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Autore: Evaney Alelyade Eve    29/01/2017    1 recensioni
Nell’Era del Drago il Quinto Flagello ha distrutto il Thedas, il morbo DS ha trasformato la maggior parte degli abitanti negli orribili Darkspawn, trasformandoli così schiavi dell’orribile scienziato che ha diffuso il morbo e che viene chiamato Arcidemone.
Solo un piccolo gruppo di guerrieri, i Custodi Grigi, continua a lottare per l’umanità nella speranza di trovare una cura al morbo e salvare l’umanità da un triste destino.
Il Quartiere generale dei Custodi è diventato il vecchio castello di Ostagar, l’ultimo baluardo contro l’avanzata dell’oscurità.
Genere: Angst, Dark, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alistair Therin, Custode, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zevran Arainai
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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II




 

Wynne decise che non era ancora il caso di dimetterla.
Xelyade continuava ad agitarsi contro le sue restrizioni ed Alistair non poteva di certo biasimarla; quando aveva notato i segni che cominciavano a comparirle intorno ai polsi aveva chiesto a Wynne di lasciarla libera.

“Alistair” aveva protestato la donna “se dovesse avere un altro incubo potrebbe farsi del male.”
“Non succederà” aveva replicato lui, solennemente. “Non glielo permetterò.”
“Wynne l’aveva soppesato per un attimo, pensierosa.
“Potrebbe farne a te!” aveva replicato alla fine.
“Io starò bene.” poi aveva alzato le braccia segnate. “Sono solo graffi.”
Alla fine era riuscita a convincerla a provare almeno per una notte e vedere come andava.
“Mi facevano sentire come se fossi pazza.” gli aveva confessato quando lui gliel’aveva fatto notare.
“Morrigan voleva metterti una camicia di forza!” le aveva bisbigliato all’orecchio, mentre la donna verificava che tutto fosse in ordine.
Ovviamente l’aveva sentito perché gli rivolse una delle sue occhiate velenose.
“Se non la lasci riposare” minacciò “la farò mettere a te!”
Avevano continuato a battibeccare e quella scenetta familiare aveva tirato fuori una piccola sofferta risatina da Xelyade.
La considerava una vittoria.
La quarta notte però, le cose andarono storte. Nuovamente.
Xelyade era nuovamente agitata; lo era stata per tutto il giorno ecco perché lui aveva deciso di lasciar perdere il dormire per essere pronto ad intervenire in caso avesse avuto un altro dei suoi attacchi.
Si alzò silenziosamente dalla sedia, avvicinandosi a lei con cautela: anche se non sembrava era dotata di una forza incredibile e lui voleva evitare il più possibile di entrare in contatto con i suoi pugni.
“Xel.” la chiamò piano, scuotendola con cautela. “Xelyade svegliati.”
Qualsiasi fosse la cosa che stava sognando doveva essere il peggior incubo che avesse fatto finora: era diventata pallida, il respiro le si era accelerato al punto tale che il petto si alzava ed abbassava ad una frequenza allarmante; teneva le mani così strette che sicuramente si era rotta la pelle del palmo con le unghie. Tutto il suo corpo era rigido, la mascella serrata così forte che sentiva i denti digrignare.
Era immobile come fosse paralizzata nel sonno; Alistair ebbe paura che potesse soffocare così la afferrò, preso dal panico, per le spalle e la scosse con violenza.
Una, due, tre volte.
Nulla.
“Xelyade!” urlò. “Xelyade, svegliati!” ma non sembrava sortire alcun effetto.
La schiaffeggiò, addirittura, ma nulla.
Sentendosi vagamente in colpa - le guance di lei erano diventate di un rosa acceso - la depose nuovamente sul letto e si precipitò verso la porta, decidendo che fosse giunto il momento di buttare giù Morrigan e Wynne dal letto.
Non arrivò mai alla maniglia.

 

*


Xelyade si trovava in una grotta molto buia e fetida.
Le pareti erano ricoperte di una qualche strana pianta robusta e viscida; vi si era appoggiata contro in cerca di appoggio per proseguire il cammino ma a toccarla le si era rivoltato lo stomaco e così adesso avanzava nel buio, con le mani protese in avanti.
L’aria era irrespirabile, faceva pochissimi brevi respiri ma si rese conto che quel metodo le faceva girare la testa; un sapore putrido rendeva amara la sua bocca, conati di vomito le chiusero la gola.
Sentiva il panico crescere dentro di sé: aveva freddo, si sentiva nuda.
Si rese conto che lo era.
Tremò, coprendosi con le braccia il seno e il pube; si sentiva osservata, come se migliaia di piccoli occhi gialli la stessero osservando nel buio.
Il cuore le rimbombava con forza nelle orecchie, sembrava volerle fuggire via dal petto come se avesse esattamente intuito quale fosse il pericolo che si nascondeva nel buio intorno; la sua mente anche sapeva ma stava faticando ad accettare e realizzare la cosa, magari nella speranza di contenere il panico che le stava già attorcigliando le viscere. Non osava emettere un fiato né muovere un muscolo.
Alistair, pensava, Alistair, Alistair, Alistair… aiuto!

Un rumore davanti a sé attirò la sua attenzione: qualcosa stava avanzando nella sua direzione a passi lenti e strascicati.
Istintivamente fece un passo indietro.
Gocce, probabilmente d’acqua, cadevano al suolo da qualche parte alle sue spalle.
“C-chi sei?” chiese alla qualsiasi cosa fosse che si avvicinava, i denti le battevano per il freddo.
Nessuna risposta.
“Ho detto” ripeté con più decisione “chi sei?!”
Questa volta una risatina echeggiò nell’aria; sembrò frantumarsi contro le pareti e ripetersi all’infinito. Un’eco ripreso da più e più persone. O creature mostruose.
Sta calma, si disse severamente. Sta calma, sta calma…
Fioche luci si accesero; Xelyade si guardò rapidamente intorno per vedere chi o cosa le avesse accese ma non riusciva nemmeno ad individuarle, come se qualcuno avesse semplicemente pensato di illuminare la scena e questa fosse mutata in base ai suoi desideri. Fu percorsa da una nuova scarica di brividi.
Davanti a lei la cosa si stava avvicinando sempre di più: pochi passi e si sarebbe perfettamente trovata nel magico cono di luce.
Quei pochi secondi che separavano Xelyade dalla creatura sembrarono eterni; la ragazza avrebbe voluto tanto che tutto fosse rimasto nell’oscurità.
Sua madre diceva sempre che certe volte essere ignoranti era una benedizione; Xelyade non aveva mai capito appieno quella frase… fino a quel momento.
Oriana, o almeno una cosa che le somigliava vagamente, era a pochi passi da lei; l’aveva riconosciuta per via della forma degli occhi, Oriana era l’unica donna al mondo che avesse quella rotondità perfetta che una volta le aveva dato un’aspetto innocente e fanciullesco ma che, per com’era cambiata, le davano l’aspetto di un enorme orrido insetto con cavità bianche e vuote al posto degli occhi. Sembrava essersi ingrossata, dalle cavità del viso le colava copioso sangue nero ed infetto, i denti erano spezzati e la bocca aperta in un ghigno terrificante; quello che più era scioccante era che dalla schiena le spuntavano delle protuberanze che ricordavano dei lunghi e grossi tentacoli. Sul dorso dove normalmente s’intravedeva la forma delle costole aveva un’altra coppia di seni, dalla pelle tirata e macchiata dalla corruzione. Le gambe erano grosse e flaccide, in alcuni punti sembrava quasi che si stessero unendo.
Xelyade arretrò di parecchi passi, totalmente senza parole, mentre la sua mente registrava con angoscia che sua cognata si stava lentamente tramutando in una Madre della Nidiata.
Se i genlock mi avessero presa, si ritrovò a pensare, questa è la fine che avrei fatto.
“Xel…y…d…” la creatura emetteva un suono che somigliava ad un grugnito e un rantolo insieme. Ogni volta che parlava nuovo sangue le colava dalla bocca.
Quando Oriana era stata portata via, Xelyade aveva sperato con tutte le forze che fosse morta durante il tragitto o che avesse trovato la forza di uccidersi…
“Oriana.” singhiozzò disperata mentre i sensi di colpa le toglievano il fiato con dolorose fitte nel petto. Quella era colpa sua! Se solo fosse stata meno debole, se si fosse impegnata di più durante gli allenamenti, se avesse… se…
Uno dei tentacoli scattò verso di lei per afferrarla; Xelyade urlò e si gettò indietro, disgustata. Non voleva che quella cosa la toccasse, non voleva che si avvicinasse, voleva solo scappare dallo sguardo fisso di quegli orribili occhi vuoti…
“Tu…” gorgogliò la creatura “pr… sto… c…me… me!”
“NO!” le gridò in risposta, allontanandosi ancora di più, scivolando sul pavimento umido. “NO! STA LONTANA DA ME!” le lanciò contro una pietra che aveva afferrato d’istinto. La creatura emesse un lungo lamento stridulo, una specie di richiamo.
Xelyade si alzò in fretta da terra, stava sudando per la paura, girava su se stessa per guardare in ogni direzione mentre il grido si disperdeva e si ripeteva all’infinito.
All’improvviso tutto tacque… poi migliaia di occhietti gialli si aprirono riempiendo il buio tutt’intorno a lei.
Xelyade iniziò a gridare ma sapeva che non sarebbe servito; alzò la mano tremante in cui stringeva un’altra pietra; la stringeva così forte che si tagliò ma non se ne accorse nemmeno, liquido caldo le corse lungo le gambe ma non ci badò, non aveva motivo per vergognarsi in quell’inferno di occhi crudeli.
Li avrebbe indotti ad ucciderla, non avrebbe permesso loro di trasformarla in quell’orribile parodia di se stessa, o si sarebbe uccisa da sola colpendosi la testa con la pietra fino a fracassarsela.
Il primo genlock le corse contro sghignazzando come un pazzo; Xelyade gli andò incontro, lo gettò a terra con la forza della disperazione e prese a colpirgli la testa con violenza finché sangue si riversò, finché non sentì il cranio frantumarsi e la pietra schiacciare il cervello di quell’orrido infimo bastardo.
L’aria attorno tremò e poi, tutti insieme, occhi gialli le si accalcarono addosso.

 

*


Gli aveva rotto il naso, di questo era certo: sangue caldo gli colava a fiotti lungo il mento mentre cercava di bloccarle le mani e di invertire le loro posizioni; Xelyade lo aveva travolto come una furia, un grido disperato che sembrava quello di un animale con le spalle al muro era stato l’unico avvertimento che aveva ricevuto prima che la ragazza lo spingesse con tutto il suo peso per terra, gli si mettesse a cavalcioni e cominciasse a colpirlo e a colpirlo con il pugno chiuso, urlando e singhiozzando.
Era stato a pochi centimetri dalla porta quando lo aveva aggredito e adesso stavano lottando entrambi per la loro vita: Xelyade lottava per se stessa nei meandri della sua mente ed Alistair per la sua vita reale; era certo che nello stato in cui si trovava, l’avrebbe sicuramente ucciso.
Le afferrò i polsi, stringendoli con forza per impedire alle sue mani scivolose di sangue di mollare la presa e, assestandole una ginocchiata su un fianco se la scrollò di dosso, spingendola di lato con forza tale da mandarla a sbattere contro la testiera ai piedi del letto.
Xelyade era già in piedi, la vide correre verso il comodino e prendere il vassoio di metallo sopra il quale aveva cenato. Si rialzò un secondo troppo tardi, lei gli era già di fronte, gli occhi spalancati e ciechi, fissi sul mondo oscuro dal quale non voleva uscire e poi lo colpì in pieno viso con tutta la forza che aveva.

Divenne tutto buio prima ancora che toccasse terra.
 

*

 

Naso rotto, lividi ovunque, commozione cerebrale.
Naso rotto, lividi ovunque, commozione cerebrale.
Xelyade non riusciva a smettere di ripetere quei tre punti ancora ed ancora.
Erano passati tre giorni da quando aveva aggredito con il vassoio Alistair procurandogli una brutta commozione cerebrale e un’operazione urgente al naso.
Tre giorni da quando lo aveva visto.
Era di nuovo legata a letto: quando Wynne era arrivata con una squadra di infermieri l’avevano trovata a cavalcioni del corpo svenuto di Alistair, a fissarsi con sguardo vacuo le mani insanguinate. Forse era stato quello a farla rinsavire quel tanto che bastava perché non uccidesse l’altro a colpi di vassoio.
Quando poi era ritornata abbastanza in sé da chiedere di chi fosse tutto quel sangue e perché era di nuovo legata a letto e dove fosse Alistair nessuno aveva voluto dirle niente finché non aveva sentito due infermiere spettegolare su quanto la donna folle fosse riuscita a rovinare il naso del luogotenente Theirin.
Dopodiché aveva pressato Wynne e Morrigan finché quest’ultima non aveva vuotato il sacco e le aveva raccontato esattamente cosa fosse successo.
L’orrore che si era impadronito era tale che l’aveva intontita e non si era accorta di essere nuovamente legata a letto finché non si era riscossa da suo torpore ed aveva sentito le restrizioni sfregarle contro la pelle. Si era detta di esserselo meritato, la vergogna che provava era troppa ed aveva passato due giorni a piangere e a chiedere come stesse Alistair, senza peraltro mangiare o bere o fare alcunché.
Il quinto giorno, dopo essersi risvegliata da un lungo sonno sotto farmaci aveva intravisto una figura russare sonoramente sulla sedia accanto al suo letto.
Aveva battuto piano le palpebre cercando di metterla a fuoco ma era tutto troppo buio e silenzioso perché potesse vederlo chiaramente; esausta si riaddormentò, improvvisamente più tranquilla.
La seconda notte la figura non russava ma era sveglia, poteva percepire il suo sguardo su di lei; le venne da piangere.
Pianse ma quello non disse nulla, le prese semplicemente la mano tra le proprie ed iniziò a canticchiare piano una vecchia canzone di un gruppo che aveva ascoltato prima che tutto il mondo andasse a puttane.

We are far from home but we’re so happy, all alone but we’re so happy!
Xelyade sorrise per la prima volta da giorni e poi pianse ancora.
After every sunny day, came a stormy night!” continuò a canticchiare la voce “That’s when Finner would say Keep your heads held highs!
Si addormentò sulle note di quella vecchia canzone, e per la prima volta da giorni, non fece alcun incubo.

 

*


Alistair sapeva che avrebbe dovuto subire le conseguenze della propria disobbedienza al Medico Capo e stava già pensando a come razionare e dove nascondere le scorte del suo formaggio preferito. 

Dopo la notte in cui Xelyade lo aveva aggredito, dopo l’operazione e il tempo di recupero per l’orribile botta in testa che gli aveva dato, Wynne gli aveva categoricamente vietato di andare da lei.
Ovviamente lui aveva finto di assecondarla e durante il giorno se ne stava buono buono a fingere di leggere o di dormire; la notte, dopo aver passato ore a supplicare Leliana, era riuscito a convincerla a chiudere un occhio e a lasciarlo sgattaiolare in pace nella stanza di Xelyade.
Era stato difficile convincerla, tutti in fondo temevano l’ira di Wynne, anche Morrigan nonostante fingesse che non fosse affatto così.
La prima notte si era clamorosamente addormentato ma la seconda invece era rimasto sveglio e quando la sua bella aveva riaperto gli occhi non aveva avuto bisogno di dirle nulla, così le aveva canticchiato quella canzone che avevano ascoltato mesi prima dal piccolo iPod di lei, durante la loro prima missione, quando si erano ritrovati a campeggiare in un edificio abbandonato prima di Redcliffe, sul Lago Calenhad.
L’aveva vista addormentarsi ed aveva vegliato su di lei fino all’alba, guardandola respirare piano. 

La terza notte aveva lasciato la lampada accesa e si era messo a leggere quel libro che lei gli aveva regalato tempo addietro.
Se ne stava seduto sulla sedia scomoda quando lei si era svegliata e gli aveva sorriso stancamente.
“Che cosa stai leggendo?” gli aveva chiesto, bisbigliando.
“Il libro che mi hai regalato.”
“Davvero? E dove sei adesso?”
Alistair le aveva sorriso.
“Qui.”
“Lo so.” gli aveva risposto lei con voce tremante. “Riesco a vederti.” e poi aveva chiuso gli occhi mentre lacrime calde cadevano sul cuscino.
Alistair si era accomodato meglio sulla sedia ed aveva ripreso a leggere, felice.

 

*


La mattina del quarto giorno Wynne lo beccò ritirarsi in camera.
Alistair dovette subirsi una buona mezz’ora di ramanzina e sentirsi chiamare svariate volte un’idiota incosciente facendo un enorme sforzo per ignorare la faccia compiaciuta di quella strega di Morrigan.
“Poteva ferirti nuovamente!” lo riprese la donna anziana, con tono duro.
“Era legata!” protestò prontamente lui, fissandola incredulo. “Non è una specie di mostro con una forza sovrumana!”
Wynne e Morrigan si scambiarono un’occhiata veloce.
“Non sarebbe la prima volta che le nostre cinghie non fermano qualcuno.” intervenne quest’ultima, con un’espressione leggermente più dolce.
Alistair sapeva dove volevano andare a parare ma non avrebbe permesso a nessuna delle due di insinuare una cosa così assurda.
“Non è quello che pensate.” ringhiò a denti stretti. “Non è affatto così!”
“Alistair…” Wynne adottò il tono dolce e calmante che utilizzava ogni volta che doveva riferire una brutta notizia ad un paziente o alla famiglia di chi era così fortunato da avercela ancora. “Devi prendere in considerazione l’idea che per Xelyade possa essere-”
“NO!” ruggì lui, puntandole contro l’indice, rosso di rabbia. “Non dirlo nemmeno per scherzo!”
“La frequenza degl’incubi è aumentata da quando ha incontrato quei genlocks, Alistair. Questi episodi di tale violenza… sono il preludio alla Chiamata. Non voglio indorarti la pillola né voglio che tu ti faccia accecare dai tuoi sentimenti tanto da non vedere l’effettiva realtà della cosa.”
Alistair chiuse gli occhi, tremante di rabbia ed angoscia: la Chiamata, era così che si riferivano alla corruzione di un Immune. Sfortunatamente si erano resi conto che a lungo andare anche coloro che non avevano contratto inizialmente la malattia col passare del tempo cedevano. Duncan gli aveva raccontato cos’era successo al suo comandante, Genevieve, quando la corruzione l’aveva presa, trasformandola in un Prole Oscura.
Non erano riusciti a prenderla ed era scappata, probabilmente si era unita a tutti gli altri mostri in circolazione. Un altro caso lo avevano avuto pochi mesi prima dell’arrivo di Xelyade ad Ostagar, un uomo, Ser Jory, era stato ferito da un Hurlock.
Nessuno si era accorto di niente finché non aveva cominciato a fare incubi seguiti da episodi di violenza inaudita. Era riuscito a strappare le cinghie del letto e a ferire cinque infermieri prima che il Capitano Garrett Hawke riuscisse a metterlo fuori gioco.
“Vi sbagliate.” protestò debolmente. “Xelyade è forte. L’altra notte non ha avuto alcun incubo!”
“Questo non significa-” un rumore dietro la porta interruppe i tre; Morrigan si diresse alla porta e la spalancò.
Alistair non riusciva a vedere con chi stesse parlando, quando alla fine entrò aveva uno sguardo professionale e distaccato sul viso.
“Dobbiamo andare” disse all’altra. “La squadra di Oghren è appena ritornata ed abbiamo gente da ricucire.”
Prima di uscire dalla stanza, Wynne si voltò per dirgli qualcosa ma lui la interruppe.
“Ti stai sbagliando.” non c’era altro da aggiungere.

 

*



Zevran ed Oghren erano andati a trovarla quella mattina.
Il primo le aveva raccontato gli ultimi pettegolezzi di Ostagar mentre Oghren i dettagli, secondo Zevran esagerati, della sua ultima missione.
Ridere e scherzare con loro facevano sembrare quelle ultime settimane come uno strano incubo dai contorni indefiniti eppure i lividi sulle sue nocche erano lì a ricordarle che aveva veramente dato di matto ed aggredito Alistair.
“Bene” aveva concluso il nano dai capelli rossi “io mi congedo. Ho una bella bevuta che mi aspetta e altri compagni da deliziare con i miei racconti.”
Quando se ne fu andato Zevran sospirò in modo drammatico.
“Quel nano ubriacone! Appena Felsi gli metterà le mani addosso desidererà non essere mai tornato da questa missione!”
Xelyade ridacchiò.
“Cos’ha combinato questa volta?”
Zevran le sorrise con fare cospiratorio, sporgendosi verso di lei, incurante delle restrizioni che erano state imposte ai pochi che ancora venivano a trovarla.
Xelyade provò un grande moto d’affetto per il suo amico.
“Beh sai cosa succede quando mamma e papà…”
“Cosa?! Oghren…” al suo sorrisone, aggiunse “Oh cielo.”
Le nascite tra gli Immuni erano più che accette: nuove vite volevano dire ripopolare  il mondo con uomini e donne sani e intaccati dalla malattia. Un nuovo nato era la speranza per il futuro.
Continuarono a spettegolare su quali e quanti modi avrebbe trovato Felsi per impedire ad Oghren di partire o di smettere le sue abitudini da alcolista poco anonimo quando un gruppetto di infermiere passò davanti alla porta, lasciata aperta dal nano distratto, parlottando in modo concitato fra loro.
Zevran e Xelyade si guardarono un secondo, infastiditi poi sentirono qualcosa che li fece impallidire.
“È vero allora? Quello che hanno detto?”
“Dicono che sia… la Chiamata.”
“Non mi sorprende… dopo averlo aggredito in quel modo.”
Zevran si alzò di scatto e sbatté con forza la porta alle loro spalle, facendole scappare via. Si voltò immediatamente verso di lei: sembrava paralizzata.
“Non ascoltarle!” esclamò furioso “Sono solo un branco di stupide pettegole!”
Xelyade gli rivolse un sorriso tremulo ma non ebbe la forza di dire nulla, annuì soltanto.
Dopo aver deglutito il groppo che aveva in gola, gli disse: “Vorrei… vorrei riposare, sono stanca.”
Zevran scosse piano la testa.
“Xel-” ma lei lo interruppe : “Ti prego, Zev.”
Quando se ne andò, ricadde pesantemente sui cuscini: mai prima di allora si era sentita così, assolutamente sola al mondo.
Rabbrividì, desiderando potersi stringere le braccia attorno al corpo e ripiegarsi su se stessa fino a scomparire.
Adesso sapeva che non c’era modo di salvarla e che la sua vita era segnata.
Pianse fino ad addormentarsi.


 

*

 

Alistair continuò a leggere il libro mentre lei teneva ostinatamente il volto girato dall’altra parte; ogni tanto le lanciava delle occhiatine nervose decidendo se fosse il caso di parlare o di lasciarle il tempo di organizzare i propri pensieri.
Naturalmente sapeva cosa l’aveva turbata in quel modo: dopo la visita di Wynne, si era subito diretto in camera di lei ma era stato bloccato a metà da Zevran.
L’amico di Antiva aveva un’espressione cupa ed ansiosa sul volto che strideva tremendamente con l’espressione rilassata e cordiale che di solito aveva.
Si erano diretti così alla mensa insieme (anche se Wynne aveva insistito perché continuasse a riposarsi, Alistair aveva bellamente ignorato l’ordine facendo comunque di testa propria) e, preso un tavolino in disparte, Zevran gli aveva raccontato dello spiacevole episodio con le tre infermiere e di come si fosse già diffuso il pettegolezzo che la ragazza folle della stanza numero 220  fosse al preludio della Chiamata.
Alistair si era mezzo strozzato con l’insalata striminzita che stava mangiando, aveva smozzicato due parole tra l’indignato e l’arrabbiato ed aveva bevuto un po’ d’acqua - che Zevran gli aveva subito fornito, “sia mai dovessi morire proprio davanti a me, Wynne mi ucciderebbe.” - e poi aveva ripreso ad inveire come mai prima d’allora.
Dopo averlo ringraziato aveva corso come un matto per raggiungere la camera di Xelyade e di certo non gli erano sfuggite le occhiatine e i sussurri che si era lasciato indietro al suo passaggio, a cui aveva comunque dato in risposta l’occhiata più velenosa che gli potesse riuscire.
Quando era entrato in camera Xelyade lo aveva fissato con gli occhi gonfi e arrossati dal pianto prima di voltarsi dall’altra parte e mettersi in un mutismo da tomba.
Ed ora era lì, seduto su una sedia, fingendo di leggere un libro, in cerca delle parole giuste da dirle e si sorprese non poco quando fu lei a rompere il silenzio per prima.
“Dovresti andare via.” mormorò appena appena.

Alistair mise da parte il libro con un piccolo sospiro e si adagiò meglio sulla sedia.
“Cosa?” chiese, fingendo di non aver sentito.
“Mi hai sentito benissimo!” sbottò lei a voce più alta. “Dovresti andartene.”
“Sarebbe un ottimo suggerimento… se solo avessi intenzione di seguirlo! Anche Wynne mi aveva consigliato di starmene a letto ma invece ho detto a me stesso: ah, al diavolo! e sono andato a mangiarmi un hamburger con Zevran! Certo di sicuro mi devo aspettare qualche sorta di vendetta da  parte sua m-”
“Vuoi stare zitto?!” esclamò allora lei, interrompendo il suo blaterare. Lo stava guardando con un’espressione furiosa ma allo stesso tempo veramente triste, seduta in mezzo al letto con i capelli disordinati a contornarle il viso sciupato e pallido.
“Qual è il problema, Xel?” le chiese, sommessamente. Lei sorrise con amarezza.
“Il problema sei tu! Sono io! Il problema è tutta questa maledettissima situazione!” più parlava, più si arrabbiava più il suo viso sembrava febbricitante, i suoi occhi adesso erano lucidi e le guance arrossate.
“Sono stanca di tutta questa—” ma le parole sembravano uscirle a fatica e come se quello sforzo le fosse costata molta energia, ricadde sui cuscini, respirando affannosamente.
Alistair prese la sua mano fredda tra le proprie ma lei la ritrasse bruscamente, voltandosi nuovamente dall’altra parte.
“Non voglio più stare con te.” quella frase fu come un colpo in pieno stomaco e per un attimo lo lasciò boccheggiante  e senza parole. Sentì poi la rabbia montargli dentro e, sporgendosi verso di lei, le prese il viso tra le mani, costringendola a guardarlo.
“Bugiarda.”

“Va via.”
“No.”
“Non sto scherzando, ho detto vattene!” Alistair sentì le sue mani fredde serrarglisi attorno ai polsi, facendo pressione nel tentativo di liberarsi dalla sua morsa ma lui non batté ciglio. Non le avrebbe permesso di farsi questo. Di far loro questo.
“Nemmeno io.” le rispose seriamente, guardandola fisso negli occhi. “So cos’hai sentito, Zevran mi ha raccontato tutto.”
“Allora sai che continuare questa cosa fra noi è solo una stronzata!” le occhi le si erano riempiti di lacrime.
“Ti sbagli e anche loro si sbagliano.”
“E se non si sbagliassero? Come fai ad essere così sicuro che io non mi stia trasformando in un maledettissimo hurlock senza cervello?!?”
Alistair non sapeva spiegarle perché ne fosse così convinto, sentiva soltanto che quella che lui sosteneva fosse la verità. Lui lo sapeva, Xelyade doveva accettarlo, così come tutti gli altri.
“Ti fidi di me?”
Xelyade annuì senza riuscire a parlare. Alistair ricambiò con un enorme sorriso.
“Allora accetta questa cosa: si sbagliano tutti.”
“Non puoi saperlo.” gli rispose lei con voce tremante, la prima lacrime a caderle lungo le guance.
Alistair si sedette sul letto accanto a lei e la strinse a sé, cullandola piano; Xelyade continuava a piangere, le spalle scosse dai singhiozzi.
“Va tutto bene” le ripeté lui “va tutto bene.”
“No invece, non va affatto bene!” ribatté lei tra le lacrime, rabbrividendo.
Alistair sospirò piano tra i suoi capelli, glieli accarezzò con gentilezza mentre vagava con lo sguardo in cerca di qualcosa da dire che potesse aiutarla a superare quel momento.
I suoi occhi sfiorarono la copertina lisa del libro che lei gli aveva prestato.
“Qualsiasi cosa sarà saremo insieme.” mormorò.
Xelyade si staccò da lui per guardarlo negli occhi: erano spalancati e spaventati, gli fece male vederla in quello stato. Da quando l’aveva incontrata Xelyade si era subito dimostrata la ragazza più forte e coraggiosa che conoscesse.
Adesso sembrava fragile, sul punto di spezzarsi e frantumarsi tra le sue braccia.
“È una specie di rischio professionale per anime gemelle” citò lui “una non vale molto senza l’altra.”
Un sorriso tremulo si aprì sul viso di lei; Alistair baciò le sue labbra screpolate.
Rimasero così tutta la notte, svegli a godersi la presenza dell’altro finché il sonno non reclamò le loro menti stanche.
Quella fu la terza notte di fila in cui Xelyade non ebbe alcun incubo mentre Alistair sorrideva nel sonno, sognando di sbattere in faccia a Morrigan il fatto che lui avesse avuto ragione sin dal principio.
L’alba che li attese sembrò lavare via l’oscurità di quelle ultime settimane.



 

   
 
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