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Autore: bluerose95    03/02/2017    2 recensioni
Killian, con un sorriso malizioso, si diresse verso Emma, afferrandola per i fianchi e facendola trasalire. «Quello è il mio posto, tesoro,» disse spostandola appena per poter passare e andare a sedersi al pianoforte.
Emma Swan è sempre stata trasferita da una famiglia affidataria all'altra, non ha mai conosciuto la stabilità, l'amore di una famiglia vera. Questo, almeno, fino a quando non una certa Ingrid Frost non la prende in affidamento, facendola arrivare a Storybrooke, Maine.
Emma non avrebbe mai pensato che in una cittadina piccola come quella potessero trovarsi persone incantevoli, persone che le vogliono bene e che la fanno sentire a casa, persone che non vorrebbe mai abbandonare e anche persone che vorrebbe amare con tutta se stessa.
Ma può davvero una ragazzina sperduta come lei amare qualcuno? E lei, lei è davvero meritevole di tanto affetto o una volta diventato troppo quella famiglia in cui si trova così tanto bene, quel ragazzo che ha iniziato ad amare con tutta se stessa la manderanno via, come fanno tutti?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4
 
Emma non aveva paura. Non molta, almeno. Aveva superato il fine settimana indenne, e ora doveva affrontare un altro ostacolo che aveva sempre temuto: il primo giorno di scuola.
Aveva tutto ciò che le occorreva, disponeva di tutte le informazioni necessarie – e anche non – ma, soprattutto, per quanto ancora stentasse a crederci, aveva qualcuno su cui contare; non era più la ragazza nuova e sola che si ritrovava in un angolo, presa in giro e additata da tutti perché nemmeno i suoi genitori l’avevano voluta.
«Coraggio, non permetteremo che ti mangino,» tentò di rallegrarla Anna, i capelli raccolti in una crocchia ordinata. All’inizio Emma non l’aveva notato, ma fra i capelli ramati della ragazza spiccava una ciocca bionda che ricordava i capelli della sorella e della zia. Le stava bene ed era particolare, come lei.
«Certo, come no, al massimo mi strapperanno il cuore dal petto e lo stritoleranno davanti ai miei occhi. Nulla di cui dovermi preoccupare, no?»
Anna le diede una gomitata giocosa tra le costole. «Non essere così pessimista, Emma, non sono dei mostri. A parte il professor Gold e la preside, ovviamente, loro sì potrebbero essere capaci di una cosa del genere.»
Emma guardò sorpresa Anna, gli occhi verdi sgranati. «Gold insegna qui? Ma…» Non finì la frase, non serviva, poiché Anna stava annuendo, confusa sul perché non le avevano dato quell’informazione cruciale, anche se molto probabilmente c’entrava la storia di Killian. «Dio, quel ragazzo o è davvero stupido o vuole una morte prematura, che lo rende ancora più stupido.»
«Sì, e più va avanti con questa storia, più dolorosa sarà la sua fine.» Le tre ragazze si volsero a guardare Liam che, dietro di loro, aveva sentito tutto. Quando abbassò lo sguardo su Emma, rossa in volto per l’imbarazzo, però, l’espressione corrucciata era sparita dal suo volto e aveva lasciato posto a un sorriso leggermente tirato. «Vedo che Anna non è stata in grado di tenere a freno la lingua.»
«Ehi, perché pensi sia stata proprio io?» esclamò indignata Anna, il rossore sulle sue guance le metteva in risalto le lentiggini.
Liam ridacchiò attirandola in un abbraccio e strofinandole le nocche contro la tempia. «Perché sei una pettegola, ecco perché,» disse schioccandole un bacio sulla fronte, proprio come se fosse suo fratello. Il sorriso si affievolì mentre riportava lo sguardo serio su Emma e si grattava dietro l’orecchio, a disagio. «Io, uh… vorrei chiederti se puoi tenere per te questa faccenda.»
«Certo,» rispose Emma alzando un angolo della bocca nel tentativo di essere incoraggiante, «non mi sognerei mai di farne parola con nessuno.» Non disse che non era solita farsi gli affari degli altri, né che quella storia non aveva nulla a che fare con lei, si limitò solamente a rasserenarlo un poco, per quello che poteva fare, almeno.
«Allora coraggio,» disse Liam appoggiandole le mani sulle spalle e sospingendola verso l’entrata, prendendola alla sprovvista. La presa di Liam era salda e non prevedeva alcuna via di fuga; qualcosa disse a Emma che le avrebbe fatto varcare quella porta anche a costo di caricarsela sulle spalle.
«A proposito di Killian,» disse Anna gustandosi la scena di Emma depredata della propria libertà d’azione, «dov’è?»
Alzando gli occhi al cielo, Liam scosse il capo. «Non ne ho la più pallida idea, però ha dormito a casa,» borbottò mentre continuava a sospingere Emma verso la bassa rampa che portava all’entrata.
«Dovresti mettergli un chip, almeno sapresti dove si trova se dovesse mettersi nei guai.»
«Non è un cane, Anna,» disse Elsa con un sorriso divertito mentre entravano nell’atrio, un corridoio dalle pareti beige lungo le quali erano state sistemate due file di armadietti, le lampade al neon sfarfallavano un poco, ma nonostante tutto non era un brutto ambiente – fatta eccezione per la puzza di ammoniaca che fece arricciare il naso a tutti.
«E non hai ancora sentito la mensa,» gemette disgustata Anna all’orecchio di Emma, rabbrividendo teatralmente. La ragazza riportò lo sguardo sulla sorella. «Lo so, anche se a volte fa gli occhi da cucciolo bastonato. È solo che sembra un ramingo, sai com’è, mi meraviglia il fatto che non se ne sia già andato per conto suo a girare il mondo.»
«Non tutto quel ch'è oro brilla, né gli erranti sono perduti,» borbottò Emma senza pensarci due volte, citando Tolkien e guadagnandosi un’occhiata divertita dai tre che l’accompagnavano, le mani di Liam ancora sulle sue spalle nonostante avessero già percorso metà del corridoio. Era una presa piacevole, confortante, che le piaceva sentire addosso nonostante non ci fosse affatto abituata. Si sentì comunque arrossire sotto quegli sguardi, grata che non la giudicassero quando altri l’avrebbero sicuramente presa in giro.
«Beh, la sua Arwen il nostro Aragorn l’ha già trovata, a quanto pare,» continuò Anna dirigendosi verso il proprio armadietto, casualmente proprio accanto a quello assegnato a Emma.
«Spero proprio di no,» sibilò Liam liberando Emma dalla propria presa mentre si dirigeva verso il proprio armadietto, poco distante dai loro.
Anna sorrise tristemente, voleva tenere la cosa sul ridere, era l’unico modo che aveva per tentare di far dimenticare a Liam ciò che stava facendo suo fratello. «Beh, lei somiglia molto ad Arwen,» replicò con una scrollata di spalle mentre apriva l’armadietto dal quale volarono fuori un paio di piume.
Emma arcuò le sopracciglia. «Spero che tu non abbia la carcassa di un qualche uccello lì dentro,» non poté trattenersi dal dire shockata mentre l’altra cercava disperatamente di non fare ulteriori disastri e Liam ed Elsa scoppiavano a ridere.
«No, è solo il progetto per il corso d’arte, dobbiamo fare delle decorazioni per il Ringraziamento e Kristoff mi ha gentilmente prestato delle piume di tacchino che ha trovato al rifugio. Non ha maltrattato quei poveri animali, eh,» spiegò Anna, rossa in volto e questa volta non per il freddo.
Da quello che le avevano detto, Kristoff era il ragazzo di Anna che però Emma non aveva ancora avuto l’occasione di conoscere. Quel giorno avrebbe rimediato alla cosa, ma la “luce degli occhi” – come l’aveva definito Elsa – di Anna non si era ancora fatta vedere.
Elsa scosse il capo, la lunga treccia che le accarezzava la schiena a ogni movimento. «Dì che lo hai obbligato a darti quelle piume,» sogghignò, anche lei aveva preso i propri libri e, dopo che Emma ebbe aperto il proprio armadietto ed ebbe sistemato i propri libri, si diressero verso l’aula di inglese.
Con un gesto vago della mano, Anna liquidò il discorso. «Comunque, Emma sarebbe una bellissima Galadriel,» disse guardando la ragazza in questione con occhio critico, probabilmente cercando di immaginarla con un vestito in stile medioevale e le orecchie a punta.
Emma si fermò davanti alla porta dell’aula, un suono quasi indignato le uscì dalla bocca. «Io non voglio fare la nonna di Arwen, per quanto Cate Blanchett sia bellissima,» esclamò arricciando il naso, pensando di quale Arwen stessero parlando.
«Galadriel è la nonna di Arwen?» domandarono Anna e Liam all’unisono, gli occhi sgranati dalla sorpresa mentre cercavano di ricordare se nel film fosse mai stato detto.
Alzando gli occhi al cielo, Emma annuì, non molti sapevano di quella faccenda, e persino lei ne era rimasta sorpresa.
«La signorina Swan ha ragione,» disse una voce dietro di loro, facendoli sobbalzare. Si trattava di Archibald Hopper, il professore di inglese, che sorrideva apertamente mentre si toglieva gli occhiali per pulirli. Era il migliore tra i professori, il più simpatico e semplice, e aveva il dono speciale di riuscire a capire i propri studenti, quasi come se leggesse loro nel pensiero. Di tanto in tanto si prestava anche a psicologo quando qualche studente ne aveva bisogno, cosa che però capitava sempre più raramente.
Emma non si chiese come facesse a sapere chi fosse, era ovvio che in una cittadina così piccola non dovessero mai esserci grandi arrivi, e poi Ingrid le aveva detto che aveva già sistemato le cose con la scuola e con i vari professori, quindi non c’era da sorprendersi.
Infilandosi nuovamente gli occhiali tondi e spingendoli sul naso, il professor Hopper tentò di assumere un’espressione imperiosa e indicò loro con il braccio l’aula. «Su, voglio scambiare qualche parola con la signorina Swan e poi voglio vedere che progressi avete fatto con Poe.»

 


Emma era distrutta, le sembrava di essere stata investita diverse volte da un treno in corsa. Era stanca, le facevano male le gambe e le sembrava di non aver mai smesso di parlare, si sentiva la lingua molle e dubitava di riuscire a sopravvivere all’ultima, terribile ora di lezione.
Assieme al professor Hopper aveva istruito l’intera classe sulle varie relazioni elfiche e non presenti ne Il Signore degli Anelli, stupendo tutti quanti – metà di loro aveva solo visto il film e in pochi nemmeno quello – e aveva davvero perso la cognizione del tempo.
Poi era stato il turno di matematica, e lì aveva parlato poco, ma la signorina Cecaelia le aveva fatto il terzo grado, e a Emma era parso che godesse della sua non proprio perfetta preparazione in matematica, una delle materie che odiava di più.
Niente poi l’aveva preparata alla lezione di francese, quando aveva dovuto parlare quasi per tutta l’ora in francese su argomenti che andavano da domande inerenti al programma alla sua vita personale, sulla quale però non si era sbottonata e, fortunatamente, Elsa era intervenuta in sua difesa, sviando l’attenzione della signorina Page. Quest’ultima le ricordava fin troppo Pam di True Blood, ma cascasse il Cielo non avrebbe mai osato dirglielo in faccia.
La giornata era passata velocemente, ma tutti i professori l’avevano fatta parlare, chiedendole dove fosse arrivata con il programma, ma nessuno l’aveva messa in eccessivo imbarazzo – a parte la signorina Page.
E ora si trovavano tutti quanti – insieme a David, Mary Margaret, Regina, Robin, Ruby e Neal – seduti comodamente nell’aula di musica mentre aspettavano che arrivasse Gold.
L’unico però visibilmente preoccupato per qualcosa era Liam: suo fratello non si era fatto vedere, e dubitava che sarebbe venuto all’ultima ora solo per fare un dispetto a Gold, ma con Killian Jones niente era mai certo.
«Sai che ti chiederà di cantare, vero Emma?» disse a un tratto Regina, le labbra contratte in una smorfia al ricordo di quando Gold le aveva ordinato di cantare una canzone che, ovviamente, non aveva mai sentito e che si era rivelata essere nientemeno che un’opera lirica.
Emma gemette, chiudendo gli occhi con forza.
L’ultima cosa che voleva era mettersi in ridicolo davanti a tutti, e sembrava che a momenti non avrebbe avuto altra scelta. Non che non sapesse cantare, però si vergognava, era forse l’unica cosa che non voleva fare davanti agli altri, oltre che abbassare quelle mura che col tempo aveva innalzato attorno a sé.
«Puoi sempre suonare,» replicò Ruby con una scrollata di spalle. Quel giorno indossava una camicetta nera con una cravattina rossa e una minigonna dello stesso colore, calze nere e stivali rossi, sembrava quasi un bastoncino di zucchero rosso e nero – fragola e liquirizia come le caramelle che mangiava in continuazione.
Tutti, grazie ad Anna, sapevano che suonava il violino, ma solo Emma sapeva a quali dolorosi ricordi la riportava quello strumento. Ricordava ancora perfettamente quali canzoni aveva suonato duettando con Lily fino a notte fonda nel garage insonorizzato della casa famiglia in cui stavano all’epoca.
E poi lei l’aveva tradita, rigettandola in pasto agli squali del sistema affidatario, togliendole l’ultima speranza di avere una famiglia che le volesse bene, perché a nessuno interessava una sedicenne e tutti i guai che questa aveva combinato.
Fino a ora, disse una vocina nella sua mente, ma la scacciò scuotendo appena il capo mentre fissava le proprie dita intrecciate sul banco.
«Eccolo che arriva,» sussurrò Anna sistemandosi sulla sedia e tentando di mettere in ordine la frangetta ramata che, spettinata, la faceva quasi sembrare a un porcospino.
Nella classe entrò un uomo magro dal volto sottile e affilato, piccoli occhi scuri e penetranti, labbra sottili contratte in una smorfia e capelli lunghi fin quasi alle spalle, lisci e stopposi, come se gli avessero messo in testa la paglia di una di quelle scope vecchie. Indossava un abito elegante, probabilmente fatto su misura, completo scuro e camicia blu notte, il tutto completato da una cravatta nera con un fermacravatta d’oro. Emma notò fin da subito che zoppicava e si teneva appoggiato a un bastone da passeggio, sebbene mantenesse comunque un’aria elegante e sicura di sé, forse fin troppo.
Gli occhi di Gold saettarono su Emma una volta che si fu appoggiato alla cattedra, ammirando la platea di studenti davanti a sé, ed Emma si sentì percorrere da mille brividi gelidi sotto quello sguardo inquisitore. Un debole sorriso, più simile a un ghigno, si fece strada sul volto di Gold.
«Ah, lei deve essere Emma Swan, che nome incantevole.»
Emma aggrottò appena le sopracciglia, confusa da quelle parole. Dubitava fosse un complimento, ma non riusciva a capire che cosa volesse insinuare Gold con quella frase. «Grazie,» mormorò senza abbassare lo sguardo, le spalle dritte in un atteggiamento composto e stoico.
«Credo che i suoi amici le abbiano già detto che cosa le avrei chiesto di fare, tutti loro hanno dovuto passare il mio, come dire, esame iniziale,» continuò Gold in tono mellifluo, ed Emma lo immaginò dire quelle parole mentre teneva un gatto in braccio e lo accarezzava lentamente.
Esitante, Emma annuì, domandandosi che cosa le avrebbe chiesto di cantare. Forse dirgli che sapeva suonare non era poi un’idea così cattiva, no?
«Signor Gold, credo che invece le piacerebbe sentirla suonare. Emma ha delle dita magiche,» intervenne Anna, facendo sussultare Emma, che si volse a guardarla a metà tra il riconoscente e il risentito.
Gold fece schioccare la lingua, come deluso, ma annuì lentamente. «Certo, perché no? Che cosa suona, signorina Swan?»
«Il violino, signore,» rispose Emma umettandosi le labbra mentre sentiva l’adrenalina sprigionarsi in tutto il corpo, una sensazione d’euforia che da tempo non provava più; sembrava che uno stormo di farfalle le volasse nello stomaco, scaldandola da dentro come un fuoco.
Con un gesto della mano, Gold la invitò a prendere il violino dall’apposita custodia nella sezione degli strumenti ad arco vicino a una grande arpa intarsiata e tirata a lucido. Emma si alzò, riluttante, le sembrava di star facendo la camminata della vergogna davanti all’intera classe mentre si dirigeva verso la custodia nera.
Il violino era fresco di ceratura dato l’odore intenso che le arrivò al naso, anche se non era uno Stradivari doveva essere comunque perfetto in quanto a suono, Emma aveva capito perfettamente che Gold non era il tipo che dava qualcosa per scontato. A parte sua moglie, pensò sarcastica mentre afferrava delicatamente archetto e violino e si portava accanto al pianoforte, sul piccolo spazio della pedana rialzata che le avrebbe permesso fluidità nei movimenti.
Stava per aprire bocca quando si sentì del fracasso provenire dalla porta della classe, dalla quale entrò con nonchalance un ragazzo alto, i capelli neri come l’inchiostro rigorosamente spettinati e un accenno di barba sulle guance arrossate, un netto contrasto con la carnagione nivea ma assolutamente affascinante. Sorrideva, un sorriso pieno di strafottenza, un’aria di sfida gli accendeva gli occhi. Cristo, Emma non aveva mai visto degli occhi così blu, brillanti come zaffiri al sole e profondi come oceani. Si sentì tremare le ginocchia per un istante.
«Signor Jones, a cosa devo il piacere?» sibilò Gold senza degnarlo di uno sguardo, concentrato sulla reazione di Emma, che era riuscita a mantenere il proprio contegno nonostante la vista che Killian Jones le offriva.
Scrollando le spalle coperte da una giacca di pelle e una camicia blu notte a cui aveva slacciato i primi due bottoni, il ragazzo rispose: «La preside ha voluto parlarmi del mio rendimento scolastico, tutto qui.»
Emma sapeva che stava mentendo, ma non stava a lei mettere in dubbio le sue parole davanti all’intera classe. Oltretutto, sembrava che anche Gold sapesse che stava mentendo, e il problema era che, se davvero era a conoscenza di tutta la faccenda o anche se lo sospettava e basta, perché era così calmo? Tentò di non pensare al peggio, ma un brivido le corse involontariamente lungo la spina dorsale mentre cercava disperatamente di scacciare dalla sua mente l’immagine del cadavere del ragazzo che aveva davanti.
Killian, con un sorriso malizioso, si diresse verso Emma, afferrandola per i fianchi e facendola trasalire. «Quello è il mio posto, tesoro,» disse spostandola appena per poter passare e andare a sedersi al pianoforte.
Il volto di Emma era niveo, tutto il sangue era defluito dalle sue guance per poi rifluirvi violentemente, incendiandole la pelle; il tocco di Killian sembrava averla marchiata, sentiva ancora la leggera pressione delle sue dita anche attraverso il maglione pesante e la canotta. Un momento, l’aveva appena chiamata tesoro? Scosse leggermente il capo e si volse verso Gold che, impaziente, stava aspettando che lei cominciasse.
«Che cosa devo suonare?» domandò mordicchiandosi il labbro inferiore. Non aveva idea di che cosa volesse quell’uomo, né era certa che le piacesse il modo in cui la guardava fin da quando era entrata in classe.
«Mi sorprenda.»
Quelle due parole la fecero trasalire appena, era ovvio che dovesse improvvisare. Era una fortuna che nello zaino che aveva nascosto nell’armadio, oltre al proprio diario e a un paio di effetti personali avesse anche vari spartiti musicali che di tanto in tanto guardava con nostalgia.
Scostò quindi i capelli dalla spalla sinistra per poi appoggiarvi il violino, facendo una piccola smorfia nel sentire la mentoniera, da quando aveva iniziato a suonare non l’aveva mai usata, né quella né un fazzoletto, le piaceva sentire il contatto con lo strumento e le vibrazioni della musica diffondersi in tutto il corpo.
Dopo aver preso un respiro profondo, appoggiò l’archetto sulle corde e iniziò a suonare, gli occhi socchiusi mentre vedeva le note scivolarle davanti alle palpebre come se fossero capaci di prendere vita.
Sentiva su di sé gli occhi di tutti, probabilmente perché non era una canzone classica, ma era l’adattamento per violino di Shut up and dance dei Walk The Moon, l’ultimo di una lunga serie di arrangiamenti che lei e Lily avevano trovato e suonato assieme.
Sentì distintamente quando qualcuno iniziò a scandire il ritmo sul banco con quelle che sembravano delle bacchette da batteria, e quasi sorrise continuando a suonare. Le sembrava di non aver mai smesso, di non aver mai permesso a Lily di portarle via anche la musica, l’unica fonte di gioia che le rimaneva dopo aver dovuto dire addio all’idea di avere una famiglia.
Quasi trasalì, rovinando tutto, nel sentire il pianoforte, ma riuscì a non farsi sopraffare dalle emozioni. Sapeva che Lily non poteva essere lì, sapeva che lei cominciava sempre prima di lei, sapeva che Lily non aveva un tocco così delicato nonostante la musica fosse decisa e movimentata.
Improvvisò qualche accordo, consapevole degli occhi di Gold su di sé e sul fatto che anche chi stava suonando con lei improvvisava, rendendo il tutto straordinariamente e stranamente perfetto, qualcuno si mise anche a canticchiare sottovoce
Non era sicura che quello fosse ciò che Gold voleva e quando aprì gli occhi ne ebbe la conferma dal suo sguardo corrucciato, ma non smise di suonare, non fin quando non ebbe finito, l’ultima nota che si diffondeva vibrante nell’aria.
Con sorpresa di Emma, tutto eruppero in un fragoroso applauso, alcuni fecero anche dei fischi di apprezzamento, e lei si trattenne dal fare un inchino scherzoso, gli occhi fissi in quelli duri di Gold che disapprovavano altamente tutto ciò che aveva fatto da quando era entrato in classe nonostante il contegno sul suo volto.
«Uhm, non male,» commentò infine Gold dopo che la classe ebbe finito di comportarsi come un branco di scimmie, «anche se pensavo mi avrebbe suonato qualcosa di più classico, e non una qualunque canzone da quattro soldi.»
Lei arcuò le sopracciglia. Davvero? La prossima volta ti suono la Carmen, vecchiaccio, pensò, mordendosi la lingua per impedirsi di pronunciare quelle fatali parole. Si limitò quindi a stringersi nelle spalle e ad andare a riporre il violino nella propria custodia prima che il suo autocontrollo svanisse e distruggesse lo strumento in testa a Gold.
Mentre tornava indietro e il professore iniziava a spiegare che avrebbero dovuto preparare il concerto di Natale – nonostante mancasse più di un mese e mezzo – Emma incrociò lo sguardo di Killian.
Quegli occhi blu avrebbero dovuto essere dichiarati illegali e il suo cuore, per quanto non le piacesse, sembrò sobbalzarle nel petto mentre lui le strizzava l’occhio.
Forse non riusciva a capire il modo in cui lo faceva, ma capiva perfettamente perché tentava in tutti i modi di far perdere la pazienza a quel dannato professore. Tuttavia, non poteva fare a meno di preoccuparsi di come sarebbe andata a finire la faccenda, perché il suo istinto le diceva che quella storia avrebbe avuto un epilogo orribile per tutti quanti.
 
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Okay, beh, avete avuto il primo incontro e, sinceramente, non è questo granché, lo so. Forse vi aspettavate qualcosa di epico, ma così era sempre stato ideato e mi sembrava carino, almeno un po' v.v
Ebbene sì, Gold insegna musica - sarebbe stato fin troppo facile, ah? - e Killian è sempre lì che tenta di farlo infuriare. Non dico altro in merito alla faccenda, ma il prossimo sarà uno spettacolo, davvero.
(Poi dall'ultimo spoiler di Old Drunk Hook che in viso è identico ad Aragorn boh, io non sapevo nemmeno che ci sarebbe stato quando ho scritto questa fic, perciò mi fa tanto strano lmao)
Spero vi sia piaciuto, per quanto sia relativamente semplice e non dica molto della trama, però forse rivela qualcosa sul passato di Emma piuttosto importante v.v
Per vostra informazione, questa è la cover suonata da Emma; ne ho cercate tantissime e questa è quella più bella *ç*
Alla prossima,
blue
   
 
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