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Autore: TaliaAckerman    28/01/2017    3 recensioni
L'ultimo atto della saga dedicata a Fheriea.
Dubhne e Jel si sono finalmente incontrati, ma presto saranno costretti a separarsi di nuovo. Mentre la minaccia dal Nord si fa sempre più insistente, un nemico che sembrava battuto torna sul campo di battaglia per esigere la sua vendetta. Il destino delle Cinque Terre non è mai stato così incerto.
Dal trentaquattresimo capitolo:
"Dubhne si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e ricordò quando, al suo arrivo a Città dei Re, l'avevano quasi rasata a zero.
- Quando ero nell'Arena... - mormorò - dovevo contare solo su me stessa. Un Combattente deve imparare a tenere a bada la paura, a fidarsi solo del proprio talento e del proprio istinto. Non c'è spazio per altro.
Jel alzò gli occhi e li posò su di lei - E che cosa ti dice ora il tuo istinto?
- Sopravvivi. "
Se volete sapere come si conclude il II ciclo di Fheriea, leggete!
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'II ciclo di Fheriea'
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16








Fumo nero si levava dalle pire funebri.
Dubhne osservava i corpi dei cadaveri bruciare adagiati su nidi di legna secca, con gli occhi che le lacrimavano in mezzo all'ambiente fumoso.
Non era la prima volta che assisteva ad un funerale, anzi, in verità in quei giorni era stata una delle sue principali occupazioni. Dalle infermerie non giungevano buone notizie: i feriti continuavano a morire come mosche, nonostante il lavoro senza tregua delle guaritrici. Il conto dei morti era divenuto così alto che cominciava a mancare lo spazio per disporli, ma bisognava ammettere che, pur in una situazione così complicata e caotica, gli ariadoriani si erano dimostrati alquanto efficienti. Onde evitare il diffondersi di epidemie, si era insistito affinché i corpi venissero bruciati al più presto, e così effettivamente era stato. Gruppi di cinque o sei caduti erano disposti con dignità sulle singole pire per cercare di ottimizzare l'uso di legna da ardere, e la fossa comune che era stata scavata alcune centinaia di metri fuori dall'accampamento in un modo o nell'altro non era mai piena.
Nonostante questo, la situazione era disperata, e ormai tutti lo sapevano.
- Non ci si abitua mai allo spettacolo, eh?
- Non sto piangendo - disse subito lei per mettere le cose in chiaro, asciugandosi le lacrime brucianti con una manica e voltandosi verso Neor. - È solo che questo dannato fumo mi fa male agli occhi.
L'uomo di fianco a lei non aveva più nulla dell'arrogante guerriero che aveva conosciuto nell'Arena: gli occhi stanchi, segnati da occhiaie violacee, il ciuffo di capelli corvini che gli scendeva smorto sulla fronte, dando l'impressione che fosse sporco e sudato nonostante il freddo. Ma il dettaglio più impressionante era la mancanza del braccio sinistro, amputatogli poco sotto la spalla. Era avvolto da una benda pulita in quel momento.
Non gli chiese come si sentisse perché sapeva che le avrebbe mentito: era a terra, fisicamente e moralmente. Era un mezzo miracolo che non fosse morto per le infezioni, e aveva trascorso giorni sull'orlo del trapasso, a volte apparentemente più da una parte che dall'altra. Aveva ricominciato da poco ad allenarsi con la spada, ma Dubhne aveva l'impressione che non sarebbe mai ritornato quello di un tempo.
- I generali dicono che presto potremo ripartire - proferì voltando le spalle ai fuochi. - Verrai anche tu?
Neor alzò le spalle, tetro. - Dio solo sa quanto vorrei poterti rispondere, ma ancora non lo so. Se devo essere sincero, a stento mi reggo in piedi.
Anche la ragazza avrebbe voluto rispondergli, infondergli coraggio in qualche modo. Ma la verità era che si sentiva completamente svuotata da qualunque spirito positivo. Erano tutti quanti allo stremo delle forze, prigionieri di un'inattività obbligata che li stava portando sull'orlo della follia, o peggio, al totale abbandono di qualsiasi speranza. Per questo si limitò ad appoggiare una mano sulla spalla destra dell'ex Combattente, stringendola forte.
Suo malgrado, Neor rise. - Dovrebbe essere un uomo a consolare una donna, Dubhne. Non credo di volermi abituare a questo rovesciamento di ruoli.
Era la prima volta che la chiamava per nome. Fino a quel momento per lui era sempre stata la Ragazza del Sangue.
In un altro momento avrebbe risposto, magari con una provocazione, ma in quel momento non le interessava affatto difendere la propria emancipazione. Il mal di testa in quei giorni andava e veniva, e di certo il clima gelido non aiutava. Si sentiva debole, debole e sfinita. Dentro di lei, da qualche parte, persistevano la rabbia e il desiderio di riscatto ma, prigioniera com'era di quella situazione, doveva lottare per mantenerli vivi.
- Sai dov'è Jack? - chiese cambiando argomento, con gli occhi socchiusi, che ancora le bruciavano per il fumo. Non che avesse qualcosa in particolare da chiedergli, ma a volte sentiva il bisogno di "monitorare" l'operato del comandante, come per accertarsi che stesse facendo tutto il possibile per farli ripartire al più presto.
Ma Neor aveva scosso la testa. - Non lo vedo da due giorni. Dovrebbe essere nella tenda dei generali, comunque. Passa tutto il tempo là dentro...
Dubhne rifletté un istante per valutare se ne valesse la pena: dopotutto aveva già parlato con Jack più volte ma non aveva mai ottenuto risposte soddisfacenti. Non che fosse una responsabilità di Jack, ovviamente, dal momento che il suo compito era sottostare al volere dei Lord Ariadoriani e, nell'ultimo periodo, anche ai generali dell'Esercito delle Cinque Terre.
Corrucciata e decisamente di malumore, Dubhne decise di andare in cerca di Alesha. La compagnia della vecchia amica era qualcosa che riusciva a rasserenarla, almeno un po'.
- Vuoi venire? - chiese lanciando a Neor un'occhiata piena di sarcasmo.
Alesha era l'infermiera che si era occupata di lui nei giorni in cui l'ex Combattente era stato sospeso tra la vita e la morte, e Dubhne aveva la netta impressione che lui non avesse dimenticato i grandi occhi azzurri e le mani morbide della ragazza.
Eppure l'uomo scosse di nuovo la testa. - Non ci tengo, grazie. La cercherò solo in caso qualcuno mi dovesse tagliare l'altro braccio.
A Dubhne venne in mente qualcos'altro.
- A proposito - buttò lì. - Hai bisogno di qualcuno con cui allenarti? Ho sentito che non è la stessa cosa combattere con un braccio solo.
- No, per niente - asserì Neor incupendosi ulteriormente. - A parte che... mi sento ancora uno straccio... Ma non avere più una parte di me mi fa sentire fragile, ed è il mio equilibrio a risentirne.
- Quindi?
- Non volevi andartene dalla tua amica?
Dubhne sorrise. - A quanto pare ho tutto il tempo del mondo per parlare con lei. Resteremo qui ancora per un bel po'.


L'inerzia ebbe fine pochi giorni dopo.
Finalmente, dopo quelle che parevano essere state un migliaio di riunioni e sedute di pianificazione, l'alto comando delle Cinque Terre sembrava essere riuscito ad organizzare le proprie truppe quanto bastava per tentare una nuova offensiva a Nord. Alla domanda di Dubhne su quale fosse la loro prossima meta, Caley le aveva risposto facendo il nome di un villaggio di nome Grothes.
- Grothes? - aveva ripetuto la ragazza aggrottando la fronte, allarmata. Non conosceva quel nome. Si era messa a inseguire Caley, già in procinto di allontanarsi e sparire. - Ma non dovremmo attaccare Hiexil, o Qorren, o almeno...
- Non dovremmo attaccare Hiexil o Qorren - aveva cinguettato l'uomo facendole il verso. - Non so ancora se tu sia un'esaltata o solo stupida.
Dubhne aveva ignorato la provocazione; non avrebbe ottenuto nulla da lui, non in quel momento. Per l'ennesima volta, avrebbe dovuto tentare di parlare con Jack per sapere qualcosa di più sulla missione che avrebbero dovuto portare a termine.
Ed era lì che si trovava in quel momento: mentre tutti gli altri cercavano di riprendersi da una giornata di marcia quasi ininterrotta, lei girovagava tra le tende in corso di essere montate e i soldati stanchi che si massaggiavano i piedi colmi di vesciche.
- E dai Jack, dove sei...? - mormorava la Combattente fra i denti guardandosi intorno.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma la irritava parecchio il fatto di non poter trascorrere tanto tempo con Jack quanto era accaduto in precedenza. In passato erano stati veri compagni d'armi, sempre in prima fila, combattendo fianco a fianco. Anche se lui era un capitano e lei una recluta. Una recluta che aveva vinto la trentaquattresima edizione dei Giochi di Città dei Re.
Ma da quando si erano parlati veramente per l'ultima volta, da quando le aveva regalato la nuova divisa e rubato quel bacio sulla fronte, le cose erano cambiate. Con l'arrivo degli alti esponenti dell'Esercito delle Cinque Terre, il suo ruolo di capitano era stato alquanto ridimensionato per importanza e autorità, non che questo avesse significato il diminuire delle sue responsabilità: l'uomo era sempre conteso tra riunioni e compiti di natura logistica. Il risultato era che lui e Dubhne non avevano quasi più avuto modo di vedersi.
Trovò il biondo capitano ariadoriano che discuteva animatamente con due ufficiali dell'Esercito delle Cinque terre appena smontati da cavallo.
- Non ho idea di dove siano i rifornimenti per i vostri uomini, in questo momento - stava spiegando con voce alta ma decisamente stanca. - Se non sono arrivati quando eravamo ancora a sud di Hiexil dubito che possano averlo fatto ora.
Tenendosi lievemente a distanza Dubhne osservò i due uomini che si stavano rivolgendo a Jack. Era evidente come l'impegno delle Cinque Terre in quella guerra si fosse incrementato nell'ultimo periodo: sembravano entrambi Thariani, o almeno questo suggerivano i capelli castano chiaro e le barbe rossicce.
In effetti, le reclute delle Cinque Terre che si erano unite agli Ariadoriani - di cui Dubhne stessa faceva parte - erano state solo un assaggio della mobilitazione dell'esercito continentale, ed era stato così che, a seguito della disfatta a Hiexil, gli sfiniti soldati ariadoriani si erano visti passare davanti agli occhi le nutrite fila di uomini provenienti da ogni angolo di Fheriea. Erano state mobilitate tre legioni provenienti da Città dei Re, Sasha e Tamithia stessa, da circa tremila uomini ciascuna. Il risultato era che, superata la confusione generale che era andata a crearsi inizialmente, l'Ariador si era ritrovato rifornito di quasi diecimila soldati freschi e addestrati.
Il resto della discussione si perse in un vago mormorio per le orecchie della ragazza, che ne approfittò per accostarsi a Jack mentre voltava le spalle ai due e si avviava nella direzione opposta.
- Ho parlato con Caley - annunciò incrociando le braccia, anche se qualcosa l'aveva spinta ad addolcire lievemente il tono. - Da quel che ho capito non ci dirigeremo a Hiexil.
L'uomo si passò una mano sugli occhi e si rivolse a lei guardandola di sbieco: - Che cosa vuoi, Dubhne?
- Secondo te? - la ragazza alzò nervosamente le spalle. - Che cosa sarebbe Grothes? La priorità non dovrebbe essere un'altra?
Jack sospirò, anche se Dubhne ebbe l'impressione che un lieve sorriso ammorbidisse un poco il suo volto tirato. - Hai mai preso in mano una cartina dell'Ariador, nella tua vita?
Dubhne arrossì. - Non leggo molto bene - ammise.
In effetti, Archie Farlow le stava insegnando a farlo quando Malcom Shist era piombato in casa loro per reclamare le sue doti.
In ogni caso, non si era mai trovata per le mani mappe e cartine, tantomeno raffiguranti la regione settentrionale dell'Ariador. Ne aveva scorte alcune nella casa a Chexla, ma tanti anni le aveva osservate raramente. Nella sartoria del signor Tomson e con i Farlow in seguito, era vissuta in una bolla di vetro, ignorando quasi tutto sul continente in cui viveva. Il non saper leggere come si deve ne era la perfetta testimonianza.
- Grothes dista poco più di cinque miglia da Qorren - le spiegò Jack in tono pratico. - In quella zona è la città più settentrionale ad essere ancora sotto il nostro controllo. Da lì tenteremo di riprenderci Meck e poi, se tutto andrà come deve, muoveremo su Qorren. Soddisfatta, ora?
Lo era. Il consueto brivido di eccitazione percorse le membra della ragazza all'idea di tornare a combattere; ne aveva bisogno, il suo corpo e la sua mente reclamavano a gran voce il momento in cui avrebbe di nuovo potuto mulinare la scimitarra e muoversi nella confusione e nel rischio di una battaglia. Ma quella volta anche un altro pensiero si presentò nella sua testa: si sarebbero diretti a Qorren, anche se era molto più distante da lì di Hiexil, e in una posizione decisamente meno strategica. Era un caso che la famigerata strega rossa l'avesse appena lasciata per dirigersi proprio a Hiexil?
No. La verità era che gli alleati delle Cinque Terre, dalle reclute ai generali, erano terrorizzati da quella donna e dalla sua Magia. Ma questo non lo disse a Jack, mentre continuavano a camminare verso lo tenda personale del comandante.
- Suppongo che tu non abbia nulla da ridire sul tuo elevamento di grado... - osservò la Combattente nel varcare la soglia del padiglione in cui Jack trascorreva le sue notti.
- Non sai quello che dici - borbottò lui avvicinandosi a un tavolino e afferrando una bottiglia di birra scura. - Credimi, quella della recluta è la parte facile.
Da parte sua, Dubhne ne avrebbe preferito essere occupata come lui al posto di oziare tutti il giorno, ma evitò di farglielo notare. La tenda non era neanche paragonabile a quelle dei generali delle Cinque Terre o dei Lord più importanti, ma vi si poteva stare comodamente anche in piedi. Larga circa tre metri e lunga quattro, era sorretta da altrettanti pali di legno alti poco più di Jack. Il tendaggio era bianco e, anche se sgualcito, ancora piuttosto elegante, decorato con quegli arabeschi gialli e rosso cremisi. All'interno, adagiati su un piano di legno, c'erano due strati di pellicce e un cuscino di piume, e dall'altra parte il tavolo di legno levigato e un basso sgabello. Jack vi si sedette sfilandosi malamente gli stivali. Bevve un lungo sorso di birra e poi porse la bottiglia a Dubhne. - Ti offrirei un bicchiere ma come vedi non ne dispongo, in questo momento.
La giovane la afferrò con uno sbuffo e lo imitò. Dopo avergliela restituita ed essersi asciugata le labbra con una manica, ammiccò alla cartina che giaceva sul ripiano di legno e chiese: - Sei sicuro che Grothes sia il posto giusto per noi?
- Guarda tu stessa - Jack le lanciò la pergamena spiegazzata. - Sia chiaro che la cosa non dipende da da me, ma Grothes è una buona base per le nostre truppe. - tacque un istante, poi tornò a scrutarla con maggiore intensità. - Ti chiederei se sei pronta a tornare in azione, ma non credo che sia una buona idea.
- Credi che ti mentirei?
- No. Credo che non lo sappia nemmeno tu.
Dubhne fece per rispondere, ma esitò quel tanto da permettersi di riflettere su quelle parole. A volte Jack le dava l'impressione di nutrire scarsa se non nulla fiducia nei suoi confronti, ma forse quella volta aveva ragione.
- Allora non ci resta che scoprirlo, giusto? - rispose con un sorriso lieve ma sincero.
Jack parve sorpreso di una sua reazione così docile, alquanto distante dai modi aspri e irrispettosi che usava di solito. Poi l'uomo le sorrise di rimando.
- Studiatela bene, quella - raccomandò in tono ironico, e Dubhne capì che l'allusione si riferiva alla cartina che teneva ancora stretta fra le mani. - Non puoi continuare a combattere con noi senza neanche sapere dove ti trovi.
- Sai già che non lo farò - rispose appena prima di uscire con una risata.
Finalmente, pensò mentre si dirigeva a grandi passi verso la propria tenda, era tornata ad avvertire emozioni che la facessero sentire viva; la notizia che aveva ricevuto quel giorno, la consapevolezza che presto avrebbe dovuto rischiare la vita nuovamente... La cosa la riempiva di eccitazione, una commistione di entusiasmo e di paura. E Dubhne ancora non riusciva a decidere con certezza se fosse una sensazione positiva. Prima di entrare nell'Arena o scendere in battaglia aveva sempre avvertito emozioni discordanti; per tutto il tempo in cui era stata la "Ragazza del Sangue" aveva sfruttato a proprio favore la battaglia che infuriava dentro di lei, indirizzando tutta quell'irrequietezza contro i propri avversari, e in parte era stato così anche quando era arrivata al fronte.
Ma dal giorno della disfatta a Hiexil qualcosa era cambiato. Se prima il suo stato d'animo si sarebbe potuto dire incrinato, nel momento in cui Jack l'aveva trascinata via dalle grinfie della strega rossa e dei suoi Ribelli, era arrivato al punto di rottura. Rottura che aveva portato alla discussione con Jack e per lei era significato giungere ad un nuovo livello di consapevolezza.
Dopo tutto quello che aveva imparato nella vita di Combattente, dopo aver indurito il proprio carattere ed essere riuscita ad innalzare delle difese verso quel mondo spietato, Dubhne aveva creduto di essere arrivata al termine del proprio percorso di maturazione, ma quella guerra era riuscita a farle cambiare idea.
Scostando il lembo che celava l'ingresso della propria tenda, constatò che Alesha non era ancora tornata dall’infermeria. Un po' dispiaciuta, si levò di dosso gli stivali e la cotta di maglia e li adagiò sull'erba appena fuori della tenda. Si sentiva piuttosto provata dalla giornata di marcia, ma gli allenamenti che aveva sostenuto da Combattente l'avevano plasmata a quel genere di vita, e nonostante ormai fosse un po' arrugginita, aveva l'impressione che ne avrebbe beneficiato ancora per parecchio tempo.
Con le gambe doloranti si stese prona sullo strato di coperte che lei e Alesha avevano steso sul terreno. Controllò che la tenda fosse ben chiusa, poi tirò fuori dalla tasca la cartina dell'Ariador e cominciò a studiarla.


Alesha tornò nella tenda che era notte inoltrata.
Dubhne aveva continuato ad osservare la pergamena un po' stropicciata che Jack le aveva prestato, sforzandosi di leggere i nomi delle varie città, fiumi, catene montuose; alcuni erano scritti talmente piccoli da costringerla ad aguzzare lo sguardo, le palpebre socchiuse e le sopraccigli aggrottate. Si era aiutata accendendo un fiammifero e accostandolo alla cartina, ma alla fine si era comunque coricata con gli occhi gonfi e affaticati.
Quando la testa bionda della guaritrice era spuntata in mezzo ai lembi dell'entrata, Dubhne stava dormicchiando. Aveva trascorso gli ultimi venti minuti con gli occhi chiusi, talvolta rigirandosi placidamente fra le coperte, la mente per metà assente, per metà rivolta all’imminente ripresa della guerra, ma quando Alesha era tornata l'aveva avvertito all'istante.
Dove sei stata? avrebbe voluto chiederle, ma non lo fece. Era troppo stanca e faceva fatica ad aprire gli occhi. Per questo motivo si limitò a bofonchiare un "buona notte" sommesso.
- Buona notte, Dubhne.
Era passato un decennio, ma sentire la sua voce prima di addormentarsi aveva ancora il potere di farla sentire protetta.
  
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