Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Stella94    01/02/2017    5 recensioni
Dal primo capitolo:
"─Dove andrai?
Gli domandò con voce gracile, quasi con timore. Perché non voleva pensarlo nuovamente lontano, non voleva pensare che stava per perderlo ancora, non voleva pensare che non poteva più raggiungerlo, che lo aveva riabbracciato solo per dirgli addio.
Jon si voltò verso di lei. Il fuoco gli illuminò il profilo del viso più maturo di come ricordava. Aveva occhi grandi e profondi, due cerchi oscuri ricolmi di ombre nelle quali ci si specchiava vedendosi fragile, vulnerabile, un fuscello nella balia della tempesta.
─Dove andremo semmai."
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jon Snow, Sansa Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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                                                                              Resta                         

 
 









A Jon spettavano i compiti più duri sulla nave, che quasi lo tenevano impegnato tutto il giorno, così Sansa riprese a sperimentare sentimenti che aveva creduto persi da tempo, come la solitudine, l’impotenza e soprattutto la noia.
In realtà  cominciò a sospettare che dietro tutte quelle numerose mansioni faticose che Jon doveva silenziosamente ed indiscutibilmente svolgere, ci fosse lo zampino di Tristifer, che dopo anni passati a girovagare di locanda in locanda, rifiutandosi di seguire suo padre nei viaggi di commercio, si era finalmente deciso a salire a bordo, felice di seguire le orme di famiglia.
I loro rapporti non erano migliorati e diventarono ancora più acerbi, soprattutto tra lui e suo fratello, quando scoprirono che in realtà la cabina che era stata a loro assegnata, prevedeva che ci fossero altri sei letti, impilati una sopra l’altro, tutti ovviamente occupati, il più confortevole da Tristifier stesso.
Jon aveva subito obbiettato, dimostrandosi ostile e guardingo, minacciandolo di saltare giù dalla nave se non gli avessero concesso una stanza solo per lui e per sua moglie. Ma Tristifer aveva scrollato le spalle invitandolo a tuffarsi senza troppe cerimonie.
Su quell’imbarcazione era la sua legge quella che contava e doveva essere seguita. Così fecero, amareggiati e sconfitti, con le testa chine, si morsero la lingua e accettarono l’ospitalità.
Le notti erano gelide, lunghe, imbarazzanti, senza sogni e senza fine. Dormire con altri cinque uomini, quasi tutti sconosciuti e non proprio di bell’aspetto e dalle buone maniere, per Sansa rappresentava motivo di apprensione e terrore. Se ne stava quasi sempre rinchiusa nel suo mantello, di rado lasciava che Jon, sotto le lenzuola, le slacciasse i lacci della sua tunica per sentirsi più libera, e ancora più di rado dormiva, perché proprio non riusciva a stare serena quando si sentiva addosso occhi curiosi e lascivi, il corpo di suo fratello premuto contro, caldo e troppo duro.
Il ragazzo si era rifiutato di dormire nel suo letto, e condivideva con lei un giaciglio scomodo, umido, piccolo, dalle lenzuola ispide e privo di luce. E come aveva già fatto nella foresta, la teneva stretta, per la schiena con il viso nascosto nei suoi capelli.
E anche se Sansa non riusciva a guardarlo in faccia, era certamente sicura che non si concedesse neppure qualche minuto di riposo, nonostante la stanchezza e l’affaticamento di un intero giorno passato a sgobbare da poppa a prua.
Per fortuna, tralasciano le allusioni sgradevoli di Tristifer, nessuno degli altri ragazzi con cui condivideva la cabina sembrava intenzionato a farle del male. Alcuni erano abbastanza avanti con l’età, ma un paio di loro, due gemelli, Tito e Bobo, parevano avere lo stesso spirito di spericolata fanciullezza che aveva visto in Bran, prima che cadesse dalla torre, e che ricordava in Arya. Erano vispi, sempre con il sorriso sulla bocca, e la facevano ridere pretendendo solo che lei di tanto in tanto le cantasse una canzone.
C’era poi il vecchio Obar, dalla pancia prominente, sempre troppo stanco la sera anche solo per rivolgerle un cenno di saluto, e Antemio, che aveva già viaggiato con loro lungo la strada per arrivare a Porto Bianco.
Sansa aveva cominciato a conoscerli tutti e a ricordare quali fossero le loro abitudini e le cose che in loro presenza non dovevi mai dire. Era un gioco facile, di cui ormai sembrava esserne l’esperta.
L’aiutava a deviare il pericolo ed era più pericoloso di una spada. L’arma di una donna.
Anche quella notte, come faceva spesso da molti giorni, Jon le respirava tra i capelli, tenendola stretta per la vita furioso nel non lasciarsi sopraffare dal sonno.
Non si era ancora abituata ad averlo così vicino, neppure a sentire quelle mani grandi e callose sul suo corpo. Certe volte, senza non pochi sensi di colpa, provava a immaginare che non fosse suo fratello, altre era proprio lei a cercarlo, facendosi più vicina, strusciandosi contro il suo petto con la schiena, ed era sempre diverso, come se ci fosse  qualcosa da scoprire in ogni occasione e che non aveva immaginato.
In realtà sapeva poche cose di Jon, degli uomini onesti, e di come doveva comportarsi.
Conoscere quel ragazzo, sempre troppo chiuso in una fortezza di segreti e ritrosia, si stava dimostrando l’esperienza più curiosa della sua vita e anche quella più sorprendente.
Ogni giorno imparava qualcosa di nuovo. Per esempio odiava il pesce, sopratutto quello salato, e la carne secca, aveva un dente scheggiato, un ricordo di una brutta caduta da cavallo quando era un bambino, e sapeva i versi di alcune canzoni che per di più recitavano di guerrieri in sella a poderosi destrieri, di draghi e di spade bianche.
Sansa era come ammaliata e nei suoi occhi trovava sempre una scintilla in più.
Quella sera era stata ore a dondolarsi sul letto con le gambe strette al petto e il cuore in gola, chiedendosi quando Brayden gli avrebbe dato il permesso di raggiungerla in cabina a riposarsi. Nel momento in cui l’aveva visto arrivare, Jon era apparso lucido di sudore, i riccioli appiccicati sulla fronte e la bocca chiusa.
Si era lavato passandosi l’acqua gelida sul viso, aveva mangiato del merluzzo bollito, barbabietole conservate nell’olio, e mele secche. Poi si era gettato sul letto, non prima di aver lanciato a Tristifer uno sguardo d’accusa.
La nave oscillava di continuo, ed era un rumore incessante di legno che sfregava producendo scricchiolii sinistri. Sansa sfiorò il braccio teso di Jon lungo il suo addome. Quando si girò nella sua direzione lo trovò con le palpebre aperte e vigili, le profonde occhiaie che suggerivano quanto fosse stanco.
Le sue mani trovarono da sole la strada per raggiungere una guancia del ragazzo. Quando lo toccò non le sfuggì il modo in cui Jon rilassò le labbra.
─Hai bisogno di dormire. ─ Gli sussurrò piano facendo attenzione a non chiamarlo per nome. Le riusciva ancora difficile rivolgersi a lui come Sam ─Nessuno mi farà del male, e in ogni caso so difendermi da sola.
─Non ho sonno. ─Mentì liquidandola alla svelta, e per tutta risposta la strinse ancora di più contro il suo petto ─Sto bene. Non devi preoccuparti per me.
─Nessuno lo ha mai fatto, vero?
Jon le baciò la mano, muovendosi piano per posizionarsi sopra di lei. Sotto le coperte, in un giaciglio in cui non c’era mai abbastanza spazio e il soffitto erano solo assi di legno che potevi toccare allungando un braccio, la realtà di Sansa si ridusse al corpo di suo fratello, alle sua braccia, al suo viso concitato e a quel petto duro e caldo che sfregava contro il suo seno.
Sam e Jeyne non avrebbero provato imbarazzato a stare fermi così a guardarsi con le gambe che si intrecciavano sotto le lenzuola e i respiri ridotti quasi ad un unico fiato. Sansa e Jon invece sembravano come ubriachi. Coscienti di essere nel torto, ma altrettanto lucidi da non provare nessun rimorso.
─Lo sai perché ho deciso di lasciarvi tanti anni fa? ─ Sansa scosse la testa, sapeva che si stava riferendo alla Barriera ─Perché non volevo essere un peso per nessuno, soprattutto per la nostra famiglia. Li sento ancora sulle spalle i miei fardelli, sono pesanti. Non voglio che tu te ne faccia carico.
Le parole di Jon erano bisbigli rauchi, come dolci preghiere mormorate prima di andare a dormire. Anche nell’oscurità di una cabina buia, Jon non si spegneva ed era un fuoco nero che le faceva ribollire lo stomaco. Guardandolo con le braccia tese ai lati della sua testa, le venne in mette quella notte trascorsa nella locanda di Liana.
Dove vuoi che brilli allora?
Sopra di me.
─Lasciami entrare. Non puoi pretendere di far tutto questo da solo ─aveva ripreso ad accarezzarli le labbra senza neppure rendersene conto ─So che sei stato sincero, ma voglio meritare il tuo perdono. Io ci sono.
E lo vide chiudere le palpebre ed appoggiare la fronte sulla sua. La tensione nelle spalle si rilassò e sentì la presente durezza del suo petto scontrarsi contro il seno.
─Lo so. ─Ammise in un sospiro ─Ma hai speso metà della tua vita a difenderti, quanto dolore hai dovuto sopportare? Dammi la possibilità di essere per te ciò che non sono mai stato. È tutto quello che voglio.
Jon era completamente su di lei, le respirava addosso, percepiva il suo peso ed assorbiva il suo calore.
Era ogni pensiero ed ogni sogno. Lo vedeva e sembrava non esistere niente di più grande e niente di più bello.
Che strano, pensò, è come se la mia anima si stesse risvegliando. Sembrava una primavera nel suo corpo. Ecco che i nervi scattavano ad ogni tocco, e i polpastrelli apparivano sensibili sul viso del ragazzo. C’era un battito frenetico e prepotente, e lo stomaco tuonava, faceva capriole.
Non è possibile.
Si mise a guardare le sue labbra e le volle toccare ancora. Morbide, sode e lisce, contornate da fili spuntati di barba incolta che pizzicavano sotto la pelle.
Quante donne hai baciato, Jon?
Tutte, sembrava risponderle, perché di sicuro tutte non erano state abbastanza tenaci da resistergli. Lei stessa si sentiva sporca e intorpidita, quasi l’espediente di fingersi marito e moglie sembrava piacerle tanto da servirsene per mettere a tacere qualsiasi senso di colpa.
Non era forse quello che facevano le mogli con i mariti? Stavano a letto, stretti, a toccarsi. Ed era così.
Se qualcuno intorno a loro si fosse svegliato all’improvviso, li avrebbe trovati una sopra l’altro a guadarsi rossi dal desiderio. A quel punto nessuno avrebbe putto avere più dubbi.
Sono Sam e Jayne, gli sposini fuggiaschi da una vita di miseria.
E aprì le gambe sotto di lui incastrandole contro i suoi fianchi. Lo sentì emettere solo un gemito rauco, il cuore in gola temendo che lui potesse allontanarsi. Ma Jon rimase fermo, come una statua si sale e ghiaccio, a reggersi sui gomiti e a cibarsi dei suoi occhi accesi.
Gli avevo detto di brillare proprio così. Mi sta solo facendo luce.
Aveva ancora i capelli umidi quando glielo accarezzò con una mano lasciandoli dietro la nuca.
Le erano sempre piaciuti i capelli di Jon Snow. Neri e folti, adorabilmente scompigliati.
Constatò quanto fossero serici al tocco e ne rimase sorpresa. L’ennesima cosa di Jon che non immaginava e che ora sapeva.
Il ragazzo chiuse le palpebre gonfiando il petto. E in quel respiro si nascondeva quasi un sussurro, una preghiera che la implorava di non fermarsi, come se ne avesse bisogno più di un battito.
Forse è stato baciato molte volte, ma non è mai stato accarezzato.
Ed ecco che arrivò al momento, ogni contatto con la realtà si perse ed era se stessa in un’altra dimensione. Non vi era nulla, se non Jon, e non sentiva nulla se non Jon. Scomparve la nave Tristifer e i suoi compagni. Ramsay  Bolton e quei cani rabbiosi che ancora sognava e che annaspavano per addentare la sua carne. Scomparve Cersei, e Joffrey, il dolore e la paura. Scomparve Approdo del Re, con il mastino sempre così terribile e crudele. Scomparvero i sorrisi e le menzogne e arrivarono i ricordi, solo quelli belli.
E quasi sorrise quando si aggrappò a uno di questi, venuto a galla per la prima volta dopo essersi costretta a tenerlo sepolto.
─Sai  a cosa sto pensando?
Gli chiese accarezzandogli la fronte. Jon scosse la testa, aprì gli occhi e un battito tuonò più forte.
─A noi. A quando eravamo a Grande Inverno.
Il ragazzo fece una smorfia, il corpo premuto contro il suo. ─A stento riuscivi a sopportare la mia presenza.
─E’ vero ─ammise con una nota di amarezza ─Ma una notte venni a cercarti. Era buio e fuori si era scatenata una tempesta. Avevo cinque anni o qualcosa di più. Me ne stavo nel mio letto arrotolata nelle lenzuola. Continuavo a piangere perché l’ululato del vento mi faceva paura. Sembrava una di quelle creature mostruose di cui ci parlava la vecchia Nan, e ogni volta che chiudevo gli occhi mi immaginavo qualcuno che volesse farmi del male. Volevo andare da Robb, ma sapevo che non avrebbe mantenuto il segreto. Arya non sarebbe stata di conforto e mi avrebbe presa in giro. Così venni da te. La porta della tua stanza era aperta e io entrai. Ti trovai a dormire e mi infilai nel tuo letto, ti accorgesti subito della mia presenza. Eri sconvolto, mi pregasti di andare via. Temevi che se ci avesse scoperto mia madre, si sarebbe arrabbiata. Ma io fui testarda, ti dissi dei miei incubi e che non avevo nessuno se non te. Così mi hai abbracciato e mi hai tenuto stretta per tutta la notte. Ed io non ho avuto più paura. Al mattino non fu mia madre a trovarci, ma nostro padre. Ero felice, gli sorrisi. Ma lui era come inorridito. Ci guardò quasi con disprezzo, mi tirò fuori dal letto, urlò contro di te. Mi sentivo così in colpa. Cercai di spiegargli, ma sembrava furioso. Così lui…
─Mi punì ─ Concluse Jon soffiando appena ─Me lo ricordo. Ricevetti cinque frustate e il divieto di farmi vedere alla festa del raccolto. Forse piansi. Non ne sono sicuro.
Era una storia vecchia, un ricordo passato, ma solo riportarla a galla aveva restituito a Sansa tutta l’angoscia provata, il senso di impotenza e frustrazione, quel bruciore acre in fondo alla gola quando aveva implorato il padre di darle ascolto, ricevendo solo un’occhiata distratta, lo sguardo perso nel vuoto.
A quel tempo Sansa si era sentita piccola e stupida, pentita e logorata dai rimorsi. Ma poi aveva guardato Jon, mortificato e solo, in fondo alla sala grande dove consumavano i pasti.  Le era sembrato un vagabondo capitato in un luogo che non conosceva nel quale non voleva restare.
L’aveva osservato a lungo, pensando che forse sarebbe dovuta andargli incontro, a chiedergli scusa. Ma sua madre le aveva sorriso, uno di quei ghigni ampi, luminosi e sinceri.
È quello il suo posto. Le aveva sussurrato.  Il posto di un bastardo. Ed è quella la faccia che dovrebbe avere un bastardo. Ned può amarlo come un figlio, ma per me sarà sempre e solo un fantasma che si aggira tra queste mura flagellando il mio cuore. Non tollerare mai la presenza di un bastardo, Sansa. Ricorda. È umiliante per una donna.
E Sansa aveva fatto di tutto per non sentirsi umiliata. Si era protetta dietro una muraglia di ghiaccio e diffidenza, e da Jon, suo fratello era diventato il bastardo di Ned Stark, con i suoi silenzi, i suoi sguardi  troppo profondi, quelle buone intenzioni che parevano nascondere sempre un secondo fine.
Non c’era più nulla di quel ragazzo sconfitto e spaventato ora in Jon, e non c’era più nulla in lei di tutte quelle cose che sua madre le sussurrava in un orecchio.
Se ci vedesse adesso…
Gli accarezzò il viso premendogli un pollice sulle labbra.
─Mi sono sempre chiesta perché nostro padre reagì in quel modo. Eravamo solo bambini terrorizzati dal vento. Continuava a urlarci contro che non potevamo farlo, e che non poteva succedere. Cosa? Cosa non poteva succedere?
E per un attimo lo vide esitare, come se una luce fosse esplosa e si fosse subito spenta nei suoi occhi.
Aveva capito.
Questo
Pareva dirle, mentre si faceva più lontano e abbassava la testa, un alido di gelo che le attraversò il petto.
Non le importava.
Lo afferrò per le spalle spingendolo nuovamente su di se. Quella notte di tanto tempo fa, inspiegabilmente, Ned Stark aveva issato una barriera di ghiaccio tra di loro, che il tempo a poco a poco aveva fatto scogliere, fino a trasformarla in acqua limpida. Sansa non avrebbe fatto in modo che si scatenasse una nuova tempesta.
Alzò piano la testa scontrandosi quasi con la sua bocca. Respirava il suo respiro, quello sguardo d’ombra di Jon a rendere la sua realtà intensa, selvaggia e proibita. Nella semioscurità della cabina riusciva a intravedere solo la metà del suo viso perfetto, la linea dello zigomo, quella del naso, le ciglia folte e lunghe che perdevano le loro ombre nel buio delle guance. Schiuse le labbra, pensò di sentirlo fino a dentro lo stomaco.
La pelle era calda sotto il tessuto della tunica leggera, le gambe nude strette intorno ai fianchi del ragazzo sembravano volerlo sfidare e liberarsi di quella stretta.
─Mi dispiace, Jon ─ Sussurrò piano, e la sua voce risuonò incerta. Stava tremando ─Mi dispiace per quella sera, per averti svegliato nel cuore della notte sapendo bene i rischi che correvamo. Mi dispiace se hai sentito dolore, mi dispiace di non essere stata coraggiosa abbastanza, e mi dispiace per non averti chiesto scusa.
─Lo so. ─Sembrava volesse piangere. Più vicino alla sua bocca ─Lo so. Dei!
─Non ti ho odiato, Jon ─ La mano sul suo viso a stringergli i capelli ─Non ti ho mai odiato.
─Sansa…
─Credimi. ─ Era una pazzia. Voleva perdersi in lui, voleva che lui la sentisse. I fianchi che si mossero alla ricerca di un contatto più profondo ─Ti ho pensato quando eravamo lontani. Volevo rivederti. Mi sei mancato.
Lo sentì reprimere un gemito, respirava attraverso la bocca ─Ti ho pensata anch’io. Ti ho sognata anche.
Battiti contro il costato, nei timpani, sotto la punta delle dita. Più vicino, voleva esserci più vicino. E poi chiudere gli occhi. Forse non era tutto vero.  E neppure lei era vera.
─E com’ero nei tuoi sogni?
Si pentì quasi subito di averglielo chiesto, e nel momento in cui Jon strinse gli occhi seppe che avrebbe dovuto implorare per una risposta sincera. Gli tenne la testa ferma con le mani, lo costrinse e guardarla. E lui lo fece, con colpevole stupore e stupefatto sgomento. Le labbra gli tremavano, e così anche le luci nei suoi occhi sempre profondi.
─Io…
─Com’ero?
Insistette e non c’era modo di scogliere quella stretta. Avrebbe potuto allontanarsi, ma si sarebbero comunque toccati, avrebbe potuto voltargli le spalle, ma il suo corpo, duro e caldo sarebbe sempre stata una presenza costante. Un promemoria e un avvertimento. Un peccato e un dono. La fame forse li aveva ridotti allo stremo.
─Bella. ─Ammise come sconfitto ─Bella come adesso. Bella come le cose che voglio.
E lo sentì davvero che la voleva, il suo membro diventato duro che le premeva contro. Fu una scoperta sconcertante, bellissima e spaventosa. Era stata lei e lei soltanto. Aveva come l’impressione di essere potente e invincibile, ma allo stesso tempo colpevole e impudente. Si mosse sotto di lui e Jon capì che lei lo aveva scoperto. Il suo viso si colorò di un rosso acceso, gli occhi divennero lucidi e vuoti. Lo vide stringere i denti, maledirsi silenziosamente. Sansa decisa che sarebbe stato meglio restare ferma, e nello sbigottimento tutto le sembrava confuso, grande e inappropriato.
─Jon…
Le venne da dire e non ebbe neppure paura che qualcuno potesse sentirla. La sua voce era risuonata gracile, sottile, quasi un grido strozzato, e lo sguardo di Jon si trasformò in una maschera di orrore e colpevolezza.
Si allontanò da lei facendo pressione sulle braccia.
─Perdonami, ti prego. Perdonami ─Implorò turbato dal rammarico ─Non sono questo tipo di persona. Non sono così. Io non… abbi pietà di me e perdonami.
E voleva dirgli che non aveva nulla da farsi perdonare, che le era piaciuto averlo accanto, sentirlo parlare, accarezzarlo, e percepire la sua voglia. Voleva dirgli che non aveva paura e che era stata tutta colpa sua, anche questa volta. Voleva dirgli di non andarsene perché aveva ancora bisogno del suo calore, e che erano Jeyne e Sam e loro potevano tutto.
Ma strinse solo le labbra, mentre la vista cominciava ad offuscarsi. Le scese una lacrima lungo una guancia e Jon abbassò la testa, quasi fosse inorridito a guardarla.
È solo il mio cuore. Ha ripreso a vivere. Non so controllarlo. Non riesco a capire.  Resta. Io non ho paura.
Ma non restò.
Scese dal letto con furia, si rivestì alla svelta. Quando tornò a parlare aveva i pugni stretti, i riccioli neri che gli comprovano gli occhi.
─Forse è meglio che ti lasci sola. Ed è meglio che io stia solo. Evidentemente sei più al sicuro lontano da me.
E poteva vederlo, tutto quel peso che si ostinava a portare sulle spalle. Lo spingeva verso un'ombra che Sansa non poteva diradare. Continuò a piangere per tutta la notte, e la ragione le era abbastanza chiara.
Era andato via.

 
 
CONTINUA…
 
Ed eccomi qui con un nuovo capitolo. Piaciuto? Posso dire di per certo che è il mio preferito fino a questo momento. La storia che ho inventato in passato penso sia per entrambi un ottimo spunto di riflessione. In realtà in questo momento Jon e Sansa provano una grande attrazione fisica, tra di loro è come un fuoco. Si vogliono, ma sanno che non possono volersi.
Spero che comunque vi sia piaciuto quanto è piaciuto a me scriverlo. Forse al più presto pubblicherò una nuova long, non so quando, ma sono a lavoro!
Mi raccomando, lasciatemi una recensione, anche una piccola piccola! Ma ci conto! Un bacione grande da Stella!
 
 
   
 
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