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Autore: 9Pepe4    07/02/2017    4 recensioni
Leia si voltò, e Han – che stava battendo delle pacche sulla schiena del bambino – commentò con leggerezza: «Ti ha rubato il bicchiere, il piccolo mascalzone, ma sembra che non regga ancora l’alcol».
Poi Ben si portò le mani alla gola, gli occhi pieni di lacrime, e l’espressione di Han cambiò in un istante.
«Ben?»
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Han Solo, Kylo Ren, Principessa Leia Organa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ventidue ore

Quel pomeriggio, Leia si era recata con Han e Ben ad una raccolta fondi.
Era una bella giornata, con un cielo azzurro intenso e un sole luminoso, e anche il punto di ritrovo, il vasto giardino della villa di un senatore, non era niente male.
Di solito, Leia detestava quel genere di eventi. Non vedeva minimamente l’attrattiva di trascorrere ore parlando del tempo e facendo sorrisi cortesi. Quando poteva, cercava di evitarli, ma quella volta era stata invitata da Mon Mothma in persona… e non aveva proprio potuto declinare.
Alla fine, si rivelò non essere troppo male. Partecipavano anche persone con idee concrete, che facevano discorsi interessanti, e persino Han – che di solito a questi eventi era come un pesce fuor d’acqua – sembrava abbastanza rilassato.
L’unico vero intoppo fu quando Ben, senza una ragione apparente, si mise a gridare a pieni polmoni all’indirizzo di uno dei camerieri, e non smise finché Han non intervenne, prendendolo in braccio con aria di scuse e portandolo in disparte per parlargli e assicurarsi che si desse una calmata.
Per fortuna, il giardino era provvisto di una piccola fontana e circondato da alte siepi in cui alcune famiglie di uccelli stavano costruendo il proprio nido, tutte cose molto interessanti per un bambino di nemmeno cinque anni.
Han gli fece fare un tour di quelle meraviglie, mentre Leia si lasciava coinvolgere nelle discussioni delle altre persone presenti.
Ad un certo punto, la donna gettò un’occhiata verso suo marito e suo figlio, e vide che Han si era accovacciato all’altezza del bambino e gli stava raccontando qualcosa. Qualsiasi cosa fosse, doveva essere molto avvincente, a giudicare da come Ben lo fissava ad occhi sgranati, e Leia dovette trattenere un sorriso.
Poi, poco più tardi, venne allestita una lunga tavolata coperta da una tovaglia immacolata, e furono serviti alcuni spuntini.
Leia e Han si sedettero con Ben tra loro, e la donna fu piacevolmente sorpresa quando una giovane dello staff di Mon Mothma, Nira, si accomodò alla sua destra. Era una ragazza riservata, capace però di discorsi appassionati, ed era sempre un piacere ascoltare le sue opinioni.
Così Leia discusse con lei di alcune cose mentre venivano serviti gli antipasti – tartine, e formaggi, e dense salse.
Più che a mangiare, Ben sembrava interessato ad imboccare suo padre, e Han lo lasciava fare, reagendo con smorfie esagerate nella speranza di divertirlo.
I camerieri portarono anche dei bicchieri di vino, e Leia ne accettò uno dal giovanotto pallido e smilzo contro cui Ben aveva urlato qualche ora prima. Non bevve subito, assorbita com’era dalla conversazione con Nira… e qualche momento più tardi sentì Ben che si metteva a tossire.
Si voltò, e Han – che stava battendo delle pacche sulla schiena del bambino – commentò con leggerezza: «Ti ha rubato il bicchiere, il piccolo mascalzone, ma sembra che non regga ancora l’alcol».
Poi Ben si portò le mani alla gola, gli occhi pieni di lacrime, e l’espressione di Han cambiò in un istante.
«Ben?»
Aggiunse qualcos’altro, la voce colma di preoccupazione, ma Leia non lo stava ascoltando. Col cuore che pulsava nelle tempie, aveva alzato gli occhi sulle persone in piedi poco lontano: un paio di invitati che avevano preferito non sedersi, un gruppo di camerieri… e là, un po’ in disparte, il giovane che le aveva dato il bicchiere di vino.
Lui stava guardando nella loro direzione con aria tesa, e quando si vide osservato, sgranò gli occhi e si diede alla fuga, lasciando cadere il proprio vassoio con un frastuono di bicchieri infranti.
Leia si alzò di scatto, esclamando: «Fermate quel cameriere!»
Metà delle persone si voltarono a guardarla con aria scioccata, ma un omaccione dalla pelle scura ebbe abbastanza presenza di spirito da bloccare la fuga del giovanotto. Lo afferrò per le braccia, e due donne accorsero a dargli manforte.
A quel punto, anche gli ospiti che non si erano resi subito conto della situazione iniziarono a realizzare cosa stava succedendo.
Da parte sua, Leia riportò l’attenzione su Ben, il cuore che le palpitava nelle orecchie.
Il bambino si era accasciato sul tavolo, ma Han l’aveva tirato su, ed ora aveva la sua schiena contro il proprio petto.
«Leia» disse, col respiro corto. «Leia, non mi risponde più».
Lei non replicò, lo sguardo puntato sulle palpebre semichiuse del bambino, sulla sua sagoma inerte tra le braccia di Han.
«Chiamate un medico» sussurrò, le labbra insensibili. E poi, con più forza: «Chiamate un medico!»
Si protese a sfiorare la guancia di Ben – gli occhi del bambino erano chiusi, ma a quel tocco si mossero sotto le palpebre.
«Ben, resta sveglio. Ti prego, cerca di restare sveglio».
Per un istante, incrociò lo sguardo di Han, e vi lesse lo stesso terrore schiacciante che stava provando lei.
Fortunatamente, i soccorsi non impiegarono molto tempo ad arrivare. Erano due droidi medici, simili nell’aspetto ad R2-D2. Erano più tozzi, però, e argentati, e dotati di quattro sottili braccia metalliche.
Mentre uno ispezionava Ben, l’altro chiese a Leia cos’era successo. «Credo sia stato avvelenato» affermò lei, con voce instabile, e indicò il bicchiere di vino. «Era destinato a me».
Il droide versò il liquido in una piccola fessura nel proprio petto.
«Riteniamo necessario trasportarlo al centro medico più vicino» decretò l’altro droide.
Han e Leia andarono con loro, naturalmente, e partirono proprio quando arrivarono gli agenti chiamati per arrestare l’attentatore.
Il viaggio verso il centro medico fu una delle esperienze più terrificanti della vita di Leia. Lei e Han sedevano l’uno accanto all’altra, e si ritrovarono a tenersi per mano tanto forte da farsi male.
Durante il tragitto, Ben smise di respirare per un minuto e ventitré secondi.
Leia sentì l’angoscia di ogni singolo istante, e quando il bambino tossì ed ansimò fu come se non fosse stato il solo a riprendere a respirare.
Poi arrivarono al centro medico, e Ben fu trasportato in una cameretta pulita e ordinata, con dei bantha blu e rosa dipinti su un muro, probabilmente per renderla meno spaventosa per un giovane ospite. Il bambino venne collegato ad uno schermo che monitorava le sue funzioni vitali e ad una collezione di tubicini, e gli venne sistemata una maschera d’ossigeno sul viso.
«Il nostro laboratorio sta analizzando il campione di veleno da voi fornito» annunciò il droide. «Presto saremo in grado di sintetizzare un antidoto».
Leia stava ancora stringendo la mano di Han, abbastanza forte da stritolarla. «Quanto ci vorrà?»
«Non molto. Potete accomodarvi qui, nel frattempo».
Prima che la donna potesse insistere – o urlare, o fare a pezzi quel droide con le proprie mani – lui imboccò l’uscita della stanza e se ne andò.
Così Leia e Han avvicinarono due sedie al letto di Ben, e si sedettero al suo capezzale.
«Faranno in tempo, vero?» chiese Han, rocamente. «Non…»
«Faranno in tempo» tagliò corto Leia, protendendosi a prendere una manina di Ben tra le proprie.
Non poteva nemmeno sopportare di pensare il contrario.
Circa una quindicina di minuti più tardi, una guaritrice – una twi’lek dalla pelle azzurra – arrivò a fare un’iniezione a Ben e a togliergli la maschera dell’ossigeno.
«Fortunatamente» disse, «i composti del veleno erano conosciuti, e ci è voluto poco per ottenere un antidoto».
«Guarirà?» domandò Han, e Leia serrò le dita sulla manina di Ben.
La guaritrice esitò. «Siamo intervenuti rapidamente, e questo aumenta le sue possibilità di sopravvivenza. Ma è ancora presto per dirlo. Noi speriamo si svegli entro ventidue ore. In caso contrario potrebbero esserci delle complicazioni».
«Complicazioni?» ripeté Han. «Cioè, potrebbe… avere dei problemi, oppure… oppure…»
«Anche il rischio che non sopravviva non è inesistente» ammise la guaritrice. «E se impiega troppo tempo a svegliarsi, dovremo parlarvi di alcune possibili complicazioni. Ripeto, però, che se riprenderà i sensi entro ventidue ore senza che si presentino ulteriori problemi, queste saranno tutte cose di cui non dovrete preoccuparvi».
Leia chiuse gli occhi, cercando di respirare attraverso la morsa che le serrava il petto.
Sentì i passi della guaritrice che usciva con discrezione dalla stanza, e Han che si allungava in avanti – per accarezzare le gambe di Ben da sopra le lenzuola, a giudicare dal fruscio.
Le ore iniziarono a trascorrere, lente ma inesorabili. Calò la notte, e venne un droide a portare loro coperte e dei cuscini. Né Leia né Han riuscirono a chiudere occhio, e quando arrivò il mattino faticarono ad ingerire anche solo un boccone della loro colazione.
Fecero a turno per andare in bagno, e durante il proprio Leia concluse che avrebbe preferito le esplodesse la vescica, piuttosto che lasciare il capezzale di Ben, piuttosto che provare di nuovo la paura di tornare nella sua stanza e scoprire che qualcosa era andato orribilmente storto…
Non era successo nulla, però, e Leia riprese in silenzio il suo posto accanto a Han.
Ben era ancora privo di conoscenza, ma per ora era stabile, a detta del droide che passò a visitarlo.
Qualche momento più tardi, Leia udì un gemito soffocato, e quando si girò verso suo marito scoprì che aveva il volto nascosto tra le mani, le spalle che tremavano appena. La donna avvertì una fitta al cuore, e gli circondò il collo con le proprie braccia.
Han si voltò verso di lei, chinandosi ad appoggiare la testa contro la sua spalla. Aveva ancora il viso nascosto dietro le mani, ma Leia poteva sentire i suoi sussulti contro il proprio corpo. Sapeva che stava piangendo.
Gli accarezzò i capelli scuri, mormorando: «Shhh. Shhh». Prese una boccata d’aria. «Andrà tutto bene. Deve andar bene». Si interruppe, lottando per mantenere il controllo della propria voce. «E sappi che non ti biasimo se mi incolpi in qualche modo».
Han si raddrizzò di scatto, lasciandosi ricadere le mani in grembo. Aveva le guance bagnate, gli occhi pesti ed arrossati.
«Incolparti? Perché diavolo dovrei incolparti?»
Per la prima volta da molto tempo, Leia non riuscì a reggere il suo sguardo. «Stavano cercando di avvelenare me» sussurrò. «Ero io l’obbiettivo».
«Non è colpa tua» replicò Han con forza, quasi con ferocia. «È di quel bastardo. È stato lui ad avvelenare nostro figlio, non tu».
Leia inghiottì a vuoto. «Ben aveva sentito che aveva cattive intenzioni. Deve averlo sentito. Ricordi come si è messo a urlare quando l’ha visto?»
Ora che aveva iniziato a parlare, le sembrava di non riuscire più a fermarsi. Doveva continuare, doveva dirglielo, doveva buttar fuori questa cosa che la stava divorando dall’interno.
«Avrei dovuto pensarci. Anch’io sono sensibile alla Forza, avrei dovuto capirlo. Invece ho pensato che stesse soltanto facendo i capricci…» Serrò i denti, ricacciando un singhiozzo sul fondo della propria gola.
Si sentiva morire, se solo ripensava all’esasperazione che aveva provato in quel momento. Era probabile che Ben non avesse compreso pienamente le intenzioni dell’uomo – altrimenti avrebbe detto qualcosa, e non avrebbe bevuto quel vino – ma aveva capito che c’era un pericolo, e aveva tentato di metterli in guardia.
L’aveva protetta, ma avrebbe dovuto essere il contrario. Era lei la madre. Lei avrebbe dovuto proteggerlo.
Di punto in bianco, un dubbio atroce le si affacciò alla mente. Possibile che Ben avesse capito che il vino gli avrebbe fatto male? Possibile che l’avesse bevuto lo stesso perché non pensava che lei gli avrebbe creduto se non ne avesse visto l’effetto coi propri occhi?
No. Aveva solo quattro anni. Era improbabile che gli fossero passate tante cose per la testa. Però… Però…
Han si mosse sulla sua sedia. «Anch’io ho pensato fossero solo capricci».
«Tu non sei sensibile alla Forza» mormorò Leia, sempre senza guardarlo.
«Ma sono suo padre».
Leia si passò una mano sotto gli occhi, scuotendo la testa. Lei avrebbe dovuto…
«Non è stata colpa tua» reiterò Han, con decisione.
Lei non rispose, allungando una mano a prendere quella di Ben, fissando il suo visetto, i suoi ricci scuri.
Han non insistette, ma le circondò la vita con un braccio.
Più tardi, all’orario di visita, arrivò Luke. Leia avvertì la sua presenza nel momento stesso in cui lui mise piede nel centro medico, ma la riconobbe soltanto quando suo fratello varcò la soglia della stanza.
«Mon Mothma mi ha contattato per dirmi cos’era successo» spiegò Luke, facendosi avanti. «Come sta? Cosa…?»
La voce gli morì in gola, e lui – in piedi accanto alla sedia di Leia – rimase immobile a fissare Ben.
«Speriamo si svegli entro sei ore» gli disse Leia. «Altrimenti potrebbero esserci… dei problemi. Dei rischi».
Luke non rispose subito, visibilmente scosso. «L’uomo che… il responsabile è stato arrestato» disse poi, un po’ a fatica. «C’erano molti testimoni che ricordavano di averlo visto darti quel bicchiere di vino. Forse contatteranno anche voi, ma è già abbastanza certo che si farà un bel po’ di anni di galera».
«Se gli metto le mani addosso» rispose Han, lapidario e quasi spassionato, «lo ammazzo».
Leia non disse nulla, ma condivideva il sentimento.
«Credi lavorasse da solo?» domandò Luke dopo qualche istante, sommessamente.
«Non lo so» rispose lei. «Può essere». Pensò alla fuga precipitosa dell’uomo. «Non sembrava un professionista».
Luke si accovacciò, così da avere la testa all’altezza di quella di Ben. «Se c’è qualcun altro, dietro questa storia, lo scoprirò. La pagherà».
Leia si girò a guardarlo. Suo fratello era un uomo, ormai – un pilota esperto, un guerriero Jedi che aveva affrontato Darth Vader e l’Imperatore in persona. In questo momento, però, sembrava solo un ragazzo angosciato. Senza dir nulla, Leia allungò una mano a lisciargli i capelli castani, e in qualche modo quel gesto fece sentire meglio anche lei.
Luke rimase con loro per tutto il tempo possibile. «Sarò nella sala d’attesa qui fuori» promise, quando arrivò un droide per annunciare che l’orario di visita era finito.
Leia scoprì di riuscire a percepire con chiarezza la sua presenza, a quella scarsa distanza, e vi si aggrappò con tutte le sue forze.
Il tempo passava, e Ben non sembrava dar segno di svegliarsi. Han aveva gli occhi puntati sul bambino, le mani premute contro le labbra, e Leia… Leia sentiva di far sempre più fatica a respirare, con ogni secondo che passava.
Si era rifiutata di considerare le ipotesi peggiori, ma adesso la paura che tutto andasse storto si stava facendo sempre più reale. I pensieri che aveva cercato di bloccare le affollavano la mente. E se il bambino non avesse ripreso i sensi? Se avesse smesso di nuovo di respirare?
Avrebbe dovuto succedere a lei. Avrebbe dovuto esserci lei al suo posto.
Si ritrovò a pensare ai propri genitori, e desiderò con tutta l’anima di averli vicini. Se esistevano ancora da qualche parte, se potevano fare qualcosa… lei li supplicò con tutte le forze di aiutarla. E supplicò anche la Forza.
Non poteva lasciare che succedesse questo.
Per un istante, le parve di sentire le labbra leggere di suo padre sulla propria fronte, il profumo di sua madre, le loro voci che la chiamavano con affetto – Lelila, Lelila, quel vezzeggiativo che si era procurata da sola quand’era troppo piccola per pronunciare correttamente il proprio nome.
Poi quell’istante passò, e probabilmente era stato solo un sintomo della stanchezza e della tensione, ma… Ma.
Ben si mosse sotto le coperte, e il respiro di Leia le si bloccò in gola, mentre di fianco a lei Han tratteneva il fiato. Possibile che…?
Il bambino dischiuse gli occhi, aggrottando la fronte, e girò la testa verso di loro.
Leia quasi si mise a ridere per il sollievo, andando ad accarezzargli i capelli, mentre Han si protendeva a massaggiargli le gambe e poi il pancino.
«Ce l’hai fatta, piccolo» disse, la gioia che scintillava nella Forza come un diamante. «Bentornato».
Da parte sua, Ben sembrava soprattutto disorientato, e un po’ stordito. «Non bere il vino, mamma» mormorò confusamente. «È cattivo».
Stavolta, Leia rise davvero, seppur con un accenno di pianto. «Lo so, Ben. Non l’ho toccato, ed è merito tuo».
Il bambino non rispose, limitandosi a ricambiare il suo sguardo e ad aggrapparsi alla mano che Han aveva posato sul suo petto.
Non fu niente di eclatante, ma Leia sentì che quell’immagine le riempiva il cuore.
«Grazie» disse a voce alta, rivolta a Ben e forse anche alla galassia intera. «Grazie».













Note:
…so di aver detto che avrei scritto qualcosa di non-triste su questa famiglia, ma a quanto pare non è ancora giunto quel momento.
(E almeno un po’ di fluff all’inizio e alla fine c’è, dai.)
Insomma, spero non sia un orrore se la è potete prendervela con Vitto che mi ha spronato a pubblicarla.
Alla prossima!
  
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