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Autore: Tigre Rossa    06/02/2017    4 recensioni
‘Ti conserverò nelle mie parole, affinché tu non scompaia mai.
Scriverò di te, per far sì che il tuo ricordo non si affievolisca.
Ti ritroverò sempre, ogni volta che poggerò la penna sulla pergamena.
Dentro le mie storie, tu continuerai a vivere, e io potrò continuare ad amarti.’
Bagginshield
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bilbo, Thorin Scudodiquercia
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cuore di inchiostro

 

 


 

 

 

The purpose of literature is to turn blood into ink.

-Eliot

 

 

 

Bilbo era uno scrittore.

 

Scrivere era la cosa che gli riusciva meglio, forse l’unica che sapeva davvero fare.

Per lui era naturale come respirare. Intingere la penna nell’inchiostro, poggiarla sulla carta e riempire pagine su pagine, creando mondi tutti suoi e storie che nessuno, prima di lui, avrebbe neppure potuto immaginare; ecco per cosa viveva, l’unica vera ragione delle sue giornate.

Era facile e rassicurante perdersi in quegli universi di parole e fantasia, dove niente può ferirti, e se qualcosa non va puoi tirare una linea e riscrivere tutto da capo.

Per molti era un semplice divertimento, un passatempo come tanti, ma per lui era molto, molto di più.

Scrivere era un po’ una magia, qualcosa che gli permetteva di sfuggire alla vita monotona e grigia che lo tormentava e tentava di trascinarlo con lei nel baratro. Scappava lontano, grazie alle parole, in un posto tutto suo, dove niente poteva fargli del male, e tutto era magico, speciale e perfetto.

Tutto era migliore, quando scriveva. Poteva diventare chiunque, vivere qualsiasi avventura senza mai uscire di casa, poteva sentire sulla sua pelle mille vite diverse e restare comunque sempre se stesso.

Scrivere era la sua porta sul mondo, e rendeva le sue giornate speciali.

 

Questo, prima di incontrare Thorin Scudodiquercia.

 

Quando il nano dagli occhi di ghiaccio si presentò alla sua porta per trascinarlo nell’avventura che avrebbe sconvolto per sempre tutta la sua vita, Bilbo si sentì come trasportato in una delle sue storie, dove principi maledetti affrontano un oscuro destino per riuscire a conquistare il proprio lieto fine.

Stregato, si lasciò trascinare fuori di casa e poi dritto in quell’avventura. Ci volle poco, davvero poco, per farsi coinvolgere completamente da quell’impresa, come per i suoi romanzi preferiti, e forse un pizzico di più. I suoi compagni divennero la sua famiglia, la Montagna Solitaria la sua meta, il drago la sua paura più grande. Fiero del grande onore che aveva ricevuto nel far parte, di vivere qualcosa che non potuto immaginare neppure nei suoi sogni più grandi, dimenticò quasi completamente la sua vecchia vita, rinnegò quello che era stato fino a quel momento, la tranquillità della sua casa, la monotonia della sua esistenza, per donare tutto se stesso a quella Via che lo chiamava a sé a gran voce, come se fosse sempre stato destinato a quel cammino. Voleva solo continuare a percorrerla fino alla fine, senza mai fermarsi, come un coraggioso eroe delle antiche leggende che tanto amava.

Non sapeva ancora, il giovane hobbit, che quella non era una delle sue storie, dove ogni cosa era perfetta, ogni nemico poteva essere sconfitto ed ogni pericolo raggirato. Non capiva, lo hobbit dal cuore d’inchiostro, che non si trattava di una favola dove i buoni sono sempre destinati a vincere ed ad ognuno spetta il suo lieto fine.

 

Lui meritava il suo lieto fine.

Ognuno di loro meritava quel lieto fine. La Compagnia, che tanto aveva lottato per riavere indietro la patria perduta, lo meritava. Fili e Kili, principi che non avevano nemmeno mai visto il trono che un giorno avrebbe dovuto essere loro, lo meritavano. Thorin, re senza corona che aveva deciso di sacrificare tutto per ridare al proprio popolo spezzato la loro casa, lo meritava più di chiunque altro.

 

Eppure, proprio lui sapeva che non ci sarebbe stato alcun lieto fine, alla fine della sua storia.

 

Non se lo aspettava nemmeno. Sapeva di andare incontro alla morte, ma lo accettava, e l’unica ricompensa che voleva era poter portare al compimento la sua missione senza che nessun’altro l’accompagnasse dall’altra parte. Questo era tutto quello che voleva, questo era tutto quello che chiedeva. Nient’altro.

 

Nient’altro, prima di innamorarsi di quel piccolo hobbit che viveva di storie.

 

Non era nei piani del nano dagli occhi di ghiaccio, innamorarsi. Non lo era mai stato, e non pensava nemmeno di poterci riuscire.

Eppure quel piccolo scassinatore, zitto zitto, senza farsi notare, si era intrufolato piano piano sotto l’armatura che lo proteggeva e gli aveva rubato il cuore con un sorriso, chiedendo quasi il permesso. E lui, incapace di ribellarsi, glielo aveva dato.

 

Era stato un amore timido, il loro, ma profondo, di quelli che sembrano esistere solo nei libri. Un amore dannato, perché il re sapeva di star andando incontro ad una tragica fine. Sapeva, il re senza regno, che avrebbe dovuto dirgli presto addio. Sapeva di star condannando alla dannazione eterna un’anima innocente e pura, ma non poteva fare a meno di cullarsi in quella delicata sensazione di sicurezza e di casa che Bilbo gli infondeva con quel suo amore timido e indistruttibile. Quando quel piccolo, insignificante hobbit stava al suo fianco, gli sfiorava esitante le labbra con le proprie, nella notte si accoccolava contro il suo petto, Thorin si sentiva beato e dannato insieme, e non poteva fare nulla per sottrarsi a quel legame sempre più forte. Non poteva fare a meno di essere egoista, per la prima ed ultima volta in vita sua. Voleva vivere quell’amore per quel hobbit così semplice, eppure per lui così prezioso.

Lo guardava dormire tra le sue braccia, così piccolo ed indifeso, e si sentiva in dovere di proteggere quella favola in cui il suo amato credeva di vivere. Sorrideva, quando Bilbo faceva progetti per il loro futuro. Il suo cuore si stringeva, mentre lo vedeva scrivere con entusiasmo su un piccolo taccuino tutti i dettagli delle loro giornate. Una volta che tutto sarebbe finito, avrebbe trasformato la loro impresa in un racconto, perché tutti sapessero come un pugno di nani testardi fosse riuscito a rendere un sogno a lungo ritenuto impossibile realtà, e un re senza patria, il suo re, avesse reso tutto questo possibile. Era questo che ripeteva sempre, con gli occhi blu che gli brillavano, e il nano destinato a morire voleva che quel sogno si avverasse, nonostante l’ombra della caduta, di battito in battito sempre più vicina.

Thorin Scudodiquercia aveva deciso di lottare per quel lieto fine impossibile, per quel lieto fine che desiderava con tutto se stesso. Voleva andare contro il Fato per lui, per loro, per quel lieto fine in cui Bilbo tanto credeva.

Voleva far sì che il suo Bilbo potesse scrivere la loro storia, un giorno, proprio come sognava.

 

Ma la loro vita non era un romanzo, e la loro storia terminò in tragedia, tra sangue, ghiaccio e lacrime.

 

Il re maledetto morì con il cuore pieno di rimpianti, e col suo addio portò via con sé tutta la luce negli occhi dello hobbit che ormai non sapeva più credere alle fiabe.

 

‘Mi dispiace, amore mio. Mi dispiace così tanto. Avrei voluto . . . avrei voluto essere al suo fianco mentre scrivevi il tuo libro su di noi. Avrei voluto donarti il lieto fine che tanto desideravi. Avrei voluto . . .’

 

Quando tornò a casa, Bilbo era vuoto, come la sua casa ed il suo futuro.

La morte ed il dolore gli avevano stappato via ogni cosa, lasciandolo lì, sul pavimento della vita, a singhiozzare in una pozza di sangue, incapace di fermarsi, incapace di riprendere la Via ed andare avanti, lasciando dietro di sé quegli spettri d’ombra.

Le parole, che una volta nascevano dal suo cuore con tanta facilità, l’avevano abbandonato insieme a quegli occhi di ghiaccio che tanto aveva amato, lasciandolo senza nulla.

Trascorse così, nel silenzio e nell’apatia più totale, un intero anno. Un anno senza luce, senza colore, senza amicizia, senza amore, senza parole.

 

Ma poi, qualcosa, dentro di lui, si sbloccò.

 

Il giorno dell’anniversario della Battaglia delle Cinque armate, esattamente un anno dopo quella morte che gli aveva spaccato l’anima, prese tremante in mano la penna e, dopo una lunga esitazione, iniziò a scrivere.

Scrisse per tutto il tempo, guidato dai battiti del suo cuore spezzato che lottava per continuare a battere.

Scrisse fino a notte fonda, mischiando le lacrime all’inchiostro e l’inchiostro alle urla.

Scrisse tutto il giorno e tutta la notte, senza mai fermarsi, senza mai riposare, versando il suo dolore in fiumi di parole che mai avrebbe potuto pronunciare ad altra voce.

Parole sulla loro impreso. Parole sui sulle sue stupide illusioni, la Via ingannatrice, i compagni perduti e quelli spezzati. E, soprattutto, parole sul suo amore dannato, e su un paio di occhi di ghiaccio che continuavano a tormentare le sue notti.

Parole che avrebbe voluto dire a chi non poteva più ascoltarle. Parole che non sarebbe stato nemmeno in grado di pronunciare. Parole infinite, scritte con sangue ed inchiostro.

 

Parole che, da quel giorno, non ha mai smesso di scrivere.

 

Adesso, Bilbo è uno scrittore.

È vecchio ormai, e la sua mano trema, ma è ancora uno scrittore.

È l’unica certezza che ha, nella nebbia che avvolge la sua vita.

Si è aggrappato alle parole per anni, imprimendo attraverso semplici macchie di inchiostro la sua stessa esistenza. È l’unica cosa che lo mantiene in vita, che lo sostiene in questi giorni troppo lunghi, in cui vorrebbe solo lasciarsi andare.

Scrive, Bilbo, per andare avanti, in un modo o nell’altro.

Scrive per non dimenticare chi è stato e chi ancora è.

Scrive per non dimenticare il richiamo della Via, il canto delle lame in mezzo alla lotta, le risate di chi condivideva il cammino con lui.

Scrive per non dimenticare tutto quello che è successo, il bene, il male, quelli che sono sopravvissuti, e quelli che non lo sono.

Scrive per non dimenticare la paura, l’adrenalina, l’amicizia, l’amore.

Scrive per non dimenticare chi c’è stato e chi invece se n’è andato, magari troppo presto, magari senza salutare.

Scrive per non dimenticare quell’avventura che l’ha segnato per sempre e gli ha donato le parole, la Compagnia spezzata, la Montagna tomba di morti, i sorrisi di due principi incoronati di sangue e sacrificio, un addio sussurrato tra gelidi fiocchi di neve e calde lacrime di dolore.

 

Scrive, con le sue ultime forze, una storia che a lungo aveva pensato di lasciare nel buio, ma che non ha mai dimenticato, nemmeno per un giorno.

Scrive il libro che aveva promesso, tanti anni prima, all’unica persona che abbia mai amato.

Lo scrive per lui, solamente per lui, per preservarne il ricordo, per non lasciarlo andare, nemmeno ora che il passato inizia a farsi confuso. Non è la storia che avrebbe voluto scrivere, né il finale è quello giusto. Vorrebbe cambiarlo, riscrivere tutto, ma sa che non può. Non puoi cambiare la sua, la loro storia, né può creare dal nulla quel lieto fine che tanto aveva sognato. Potrebbe anche farlo, ma nulla cambierà. Il suo Thorin non tornerà indietro, nemmeno se nella sua storia quel dannato colpo mortale non venisse mai affondato.

Lo sa, ormai. Si è rassegnato a quella dura realtà, e cerca di tenere duro, fino a quando non potrà dimenticare tutto quel dolore e lasciarsi andare all’oblio. Non può inventare quello che avrebbe voluto per loro, e forse tentare di farlo sarebbe solo un’inutile crudeltà nei confronti del suo stanco cuore d’inchiostro.

Tutto quello che può fare è continuare a scrivere ciò che è stato, per quanto faccia male, in attesa di quello che sarà.

Può solo scrivere, e rivivere nelle sue parole quel passato che, per quanto doloroso, è il suo passato. Un passato che rivivrebbe mille volte, solo per poter rincontrare i suoi occhi.

Può solo scrivere, e permettere a Thorin Scudodiquercia di continuare ad esistere, almeno nelle sue storie.

Può solo scrivere e continuare a rincorrerlo i quel mondo d’inchiostro, fino a quando lui non verrà a prenderlo e forse, finalmente, potranno vivere il loro lieto fine.

Ma, fino ad allora, tutto quello che può fare è continuare a scrivere.

 

 

‘Ti conserverò nelle mie parole, affinché tu non scompaia mai.

Scriverò di te, per far sì che il tuo ricordo non si affievolisca.

Ti ritroverò sempre, ogni volta che poggerò la penna sulla pergamena.

Dentro le mie storie, tu continuerai a vivere, e io potrò continuare ad amarti.’

 

 

 

 

  
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