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Autore: Tigre Rossa    03/02/2017    3 recensioni
Lei era la mia stella.
Lei era stata la mia stella polare e aveva guidato il mio cammino fin da quando l’avevo vista per la prima volta pattinare.
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Era così bella, con i corti capelli rossi che le sfioravano appena la gola e quel vestitino dorato che la facevano sembrare una fiamma vivente, pronta a dare fuoco al mondo. E lo era. Lo era davvero.
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Multicapitolo breve - Tipo- Yuri on Ice!AU
HumanTigress!coach
HumanPo!Ice Skater
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Po, Tigre, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nuovo inizio

 


 

 

 

 

'There'll be no more darkness
when you believe in yourself you are unstoppable
Where your destiny lies, dancing on the blades,
you set my heart on fire'
-History Maker

 

 

 

 

Sospiro, mentre mi guardo attorno con curiosità ed un pizzico di malinconia.

Sono passati cinque anni da quando me ne sono andato dalla Valle della Pace, questa piccola zona di mare sperduta nella parte più orientale della Cina, e devo dire che mi è mancata. Non che sia granché, ma è pur sempre casa.

Non è cambiato molto, in realtà. La gente, che passa veloce chiacchierando e ridendo spensieratamente, è sempre la stessa. L’odore di mare è ancora così forte da coprire tutti gli altri, anche ora che sono appena sceso dal treno. Pure la stazione è la stessa, logora e un po’ decadente ma familiare, e per questo confortante.

“Po! “

Sobbalzo nel sentirmi chiamare per nome, ma ci metto meno di qualche secondo per rendermi conto di chi sia quella voce squillante dal forte accento straniero.

Mi volto sorridendo, ma non ho il tempo di fare altro che vengo imprigionato in un entusiasta ed energico abbraccio strizza-ossa.

“Ouch, M-Mantide, mi stai s-soffocando...” borbotto imbarazzato, stretto in quelle braccia sottili ma incredibilmente forti.

“Oh, scusa.” L’assalitore affettuoso scioglie l’abbraccio e fa un passo indietro, permettendomi così finalmente di respirare “Che bello rivederti, mon amì!”

Sorrido, semplicemente perché non posso farne a meno “Anche per me.” Ed è vero. Rivedere Mantide, sempre uguale nel suo corpo troppo piccolo ma aggraziato, il suo volto sottile e quei lunghi baffetti ispirati a non so quale attore, è una bella sensazione. Mi fa sentire come se almeno qualcosa della mia vita di prima fosse rimasto intatto e al sicuro.

L’uomo ricambia il mio sorriso, per poi prendermi la valigia dalle mani e farmi segno di seguirlo fuori. Obbedisco, sapendo che sarebbe inutile opporsi, e lo seguo silenzioso, sorpreso per questo benvenuto inaspettato.

“Come hai fatto a sapere che sarei arrivato oggi?” domando, veramente curioso. Non avevo detto del mio ritorno nemmeno ai miei papà, per far loro una sorpresa.

Mantide mi rivolge uno sguardo complice “Oh, andiamo, pensavi davvero che un’informazione simile potesse sfuggire a me?” Solleva un sopracciglio, come se solo l’idea di una simile eventualità fosse assurda “E comunque, avresti anche potuto farti vivo! Non solo sei stato via da casa così a lungo, ma da diversi mesi sei praticamente sparito dalla faccia della terra. Non si fa così, signorino, sappilo.” mi rimprovera, tornando per un attimo ad essere l’esigente e severo insegnante di danza dei miei ricordi.

Mi stringo nelle spalle, non sapendo bene cosa dire “Lo so. È stato un periodo complicato e ho preferito stare solo, almeno per un po’.”

Il ballerino non replica subito, ma si limita a lanciarmi un’occhiata preoccupata mentre usciamo fuori, all’aperto, e ci dirigiamo verso la sua macchina.

“Ho saputo, sì.” commenta infine, mentre infila il bagaglio dietro e io mi siedo, allacciandomi con mani stanche la cintura. “E ho saputo anche che hai intenzione di ritirarti. Cos’è questa storia?”

Trattengo a stento un sospiro, rassegnato. Sapevo che non avrei potuto evitare questo discorso a lungo, ma speravo di poter avere qualche momento di normale tranquillità, prima. Ma, a quanto pare, non è possibile.

“Nessuna storia. È semplicemente la verità.” rispondo a fatica, desiderando solo porre fine a quel discorso il prima possibile.

Dopo il mio clamoroso fallimento al Grand Prix, sono stato completamente incapace di pattinare di nuovo. Ho perso miseramente ogni singola gara e alla fine, qualche giorno fa, ho chiuso con il mio coach storico, Oogway. Devo dire che, nonostante tutto, il vecchio non se l’è presa. Quando gli ho detto che avevo bisogno di smettere un po’ con tutto questo e tornare a casa, mi ha guardato in silenzio per qualche momento e poi mi ha stretto forte il braccio, sussurrandomi di avere fiducia nel Fato, di seguire il mio destino e altre cose simili. Viene da una famiglia di monaci, Oogway, e quindi è molto influenzato da tutta quella roba filosofica e spirituale e la riversa spesso nei suoi discorsi-sermoni. Ma devo ammettere che la sua comprensione mi ha fatto sentire un po’ meglio.

Non so che cosa sarà della mia vita, d’ora in avanti. L’unica cosa in cui io sia mai stato bravo era il pattinaggio. Era l’unico futuro che vedevo di fronte a me e che mi faceva sentire bene. Ma ora, non ho nemmeno questo.

Odio parlarne. Odio pensare ai miei insuccessi e ai miei fallimenti, ed odio pensare a quello che sta crollando di fronte ai miei occhi giorno dopo giorno. Odio rendermi conto di aver distrutto tutti i miei sogni con le mie stesse mani, di non essere riuscito a fare l’unica cosa di cui ero capace. Odio guardarmi e vedere solo un fallito che non sa cosa fare di se stesso e la propria vita. Odio questa situazione. Odio me stesso, e basta.

Vorrei semplicemente chiudere gli occhi e dimenticare tutto, almeno per un po’.

Mantide sembra capire quello che provo, perché non cerca di strapparmi altro. Forse, qui in città, è quello che può comprendermi meglio, e per questo decide di non insistere. Prova anzi a tirarmi su, mentre accende la macchina e si avvia silenzioso verso la strada principale.

“A tutti gli atleti capita un periodo simile, Po. È naturale. Un momento in cui l’ispirazione, la forza o anche solo la fortuna vengono meno, e ti sembra che tutto vada male. A volte è così pesante da far pensare al ritiro, ma quasi mai ne vale davvero la pena. Pensa alla Tigre del Ghiaccio, ad esempio. Lei non ha fatto una grandissima cavolata, ultimamente?”

Sbruffo, sforzandomi di non commentare per lasciarmi sfuggire qualcosa di cui potrei pentirmi.

Alla fine del World Figure Skating Championship, Tigre ha annunciato il suo ritiro temporaneo dalle competizioni. I giornalisti, i fan e l’intero mondo del pattinaggio sul ghiaccio sono rimasti letteralmente sconvolti, incapaci di credere alle sue parole. Solitamente, i pattinatori vengono ritenuti ‘vecchi’ attorno ai 24, 27 anni massimo. Rare eccezioni superano quest’età e continuano ad essere importanti figure nell’ambiente competitivo. Però, nonostante come età sia ancora nella media, la pattinatrice russa ha alle spalle carriera più lunga e complessa di molti altri più grandi di lei. Dopo dieci anni di lavoro serio ed ininterrotto, ha detto di aver il bisogno di un po’ di tempo per sé, per capire cosa fare del suo futuro e, in caso di un suo ritorno sul ghiaccio, come ritrovare l’ispirazione, ormai molto flebile.

Tantissimi sono rimasti senza parole, altri si sono sentiti traditi, altri ancora l’hanno supplicata di ripensarci. Io, lo ammetto, all’inizio sono rimasto sconvolto. Tigre appartiene al ghiaccio, al pattinaggio, a quella danza mozzafiato che sembra scorrerle nelle vene. Il pattinaggio senza di lei è qualcosa di impensabile, e non so cosa succederà se non ritornerà a gareggiare. Ma, in fondo, la capisco fin troppo bene, e non me la sento di condannarla.

Senza poterne fare a meno, il mio pensiero torna a quella sera di tanti mesi fa, quando i nostri occhi si sono sfiorati, le sue labbra hanno accennato ad un sorriso e lei ha parlato con me, senza che però le dessi risposta.

Perso in quei ricordi, dimentico completamente il mondo che mi circonda, e mi riscuoto dal mio torpore solo quando Mantide mi mi dice che siamo arrivati.

Ci metto un po’ a realizzare, ma appena guardo fuori dal finestrino e capisco dove sono, apro lo sportello e letteralmente corro verso l’ingresso, lasciandomi indietro la valigia e il ballerino senza nemmeno pensarci.

Ignoro il cartello ‘chiuso’ attaccato appena sotto l’elegante insegna color giada e spalanco la porta, con il cuore che mi batte a mille, per poi precipitarmi dentro quel piccolo ristorante che forse mi è mancato più di qualsiasi altra cosa.

“Pa’! Papà!” grido, incapace di resistere, e subito sento qualcosa cadere rumorosamente a terra e dei passi frettolosi precipitarsi verso l’ingresso.

Un uomo mingherlino con ancora addosso il grembiule viene nella mia direzione quasi correndo. Quando mi vede il suo viso stanco si riempie di stupefatta gioia, mentre le mani macchiate di sugo ormai secco salgono a coprire la bocca e gli occhi si fanno improvvisamente umidi.

“Po . . .”

Basta un timido sorriso, e papà mi salta addosso, stringendomi tra le sue braccia sottili come quando ero bambino, e non posso fare a meno che rispondere al suo abbraccio.

“Figliolo mio, sei tornato!” sussurra in preda all’emozione, stringendomi forte come se avesse paura di vedermi scomparire se solo mi lasciasse andare per un secondo “Oh, che grande, grandissimo regalo! Li, Li, vieni qua! Po è tornato!” aggiunge ad alta voce, voltandosi verso la sala ristoro e chiamando ad alta voce il marito.

“Che cosa?”  una voce roca e sorpresa esplode come un fuoco d’artificio dall’altra stanza, e prima che possiamo rendercene conto mio padre è già lì, a pochi passi da noi, ansimante per la corsa e con gli occhi pieni di stupore a felicità.

“Po, figlio mio!” esclama, afferrandomi stretto con un braccio e trascinando sia me che pa’ in una stretta da orso che mi fa sobbalzare e allo stesso tempo mi strappa una risata.

“Papà!” mi sfugge, ma poi non riesco a dire altro, stretto come sono tra le loro braccia, e mi lascio andare a quell’abbraccio che sognavo da tanto tempo e di cui, ora lo so, avevo profondamente bisogno.

Intravedo Mantide affacciarsi alla porta, sorride e lasciare lì il mio bagaglio, per poi scivolare via in silenzio, attento a non farsi notare, e lo ringrazio mentalmente per questo.

Ora, ho solo bisogno dei miei due papà.

Restiamo stretti tra di noi per un tempo lunghissimo, ma non ci interessa. Siamo di nuovo tutti e tre insieme, e questa è l’unica cosa importante.

Tra le loro braccia, finalmente mi rendo conto di essere davvero a casa.

Il primo ad allentare un po’ la stretta è papà, ma solo per osservarmi con gli occhi luminosi colmi di gioia “Perché non ci hai detto nulla?” mi chiede, con un accenno di rimprovero nella voce.

“Volevo farvi una sorpresa.” È la mia semplice risposta, mentre guardo davvero i miei genitori per la prima volta dopo più di un anno. Sembrano così vecchi, ora, e così fragili. La distanza ha agito su di loro molto duramente e le prime rughe, nate dal tempo e dalla preoccupazione, hanno fatto la loro comparsa su questi volti stanchi, ma ancora così pieni di entusiasmo e amore.

“Oh, ci sei riuscito fin troppo bene.” aggiunge papà, per poi sciogliere la stretta e studiarmi attentamente da capo a piedi, attraversandomi quasi da parte a parte con i suoi occhi di appena una tonalità più chiari dei miei “Fatti guardare. Uhm, non sei più sciupato come l’ultima volta che ti abbiamo visto, ottimo.”.

Alzo appena gli occhi al cielo, esasperato, ma pa’ richiama nuovamente la mia attenzione, staccandosi anche lui ma accarezzandomi affettuosamente il braccio “Quanto resterai, Po?” domanda, e in un angolino del suo sguardo d’argento riesco già a scorgere la paura di una nuova, rapida separazione.

Mi stringo nelle spalle e mi limito a sputare fuori un “Non lo so ancora.”.

Papà inclina appena la testa, passandosi una mano tra i capelli scuri, ma da cui inizia a brillare qualche sottile capello grigio “Uhm? Oogway non ti ha dato un tempo limite? Dovete allenarvi per le prossime gare, no?” insiste, un’espressione indagatrice sul volto pallido.

Improvvisamente vorrei voltarmi, correre via e scappare per non dover rispondere a quella domanda, per non dover ammettere di essermi arreso, per non vedere i loro occhi riempirsi di delusione. Qualsiasi cosa, pur di non farli stare male. Ma non posso mentire, non a loro, e quindi mi costringo a sussurrare poche, stentate parole “No-non ci saranno prossime gare. Non subito almeno. Ho chiuso con Oogway, e ho deciso di prendermi una pausa dal pattinaggio per un po’.”

I miei papà si lanciano uno sguardo così pieno di tutto che mi è veramente difficile da decifrare. È quel tipico sguardo da coppia, che si scambia soltanto chi è capace di comprendere l’altro senza bisogno di parole, ma solo attraverso un flebile battito di cuore.

È pa’ a prendere, in un tacito accordo, il controllo della situazione, stringendomi forte le mani tra le sue.

“Oh, piccolo, ci dispiace tanto . . .”

E dai suoi occhi posso vedere che è vero. Gli dispiace, gli dispiace quasi più di quanto dispiaccia a me, ma non me lo faranno pesare, né ora né mai. Qualsiasi cosa io decida di fare della mia vita e del mio futuro, saranno al mio fianco, mi sosterranno e mi ameranno come sempre. Lo capisco dal suo sguardo e dal modo in cui papà mi posa una manona forte sulla spalla, e per un breve momento sento quel peso opprimente che mi sto portando indietro da così tanto tempo farsi un pizzico più leggero.

Poi, pa’ sorride, ed inizia a trascinarmi verso la cucina, seguito da mio padre. “Vieni, so io cosa ti ci vuole per tirarti su il morale. Ti preparerò la zuppa migliore di tutta la tua vita.”

Papà fa una smorfia “Ah, no! Lui vuole una buona cotoletta di maiale, non è vero ragazzo?” ribatte, per poi rivolgersi a me.

Prima che possa anche solo aprire bocca, pa’ si fa scuro in volto e si infila dietro l’orecchio un ciuffo chiaro di capelli, per poi rispondere con tono che non ammette repliche “Zuppa.”.

“Cotoletta.”

“Zuppa!”

“Cotoletta!”

“Zuppa!”

“Cotoletta!”

“Zuppa!”

Non posso fare a meno di scuotere la testa e trattenere una risatina mentre, per qualche folle, leggero momento, tutto sembra essere tornato a prima della mia partenza, a prima delle gare, a prima del Grand Prix, quando tutto era più facile.

Mi è mancata così tanto, la mia famiglia.

 

-----------∞-----------

 

È ormai quasi il tramonto quando mi decido a staccarmi dal letto della mia vecchia camera e scendere sotto, al ristorante.

Trovo Li seduto ad un tavolo con una penna tra i denti e una calcolatrice in mano, mentre dalla cucina sento pa’ canticchiare a bassa voce, mentre armeggia con pentole e padelle per la cena.

“Papà, io esco.” dico, avvolgendomi attorno al collo una sciarpa ed infilandomi le chiavi in tasca.

Lui alza appena lo sguardo dai conti che sta facendo e mi chiede, con quel suo fare quasi da poliziotto che da piccolo mi metteva sempre in suggestione “Dove vai? Presto sarà buio.”

“Lo so. Faccio solo un salto da Mei Mei e poi torno.” spiego, stringendomi con un brivido nel capotto.

Mi osserva attentamente per un altro mezzo minuto, per poi annuire, come convinto dalle mie parole “D’accordo, allora. Sarà entusiasta di vederti, dopo tanto tempo. Salutacela!” dice, concedendomi un sorriso.

“Certo. A dopo!” gli faccio un cenno di saluto e solo dopo che mi sono chiuso la porta alle spalle lo vedo ritornare con un grugnito spazientito sui suoi conti.

Alzo gli occhi al cielo, mentre un sorrisetto spontaneo mi incurva le labbra, e poi, strofinandomi le mani per il freddo, mi incammino verso la piccola collina che sovrasta la città.

La strada, che ho percorso così tante volte da aver ormai perso il conto da tempo, è la stessa di sempre, e mi trascina indietro, a quando la percorrevo di corsa, desiderando solo raggiungere il semplice edificio verde che stava sopra la collina, familiare e certo, ad aspettarmi.

Per circa dodici anni il palazzetto della Valle della Pace, che noi chiamiamo comunemente Palazzo di Giada per il suo colore, tanto simile a quello della pietra preziosa, è stato per me come una seconda casa, prima che partissi per studiare con Oogway. Sono cresciuto in quel posto, rifugiandomi lì ogni volta che qualcosa andava male o semplicemente volevo stare da solo, e sul ghiaccio trovavo sempre pace e conforto. Ho speso lì o nella sala da ballo di Mantide più tempo di quanto ne abbia mai passato al ristorante con i miei. Sono diventato grande danzando, e mai avrei pensato che un giorno il ghiaccio avrebbe smesso di essere il mio rifugio.

Ricordo ogni momento, in quel posto. La prima volta che mi sono infilato i pattini e per poco non mi sono spaccato la testa, facendo venire un mezzo infarto a pa’, o le lezioni durante le quali gli altri bambini mi prendevano in giro e tentavano di farmi cadere, senza però mai riuscirci. Quando ho iniziato a pattinare con la figlia del proprietario, che mi dava lezioni private e credeva tanto in me, e facevamo a gara per vedere chi era il più veloce.

O quando, alla piccola tv negli spogliatoi, ho visto per la prima volta esibirsi Tigre, e sono rimasto incantato. Dubito che dimenticherò mai quell’esibizione. Era così bella, con i corti capelli rossi che le sfioravano appena la gola e quel vestitino dorato che la facevano sembrare una fiamma vivente, pronta a dare fuoco al mondo. E lo era. Lo era davvero.

È stato da quel momento che ho iniziato ad adorarla. È diventata il mio idolo, e ha fatto crescere in me ancora più a dismisura la passione per il pattinaggio. Ho iniziato a studiarla ed a imitare le sue coreografie, aiutato anche dalla mia amica, impiegandoci settimane e mesi interi, senza stancarmi mai. Grazie a quei continui esercizi sono cresciuto sempre di più, tanto da farmi notare, a diciotto anni, dal coach Oogway, che mi ha poi preso sotto la sua ala protettiva.

Probabilmente, se sono diventato un pattinatore, lo devo solo a Tigre e alle sue coreografie di fuoco.

È pensando a questo che arrivo di fronte alla porta del palazzetto e, senza far rumore, scivolo dentro.

Dritto di fronte a me vedo una ragazza dai lunghi capelli neri, intenta a mettere a posto i pattini dietro al bancone, e mi ci vuole meno di niente per riconoscerla.

“Mei Mei?” chiedo, la voce appena un po’ emozionata.

La corvina si volta verso di me, confusa, ma quando mi riconosce il suo volto si illumina “Po! Non posso crederci! Non mi aspettavo di rivederti tanto presto!” esclama, battendo le mani insieme come una bimba di fronte ad una sorpresa inaspettata, e alla sua reazione entusiasta non posso fare a meno di sorridere. Mi ricorda quasi quando io avevo sette anni e lei dieci, e reagiva in questo stesso modo ad ogni passo che muovevo sul ghiaccio, ad ogni giravolta o piccolo salto, e faceva sentire quel piccolo scricciolo che ero grande.

“Sono tornato stamattina, senza dire niente a nessuno. Starò qui per un po’.” spiego, sperando che quelle poche parole bastino, almeno per poco, a placare la curiosità che le leggo negli occhi brillanti. “Sono stato via da casa troppo a lungo.”

“Mi sembra giusto.” annuisce, per poi poggiarsi con i gomiti sul bancone “Sei venuto a pattinare, corretto?” chiede a bruciapelo, facendomi un sorrisetto furbo. Mi conosce fin troppo bene, dannata lei.

“S-sì, a dire il vero.” ammetto, passandomi imbarazzato una mano tra i capelli scuri “So che è ormai orario di chiusura, ma . . .”

“Non preoccuparti, lo sai che per te questa pista è sempre aperta.” mi ferma subito, interrompendomi con un occhiolino complice “Vai pure, e resta quanto vuoi.”.

Esito un attimo, ma prima di perdere coraggio scuoto appena la testa “Vorrei che tu venissi con me, a dire il vero. Voglio mostrarti una cosa.”

Mei aggrotta confusa la fronte ed inclina appena la testa, certa di avere capito male. “Come?” Sa più che bene che odio essere guardato mentre pattino, e che avere qualcuno, anche un amico, ad osservarmi mi getta nell’agitazione più totale. Per questo mi ha sempre permesso di allenarmi durante gli orari di chiusura, anche se suo padre la sgridava perché gli rubava le chiavi di nascosto. Quando pattino, non deve esserci nessuno attorno. Semplicemente, voglio essere solo io, i pattini e il ghiaccio.

Ma non è così. Almeno, non oggi.

Senza darle spiegazioni, la prendo per mano e la tiro con me fino alla pista, e per un attimo torniamo di nuovo piccoli, due bimbi solitari e un po’ scapestrati che trovavano nel pattinaggio il loro unico rifugio e che si erano stretti l’un l’altra senza nemmeno rendersene conto, diventando due improbabili amici.

Mi infilo i pattini e me li lego con attenzione, per poi esitare un attimo “Mi sono allenato per questo da dopo il Grand Prix.” spiego, incapace di guardarla negli occhi “Quindi, semplicemente . . . guarda.”

Sotto il suo sguardo confuso, scivolo silenziosamente sul ghiaccio, per poi fermarmi esattamente al centro della pista, con la testa bassa ed a occhi chiusi, respirando profondamente e tentando di concentrarmi il più possibile.

Poi, quando tutto si fa silenzio e pace, alzo il viso al cielo e lascio che una melodia che è solamente dentro di me guidi ogni mio movimento, trascinandomi con sé sul ghiaccio.

Ogni cosa attorno a me svanisce ed inizio piano a pattinare, in una danza lenta e malinconica, lasciando che i ricordi di un’altra esibizione, di un’altra persona mi guidino e conducano ogni mio gesto.

Passi, sequenze, salti; ogni movimento è controllato, ogni mossa precisa, sulle note di una canzone che ho incisa nel cuore e sulla scia di un’altra pattinatrice che posso solo tentare di imitare.

Ed ecco, ora succede. Di fronte ai miei occhi, ora aperti e alla ricerca di qualcosa a cui aggrapparmi, compare il pallido riflesso di Tigre, fragile come un sogno ormai sul punto di svanire. Con gli occhi chiusi ed un sorriso malinconico sulle labbra danza al mio fianco, guidandomi col suo esempio perfetto in questa danza che è molto di più.

La seguo in ogni suo gesto, in ogni suo movimento, illudendomi che sia reale, che io stia davvero danzando con lei e per lei.

Quando chiudo gli occhi, il sogno diventa realtà e riesco a lasciarmi andare, rendendo mie le parole di quella lingua sconosciuta ma al mio cuore stranamente comprensibile.

Danzo con lei, anche se dentro di me so che si tratta solo di una fredda illusione, e lascio che quello che mi porto nell’anima si riveli attraverso la mia danza malinconia, l’unica lingua che conosco davvero. Pattino sulla mia silente preghiera, nella speranza che un giorno, quella voce lontana che sento piangere possa comprendere che il suo dolore è anche il mio.

Pian piano, lascio che quella sinfonia scivoli via, e quando quel fantasma gentile si fonde elegantemente con l’aria, con un sentimento simile al rimpianto concludo la coreografia abbracciando quasi me stesso, come se volessi tenere quella pallida luce con me ancora per un po’.

Resto immobile, ad ansimare e riprendere fiato, ancora protetto all’interno della mia piccola bolla invisibile, fino a quando un rumore improvviso mi riscuote, mettendo fine alla magia.

Applausi.

Mi volto verso Mei Mei, e la trovo tutta intenta ad applaudire nonostante gli occhi colmi di lacrime non versate, quasi avesse appena visto la cosa più emozionante della sua vita.

“Fantastico!” esclama, il viso rosso per l’eccitazione “Una perfetta copia della Tigre del Ghiaccio, solo maschile! Come hai fatto?” aggiunge quando mi avvicino timidamente, osservandomi curiosa “Pensavo che fossi depresso, o qualcosa del genere.”

Mi stringo nelle spalle, tentando ancora di riprendere fiato “Lo ero.” ammetto, quasi vergognandomi “Solo, ho iniziato a sentirmi stanco di essere depresso, e ho cercato di far rivivere il mio amore per il pattinaggio. Ho pensato di provare ad imitare Tigre, come quando eravamo bambini e grazie alle sue esibizioni ho capito di voler diventare anche io un pattinatore.” Mi mordo le labbra senza nemmeno rendermene conto, mentre ritorno con la mente a quel giorno lontano di tanti anni fa, quando Tigre con la sua luce accecante aveva dato fuoco alla mia anima “Forse, come lei mi aveva aiutato ad amare davvero il pattinaggio per la prima volta, poteva aiutarmi a farlo una seconda. Era questo che speravo, almeno.”

La corvina fa per parlare, ma una vocina entusiasta si intromette, interrompendola con uno scatto di puro entusiasmo.

“È stato bellissimo, Po!”

Resto confuso per un attimo, cercando di capire da dove venga quella voce inaspettata, e nel vedere la mia faccia scioccata Mei scoppia a ridere e si china, per poi sollevare da terra una piccola intrusa, una bimbetta dal viso paffuto e il sorriso più grande dell’universo.

“Ecco qua la tua spettatrice inaspettata! Si è intrufolata mentre stavi pattinando, e non ho avuto cuore di cacciarla. Era letteralmente incantata dalla tua performance, come me del resto.” mi spiega, stringendo forte la sorellina con un sorriso complice.

Sorrido, perché semplicemente non ne posso fare a meno, e mi allungo verso la piccola per scompigliarle i capelli ricci ricci “Ciao, Lei Lei!” esclamo, felice di rivederla. L’ultima volta che sono stato qui aveva tre anni, era uno scricciolo adorabile che mi seguiva ovunque andassi e mi rubava i pattini e i poster di Tigre “Ma guardati, come sei cresciuta! Sei diventata grande.”

La bimba sorride, mostrando uno dei denti davanti mancante, per poi indicarmi allegramente con un dito e dire con infinita tranquillità, probabilmente pensando di farmi un complimento “Anche la tua pancia è diventata grande!”

Resto di sasso, e Mei mi lancia un’occhiata confusa, per poi fissarmi in modo quasi maniacale la pancia “Cosa?” lo sguardo che mi lancia è da perfetta serial killer, e non posso fare a meno che indietreggiare di qualche passo, intimorito “Po, un pattinatore di figura non può essere grasso!” mi urla, incavolata nera come se l’avessi appena offesa a morte.

“Non sono grasso!” cerco di difendermi, seppur senza troppa decisione “Ho solo . . . preso qualche chilo”.

Dopo il Grand Prix e tutte le altre sconfitte, mi sono rifugiato nel cibo. Quando sono sconvolto, mangio, e in questo periodo sono stato più che sconvolto. Il cibo è stato il mio unico salvagente, oltre a questa coreografia. Ma ho sempre mantenuto il controllo. Sono stato attento.

No, non è vero.

Ho mangiato peggio di un maiale, e lo so. Solo, non pensavo che fosse così tanto evidente.

“Come no. Sembri un panda gigante.” ribatte lei, brutale, poggiando la sorella a terra per poi incrociare le braccia.

“Mei!” esclamo, sentendomi un filino offeso. Ok, ho mangiato tanto, però . . .

“Cosa? È la verità!” risponde seria, studiandomi con occhi attenti “Devi assolutamente dimagrire. Non potrai gareggiare, in queste condizioni.”

“Si tratta solo di un paio di chili.” borbotto, non volendo dirle che non ci saranno altre gare, d’ora in avanti. Se pattinerò, sarà solo qui, al sicuro tra queste mura familiari, dove posso sentire la mia passione tornare a bruciarmi il cuore come una volta. Dove nessuno potrà giudicarmi, e io non rischierò più di deludere le persone a cui tengo.

 


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La suoneria dei messaggi mi distrae dalla lettura, ed è con uno sbruffo che mi allungo verso il comodino per prendere il cellulare, nella speranza che non si tratti dell’ennesima sfuriata di Shifu o uno dei messaggi sarcastici di Tai Lung.

Quando sblocco lo schermo, compare questo sms con allegato un link youtube.

Questo video sta spopolando alla grande sul web. Credo che dovresti vederlo.

Vipera :)

Alzo gli occhi al cielo e sto per cancellarlo a priori, pensando che sia uno di quei video stupidi che tanto le piacciono, quando noto nel nome del link qualcosa di familiare che mi blocca all’istante.

Un nome.

Po Ping.

Aggrottando la fronte, clicco sul link, e mi si apre un video intitolato ‘Po Ping prova ad eseguire la coreografia della Tigre dei Ghiacci –Stammi vicino-‘.

Sullo schermo appare il ragazzo dell’aeroporto; lo riconosco subito, anche se i grandi occhi verdi sono serrati dietro le palpebre. È al centro della pista, con il volto abbassato e l’aria concentrata, ed all’improvviso inizia a pattinare, seguendo la mia ultima coreografia.

Danza senza musica, ma è come se non ne avesse bisogno; ogni gesto, controllato con un’abilità rara, sembra generare da sé la musica che lui sente dentro.

Si muove sulle note di una ninna nanna che non c’è, ma che lo trascina in qualcosa di mozzafiato, e di cui riesco a comprendere il significato, chiaro come se ogni suo singolo movimento me lo stesse urlando, con la disperazione di chi non ha più nulla. E ho la profonda sensazione che sia così.

È una preghiera, la sua.

Me ne rendo conto quando lo vedo aprire gli occhi per pochi secondi, sorridere malinconico e chiuderli di nuovo, per abbandonarsi con tutto se stesso a quella melodia che nessun’altro può sentire, ma di cui riesco a comprenderne il reale significato come se me lo stesse sussurrando all’orecchio.

Sto cadendo.

Sta danzando su una preghiera, e io riesco a sentire la supplica racchiusa in quella danza che sa’ di fine.

 Tutto sta crollando.

Una preghiera che, a quanto pare, nessuno riesce a comprendere.

Sto sprofondando nel buio.

Aiutatemi.

Non so cosa fare.

Una preghiera che non verrà ascoltata, così come non è stata ascoltata la mia.

C’è nessuno, là fuori?

Una preghiera ghermita dal nulla, dal gelo, e a cui nemmeno lui riesce davvero a credere.

Aiutatemi.

Una preghiera che non posso permettere vada perduta nell’oscurità.

Aiutami.

Quando quella danza malinconica finisce e Po si ferma, stringendosi come se stesse per cadere a pezzi, gli occhi di giada persi nel vuoto, sento in me ardere qualcosa che credevo perduta da tempo, ed improvvisamente una nuova consapevolezza si fa strada nella mia mente.

So cosa devo fare.

 

 

-----------∞-----------


 

“Quindi nessuna novità, Mantide?” chiedo teso, mentre gli verso un po’ di the.

Il ballerino si limita a scuotere appena la testa “Nulla di speciale. Anche se Mei ha cancellato il video da Youtube, continuano a girare varie copie sui social e in forma privata. È diventato letteralmente virale, e più passa il tempo e più si diffonde.” spiega, ripetendo semplicemente quello che già mi aveva detto il giorno prima, e quello prima ancora.

Sospiro, sconfortato “Maledizione.”

È passata appena una settimana dal mio ritorno qui nella Valle della Pace, e la sera stessa del mio rientro una vera e propria valanga si è scatenata su di me, travolgendomi. Ho scoperto che, quel pomeriggio al palazzetto, non solo la piccola Lei si era infilata di nascosto per osservarmi pattinare, ma mi aveva anche registrato con la sua piccola telecamera, che porta con sé praticamente ovunque vada. Mei Mei l’ha scoperto e allora, entusiasta, ha deciso di caricare il filmato online, per ‘farmi pubblicità’ e ‘dimostrare al mondo che Po Ping è più che un grande pattinatore, anche con dei chili di troppo’. Doveva essere un bel gesto, un favore, nella sua testa, ma ha solo avuto l’effetto di farmi morire di vergogna e gettarmi nuovamente sotto i riflettori, dopo tutta la fatica che avevo fatto per svanire dopo le mie ultime disastrose gare.

Ho costretto Mei a rimuovere il video, ma ormai era troppo tardi. Online non si parla d’altro che del grasso pattinatore giapponese che non sa portare a compimento nemmeno un’esibizione e poi, a porte chiuse, riesce a ricreare una delle più difficili coreografie di Tigre. Mi hanno chiamato tutti, giornalisti, i pochi pattinatori con cui avevo qualche contatto, il mio ex coach, per parlarmi, e io ho evitato chiunque, colmo di imbarazzo.

Se prima tornare a pattinare era un’idea improbabile, ora è diventata sicuramente impossibile.

Prima che possa dire qualcos’altro, sento il cellulare vibrare e vedo il numero di Mei comparire sullo schermo, luminoso e perfettamente inopportuno, in questo momento.

Alzando gli occhi al cielo, faccio segno a Mantide di aspettare un attimo e rispondo alla chiamata, senza darle nemmeno il tempo di parlare “Te l’ho già detto, non . . .”

La voce, stranamente bassa ma concitata, della corvina mi blocca prima che possa dire altro “Lascia stare quel video ora, Po! Vieni al palazzo di Giada. Subito!”

Aggrotto la fronte, confuso da quell’urgenza “Perché?”

Non si degna nemmeno di rispondere alla mia domanda, mi sibila solo un frettoloso “Muoviti!” e mi chiude la telefonata in faccia, lasciandomi per un attimo stordito.

Sto per scuotere la testa e archiviare il tutto come una delle sue solite stramberie, ma qualcosa nel suo tono urgente mi impedisce di farlo. Dopo un momento di esitazione, mi alzo e rivolgo uno sguardo di scuse all’insegnante di danza “Vado a vedere cosa sta succedendo al Palazzo. Non vorrei che fosse accaduto qualcosa di grave.”

“Certo, non preoccuparti. Vuoi un passaggio?” mi chiede disponibile lui, accarezzandosi i sottili baffetti con due dita.

Lo ringrazio ma rifiuto l’offerta, mi infilo al volo un capotto e una sciarpa verde e, quasi senza rendermene conto, mi ritrovo a correre per la strada che porta al palazzetto.

Lo raggiungo prima di quanto mi sarei aspettato e mi fermo solo un attimo fuori dalla porta per riprendere fiato. Poi entro, guardandomi attentamente attorno. Non c’è nessun cliente, come ogni giovedì mattina, ma neppure nessuno degli addetti. Ed è strano, perché ci deve essere sempre almeno una persona al bancone. Di solito questo è l’orario di servizio di Mei, ma . . .

Un rumore familiare proveniente dalla pista richiama la mia attenzione. Il suono gelido e rassicurante insieme di pattini che scivolano veloci sul ghiaccio.

Quasi come se si trattasse di un richiamo, vado verso la pista e, quando apro le leggere porte di legno e scivolo dentro senza far rumore, vedo Mei e Lei sedute l’una accanto all’altra, ad osservare incantate l’unico pattinatore che danza, solitario e silenzioso come un fiocco di neve, sulla pista.

Seguo i loro sguardi, e quando finalmente vedo di chi si tratta il mio cuore smette letteralmente di battere.

Tigre.

Tigre è qui, di fronte ai miei occhi increduli.

Vera, tangibile, reale, sta danzando ad occhi chiusi sul ghiaccio, unica ballerina di una danza solitaria celata al resto del mondo.

No. Non può essere vero.

Questo è un sogno.

E’ sicuramente un sogno.

Ma è uno splendido, meraviglioso sogno.

I suoi lunghi capelli rossi, liberi da ogni impedimento, seguono anche il più piccolo dei suoi movimenti, trasformando la sua figura in una fiamma vivente che arde e brucia e da fuoco a questa piccola ed anonima pista, certamente non degna di un tale privilegio.

È un angelo che gioca con il fuoco e il ghiaccio, fondendoli insieme in un’unica folle danza, e io un povero mortale indegno di assistere ad un simile miracolo.

Come può essere vero?

Perché mai la grande Tigre dei Ghiacci dovrebbe essere qui, nel Palazzo di Giada, lontanissima dalla sua patria, a pattinare senza alcun motivo?

Perché?

Improvvisamente, apre i suoi grandi occhi ardenti, e subito si ancorano ai miei, quasi avessero fino a quel momento solo aspettato di essere cercati.

Con un perfetto, unico movimento, Tigre si porta quasi al confine della pista e si ferma di fronte a me, vicina eppure tremendamente lontana, come quella volta in aeroporto, e il mio respiro si blocca esattamente come allora.

Un piccolo, leggero sorriso si forma sulle sue labbra, ed il mio nome le sfugge come se fosse un soffio di fiato “Po.” Si fa appena più vicina, fino al sottile confine del ghiaccio, e poi dice qualcosa, qualcosa che da’ fuoco al mio mondo e, come per l’araba fenice, lo fa rinascere dalle proprie ceneri, guidato solo dai suoi occhi ardenti e la sua voce profonda  “Sono venuta qui per te. D’ora in avanti, sarò la tua allenatrice. E ti aiuterò a vincere il Grand Prix.”

Se si tratta di un sogno, vi prego, non svegliatemi per alcuna ragione al mondo.

 

 

 

 


La tana dell’autrice


Hallo! Eccomi tornata, con un capitolo bello lungo e pieno di novità, anche se la storia vera e propria inizierà davvero nel prossimo aggiornamento.

Qui ho introdotto la fine della carriera di Po e il suo nuovo, improvviso inizio, e spero che la storia sia stata fino a questo punto comprensibile anche per chi non ha visto l’anime. Ho tentato di mantenere la linea guida generale della storia, ma adattandola e modificandola secondo i miei desideri e personaggi. Ho anche fatto alcune ‘strizzatine d’occhio’ alla storia originale, come per l’accenno alla cotoletta –chi sa, capirà anche troppo bene-, o ai film di KFP, con piccole citazioni e richiami che continueranno per tutta la fic.

 Ok, Mantide è diventato di origini francesi ed un ex ballerino. E Ping e Li sono una coppia, ma daaai, erano delle cose troppo carine per tenerle nella mia testolina pazza. Per chiarire, Ping è “pa’ ” e Li è “papà”.

Lo ammetto, è stato un capitolo abbastanza statico e un po’ diverso da quelli che scrivo di solito, ma ora è finalmente arrivata la nostra Tigre –con un’entrata tanto teatrale, ma ehi, Victor nell’anime fa molto di peggio, facendosi trovare nudo in una sauna.. - e vi prometto che le cose si faranno più interessanti ed i toni inizieranno ad accendersi...

Presto, molto presto, ne vedremo delle belle.

Un abbraccio

T.r.

  
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