincidono, signore. Almeno nel mio caso,” risponde Grosvenor, serio forse per la prima volta da quando il capitano lo conosce.
Lewis lo fissa esterrefatto, ma lo spiraglio si è già richiuso ermeticamente e il tenente gli mostra di nuovo la sua espressione da guascone sfrontato.
“Volete rendermi davvero felice, signore?” chiede con un sorriso, “assolutamente, perfettamente felice?”
“Lo farei volentieri, tenente.”
“Vi prego, allora, fatemi avere un gin tonic decente. Non pretendo il ghiaccio, per quello temo che dovrò aspettare di essere al Cairo, ma se fosse anche solo accettabilmente fresco, e con la sua bella fetta di limone, sarebbe già una gran cosa.”


(FINE – e un grande grazie a chi si è sobbarcato la lettura fin qui^^)
   
 
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