NdA
Questa
storia ormai è completa ma sto lavorando alla seconda parte! Grazie mille a
tutti per aver letto!
Capitolo 10: Gruzovoy Vagon
Ha
dovuto
fare un po' di attenzione ma è riuscito a passare del tutto
inosservato
quando i container sono stati caricati su una nave mercantile; nessuno
sapeva
che ci fosse anche lui sul retro, lo zaino riempito di abbastanza cibo
e acqua da
bastargli per tutta la durata del viaggio.
Dopo
una
mattinata trascorsa su binari sferraglianti, il treno si ferma per fare
tappa in una stazione a Bucarest. Approfitta dei pochi secondi di
distrazione degli operai di linea occupati a scaricare la merce di un
altro
container e sguscia fuori attraverso il portellone laterale. Nel giro
di
un attimo si mescola alla folla di persone che sciama verso l'uscita.
Con
la borsa in spalla e il cappellino da baseball calato sugli occhi ha
esattamente l'aspetto di uno dei tanti turisti che gironzolano per le
strade.
La
città è
vasta e popolosa, eppure non sembra essere grande abbastanza; gli serve
una
metropoli, un posto dove scomparire tra le centinaia di migliaia di
abitanti
per cancellarsi e ricominciare da capo. Potrebbe essere
un primo passo per iniziare a disfarsi del condizionamento
dell'Hydra e prendersi
indietro la propria vita. Ci vorrà parecchio, ma del resto
adesso ha un
sacco di tempo a disposizione e che
altro potrebbe farci?
Vaga
senza
meta per i quartieri più periferici finché si
imbatte in una pensione di bassa categoria. Per quanto
abbia bisogno di mescolarsi alla gente comune in modo da non destare
sospetti vuole evitare di fare del
male a qualcuno nel processo. Sta migliorando molto a rilento e non
può sapere se
esista ancora il rischio di trasformarsi in un'arma letale,
contro la sua volontà.
Un'insegna
all'ingresso
del palazzo informa i passanti che ci sono stanze disponibili. L'uomo
dall'altra parte del bancone
nell'ufficio del responsabile non
fa
troppe domande, la mazzetta di denaro appoggiata sul tavolo conferma
che il
nuovo inquilino può permettersi di pagare e non serve sapere
altro. Gli
consegna una chiave e gli fa firmare un pezzo di carta che non ha il
minimo
aspetto di un reale contratto d'affitto, poi fa segno con la testa in
direzione
delle scale.
Il
suo nuovo
appartamento è al nono piano, alla fine del corridoio che si
affaccia
sull'atrio al centro dell'edificio. Gli unici complementi d'arredo sono
un
frigorifero e un materasso logoro, sistemato
contro il muro. Forse a causa della
muffa o del fumo di sigaretta, le pareti hanno preso un colore
giallo-marrone e
le finestre sono luride; è uno spazio angusto, con rubinetti
gocciolanti e il
pavimento dissestato, ma per adesso quattro mura e un impianto
idraulico sono tutto quello che gli serve.
La
prima cosa che fa è
sollevare una delle
assi in cucina per infilare il borsone tra le intercapedini. Non toglie
niente
dall'interno, lo lascia com'è; contiene tutti i soldi, i
taccuini e quei pochi rimasugli di vestiti che
è riuscito a conservare. Sa per esperienza che è
meglio avere uno zaino di
salvataggio1 pronto per ogni
necessità, quindi lo nasconde in bella
vista e risistema le tavole del pavimento al loro posto.
Realizza
solo in quel momento di essere sfinito. Viaggiare nel vagone merci l'ha
messo a
dura prova, a livello mentale e fisico, e gli ha prosciugato ogni
riserva di energia. Si lascia cadere
sul materasso che puzza di marcio, trattenendo una smorfia quando
qualcosa di
appuntito passa attraverso la fodera e lo colpisce all'altezza delle
reni.
Allunga la mano di metallo sotto la schiena, strappa via una molla
ribelle e la
lancia dall'altra parte della stanza.
È stanco,
più esausto di quanto sia mai stato. Non vuole nient'altro
che mettersi a dormire, anche
se la sua mente glielo impedisce - sempre all'erta e vigile,
concentrata
sull'ambiente sconosciuto che lo circonda. Rimane sdraiato sul letto a
fissare
il soffitto e passa la notte in bianco.
OOOOO
Il
primo
mese passa in una macchia confusa. Inizia a conoscere la
città, comincia a
chiedersi se riuscirebbe a viverci in pianta stabile. Sta imparando la
lingua
abbastanza in fretta e man mano diventa più facile parlarla
senza rispondere a
monosillabi, in russo. Non succede spesso ma talvolta viene coinvolto
in una
conversazione con gli altri inquilini, a proposito dei problemi nel
palazzo o
di quello che succede in giro. I suoi vicini in genere tendono a stare
per conto
proprio e non si sente molto
in colpa se alla fine della giornata non ha rivolto parola ad anima
viva.
Avere
una routine
quotidiana collaudata lo aiuta a trovare un minimo di equilibrio.
Quando torna
a casa solleva le assi del pavimento per assicurarsi che lo zaino sia
ancora
lì; prende i taccuini e li rilegge uno per uno, si imprime
nella memoria ogni
parola perché non sa se potrebbe capitargli di nuovo di
dimenticare tutto
quello che c'è scritto.
Ne
ha
aggiunti altri a quelli che ha portato con sé. Continua a
sembrare strano, i frammenti
della sua vita gli risultano tuttora estranei e distanti anni luce
mentre li trascrive
su carta, anche se non smette di farlo. Sa che devono avere importanza
e li
mette tutti per iscritto, nascondendoli in
modo da tenerli al sicuro.
Il
mese successivo non c'è più spazio nel borsone.
Ci sono fin troppi quadernini, ciascuno
riempito di ricordi e informazioni fino all'ultimo foglio,
così decide di
lasciarne alcuni sugli scaffali della cucina o sul davanzale della
finestra. Ha
collezionato ritagli di giornale da usare come segnalibri, compresa una
foto di
Steve. Lo ritrae in veste di Capitan America, coperto da capo a piedi
di rosso,
bianco e blu; regge lo scudo al proprio fianco e lo sguardo
è rivolto all'orizzonte,
la mascella contratta con aria determinata. È un'immagine
solenne e maestosa, simile alle gigantografie esposte allo
Smithsonian.
L'uniforme
risveglia qualcosa nella sua testa, lo stuzzica e lo punzecchia come un
bambino
con un bastoncino. La guarda e sente il bisogno di recuperare un
taccuino dallo
scaffale: ricorda un campo di battaglia, macchie di cenere e di
terriccio
ghiacciato, la stella bianca che spicca luminosa…
però
quella nella fotografia dev'essere la seconda o la terza che ha
cambiato. No, lui ricorda ancora la prima uniforme
che Steve indossava quando ha fatto irruzione nella base dell'Hydra in
Germania.
Cerca
una
delle pagine con qualche riga ancora disponibile e butta giù
un appunto
frettoloso.
Steve
indossava una giacca di pelle marrone e un elmetto con sopra degli
occhialoni
da motocicletta. È saltato giù da un aeroplano
per atterrare in territorio
Nazista, nel mezzo di una zona di guerra. Steve è un dannato
imbecille.
Potrebbe
scrivere dell'altro più tardi, se nuovi ricordi dovessero
riaffiorare, ma per il momento è stanco.
Il
materasso
che puzzava di muffa e sudore è sparito da poco, sostituito
da uno di seconda
mano sul quale ha steso un sacco a pelo. Non si sente abbastanza sicuro
da
dormire tra lenzuola o coperte o qualsiasi cosa nel quale potrebbe
restare ingarbugliato
in caso avesse bisogno di scappare all'improvviso. Non fa mai male
essere previdenti.
OOOOO
Il
mondo
sembra fermarsi di colpo un giovedì.
Si
trova ad
una bancarella al mercato. La donna che vende frutta è
gentile e
gli sorride, mostrando
la merce in vendita e il prezzo, e scambiano due chiacchiere mentre lui
sceglie
alcune prugne. Qualcosa però attira la sua attenzione: forse
si
tratta
d'intuizione o semplicemente è il risultato di anni passati
a
vivere al di fuori della legge, ma sente di essere osservato.
Si
gira e vede
un uomo all'interno di un'edicola, dall'altra parte del viale. Ha un
quotidiano
in mano e sta fissando proprio lui con l'espressione di chi sa qualcosa
che
nessun altro sa. Un'ondata di timore lo colpisce come un pugno a
tradimento.
L'aria
sembra
diventare gelata e si allontana dalla bancarella della frutta
mormorando delle
scuse a bassa voce, prima di attraversare la strada. Appena l'uomo si
accorge
di essere stato scoperto lascia cadere il giornale per fuggire a gambe
levate;
quando lui riesce a raggiungere l'edicola raccoglie il quotidiano e le
foto in
prima pagina gli tolgono il fiato.
Una
bomba è
esplosa in un'ambasciata, ci sono diversi feriti e vittime e per
qualche
ragione la sua faccia è incollata di fianco ai titoli a
caratteri cubitali. Anche
se l'immagine è sgranata, presa da una videocamera di
sicurezza, si tratta
senza dubbio di lui. Però lui non farebbe mai una cosa del
gemere, almeno di
questo è sicuro. Non sa spiegarsi perché la sua
faccia dovrebbe essere in quel
filmato. La risposta logica è che qualcuno stia cercando di
incastrarlo (per
chissà quale motivo) eppure una seconda ipotesi,
più sinistra, striscia nel suo
cervello: e se davvero fossi stato io
a farlo?
È fin
troppo consapevole di aver perso il controllo delle proprie azioni in
passato.
Ha fatto irruzione in diversi edifici, rapito gli obiettivi che gli
erano stati
assegnati, ucciso chiunque finisse per trovarsi aggiunto alla lista
nera dei
suoi committenti. Ogni volta che tornava ad avere coscienza di
sé, ore dopo o
giorni più tardi, non aveva nient'altro che del sangue sulle
mani a suggerirgli
cosa fosse successo. Il solo pensiero è nauseante e
terrificante e la parte
peggiore è che potrebbe essere successo di nuovo.
Si
sente
frastornato, la testa comincia a vorticare impazzita come un satellite
calciato
fuori dall'orbita. Continua a rimuginare… sono io il responsabile?
Non può esserne sicuro…
I
piedi lo
trascinano fino a casa, quasi camminassero da soli; di certo non
ricorda di
essersi diretto da quella parte. Solo quando si trova a muovere alcuni
passi
nell'androne del palazzo realizza dove si trova e che cosa sta
succedendo. Deve
andarsene, prendere quel poco che gli appartiene e scappare. Non
importa che
sia coinvolto nell'attentato o no - la gente pensa che lo sia ed
è
sufficiente per condannarlo a morte.
Fa
un rapido elenco di
possibili destinazioni e come raggiungerle mentre sale
le scale due o tre per volta. Treno e vagone merci sono le due
soluzioni
migliori, gli darebbero modo di uscire dal Paese senza essere visto e
senza che
qualcuno dia l'allarme. Sa che può raggiungere la zona di
carico della stazione
in mezz'ora, circa; ha solo bisogno di recuperare lo zaino.
Rimane
di
sasso una volta raggiunto il proprio piano, ogni muscolo del corpo in
teso e in
allerta. La porta dell'appartamento è chiusa ma sa che
c'è qualcuno
all'interno, può sentirlo. Forse dovrebbe solo lasciarsi
tutto alle spalle e
abbandonare anche lo zaino, in modo da scappare subito.
Scarta
quell'idea in fretta. Non vuole che si arrivi ad uno scontro, non vuole
fare
male a nessuno, però quei taccuini e i ricordi che
contengono sono l'unica cosa
che gli appartenga davvero e non può lasciarli indietro.
Apre la porta ed entra.
L'uomo
che
si trova davanti non è armato; è chiaro
perché si trovi lì, eppure non
costituisce una minaccia. Gli rivolge le spalle, tiene uno dei
quadernini tra
le mani e le sue dita stanno sfiorando una fotografia tra le pagine.
Sembra
rendersi conto di non essere da solo nel momento esatto in cui lui
entra nella
stanza, così si gira per fronteggiarlo. Un paio di occhi
azzurri si fissano nei
suoi.
«Mi
conosci?» gli chiede con una sfumatura nervosa nella voce.
Eppure non c'è diffidenza
nella sua espressione, nessuna traccia di paura o dubbio. La domanda
è più che
altro una formalità: entrambi sanno quale sia la risposta e
non ha alcun senso
mentire.
In
realtà
vorrebbe tanto poter dire di no. Dio, se lo vorrebbe.
Se riuscisse
a negare forse Steve se ne andrebbe e gli starebbe lontano una volta
per tutte;
non è sicuro per lui stargli accanto, soprattutto adesso.
Qualcuno gli ha
piazzato un bersaglio sulla schiena, più grande e luminoso
di quanto sia mai
stato, e se Steve continua a restargli troppo intorno potrebbe finire
ferito o
ammazzato. Non può permettere che questo succeda.
La
domanda
continua a stagnare nell'aria.
Mi
conosci?
Ovviamente
lo conosce. Steve è l'unica cosa che conosce, l'unica cosa
che vuole conoscere.
Lo conosce meglio di quanto conosca se stesso, meglio di quanto conosca
la sua
stessa vita. Conosce Steve e per qualche ragione è come se
fosse l'unico dettaglio
che abbia mai avuto importanza. Risponde con un piccolo cenno del capo.
«Sei
Steve.»
E io
sono Bucky...
1. Bug out
bag
Qualsiasi tipo
di contenitore facilmente trasportabile in grado di contenere un
equipaggiamento base (abiti, contanti, documenti, piccole scorte di cibo) utile
durante situazioni d'emergenza nelle quali sia necessario allontanarsi nel
minor tempo possibile da una zona considerata a rischio. [NdT]
Capitolo originale dell'autrice
Show her
some love!
Ringraziamenti
Ebbene sì… siamo arrivati alla fine.
Sniff.
Un po' di tristezza c'è, lo ammetto, ma non è
comparabile alla gioia di aver condiviso questa avventura! Quindi grazie a
tutti voi che avete letto e in particolare un immenso grazie di cuore alle
meravigliose Aster_01 e Ragenruin, per essersi lasciate spappolare
i feels settimana dopo settimana… in compagnia c'è più gusto!!!
Your Humble Translator,
Milla984