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Autore: eliseCS    06/02/2017    3 recensioni
Uno scontro, un caffè rovesciato e una figuraccia.
Può questo dare inizio a qualcosa?
Apparentemente no se Carlotta è in ritardo per prendere l'aereo che la riporterà a casa e se del ragazzo a cui dovrebbe pagare la lavanderia non conosce nemmeno il nome.
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Un'occasione mancata, come tante, ma non si sa mai: potrebbe ripresentarsi quando uno meno se lo aspetta.
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Storia - leggasi pazzia - assolutamente senza pretese, ispirata da un post su twitter.
Spero che il tentativo di scrivere in prima persona non sia disastroso come sembra (a me).
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- V -
(pov Carlotta)
 
I due mesi di alloggio fornito dall’ospedale sono alla fine terminati e mi sono quindi trasferita dai Doherty.
Avevo già dato a Megan due delle tre valige che mi sono portata dall’Italia, e con ieri mattina ho finito di liberare la vecchia stanza assicurandomi di non aver dimenticato nulla: quella sera non sarei più tornata lì e per questo motivo mi sono anche dovuta portare il bagaglio in reparto.
 
La stanza della figlia di Megan, Chloe, mi ricorda la mia vecchia camera in Italia.
Il letto da una piazza e mezzo, la libreria vicino all’ampia scrivania – questa devo davvero riuscire a non ingombrarla come succedeva sempre con la mia – e l’armadio con lo specchio sulle ante esterne.
L’unica differenza sono i colori: nella mia il rosso era dominante, mentre qui tutto è verde chiaro e panna.
Lungi da me dal lamentarmene, ovviamente.
Al piano superiore della casa ci sono due bagni: uno lo usavano Megan e John mentre l’altro il figlio, Alex; ma quando alla sera sono arrivata ho scoperto che aveva già spostato tutte le cose del marito in quello del ragazzo.
Non le ho chiesto come lui avesse preso la cosa, speravo solo che non fosse troppo arrabbiato per quell’invasione dei suoi spazi.
 
C’è anche da dire che in due giorni non l’ho ancora incontrato. Alex, intendo.
L’altra sera quando sono arrivata John ci ha detto che era ancora fuori al locale mentre stamattina quando mi sono alzata – apposta tardi in vista della prima notte del turno – era già uscito e non è tornato neanche per cena.
Quando ho provato a chiedere a Megan se fosse per colpa della mia presenza ha liquidato la cosa intimandomi, gentilmente, di non dire assurdità.
Se suo figlio si comportava come uno stupido – e maleducato – la colpa non era di certo mia.
 
 
 
 
Per una malattia di un collega ci siamo ritrovate a fare tre notti anziché due e sono davvero distrutta.
Almeno così faremo quattro giorni di riposo prima di ricominciare il turno anziché tre.
 
Mi sveglio con lo stomaco che brontola e la testa pesante.
Guardo l’ora e scopro che sono quasi le cinque del pomeriggio.
Mi alzo ancora intontita per tirare su le persiane della camera e alla luce scopro che Megan mi ha lasciato un post-it sulla scrivania.
Lei è uscita per andare a trovare un’amica mentre John è al locale per una visita di ordinaria amministrazione.
Il fatto che in casa possa esserci qualcun altro non mi passa neanche per l’anticamera del cervello.
 
Scendo in cucina ancora in pigiama senza neanche essermi data una sistemata, tanto il mio piano è semplice: se riesco a svegliarmi facendo colazione – vabbè, merenda, o quello che è – bene, altrimenti me ne torno a dormire.
Mi servo di latte e cereali chiedendomi come mai calino così in fretta se sono l’unica a mangiarli – so che Megan e John fanno colazione salata – e non mi siedo neanche al tavolo rimanendo in piedi appoggiata al mobile del lavello.
Finisco e mi appresto a lavare la tazza e il cucchiaio che ho usato aprendo il getto d’acqua mentre canticchio tra me e me una canzone a caso – no, non sono assolutamente intonata, ma lo faccio lo stesso ogni tanto.
Tra l’acqua, il mio canticchiare e il fatto che sono per metà ancora addormentata e per l’altra metà persa nei miei pensieri non mi accorgo che nel frattempo qualcuno è entrato in cucina.
 
- Io non lo posso sapere perché sono girata di spalle e ovviamente non ho gli occhi anche dietro la testa, ma a beneficio del lettore dirò che l’ultimo arrivato mi degna appena di un’occhiata e decide di fare finta di nulla rimanendo in silenzio, servendosi poi degli stessi cereali che avevo preso io poco prima.
Ecco svelato il mistero!
Per fare le cose per bene anche lui aggiunge del latte per poi dirigersi verso l’ignara sottoscritta, che ha appena finito di riporre la tazza nello scolapiatti, per prendere un cucchiaio. –
 
Ve lo ricordate il frontale di sei anni fa?
Diciamo che adesso la situazione è potenzialmente più imbarazzante di quella volta visto che, ricordiamolo, sono ancora in pigiama.
Comunque, nel caso in cui non si fosse capito, quello che succede è che nel girarmi – a parte prendermi uno spavento assurdo – vado a sbattere contro il figlio di Megan e la sua ciotola di latte e cereali che inevitabilmente finisce sulla mia maglia e sul pavimento.
 
Per un attimo mi immagino già la scena di noi due che ci urliamo a vicenda, per un motivo o per l’altro; quello che non potevo immaginare era che saremo finiti tutti e due a ridere fino a doverci tenere la pancia.
Era ovvio che lui stesse ridendo di me.
Insomma, ho l’aspetto di una che ha, letteralmente, appena finito di lottare contro cuscino e coperte, i capelli tutti aggrovigliati e come ciliegina sulla torta il mio pigiama è appena stato lavato con il latte.
Questo però non impedisce a me di ridere di lui: a quanto pare non sono l’unica che ha fatto la notte fuori.
Anche lui infatti è in pigiama con i capelli sparati e la tipica faccia di chi si è appena svegliato. Credo che quella che ha sulla guancia destra sia l’impronta della piega del cuscino…
 
Almeno non è caffè, penso alle condizioni della mia maglia.
Evidentemente però devo averlo detto anche ad alta voce perché il ragazzo smette di ridere.
Torno seria anch’io e ci ritroviamo a guardarci a vicenda.
La prima cosa che capisco è che quello che ho davanti è lo stesso ragazzo che mi ha urtato la sera che sono venuta a cenare da Megan per conoscere John, e a giudicare dal lampo di consapevolezza che passa nel suo sguardo anche lui mi ha riconosciuta.
Ma non è quello.
La mia frase, «Almeno non è caffè», innesca in entrambi un ricordo che nessuno dei due pensava che l’altro possedesse.
E così mi ritrovo a scrutare quegli occhi azzurri con una nuova consapevolezza, riconoscendo che effettivamente il viso a cui appartengono è lo stesso che avevo incontrato quel pomeriggio di sei anni fa anche se è cresciuto e i capelli che lo incorniciano sono appena più scuri.
Gli tendo una mano sorridendogli, la maglia bagnata è improvvisamente diventata un insignificante dettaglio.
 
«Io sono Carlotta»
«Piacere, Alex» mi risponde sorridendo a sua volta e ricambiando la stretta.
Il mio sorriso si amplia ulteriormente al ricordo di quanto avevo desiderato all’epoca conoscere quell’informazione: adesso so come si chiama.
 
 
 
(pov Alex)
 
Stanotte – o sarebbe meglio dire stamattina presto – abbiamo chiuso il locale che era praticamente l’alba.
È incredibile vedere come l’anonimo e tranquillo bar che è di giorno diventi caotico e affollato di notte, soprattutto quando organizziamo qualche serata a tema.
 
Mi sveglio e scopro con sorpresa che sono le cinque del pomeriggio.
Non mi era mai capitato di alzarmi così tardi, ma c’è anche da dire che in questi giorni ho fatto degli orari assurdi, e non solo per colpa del locale.
Immagino non mi faccia onore, ma ho cercato per quanto possibile di stare poco a casa, principalmente per evitare la collega di mia madre – cosa che ovviamente l’ha fatta arrabbiare.
Non so neanche io perché, e so che così sembro un bambino, ma in qualche modo mi sento offeso dal fatto che nessuno mi abbia detto nulla fino all’ultimo.
Ho persino dovuto rinunciare al mio bagno!
 
Dal silenzio che regna in casa deduco che siano tutti fuori, così decido di scendere in cucina per mangiare qualcosa rimanendo in pigiama senza neanche darmi una sistemata.
Mi blocco per un attimo quando mi rendo conto che la mia precedente deduzione è errata: non sono solo in casa.
C’è una persona girata di spalle che sta sciacquando qualcosa nel lavello canticchiando a mezza voce.
Il mio cervello è ancora troppo addormentato per farmi notare che forse avrei dovuto denunciare la mia presenza e che, almeno vista di spalle, quella persona sembri più giovane di quanto mi aspettassi.
Così faccio finta di niente prendendo dalla credenza una ciotola in cui verso dei cereali – credo siano suoi, ma nessuno mi ha ancora detto nulla… - e ci aggiungo del latte.
L’acqua del lavello si chiude nel momento in cui mi avvicino a mia volta allo scolapiatti per prendere un cucchiaio, solo che lei si gira all’improvviso e io non riesco a retrocedere in tempo.
Le vado addosso rovesciando buona parte del contenuto della ciotola che stavo tenendo in mano sulla sua maglia del pigiama, il resto finisce sul pavimento.
 
Restiamo a fissarci per un attimo quasi trattenendo il respiro – mi aspetto che si metta ad urlare da un momento all’altro per lo spavento che le ho sicuramente fatto prendere – ma alla fine, per le condizioni in cui entrambi ci troviamo, ci mettiamo a ridere di cuore.
 
Andiamo avanti finchè non sento la ragazza – perché sì, è davvero una ragazza – che dice: «Almeno non è caffè»
A quel punto le risate si spengono quasi all’istante e ci guardiamo con una nuova consapevolezza negli occhi.
E così riconosco la stessa ragazza con cui mi sono comportato da maleducato giorni fa, e lei riconosce me.
Ma non è quello.
Quella frase mi fa tornare alla mente un ricordo molto più vecchio, di sei anni fa, quando nemmeno un bicchiere di caffè rovesciatomi addosso era riuscito a far sparire il mio buon umore.
E quella che ho davanti adesso è proprio quella ragazza.
 
Posso quasi vederla, con i capelli raccolti e le guance arrossate, colei che con un solo sorriso era riuscita a farmi dimenticare che il motivo per cui quel giorno ero così contento era un’altra ragazza.
Per diverso tempo, soprattutto quando con Sarah era finita prima ancora di cominciare, mi sono dato dello stupido per non averle chiesto almeno il nome.
Quell’informazione mi era sembrata così fondamentale.
 
«Io sono Carlotta» dice la ragazza manco mi avesse letto nel pensiero tendendomi la mano.
«Piacere, Alex» rispondo con un sorriso e ricambiando la stretta.
Il suo sorriso a quel gesto aumenta ulteriormente, e il mio di riflesso.
Come quel pomeriggio di sei anni fa non posso fare altro che guardarla come incantato.      
 
E sinceramente non sono mai stato un grande sostenitore di amore a prima vista, colpi di fulmine e cose del genere.
Ma in questo momento devo probabilmente ricredermi.
Mi era sembrata bella e perfetta sei anni fa come la trovo adesso, in pigiama con i capelli arruffati e la maglia sporca della colazione che le ho rovesciato addosso: in che altro modo si potrebbe spiegare?
 
 
 
(pov Carlotta)
 
Quattro mesi dopo…
Sono passati quattro mesi dallo scontro con Alex nella cucina dei Doherty.
Mi sono finalmente iscritta all’Albo dopo aver superato l’esame e di conseguenza vedo Megan meno spesso visto che ormai sono stata inserita regolarmente nel turno del reparto.
Per questo ma anche perché non alloggio più a casa Doherty, ma una cosa alla volta…
 
 
Quando io e Alex abbiamo raccontato a Megan e John che in qualche modo ci conoscevamo già quasi non volevano crederci.
Si ricordavano ovviamente che il figlio aveva raccontato loro dell’incidente con la ragazza e il bicchiere di caffè, ma non avrebbero mai potuto immaginare che quella ragazza ero io.
 
Diventare amica di Alex mi ha permesso di entrare nella sua cerchia di amicizie, tra le vecchie conoscenze dell’università che aveva alla fine deciso di riprendere e i colleghi del bar dove continuava a lavorare – del quale sono ormai diventata un’affezionata cliente – è un bel gruppo.
A proposito del bar: quando ci sono tornata la seconda volta insieme ad Alex, Luke – il ragazzo che mi aveva persino lasciato il suo numero di telefono – aveva spalancato la bocca stupito quando gli avevamo raccontato tutta la storia, limitandosi poi a scrollare le spalle e a lanciare occhiatine maliziose ad entrambi (anche se quella volta nessuno dei due se n’era accorto).
 
Prima ho detto che non abito più dai Doherty… a dirla tutta neanche Alex.
Alla fine siamo riusciti a trovare un appartamento piccolo ma miracolosamente funzionale che è più o meno a metà strada tra l’ospedale e la sua sede universitaria.
Così io ho finalmente qualcuno – di cui mi fido – con cui dividere sia l’appartamento che le spese e lui non abita più con i suoi genitori come voleva; anche se, turni di entrambi permettendo, siamo regolarmente da loro per un pranzo o una cena.
E in tutto questo noi abbiamo deciso di ufficializzare il fatto che stiamo insieme da circa un mesetto.
 
Ai miei ho dovuto raccontare le cose un po’ per volta per evitare di fargli prendere un colpo.
Bea è stata sia triste che felice di sentirmi dire che probabilmente, se le cose fossero andate bene, alla fine mi sarei fermata in Irlanda per più tempo di quanto avessi preventivato all’inizio.
 
Certo, tra i mei turni in ospedale, quelli di Alex al bar e le sue lezioni all’università non è sempre facile, ma a parte qualche discussione che generalmente si risolve nell’arco della giornata posso dire che le cose stanno andando più che bene.
Sicuramente meglio di quanto avrei mai potuto immaginare quando sono venuta a Belfast la prima volta in gita o quando ci sono tornata.
 
Se qualcos’altro dovrà accadere, beh, immagino che lo scoprirò.
 
 
 
Fine















E anche questa è andata.
Inizio subito con il ringraziare tutti i lettori per avermi supportato e sopportato in questo breve periodo in cui la storia è stata pubblicata.
Per quanto mi riguarda è stato qualcosa di nuovo (sia per il genere della storia che per la modalità di scrittura) e sapere attraverso le recensioni che questo "esperimento" è stato gradito è stato davvero gratificante.
Quindi: GRAZIE!
Riguardo al capitolo... spero che il finale non vi abbia deluso, ma d'altronde viste le premesse immagino che un po' tutti vi foste già immaginati come sarebbe andata a finire tra Carlotta e Alex, no?
La scena di Carlotta al lavello non è completamente inventata: senza il disastro del latte rovesciato - per fortuna! - ma è successo a me con mia sorella (che ringrazio perchè anche se lei non ne ha minimamente idea Bea è praticamente il suo ritratto).
Mi faccio un po' di pubblicità da sola... se volete sto pubblicando una nuova storia un po' "piratesca".
La trovate qui, se qualcuno volesse passare e farmi sapere cosa ne pensa è più che benvenuto.

Di nuovo grazie a tutti coloro che hanno seguito questa storia.
Alla prossima!
E.



 

Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit.

Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro-recensioni. 
Farai felice milioni di scrittori!
Chiunque voglia aderire a tale iniziativa, può copia-incollare questo messaggio dove meglio crede.
(© elyxyz)


 
   
 
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