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Autore: laylabinx    24/01/2017    2 recensioni
Servono solo dieci piccole parole per mandarlo in pezzi.
Studio del personaggio di Bucky Barnes, incentrato sulle parole del codice di attivazione.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Steve Rogers
Note: Missing Moments, Movieverse, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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cap 10 da modificare

NdA

Questa storia ormai è completa ma sto lavorando alla seconda parte! Grazie mille a tutti per aver letto!

 

 

Capitolo 10: Gruzovoy Vagon



Arriva in Romania all'interno di un vagone merci. È tardo pomeriggio e il sole brilla alto nel cielo, riscaldando le fredde folate di vento che si intrufolano di tanto in tanto attraverso la lamiera.

Ha dovuto fare un po' di attenzione ma è riuscito a passare del tutto inosservato quando i container sono stati caricati su una nave mercantile; nessuno sapeva che ci fosse anche lui sul retro, lo zaino riempito di abbastanza cibo e acqua da bastargli per tutta la durata del viaggio. Il cargo ha raggiunto il porto alcuni giorni dopo e il cassone è stato spostato fino all'aggancio ferroviario. Lui è rimasto tranquillo nel suo nascondiglio, in un angolo dietro ad una pila di casse, aspettando l'occasione migliore per scendere.

Dopo una mattinata trascorsa su binari sferraglianti, il treno si ferma per fare tappa in una stazione a Bucarest. Approfitta dei pochi secondi di distrazione degli operai di linea occupati a scaricare la merce di un altro container e sguscia fuori attraverso il portellone laterale. Nel giro di un attimo si mescola alla folla di persone che sciama verso l'uscita. Con la borsa in spalla e il cappellino da baseball calato sugli occhi ha esattamente l'aspetto di uno dei tanti turisti che gironzolano per le strade.

La città è vasta e popolosa, eppure non sembra essere grande abbastanza; gli serve una metropoli, un posto dove scomparire tra le centinaia di migliaia di abitanti per cancellarsi e ricominciare da capo. Potrebbe essere un primo passo per iniziare a disfarsi del condizionamento dell'Hydra e prendersi indietro la propria vita. Ci vorrà parecchio, ma del resto adesso ha un sacco di tempo a disposizione e che altro potrebbe farci?

Vaga senza meta per i quartieri più periferici finché si imbatte in una pensione di bassa categoria. Per quanto abbia bisogno di mescolarsi alla gente comune in modo da non destare sospetti vuole evitare di fare del male a qualcuno nel processo. Sta migliorando molto a rilento e non può sapere se esista ancora il rischio di trasformarsi in un'arma letale, contro la sua volontà.

Un'insegna all'ingresso del palazzo informa i passanti che ci sono stanze disponibili. L'uomo dall'altra parte del bancone nell'ufficio del responsabile non fa troppe domande, la mazzetta di denaro appoggiata sul tavolo conferma che il nuovo inquilino può permettersi di pagare e non serve sapere altro. Gli consegna una chiave e gli fa firmare un pezzo di carta che non ha il minimo aspetto di un reale contratto d'affitto, poi fa segno con la testa in direzione delle scale.

Il suo nuovo appartamento è al nono piano, alla fine del corridoio che si affaccia sull'atrio al centro dell'edificio. Gli unici complementi d'arredo sono un frigorifero e un materasso logoro, sistemato contro il muro. Forse a causa della muffa o del fumo di sigaretta, le pareti hanno preso un colore giallo-marrone e le finestre sono luride; è uno spazio angusto, con rubinetti gocciolanti e il pavimento dissestato, ma per adesso quattro mura e un impianto idraulico sono tutto quello che gli serve.

La prima cosa che fa è sollevare una delle assi in cucina per infilare il borsone tra le intercapedini. Non toglie niente dall'interno, lo lascia com'è; contiene tutti i soldi, i taccuini e quei pochi rimasugli di vestiti che è riuscito a conservare. Sa per esperienza che è meglio avere uno zaino di salvataggio1 pronto per ogni necessità, quindi lo nasconde in bella vista e risistema le tavole del pavimento al loro posto.

Realizza solo in quel momento di essere sfinito. Viaggiare nel vagone merci l'ha messo a dura prova, a livello mentale e fisico, e gli ha prosciugato ogni riserva di energia. Si lascia cadere sul materasso che puzza di marcio, trattenendo una smorfia quando qualcosa di appuntito passa attraverso la fodera e lo colpisce all'altezza delle reni. Allunga la mano di metallo sotto la schiena, strappa via una molla ribelle e la lancia dall'altra parte della stanza.

È stanco, più esausto di quanto sia mai stato. Non vuole nient'altro che mettersi a dormire, anche se la sua mente glielo impedisce - sempre all'erta e vigile, concentrata sull'ambiente sconosciuto che lo circonda. Rimane sdraiato sul letto a fissare il soffitto e passa la notte in bianco.

OOOOO

Il primo mese passa in una macchia confusa. Inizia a conoscere la città, comincia a chiedersi se riuscirebbe a viverci in pianta stabile. Sta imparando la lingua abbastanza in fretta e man mano diventa più facile parlarla senza rispondere a monosillabi, in russo. Non succede spesso ma talvolta viene coinvolto in una conversazione con gli altri inquilini, a proposito dei problemi nel palazzo o di quello che succede in giro. I suoi vicini in genere tendono a stare per conto proprio e non si sente molto in colpa se alla fine della giornata non ha rivolto parola ad anima viva.

Avere una routine quotidiana collaudata lo aiuta a trovare un minimo di equilibrio. Quando torna a casa solleva le assi del pavimento per assicurarsi che lo zaino sia ancora lì; prende i taccuini e li rilegge uno per uno, si imprime nella memoria ogni parola perché non sa se potrebbe capitargli di nuovo di dimenticare tutto quello che c'è scritto.

Ne ha aggiunti altri a quelli che ha portato con sé. Continua a sembrare strano, i frammenti della sua vita gli risultano tuttora estranei e distanti anni luce mentre li trascrive su carta, anche se non smette di farlo. Sa che devono avere importanza e li mette tutti per iscritto, nascondendoli in modo da tenerli al sicuro.

Il mese successivo non c'è più spazio nel borsone. Ci sono fin troppi quadernini, ciascuno riempito di ricordi e informazioni fino all'ultimo foglio, così decide di lasciarne alcuni sugli scaffali della cucina o sul davanzale della finestra. Ha collezionato ritagli di giornale da usare come segnalibri, compresa una foto di Steve. Lo ritrae in veste di Capitan America, coperto da capo a piedi di rosso, bianco e blu; regge lo scudo al proprio fianco e lo sguardo è rivolto all'orizzonte, la mascella contratta con aria determinata. È un'immagine solenne e maestosa, simile alle gigantografie esposte allo Smithsonian.

L'uniforme risveglia qualcosa nella sua testa, lo stuzzica e lo punzecchia come un bambino con un bastoncino. La guarda e sente il bisogno di recuperare un taccuino dallo scaffale: ricorda un campo di battaglia, macchie di cenere e di terriccio ghiacciato, la stella bianca che spicca luminosa… però quella nella fotografia dev'essere la seconda o la terza che ha cambiato. No, lui ricorda ancora la prima uniforme che Steve indossava quando ha fatto irruzione nella base dell'Hydra in Germania.

Cerca una delle pagine con qualche riga ancora disponibile e butta giù un appunto frettoloso.

Steve indossava una giacca di pelle marrone e un elmetto con sopra degli occhialoni da motocicletta. È saltato giù da un aeroplano per atterrare in territorio Nazista, nel mezzo di una zona di guerra. Steve è un dannato imbecille.

Potrebbe scrivere dell'altro più tardi, se nuovi ricordi dovessero riaffiorare, ma per il momento è stanco.

Il materasso che puzzava di muffa e sudore è sparito da poco, sostituito da uno di seconda mano sul quale ha steso un sacco a pelo. Non si sente abbastanza sicuro da dormire tra lenzuola o coperte o qualsiasi cosa nel quale potrebbe restare ingarbugliato in caso avesse bisogno di scappare all'improvviso. Non fa mai male essere previdenti.

OOOOO

Il mondo sembra fermarsi di colpo un giovedì.

Si trova ad una bancarella al mercato. La donna che vende frutta è gentile e gli sorride, mostrando la merce in vendita e il prezzo, e scambiano due chiacchiere mentre lui sceglie alcune prugne. Qualcosa però attira la sua attenzione: forse si tratta d'intuizione o semplicemente è il risultato di anni passati a vivere al di fuori della legge, ma sente di essere osservato.

Si gira e vede un uomo all'interno di un'edicola, dall'altra parte del viale. Ha un quotidiano in mano e sta fissando proprio lui con l'espressione di chi sa qualcosa che nessun altro sa. Un'ondata di timore lo colpisce come un pugno a tradimento.

L'aria sembra diventare gelata e si allontana dalla bancarella della frutta mormorando delle scuse a bassa voce, prima di attraversare la strada. Appena l'uomo si accorge di essere stato scoperto lascia cadere il giornale per fuggire a gambe levate; quando lui riesce a raggiungere l'edicola raccoglie il quotidiano e le foto in prima pagina gli tolgono il fiato.

Una bomba è esplosa in un'ambasciata, ci sono diversi feriti e vittime e per qualche ragione la sua faccia è incollata di fianco ai titoli a caratteri cubitali. Anche se l'immagine è sgranata, presa da una videocamera di sicurezza, si tratta senza dubbio di lui. Però lui non farebbe mai una cosa del gemere, almeno di questo è sicuro. Non sa spiegarsi perché la sua faccia dovrebbe essere in quel filmato. La risposta logica è che qualcuno stia cercando di incastrarlo (per chissà quale motivo) eppure una seconda ipotesi, più sinistra, striscia nel suo cervello: e se davvero fossi stato io a farlo?

È fin troppo consapevole di aver perso il controllo delle proprie azioni in passato. Ha fatto irruzione in diversi edifici, rapito gli obiettivi che gli erano stati assegnati, ucciso chiunque finisse per trovarsi aggiunto alla lista nera dei suoi committenti. Ogni volta che tornava ad avere coscienza di sé, ore dopo o giorni più tardi, non aveva nient'altro che del sangue sulle mani a suggerirgli cosa fosse successo. Il solo pensiero è nauseante e terrificante e la parte peggiore è che potrebbe essere successo di nuovo.

Si sente frastornato, la testa comincia a vorticare impazzita come un satellite calciato fuori dall'orbita. Continua a rimuginare sono io il responsabile?
Non può esserne sicuro…

I piedi lo trascinano fino a casa, quasi camminassero da soli; di certo non ricorda di essersi diretto da quella parte. Solo quando si trova a muovere alcuni passi nell'androne del palazzo realizza dove si trova e che cosa sta succedendo. Deve andarsene, prendere quel poco che gli appartiene e scappare. Non importa che sia coinvolto nell'attentato o no - la gente pensa che lo sia ed è sufficiente per condannarlo a morte.

Fa un rapido elenco di possibili destinazioni e come raggiungerle mentre sale le scale due o tre per volta. Treno e vagone merci sono le due soluzioni migliori, gli darebbero modo di uscire dal Paese senza essere visto e senza che qualcuno dia l'allarme. Sa che può raggiungere la zona di carico della stazione in mezz'ora, circa; ha solo bisogno di recuperare lo zaino.

Rimane di sasso una volta raggiunto il proprio piano, ogni muscolo del corpo in teso e in allerta. La porta dell'appartamento è chiusa ma sa che c'è qualcuno all'interno, può sentirlo. Forse dovrebbe solo lasciarsi tutto alle spalle e abbandonare anche lo zaino, in modo da scappare subito.
Scarta quell'idea in fretta. Non vuole che si arrivi ad uno scontro, non vuole fare male a nessuno, però quei taccuini e i ricordi che contengono sono l'unica cosa che gli appartenga davvero e non può lasciarli indietro. Apre la porta ed entra.

L'uomo che si trova davanti non è armato; è chiaro perché si trovi lì, eppure non costituisce una minaccia. Gli rivolge le spalle, tiene uno dei quadernini tra le mani e le sue dita stanno sfiorando una fotografia tra le pagine. Sembra rendersi conto di non essere da solo nel momento esatto in cui lui entra nella stanza, così si gira per fronteggiarlo. Un paio di occhi azzurri si fissano nei suoi.

«Mi conosci?» gli chiede con una sfumatura nervosa nella voce. Eppure non c'è diffidenza nella sua espressione, nessuna traccia di paura o dubbio. La domanda è più che altro una formalità: entrambi sanno quale sia la risposta e non ha alcun senso mentire.

In realtà vorrebbe tanto poter dire di no. Dio, se lo vorrebbe.
Se riuscisse a negare forse Steve se ne andrebbe e gli starebbe lontano una volta per tutte; non è sicuro per lui stargli accanto, soprattutto adesso. Qualcuno gli ha piazzato un bersaglio sulla schiena, più grande e luminoso di quanto sia mai stato, e se Steve continua a restargli troppo intorno potrebbe finire ferito o ammazzato. Non può permettere che questo succeda.

La domanda continua a stagnare nell'aria.

Mi conosci?

Ovviamente lo conosce. Steve è l'unica cosa che conosce, l'unica cosa che vuole conoscere. Lo conosce meglio di quanto conosca se stesso, meglio di quanto conosca la sua stessa vita. Conosce Steve e per qualche ragione è come se fosse l'unico dettaglio che abbia mai avuto importanza. Risponde con un piccolo cenno del capo.

«Sei Steve.»

E io sono Bucky...

 

 

 

1. Bug out bag

Qualsiasi tipo di contenitore facilmente trasportabile in grado di contenere un equipaggiamento base (abiti, contanti, documenti, piccole scorte di cibo) utile durante situazioni d'emergenza nelle quali sia necessario allontanarsi nel minor tempo possibile da una zona considerata a rischio. [NdT]

 

 

Capitolo originale dell'autrice

Show her some love!

 

 

 

Ringraziamenti
Ebbene sì… siamo arrivati alla fine.
Sniff.
Un po' di tristezza c'è, lo ammetto, ma non è comparabile alla gioia di aver condiviso questa avventura! Quindi grazie a tutti voi che avete letto e in particolare un immenso grazie di cuore alle meravigliose Aster_01 e Ragenruin, per essersi lasciate spappolare i feels settimana dopo settimana… in compagnia c'è più gusto!!!

Your Humble Translator,
Milla984

   
 
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