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Autore: Jawn Dorian    28/01/2017    3 recensioni
C'è qualcosa nello sguardo di John.
Non ha più senso ripetersi questa frase - pensa Sherlock - non c'è qualcosa nello sguardo di John, piuttosto c'era. C'era, tempo imperfetto, ora non c'è più. 
"Non perdere anche lo sguardo di John, Sherlock. Quello è ancora qui, da qualche parte..."
{ John e Sherlock senza Mary ma con Mary.
Ambientata nella quarta stagione. }
Genere: Fluff, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Mary Morstan, Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'La famiglia che ti scegli '
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C'è qualcosa nello sguardo di John.
E’ qualcosa di raro e prezioso. Un dono incastonato nei suoi occhi, sempre così rassicuranti, così contenti.
Riescono ad esprimere tutte le emozioni del mondo, non c’è una sola emozione nel cuore di John che non sia evidente, cristallina, visibile a chiunque si sia premurato di osservarlo e conoscerlo. Non si nasconde, straripa dalle sue iridi e travolge, rassicura, dà, toglie, riceve. Quando è contento, o sollevato, o così divertito da lacrimare, c’è qualcosa nello sguardo di John. Sherlock lo sa scorgere meglio di chiunque altro, ne è diventato un intenditore. E’ un qualcosa che lo fa sentire a casa e – ne è sicuro – è lo stesso qualcosa che ha fatto innamorare Mary. C’è qualcosa nello sguardo di John.
Non ha più senso ripetersi questa frase - pensa Sherlock - non c'è qualcosa nello sguardo di John, piuttosto c'era. C'era, tempo imperfetto, ora non c'è più. E’ doloroso pensarlo e notarlo, perché agli altri forse può sembrare che tutto sia normale, ma John non la darà mai a bere a lui, ed è uno di quei momenti in cui Sherlock vorrebbe tanto non avere il dono della scienza della deduzione.
Lo sguardo di John ora è solo arido, scuro, e non c’è più nulla di luminoso. I giorni di luce se ne sono andati.
Mary se n’è andata. E fa male, perché anche lei era dolce custode di quel qualcosa, forte guardiana di quella luce. C’è un solo guardiano, ora, rimasto solo nel buio, in ginocchio.
“E’ buio…” sussurra Sherlock, nel vuoto di quei corridoi immaginari “…John.”

 
Granelli di luce
 
 
Granelli di luce. Ecco cosa c’era nello sguardo di John. Granelli di luce, polvere di stelle che dispensava ai suoi amati ogni volta che lo meritavano davvero. E’ un pensiero sciocco ed infantile, ma sembra avere perfettamente senso, pare proprio essere la verità calzante di quel mistero. Sherlock non sa spiegarselo, non capisce nemmeno la natura di quel che prova per quei granelli non più grandi di briciole. Minuscoli ed insignificanti granelli immaginari, non dissimili da schegge. Non si contavano, non si toccavano, non si compravano. E Sherlock non capisce cosa prova.
"Nostalgia" gli spiega Mary, illuminandolo con un milione di granelli di luce, i suoi, quelli che Sherlock ora può vedere solo lì, nella sua testa "ti manca il modo in cui John ti guardava."
A quel punto Sherlock si dimentica di respirare per un momento. "Quello di John non è il solo sguardo che mi manca."
Mary esiste ancora nel palazzo mentale di Sherlock. È lì che lo guarda e gli sorride. Un sorriso triste, perché vorrebbe essere nel mondo reale e dargli consigli veri e abbracci veri, a costruire con lui fortini contro i mostri che li accerchiano. E invece Mary non c’è più. Ombre troppo oscure, mostri troppo grandi.
"Mi dispiace così tanto" gli mormora, e sta per piangere, ma non si muove dalla sua posizione stabile, eretta. E’ una guerriera, un'incrollabile regina. "Non perdere anche lo sguardo di John, Sherlock. Quello è ancora qui, da qualche parte..."
Sherlock abbassa la testa mestamente. È stanco. La cocciutaggine, motore inarrestabile della sua vita, sembra essersi indebolita. Ora è un bambino. È di nuovo il bambino indifeso e sconfortato con il cappello da pirata calcato in testa, unico appiglio che sembra essergli rimasto.
"John non ha più i suoi granelli di luce" piange il piccolo Sherlock, stringendosi un lembo del maglioncino "tu te ne sei andata ed ora anche John mi lascerà solo."
Ma Mary si avvicina, con l'urgenza e la lestezza di una madre quale era stata, si china alla sua altezza, e gli asciuga le lacrime con un rapido e dolce gesto. "Fai finta che siano un tesoro..." gli dice, con complicità, e il bambino si ridesta, smette di piangere e ascolta la donna attentamente "i granelli di luce di John sono un tesoro perduto in questo oceano, Sherlock, e tu li devi ritrovare."
“Senza di te non posso” si lamenta il piccolo, prendendole la mano, e davvero vorrebbe non lasciarla andare mai più “eri la regina del mio vascello.”
Gli sorride come solo lei sa fare. “E tu eri il mio principe.”
Sherlock ora è tornato adulto. Il segno delle lacrime è ancora sulle sue guance, ed il suo sguardo è ancora così disperatamente in cerca di quello di Mary che forse sembra ancora più bambino di prima.
"Tu sei l'unico pirata su questa terra che può ritrovare quel tesoro."
Sherlock chiude gli occhi, e lascia che le lacrime scendano, bruciandogli le guance, marchiandolo.
"Va bene, Mary."
Quando li riapre Mary non attende oltre, si mette sulle punte e gli bacia la fronte, indugiando un poco con le labbra. Solo lei sa assecondarlo in quella sua spassionata teatralità, quella che a volte gli permette di non impazzire. "Adesso vai. C’è un tesoro che ti aspetta."
 
* * *
 
Il tesoro perduto è nascosto molto bene, di questo Sherlock se  ne rende conto. Se ne rende sempre più conto quando sorprende John a fissare Rosie con gli occhi di chi ha il disperato bisogno di piangere. La piccola e nel suo seggiolone, tutta intenta a divorare l'ennesimo sonaglino con una voracità decisamente inusuale per un esserino che ha ancora solo l'accenno di un dentino. Quello spettacolo farebbe andare in brodo di giuggiole ogni padre del mondo, ma non John. John indugia, la contempla, la studia. John si aggrappa. Ecco l'espressione adatta: John si aggrappa. Si aggrappa con il suo sguardo morto a Rosie come fosse l'unico motivo su quella terra maledetta per respirare. Non le stacca gli occhi di dosso.
Sherlock lo coglie, lo sente, l'insano terrore che John ha di perdere anche lei. Per un attimo sembra quasi aver paura che se non la controlla in ogni singolo movimento smetterà di respirare, semplicemente.
È palpabile, snervante e purissima ansia.
"John?" lo chiama, e John sposta lo sguardo verso di lui, fulmineo, e con sua immensa sorpresa, Sherlock si trova catapultato nella stessa sensazione: John si aggrappa con lo sguardo anche a lui. Ha paura di perdere anche lui, paura di perdere tutto, perché Rosie e Sherlock sono tutto ciò che gli è rimasto. E si aggrappa, si aggrappa, trascinandosi nell’angoscia, muovendosi piano. John sembra annegato in un mare di melma, quasi come se il solo respirare fosse uno sforzo sovraumano. Quegli occhi gli fanno paura. Sono vuoti, sono spenti. Non ci sono i granelli di luce, non c'è più niente, lì. C'è solo paura. Sembra l'unica cosa che John è in grado di provare.
"Usciamo."
"Come?"
Ora lo sguardo di John è confuso. Ancora niente granelli, ma almeno non è più così vuoto.
“Usciamo.”
“Sherlock…fuori piove a dirotto e Rosie deve ancora mangiare…”
“Portiamola con noi.”
Sherlock usa il suo, di sguardo, si lascia scrutare, leggere, anche insultare, se serve, per riscuoterlo da quelle specie di sabbie mobili che soffocano il suo amico in una morsa velenosa. Ma lui la sa sciogliere.
"Ho voglia di uscire" gli dice, e tira fuori il suo sorriso più enigmatico ed irritante "conosco un ristorante cinese di Baker Street aperto fino alle due. Sai, un buon ristorante cinese si riconosce dalla maniglia della porta."
È automatico. Come fosse una formula magica. John sorride, e l’ossigeno per lui sembra tornato leggero.
Basta così poco per far riaffiorare i ricordi del loro primo caso insieme, della prima notte trascorsa in quel ristorante a parlare di stupidaggini e misteri.
Sherlock potrebbe giurare di aver visto l'ombra di un granello.
 
* * *
 
È sulla buona strada. Quel mare è tempestoso e pieno di insidie, ma è sicuro di aver trovato la giusta rotta. Deve ragionare bene e ponderare ogni scelta. È intento a sviscerare la questione, concentrato e con gli occhi chiusi, quando Rosie comincia ad agitarsi tra le sue braccia, e Sherlock la calma permettendole di arrampicarsi con le manine appiccicaticce e decisamente poco igieniche su per la sua vestaglia, con la poca forza che quelle braccine bianche e paffute le permettono.
"Sherlock?"
Ignora la voce che lo chiama, così intento a pianificare la prossima mossa che non si rende conto quasi di niente, solo un vago sentore si manine che gli risalgono su per la faccia e raggiungono il suo naso.
"Sherlock!"
Ignora e continua le elucubrazioni mentali, sempre con la mano bena arpionata intorno alle gambine di Rosie, ora puntate sulle sue ginocchia, cocciutamente. Si piega ma non si spezza sotto il peso della piccola scalatrice, che ormai è riuscita ad avvinghiarsi ad un ciuffo corvino dei capelli dello zio, e ne è così attratta che sembra preferirlo di gran lunga a qualunque sonaglino abbia mai avuto.
"Sherlock!"
Questa volta si ridesta del tutto, apre gli occhi, rendendosi bene conto che Rosie Watson ha ormai le mani affondate nella sua capigliatura e il visetto soddisfatto e ridanciano a mezzo palmo dal suo naso, e che suo padre John Watson li sta fissando dalla sua poltrona come fossero la cura di ogni male nel mondo.
"Oh" esala Sherlock.
"Hho!" ripete la piccina.
E niente, neppure un terremoto o tutti i cammei vaticani dell'universo sembrano poter contenere l'entusiasmo di John Watson in quel momento. Balza in piedi.
"Sherlock, non muoverti-- non vi muovete, chiaro?! Foto! Ci vuole una foto!"
Sparisce per un momento dalla sua visuale e ricompare munito di fotocamera. E Sherlock lo vede, solo per un secondo, oltre l'obiettivo della macchinetta, breve ma evidente: quello è un granello di luce.
 
 
* * *
 
 
Ormai non manca molto. La rotta è quella giusta, vento in poppa e vele spiegate. Il tesoro non deve essere troppo lontano. Ed è troppo prezioso, troppo importante, troppo indispensabile perché lui rovini tutto con la pretesa di riconquistarlo da solo.
Per questo, Sherlock si affida a qualcuno che ha già navigato più volte quei mari  traditori ed assassini. Il miglior braccio destro che un pirata possa mai desiderare: Molly Hooper.
Molly sorride, avvolta in un maglioncino giallo senape e i capelli acconciati in una treccia scomposta.
E sempre rigorosamente con Rosie tra le braccia.
La piccina ha sempre delle attenzioni speciali per Molly: il modo in cui la guarda, il modo in cui nasconde il faccino sempre sullo stesso lembo di pelle tra la sua spalla e il suo collo, il modo in cui tira un urletto euforico ogni qualvolta qualcuno annuncia ‘c’è zia Molly!’. E’ magnetismo. E’ colpo di fulmine.
Rosie e Molly si capiscono al volo solo con gli occhi, in un'intesa femminile perfetta che fa morire di gelosia papà John, zio Greg e soprattutto lo zio Sherlock (che pur di ammetterlo si metterebbe a ballare la macarena, ma quella è un'altra storia). Molly sorride, e Rosie è una delle poche cose al mondo che la fa sorridere così. Uno passa una vita a cercare la sua anima gemella, e non si immaginerebbe mai che quella possa essere una bimba che ti da il mondo con un sorriso ad un dente solo.
Sherlock le affianca sul divano, senza comprendere appieno gli sguardi che si scambiano.
"Lo zio Sherlock è un vero sciocco, non è così, Rosie?"
“Non sono uno—“
“Uno sciocco che chiama la zia Molly alle tre di notte.”
Sherlock serra le labbra. In effetti è proprio quello che ha fatto la notte prima. Ma in sua difesa, quelle analisi erano davvero molto importanti, e si fidava solo di lei.
“Un vero sciocchino!”
L'interessato sbuffa di fronte a tanta insolenza, specie dopo che Rosie rivolge a Molly un sorrisone divertito di fronte a quelle parole, come le avesse davvero comprese e le desse ragione. Che affronto alla sua persona.
"Non sono uno sciocchino" si difende Sherlock, allora, calcando sull’ultima parola.
"No, in effetti no"  Molly, senza smettere di far trotterellare le paffute e impazienti membra di Rosie sulle sue ginocchia si gira verso di lui, con il viso disteso in un sorrisetto che non promette nulla di buono. "Non sei uno sciocco. La parola è un'altra. Ma per amore dell'innocenza di Rosie mi sembra corretto non usarla."
Questa volta a ridere sommessamente è John, dalla cucina. Altra insolenza. Ma quando poi John sbuca nel salotto con una tazza di tè per Molly in mano e un sorrisone stampato in faccia, Sherlock bacerebbe Molly Hooper per il suo commento, la prenderebbe in braccio e le farebbe fare una giravolta per la contentezza: negli occhi di John ci sono, brillanti come non mai, almeno un paio di granelli.
 
* * *
 
Un tempo, nella sua vita, c’era John Watson. Quando c’era John Watson tutto era più facile e più divertente, ma anche più complicato e più noioso. Era un paradosso. Un paradosso con le gambe che gli regalava granelli di luce tutti i giorni. Poi John Watson aveva portato inevitabilmente, senza che lui potesse fare nulla per impedirlo, altri paradossi nella sua vita. Uno più strano dell’altro.
Molly, che lo faceva sentire così debole ma così forte.
Greg, che lo faceva apparire stolto e poi un genio.
Mary, che era riuscita a farlo sentire in pericolo e poi a dargli più sicurezza e conforto di chiunque altro in quell’oceano. Quel vasto mare che era la sorte, che fra tanti bugiardi gli aveva donato la bugiarda migliore di tutti. Ma poi gliel’aveva sottratta, senza pietà, senza possibilità di recuperarla. Lasciando tutte quelle cose non dette, tutti quei granelli di luce spenti per sempre.
E ora Sherlock è solo in mare, solo senza Mary e senza i granelli di John. Ed è una cosa che traspare, traspare così tanto, e forse, per una volta, sono gli occhi di Sherlock che fungono da specchio per il suo stato d’animo. Stavolta sono le sue emozioni che straripano. E’ stanco. Il peso di un oceano non si può portare tutto da soli. Il grande Sherlock Holmes, il principe dei pirati, è stanco.
“Sherlock, stai bene?”
John, in piedi di fronte alla cucina, ignaro, lo segue con lo sguardo. John non capisce. Ma d’altronde, John non è uno che capisce, John è uno che ama. Gli ha chiesto come sta e per una volta, forse una delle pochissime volte nella sua vita, Sherlock risponde a quella domanda con la massima sincerità: “Sono stanco.”
"Sherlock?"
John non è uno che capisce. Era Mary quella che capiva, e senza Mary Sherlock non sviscera i pochi sentimenti che riesce ad esprimere di solito e John non li capisce. John non capisce, non capisce appieno neppure in quel momento. Ma John ama, e quindi a volte fa la cosa giusta anche senza capire.
"Mh?"
Il silenzio che li separa si spezza, e arriva uno di cui brevi momenti in cui chiudono il resto del mondo fuori e sono solo loro due, i loro bilanci, le loro esperienze, la loro amicizia.
"Grazie."
"Non ho fatto nie-"
"Lo sai cosa intendo."
Sherlock riconosce troppo bene il tono di un Watson che non ammette repliche e quindi non ne fornisce. Torna a piegarsi sul microscopio, comodamente seduto in cucina. John non demorde. Dannati scaltri e coriacei Watson.
"Mi hai sentito?"
"Ho sentito, sì, ho sentito" sbuffa, come i vecchi tempi, quando il  solo pensiero di interazione affettuosa lo disgustava.
"Sei il mio migliore amico."
Ecco, quello Sherlock non se lo aspettava minimamente. John non è così prevedibile, dopotutto.
"Sì?" tossicchia, fingendo la più totale noncuranza "me lo hai già detto."
John sospira, raddrizzando la schiena come si preparasse ad una battaglia. Ed è effettivamente così: spiegare a Sherlock Holmes i sentimenti che prova è sempre qualcosa che gli ricorda vagamente la guerra.
"Sì, ma non te l'ho mai ripetuto. Dopo tutto quello che è successo, pensavo che una conferma-"
"Che cosa ridicola" lo interrompe subito l'altro con tono saccente e - Dio ora vado lì e gli sfondo il microscopio in testa quant'è vero che il cielo è blu - "dopotutto, io non l'ho mai confermato a te."
John serra le labbra. Non si era concesso il lusso di perdersi in quei rompicapi da molto. Realizza solo in quell'istante che non gli importa. Non gli importa, perché seguirebbe in ogni caso quell'uomo anche all'inferno, e correrebbe a salvarlo da tutti i flagelli di Dio che conosce. E che la cosa è reciproca.
"Lo sei."
Vedono l'ombra del sorriso soddisfatto di Mary con la coda dell'occhio.
"Sei il mio migliore amico. Ovviamente."
Mary. Per un attimo è come se fosse ancora lì a gustarsi la scena come ogni volta, mordendosi il labbro, compiaciuta. Oh, lo sguardo d’amore che donava loro ogni volta che con poche parole edificavano un muro invisibile, quando riuscivano a provare di essere fratelli non di sangue, ma di spirito…
John sorride radioso come non fa da mesi, quasi come sua moglie avrebbe fatto in quell'istante trionfale e perfetto. Poi si contiene e si schiarisce la voce, abbassando lo sguardo sul pavimento polveroso. "Uh-uhm, sì. Buono a sapersi."
"John" interviene la voce di Mary tempestiva nella sua testa "puoi fare di meglio."
Può davvero, solo che non è bravo a farlo. Ma raccoglie tutti i granelli di luce mancati senza saperlo e alza lo sguardo per travolgerlo con quel fiume lumeggiante.
"Grazie, Sherlock. Davvero."
I granelli sono tutti lì. Brillano e guizzano. Invadono la stanza, la illuminano. Illuminano Sherlock.
 
* * *
 
È ancora lacerante, realizza Sherlock. Lo è per lui come lo è per John. La mancanza di Mary è lacerante e forse non smetterà mai di esserlo. Ma con quei granelli di luce, con John Watson di nuovo a bordo, il principe dei pirati può dirsi tornato sulla giusta rotta.
"Da bravo, basta fare il pirata" lo deride Mary "il tesoro ormai è al suo posto."
Sherlock la guarda divertito, con quell'intesa perfetta che incatena i loro sguardi da sempre. "E allora cosa dovrei fare, adesso?"
"Beh" la curva del sorriso di lei è perfetta "essere Sherlock Holmes."
 
 
 









 
 
Note finali
Ho pensato a lungo a cosa avrei scritto qui. Ci ho pensato veramente tanto ma adesso che ho finalmente finito questa storia non mi viene in mente niente. Solo che mi manca Mary Watson. Mi manca come se a perderla fossi stata io, e francamente la cosa è ridicola. Ho temuto seriamente per John che – chi mi conosce lo sa – adoro amo e stimo come nessun altro personaggio nella storia delle serie TV, e per questo ho seriamente temuto ce lo saremmo giocati. Per un attimo, quando l’ho visto picchiare Sherlock per davvero e forte ho temuto non avremmo mai più riavuto John Watson e i suoi granelli di luce.
Poi per fortuna, tutto si è aggiustato. John Watson è ancora John Watson. Ma ho finito per chiedermi - inevitabilmente e come mio solito – quale fossero stati i momenti a cavallo tra seconda puntata e fine stagione che lo abbiano aiutato a rialzarsi. O meglio, che stratagemmi – programmati e non – Sherlock abbia dovuto utilizzare per riprendersi il suo compagno di avventure e trascinarsi lui stesso fuori da quel lutto tremendo. E questa storia ne è il risultato.
Metto questa storia nella serie ‘La famiglia che ti scegli’, che ora con l’assenza di Mary sarà molto più complicata da continuare, ma lo farò. Preferisco scrivere del fantasma di Mary Watson che non scrivere più di lei. So che questa storia è strana, sdolcinata e confusionaria, ma cercate di capirmi: ognuno calma i nervi come può. Mi ha fatto sentire meglio scriverla, e spero possa confortare qualcuno che la leggerà.
Ringrazio di cuore chi ha letto fino a qui.

 
 
 
 
 
 
  
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