Serie TV > Shadowhunters
Ricorda la storia  |      
Autore: Itsamess    10/02/2017    4 recensioni
Quando soffri di ansia sociale ci sono due cose che devi assolutamente evitare.
La prima è chiedere l'aiuto di uno stregone che è palesemente troppo distratto da darti retta.
La seconda è cercare di fare colpo sul ragazzo per cui hai una cotta - soprattutto se ti hanno appena lanciato una fattura.

Nonostante stesse cercando di perdere l'abitudine a prendere ed emettere fiato, Simon si concesse un sospiro di sconforto.
«Credevo che i miei problemi si limitassero al contatto umano, ma questa festa tra Nascosti è la prova che io sia un caso disperato in tutti i mondi possibili e immaginabili. Sono abbastanza sicuro che anche se finissi nel Sottosopra nemmeno il Demogorgone vorrebbe fare amicizia con me.»
Magnus pareva perplesso. «Cosa, scusa?»
«Stranger Things!» rispose Simon, allargando le braccia «Davvero? Niente? È soltanto la serie Netflix più famosa dell'anno ma ok, immagino che una rete wifi faccia interferenza con la tua magia»

[Prima classificata nel contest ‘Weirdos do it better’ di heartbreakerz]
“Storia partecipante al contest “Un cliché per tutti” indetto da Ciulla sul forum di EFP”.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Raphael Santiago, Simon Lewis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Latin Lover

 

 

But the party doesn’t start 'til I walk out

 
 
Simon Lewis non era esattamente quello che si sarebbe definito un animale da festa, a meno che con quell'espressione per una volta non si volesse indicare chi preferisce coccolare il cane del padrone di casa invece di rapportarsi con gli altri invitati – cosa in cui era davvero imbattibile.
 
Aveva trascorso la metà dei balli studenteschi a gravitare intorno al tavolo del buffet con il preciso proposito di stordirsi di ponce per non fare attenzione a Clary e al suo accompagnatore di turno, mentre si malediceva per non aver saputo di nuovo inventare una scusa improbabile a cui l'amica avrebbe finto di credere solo per gentilezza. Ma almeno lí poteva bere: nelle occasionali serate in discoteca, toccava sempre a lui rivestire l'amaro e sobrio ruolo dell'Autista Designato a cui la gente rivolgeva la parola solo se aveva bisogno di un passaggio per tornare a casa.  Le peggiori però restavano le feste a sorpresa, dal momento che Simon riusciva  a rovinare tutto, in un modo o nell'altro,  inciampando nelle tende o sbucando fuori da dietro al divano al momento sbagliato.
 
Era più forte di lui.
Più l'evento era sociale, più lui finiva per comportarsi in modo asociale, almeno agli occhi degli altri.
 
Era sempre stato timido e terribilmente imbranato – e non in quel modo carino che attira l’attenzione delle ragazze, ma in quello controproducente che ti fa rovesciare un drink sul loro vestito preferito – e purtroppo la sua capacità di relazionarsi con gli altri esseri umani non era migliorata con la Trasformazione, per cui quella sera si trovava al compleanno di Stan e ancora non sapeva come evitare di fare la figura dell'idiota.
 
La festa era stata organizzata al Pandemonium, locale che Simon ricordava con affetto come l'inizio di tutti i suoi guai. Proprio in quella stessa stanza, qualche mese prima, lui e Clary si erano imbattuti in Jace e nella sua banda di Shadowhunters e da lí le cose erano rapidamente sfuggite di mano: nel giro di poche ore era stato rapito, baciato, ucciso e trasformato in vampiro, non necessariamente in quell'ordine.
 
In ogni caso, Simon sapeva che era inutile continuare a rimuginare sul passato. La sua vita ormai era quella - eterna e notturna - a cui erano condannati tutti quelli del clan. Non poteva  lamentarsene per sempre.
 
Si guardò intorno alla ricerca di qualche viso conosciuto in quella marea di estranei, per lo più Fate dai capelli colorati e vampiri la cui carnagione pallida risaltava ancora di più nella penombra del locale. Un sorriso gli affiorò alle labbra quando scorse il profilo di Raphael, che come sempre si distingueva  dagli altri ospiti per l'innata eleganza che irradiava da lui e dai suoi impeccabili completi su misura. Quella sera ne indossava una blu damascato che Simon gli aveva già visto indosso e che Raphael si era sempre guardato bene dal prestargli. Sembrava completamente a proprio agio.
 
Simon abbozzò un sorriso e lo salutò con un cenno della mano che voleva essere una seducente imitazione dell'Encanto ma che si rivelò più simile all'ondeggiare scomposto dei tentacoli di un polipo, dal momento che le sue dita si mossero scoordinate l'una dall'altra.
 
Raphael scosse la testa, accigliato, e scandì piano con il labiale “sei imbarazzante” prima di tornare a volgere la propria attenzione al cubista Seelie che gli stava ballando accanto.
 
Come inizio serata non era esattamente incoraggiante, ma in quattro anni di liceo Simon aveva visto di peggio.
La gente continuava ad entrare e ad uscire dal locale in un vociare indistinto di risate e brividi di un freddo che Simon sentiva appena. Pensò di allontanarsi dall'entrata per essere meno d'intralcio, per cui si spostò il più possibile rasente i muri, pensando che se si fosse tenuto ad un’adeguata distanza di sicurezza dal dancefloor non avrebbe nemmeno dovuto fingere di ballare.  Si lasciò cadere stancamente su uno dei divanetti in pelle situati nei pressi del bar, mentre osservava divertirsi gli altri invitati.
 
Pensò di scrivere a Clary.
Scrivere un messaggio lo avrebbe fatto sembrare occupato, completamente ok con il fatto di essere lì da solo.
Quando si trovava in mezzo a degli estranei le scriveva anche solo per dirle la prima cosa che gli veniva in mente, tipo che stavano suonando la sua canzone preferita o che il tizio davanti a lui aveva dei capelli stranissimi o che gli era venuta voglia di tacos, Era un modo di sentirla con sé anche quando lei non c'era e di comunicare agli altri che da qualche parte qualcuno stava comunicando con lui, quindi non era davvero solo.
Aprì la conversazione con Clary, che era la prima dell'elenco perché la più frequente e recente di tutte. Il suo ultimo accesso risaliva a molte ore prima…
Era fuori con Jace, probabilmente. Era sempre fuori con Jace.
I suoi messaggi l'avrebbero solo disturbata.
Simon cercò di ignorare il pesante senso di malessere che gli gravava sul petto e rimise in tasca il cellulare, ma non dovette essere abbastanza veloce, perché  una voce alle sue spalle commentò: «Anche tu chiami aiuto?»
 
Era una fortuna che il suo cuore avesse già smesso di battere da un pezzo, perché in condizioni normali le entrate a sorpresa di Magnus gli avrebbero fatto venire un infarto. Simon ripensò a quella vecchia t-shirt che aveva comprato ad un concerto, molto anni prima, con sopra la scritta I panic at a lot of places besides the disco. Avrebbe dovuto tirarla fuori dall'armadio, una volta o l'altra. Anche solo per godersi l'espressione confusa e irritata di Raphael, che ovviamente non avrebbe capito la battuta ma sarebbe stato troppo orgoglioso per fare domande.
 
«Controllavo soltanto l'ora.» mentì,  invitando lo stregone a sedersi accanto a lui sul divanetto «Alec non c'è?»
 
«No.» rispose Magnus con un sorriso tirato «Mi ha detto che le feste non sono il suo genere. Come se questo significasse qualcosa.»
Lo stregone ruotò il polso con un gesto stizzito, come se stesse avvitando una lampadina invisibile, e un drink azzurro come la sua giacca gli si materializzò in mano con un piccolo bop.
 
Simon si domandò se lo avesse scelto apposta perché si abbinava all'outfit o se davvero potesse piacergli l'anice.
«Mi dispiace...»
 
«Anche a me.» ammise Magnus «Anche se forse è meglio così, questa festa è terribilmente noiosa. Come tutte quelle non organizzate da me, del resto.»
 
Simon sorrise debolmente, prima che il sorriso gli svanisse nel sentirsi chiedere: «E Raphael non c'è?»
 
Un segnale di allarme iniziò a suonare nella testa di Simon. Come mai quella domanda, speculare a quella che lui stesso gli aveva appena fatto? Magnus gli stava chiedendo di Raphael perché sapeva che erano amici (cosa di cui neanche Simon non era tanto sicuro) o perché li riteneva qualcosa di più? Forse si era accorto del fatto che Simon avesse scelto un posto con vista su Raphael, o forse li aveva sempre segretamente trovati carini.
Boccheggiando Simon rispose: «Oh noi - non siamo qui insieme. Cioè ci siamo, ma non insieme. Nel senso che siamo qui contemporaneamente, ma non come coppia, se è quello che-»
 
«Calma, calma, respira.» lo tranquillizzò Magnus, prendendogli le spalle con fermezza prima di aggiungere con un sorriso: «O anche no, in effetti. La mia era solo una domanda. Cercherò Raphael più tardi.»
 
«Dovevi parlare con lui?»
 
«Solo salutarlo.» replicò Magnus con un'alzata di spalle. «E infastidirlo un po'. Ho voglia di vederlo alzare gli occhi al cielo quando gli dirò che è una fortuna che qui abbiamo tutti il dono della vita eterna, dal momento che la serata è noiosa da morire
 
 
Simon sorrise. Sapeva fin troppo bene quanto Raphael detestasse le battute sui vampiri. O le battute in generale.
 
«O forse gli dirò che non ero in vena di venire, ma che per lui ho fatto un'eccezione.» aggiunse Magnus, che evidentemente invece le trovava molto divertenti.
 
Lo stregone sbadigliò e si sistemò sul divanetto in una posa rilassata, con la caviglia appoggiata al ginocchio e le braccia sollevate all'altezza delle spalle, come se si trovasse nel soggiorno di casa. Era in momenti del genere che Simon riusciva ad intravedere in lui tutta la serenità che secoli di esperienza gli avevano donato, simile ad una calma interiore che nessun corso di yoga avrebbe mai potuto insegnare.
 
Vederlo così a proprio agio gli faceva sperare che si trattasse solo di una questione di tempo. Forse con gli anni avrebbe smesso di sentirsi inutile e fuori posto, come un pezzo di puzzle dimenticato fuori dalla scatola. Tanto di tempo ne aveva un'eternità, letteralmente parlando.
 
Quasi senza accorgersene si ritrovò ad imitare la postura di Magnus, come se per osmosi potesse assorbirne la pace. Rilassò le spalle e distese le gambe in un gesto distratto.
 
Forse troppo distratto.
Una ragazza pallida fasciata in un tubino di satin rosso inciampò rovinosamente su di lui.
 
«Oh, mio D-» provò a dire Simon, mentre la voce gli moriva in gola su quella parola che ancora non riusciva a pronunciare. «Scusami, scusami tanto!»
 
I suoi goffi tentativi di aiutarla ad alzarsi non fecero che peggiorare la situazione, perché la ragazza gli ringhiò qualcosa in una lingua straniera e girò i tacchi.
 
Simon si risedette sul divanetto, esausto.
 
«Le feste sono proprio il tuo ambiente, eh?» commentò Magnus divertito.
 
Nonostante stesse cercando di perdere l'abitudine a prendere ed emettere fiato, Simon si concesse un sospiro di sconforto.
«Credevo che i miei problemi si limitassero al contatto umano, ma questa festa tra Nascosti è la prova che io sia un caso disperato in tutti i mondi possibili e immaginabili. Sono abbastanza sicuro che anche se finissi nel Sottosopra nemmeno il Demigorgone vorrebbe fare amicizia con me.»
 
Magnus pareva perplesso. «Cosa, scusa?»
 
«Stranger Things!» rispose Simon, allargando le braccia «Davvero? Niente? È soltanto la serie Netflix più famosa dell'anno ma ok, immagino che una rete wifi faccia interferenza con la tua magia- »
 
In quel momento si bloccò, improvvisamente colto da un'idea che fino a qualche mese prima gli sarebbe parsa impossibile, ma che adesso che era un vampiro invitato ad un'apericena di Fate e Licantropi non sembrava poi così irrealizzabile. Dopotutto se esistevano rune della memoria e del poliglottismo significava che anche i nobili guerrieri shadowhunter ammettevano la possibilità di ricorrere ad incantesimi mistici per risolvere i propri problemi. Non possedendo sangue angelico, Simon non poteva ricevere Marchi, ma questo non significava che fosse immune alla magia. Forse esisteva una soluzione per la sua ansia sociale… una soluzione che in quel momento lo stava osservando con occhi da gatto dietro ad un drink azzurrino.
 
«Tu sei uno stregone, giusto?»
 
«Giusto.» ripeté cauto Magnus.
 
«E noi siamo amici» continuò lui. «Più o meno.»
 
Un sorriso mellifluo comparve sul volto di Magnus. «Cosa stai cercando di chiedermi, Simon?»
 
Il ragazzo abbassò la voce.
«Non potresti creare, non so, una pozione in grado di rendermi più… estroverso, più sicuro di me?»
 
«Esiste già» replicò Magnus.
Sollevò il proprio calice quasi brindasse alla sua salute.
«Si chiama alcool»
 
«Grazie tante.» replicò Simon con sarcasmo. «Peccato che non possa berlo. Non posso bere niente che non sia sangue, pare»
 
Qualche vampiro aveva risolto l'inconveniente bevendo sangue di alcolista, tuttavia Simon sentiva di doversi ancora abituare al gusto del sangue normale prima di provare questa variante, un po' come prima di passare agli Oreo speciali si dovevano assaggiare quelli basic.
 
Magnus annuì in modo comprensivo.
«Ecco spiegato il tuo malumore. Questa festa è impossibile da reggere, da sobri.»
 
Con un sospiro - l'ennesimo, inutile spreco di un fiato di cui non possedeva più – Simon distolse lo sguardo da lui, rimproverandosi di aver potuto anche solo pensare che esistesse una scorciatoia che gli permettesse di passare dalla sua condizione a quella di Vampiro Attraente e Affascinante.
Era chiaro che Magnus non avesse particolarmente a cuore il suo stato emotivo e che fino ad ora lo avesse ascoltato soltanto per trovare una distrazione alla noia della serata.
 
Raphael, intanto, si era avvicinato al bancone del bar e stava chiacchierando amabilmente con la bellissima barista Seelie, completamente coperta da tatuaggi floreali che assomigliavano ad una carta da parati un po' demodé attaccata su un corpo longilineo e perfetto. Sulle labbra carnose, la ragazza portava del rossetto di un bordeaux intenso, lo stesso che spiccava sulla guancia di Raphael. Il colore a lui non donava.
 
«Ti piace, non è vero?»
 
«Non stiamo insieme.» ripeté Simon, quasi più a se stesso che a Magnus, quasi si fosse trattato di un promemoria che gli ricordasse di non illudersi di nuovo, come fin troppe volte in passato.
 
«Non ti ho chiesto questo.» replicò lo stregone.
 
Simon notò che la sua voce aveva assunto una tonalità più dolce e accondiscendente, come quella che si usa con un bambino che per distrazione ha colorato fuori dal contorno di una disegno. Doveva trovarlo uno stupido per essersi preso un'infatuazione tanto patetica quanto irrealistica: Raphael era palesemente al di fuori della sua portata, almeno quanto lo sarebbero stati Ryan Gosling o un giovane Robert Redford - e almeno loro non li incontrava ogni notte nel suo stesso hotel.
Era più difficile farsela passare, se lo aveva sempre intorno. Era come quando aveva creduto di essere innamorato di Clary e aveva passato serate a tormentare la cornetta del telefono di casa mentre lei gli raccontava dei suoi appuntamenti, con la differenza che allora pensava davvero che per loro ci potesse essere una possibilità, mentre adesso era consapevole che con Raphael le sue chance si avvicinassero ad un onesto -2%.
 
«Sai, secondo me hai delle buone chance con lui. » commentò Magnus come se gli avesse letto nella mente, o come se avesse semplicemente compreso dal suo sguardo quante poche illusioni si facesse in merito. «Delle buone chance di piacergli, intendo.»
 
 
«Non è vero.»
 
«Come ricorderai, io e Raphael siamo amici da lungo tempo…»
 
«Lunghissimo tempo.» commentò Simon abbozzando un sorriso per smorzare la tensione, come faceva sempre quando si sentiva a disagio. «Secoli e secoli e secoli…»
 
 
Magnus lo ignorò.
«Raphael ha bisogno che qualcuno abbia bisogno di lui, che si tratti di vampiri neonati, membri del clan che hanno problemi con il Conclave o di nerd socialmente disagiati... soprattutto quest'ultima categoria.»
aggiunse dandogli un buffetto affettuoso sulla guancia, dal quale il ragazzo si ritrasse imbarazzato.
«Credimi, conosco Raphael abbastanza da sapere che ha un debole per quelli come te-»
 
«E se non volessi più essere come me?!» sbottò Simon, incapace di trattenersi oltre, tremando di una rabbia che non credeva di avere dentro. «Sono stanco di fare sempre la figura del perfetto idiota, stanco di essere l'amico strano, che è buono solo per le battute ma che nessuno considera davvero, stanco di attirare l'attenzione per il motivo sbagliato, tipo far cadere la gente o ballare malissimo o inciampare sullo zerbino del DuMort-»
 
Le parole gli erano fluite dalla bocca veloci e inarrestabili, come sangue da una ferita coperta prima che fosse completamente guarita, tuttavia si rendeva conto che quello non fosse né il momento né il luogo di rovesciare addosso ad uno stregone già molto annoiato 18 anni di insicurezze e complessi.
«Scusami... forse ho esagerato.»
 
«Giusto un pochino.» replicò Magnus divertito e avvicinando pollice ed indice per indicargli la platealità del suo gesto.  «Mi sembrava quasi di assistere ad una delle scenate di Raphael.»
 
«Troppo melodrammatico?» domandò Simon con un sorriso disteso «Avevo chiesto al DJ di suonare qualcosa di tragico e solenne come Wagner o Adele, ma non deve aver ricevuto il mio messaggio.»
Sospirò di nuovo, scrollando le spalle con noncuranza.
«Anche se a volte vorrei davvero essere un po' di più come Raphael… voglio dire, guardalo! Sembra sempre così disinvolto e sicuro di sé con il suo carisma, e le sue giacche firmate, e il suo… fascino latino e tutto!»
 
«Fascino latino?»  ripeté lo stregone inarcando un sopracciglio, visibilmente divertito.
 
«Sì… insomma, hai capito»  tagliò corto Simon, di nuovo a disagio. Non ricordava di essersi mai iscritto alla newsletter della Posta del Cuore di Magnus Bane e per quanto apprezzasse quello sforzo di fare conversazione,  parlare esplicitamente di sentimenti lo stava facendo sentire più vulnerabile ed esposto di quanto non si sentisse già.
«Comunque non preoccuparti. Non fa niente, davvero. Immagino di essermi abituato ad essere…»  
Simon cercò l'aggettivo adatto ad esprimere il particolare combo di disagio, autocommiserazione e rassegnazione che provava, senza però riuscire a trovarlo. Alla fine concluse dicendo semplicemente: «… me»
 
«Per una sera forse puoi provare qualcosa di diverso»  replicò pensieroso Magnus, con un sorriso che assomigliava pericolosamente a quello di uno Stregatto. Finse un attimo di esitazione e poi chiese per sicurezza: «Un incantesimo che ti renda un latin lover, giusto?»
 
«Sì… qualcosa del genere»
Simon si strinse nelle spalle.
 
«Qualcosa che faccia sì che le persone ti ascoltino quando parli, che siano affascinate e incuriosite dalle tue parole, ma che allo stesso tempo non riescano a capirti fino in fondo, come se un'aura di mistero ti avvolgesse…»
 
«Puoi farlo davvero?»
 
«Sono letteralmente secoli che non faccio quest'incantesimo, ma credo di avere esattamente ciò che fa al caso tuo. Attirerai l'attenzione di Raphael, te lo assicuro.» rispose Magnus con un sorriso sibillino, rimboccandosi le maniche con cura, per non sgualcire troppo il completo. Posizionò le mani ai lati della testa di Simon, i palmi rivolti verso l'interno. Dalle dita, lunghe e tintinnanti di anelli, presero a sprigionarsi delle scintille azzurre simili alle stelle che si accendono a capodanno. Il ragazzo riuscì a vederle solo di sfuggita, prima che lo stregone gli chiedesse di chiudere gli occhi.
 
«Per favore, non trasformarmi in un topo» lo pregò Simon, preferendo mettere le mani avanti prima di diventare lo spuntino di mezzanotte del Presidente Miao o di Church. Poi ci pensò su e aggiunse «Né in nessun altro animale, se possibile»
 
In pochi secondi era tutto finito.
 
Quando Simon riaprì gli occhi sulla realtà non solo non c'erano più scintille, ma non c'era più neanche Magnus. Probabilmente lo stregone aveva deciso di porre finalmente fine alla propria sofferenza lasciando la festa, però era un peccato non averlo potuto ringraziare debitamente dopo quello che aveva fatto per aiutarlo.
 
Inoltre, senza di lui, Simon era di nuovo solo in una marea di estranei, che continuavano a ballare con movimenti sincopati su una musica senza parole.
Una parte di Simon avrebbe voluto andare a salutare il festeggiato (a cui probabilmente non importava affatto della sua presenza, avendolo invitato solo in quanto membro del clan), accampare qualche improrogabile impegno notturno che lo facesse apparire figo e occupato (Prove della band? Passeggiata fra le lapidi? Spuntino di mezzanotte a base di sangue di vergine?) e poi battere in ritirata tornando alla quiete dell'hotel, per una volta deserto.
 
La prospettiva era estremamente invitante, ma anche poco coraggiosa.
Dopotutto era solo una festa, non poteva ucciderlo – a quello aveva già pensato Camille, grazie tante – inoltre Magnus gli aveva appena fatto un incantesimo ad hoc con l'entusiasmo con cui un parrucchiere tenta su una cliente un look all'avanguardia assicurandole che starà benissimo. Tanto valeva fidarsi e fare un tentativo.
  
A dirla tutta, non si sentiva particolarmente diverso da prima, ma forse le sue nuove e migliorate abilità nel socializzare si sarebbero attivate solo quando si fosse ritrovato a relazionarsi con qualcuno, un po' come un superpotere che funziona solo in una caso di necessità.
E per testarle, quale occasione migliore di Raphael Santiago, che si stava avvicinando a lui a passi eleganti e silenziosi?
 
Simon sperava con tutto se stesso che si fosse dimenticato del saluto-tentacolo di inizio serata, ma si sbagliava. Prima che potesse anche solo tentare di fargli un cenno, vide l'altro vampiro accostarsi alle pareti con aria incuriosita. Bussò sul muro in modo plateale ed esclamò impressionato «Potrei sbagliarmi, ma credo che le pareti riescano a stare su anche senza di te»
 
Simon provò una fitta di delusione: gli sembrava di aver sentito quella battuta migliaia di volte al liceo e ogni volta l'aveva trovata meno divertente di quella prima, tuttavia non poteva biasimarlo: era seduto da un'ora sul divanetto del Pandemonium e in mano non aveva né un cellulare, né un drink, né un bigliettino con sopra scarabocchiato un numero di telefono. Doveva sembrargli molto solo. Abbozzò un sorriso e mormorò: «Ave Raphael»
 
L'altro si accigliò.
«Ave? Non starai iniziando a parlare come i tuoi stupidi amici Shadowhunters!»
 
Simon non riuscì a trattenere una risata. Ma di cosa stava parlando?
«Nescio quod
Simon si tappò la bocca con le mani, inorridito «Quid accidit
 
Raphael sospirò.
«Un incantesimo. Hai ancora delle scintille azzurre sulla giacca» commentò aspro, spolverandogliele via con un gesto tanto infastidito che Simon non riuscì a capire se fosse più irritato per la magia in sé o perché una povera giacca innocente c'era andata di mezzo.
«Magnus doveva essere particolarmente annoiato per farti una fattura tanto stupida! A volte mi domando come possa essere il Sommo Stregone di Brooklyn se le sue uniche attività sono interrompere matrimoni altrui e fare magie a caso...»
 
Ma Simon non aveva il tempo di ascoltare il brontolio sprezzante dell'altro vampiro, perché stava cercando di capire come funzionasse quella strana fattura: non sembrava avergli colpito tanto la testa, perché continuava a ragionare in inglese, eppure ogni volta che provava ad esprimere un pensiero qualsiasi, le parole gli salivano alle labbra in una lingua che fino a quel momento era certo di non conoscere.
Cercò di richiamare alla memoria le parole di Magnus: Qualcosa che faccia sí che le persone ti ascoltino quando parli, che siano affascinate e incuriosite dalle tue parole… che non riescano a capirti fino in fondo, come se un'aura di mistero ti avvolgesse... Un incantesimo che ti renda un latin lover, giusto?
 
«… latino? Sul serio?» si stava ancora lamentando Raphael, visibilmente esasperato.  «Dovrà essergli sembrato esilarante costringerti a parlare una lingua morta, date le tue condizioni»
 
Come era prevedibile, alzò gli occhi al cielo.
Sorridendo senza volerlo, Simon rifletté che se c’era qualcosa che riusciva ad irritare Raphael più dei jeans con i risvoltini e degli Shadowhunters che si auto invitavano al DuMort, erano le battute sui vampiri.
 
«Almeno spero che l'effetto sia temporaneo.»
 
Simon si strinse nelle spalle.
Non ne aveva idea. Da quanto ne sapeva di stregoneria – ovvero ben poco, dal momento che libri e serie tv non erano esattamente fonti affidabili-  non riusciva ad intuire se si trattasse di un incantesimo che si sarebbe spezzato a mezzanotte come quelli delle fiabe o qualcosa di mistico e permanente stile Doctor Strange.
Inoltre non aveva ancora capito se la traduzione dall'inglese al latino funzionasse anche in senso contrario come su Google Translate o se Magnus gli avesse semplicemente settato la cavità orale in modalità 200 A.C.
Immaginava che l'unico modo per scoprirlo fosse provare a pensare a qualche parola in latino, sempre ammesso che gliene venisse in mente una.
 
«Accio»  bisbigliò fra sé e sé.
 
«Lumos Maxima»
 
Raphael alzò di nuovo gli occhi al cielo.
 
«Expecto patronum
 
«Per l’amor del Cielo, smettila di citare Harry Potter, la gente inizia a fissarci»
 
«Hoc solum experimentum erat...» mormorò lui a testa bassa, imbarazzato.
 
«Diòs mio, dame la fuerza!» esclamò Raphael scuotendo vigorosamente la testa, come se con quel movimento sperasse di svegliarsi dall'incubo in cui sentiva di essere finito. «Cosa devo fare con te? Ti perdo di vista un attimo e tu ti fai lanciare una jodida fattura da Magnus! Si può sapere che diavolo hai fatto?!»
 
Non c'era assolutamente niente di divertente nell'essere condannati a parlare una lingua morta in un'occasione sociale, tuttavia Simon sentì un sorriso affiorargli alle labbra.
In mezzo ad insulti e imprecazioni in spagnolo, Raphael aveva appena ammesso di averlo tenuto d'occhio l'intera serata. Le sue ragioni forse non erano state sentimentali come quelle che avevano spinto Simon a fare lo stesso, ma era già più di quanto avesse osato sperare.
 
«Ego petivi id ab eo. Sicut te esse volebam.» rispose Simon, iniziando a spiegare la situazione, tuttavia gli bastò incrociare lo sguardo distratto e innervosito di Raphael per capire che non aveva minimamente la sua attenzione.
 
Ma del resto non andava sempre così, fra loro?
In tutte le notti che avevano passato sul tetto del DuMort, Simon era sempre stato quello che blaterava cose a caso tanto per riempire il silenzio che aleggiava fra loro e Raphael era quello che non faceva neanche finta di ascoltarlo, ma che nonostante questo non si muoveva di un millimetro, restando seduto al suo fianco con le gambe a penzoloni e gli occhi fissi sull'orizzonte di luci e grattacieli e insegne di Broadway. Ogni volta che Simon si trovava a corto di argomenti o restava in silenzio per un tempo insolitamente lungo – ovvero superiore ai sei secondi - l'altro con un tacito sguardo lo esortava a proseguire, parlando di cosa non importa, bastava che riempisse quel vuoto, perché si era accorto che aveva smesso di parlare e voleva ricominciasse. Simon si era ritrovato a pensare che in quelle notti sul tetto la sua voce dovesse essere simile agli accompagnamenti al pianoforte suonati durante le cene eleganti, di cui la gente si accorge solo quando si concludono.
 
Allo stesso modo, Raphael non sembrava molto interessato a sentire come fossero andate le cose, soprattutto dal momento che Simon avrebbe soltanto potuto farlo in una lingua sconosciuta e con dei gesti maldestri, per cui il vampiro più giovane si limitò a chiedergli semplicemente scusa.
 
«Dimitte me. Non volebam tumultum excitere
 
Nonostante l'altro non potesse capirlo, Simon sentì comunque alleggerirsi il peso del senso di colpa che gli gravava sul petto.
Aveva creato l'ennesimo casino. Come se le cose non andassero già abbastanza male, come se Raphael non avesse già abbastanza motivi per odiarlo.
 
Inspirò profondamente – le vecchie abitudini sono dure a morire – e aspettò di vedere Raphael scuotere ancora il capo con tangibile disprezzo e tornare alla festa: sapeva per esperienza che quello era di solito il momento in cui la gente se ne andava, quando tutto diventava troppo imbarazzante perfino per chi non soffriva di ansia sociale. Ma con sua grande sorpresa, venata da un attimo di incredulo smarrimento, l'altro vampiro non si mosse di un millimetro.
 
Raphael si guardò intorno con circospezione e diffidenza per controllare che nessuno li avesse sentiti e poi si raccomandò nel suo solito tono aspro: «Cerca solo di tenere la bocca chiusa, d'accordo? Gli altri ti trovano già abbastanza strano quando parli normalmente, figurati adesso… Non posso difenderti per sempre!»
 
In realtà, a quanto Simon ricordava, fino a quel momento Raphael non aveva mai perso l'occasione di lamentarsi con mezzo clan della mediocrità del suo Encanto o della lentezza con cui procedeva il suo addestramento - senza parlare di tutte le volte che aveva minacciato di dare fuoco alla sua chitarra se non ci avesse dato un taglio con quella velleità del vampirello menestrello.
Raphael adorava tormentarlo con piccole frecciatine e battute, per cui il pensiero che invece lo avesse difeso di fronte a quella che considerava la propria famiglia  riusciva a scaldare il gelido petto di Simon di un sentimento a metà fra lo stupore a la gratitudine, per cui il ragazzo abbassando lo sguardo rispose «Fere me defendis? Tibi ago gratias… non scivi-»
 
Raphael sospirò di nuovo. Probabilmente in quel momento stava pensando che Simon avesse qualche deficit di attenzione, dato che si ostinava a parlare latino nonostante lui gli avesse esplicitamente vietato di farlo circa 30 secondi prima.
 
«Es meus amicus, RaphaelCredebam-»
 
Raphael esitò un centesimo di secondo - la titubanza dei vampiri non poteva che essere super rapida – prima di strattonare Simon per il colletto della felpa, riducendo lo spazio fra loro in un gesto che sarebbe potuto sembrare minaccioso ma che era solo impulsivo.
«Balliamo, nino, così sono sicuro che stai zitto.» disse trascinandolo verso il dancefloor «A quanto ricordo non sai fare due cose contemporaneamente»  
 
Simon non fece nemmeno in tempo a boccheggiare una risposta o accampare una scusa che si ritrovò in mezzo ad un mare di estranei danzanti.
 
Era come nei suoi peggiori incubi, o meglio come in quell'horror in cui la protagonista veniva portata in mezzo alla pista da ballo solo per poterle rovesciare in testa un secchio pieno di sangue – iniziativa che in realtà ad un party di vampiri non sarebbe risultata così sgradita, dopotutto.
 
La musica aveva un volume assordante, soprattutto per chi come lui non sapeva ancora controllare bene i propri sensi potenziati, e le luci stroboscopiche sopra alle loro teste mandavano incostanti raggi colorati simili a spade laser: se avevano il risultato di  sottolineare i lineamenti scultorei e regolari di Raphael ogni volta che gli lambivano il viso, nel caso di Simon riuscivano semplicemente ad accecarlo del tutto, peggiorando ulteriormente il suo già pessimo modo di muoversi.
 
Simon era consapevole del disastro a cui stava per andare incontro.
Ballare era qualcosa che non aveva mai saputo fare. Nonostante la sua passione per la musica e i timidi tentativi fatti ai balli studenteschi, il suo senso del ritmo lasciava a dir poco a desiderare: non sapeva come muoversi senza sentirsi un idiota e in ogni caso le braccia non volevano saperne di andare a tempo con i piedi o con le gambe o con qualsiasi altro arto del corpo con cui lui cercasse di tenere il tempo.
Del resto, Just Dance era l'unico videogame in cui Clary riuscisse a batterlo.
 
Raphael invece pareva del tutto a proprio agio: era scivolato nella folla di estranei con la naturalezza con cui ci si immerge in una vasca da bagno, tenendo gli occhi semichiusi e sorridendo di piacere.
Simon si sorprese a guardarlo di nascosto, godendosi l'espressione di completo abbandono che gli era comparsa sul viso, addolcendone i tratti. La linea della mascella sembrava meno dura, la fronte meno accigliata. Si domandò se avrebbe avuto quell'espressione anche baciando qualcuno. Qualcuno come lui, ad esempio. Si chiese se baciandolo avrebbe chiuso gli occhi subito o se avrebbe aspettato che le loro labbra fossero intrecciate saldamente, prima di lasciarsi andare.
 
«Lasciati andare!» gli urlò Raphael, cercando di sovrastare il volume della musica «Sei troppo rigido… sei al Pandemonium, non dentro alla bara.»
 
«Canoa.» lo corresse Simon
 
Raphael finse di non averlo capito, o forse non lo capì davvero.
Era difficile dirlo. Già Simon si sentiva ignorato il 90% delle volte che parlava con lui… considerato che quella sera si era aggiunto pure il Fattore Lingua Morta, le probabilità di ottenere la sua attenzione erano ridicolmente basse.
Simon avrebbe potuto dire qualsiasi cosa – qualsiasi cosa, perfino che non gli piaceva la sua giacca - e Raphael non lo avrebbe mai capito.
 
Era strano.
Era piacevole.
Per una volta, aveva il completo controllo della situazione. Nessun timore delle conseguenze delle sue parole, nessun rischio di rovinare tutto dicendo la cosa sbagliata… Simon non si era mai sentito così a proprio agio a parlare con qualcuno (il fatto che poi quel qualcuno non lo capisse era solo un dettaglio, un piccolo vantaggio che gli permetteva di essere semplicemente se stesso). 
Per una volta poteva dire la prima cosa che gli passava per la testa, senza la paura di essere deriso dagli altri.
 
«Luke, pater tuus sum! » annunciò con la voce più profonda che riuscì a trovare, riducendo gli occhi ad una fessura.
 
Raphael sgranò gli occhi, incredulo.
Quale parte di tieni la bocca chiusa non gli era chiara?
«Niente latino.» ripeté scandendo lentamente le parole come se Simon fosse stato un bambino lento di comprendonio. Si abbandonò ad una risata secca e sprezzante prima di aggiungere: «E non sperare di trovare qui Luke… l'hai visto il cartello all'ingresso. I cani non possono entrare.»
 
Simon rise nervosamente, chiedendosi se Raphael non avesse colto la sua citazione cinematografica per via del latino o perché ancora non aveva guardato i dvd che gli aveva prestato. Probabilmente era per un mix di entrambi i motivi. Di nuovo lo pervase quello strano piacere che aveva provato poco prima, quando si era reso conto che Raphael non avrebbe capito una sola delle sue parole. Si era sentito così soltanto un'altra volta nella sua vita, quando era andato a Parigi insieme a sua madre e Rebecca e si era reso conto che non solo i francesi detestavano chiunque non fosse francofono, ma spesso non ne comprendevano neanche la lingua. Il piccolo Simon si era aggirato per i lunghi viali degli Champes Elisee indicando divertito ogni cappello dalla forma buffo e  ogni panino insolitamente lungo, commentando ogni buffa caratteristica dei parigini senza che nessuno prestasse attenzione a quello che diceva.
 
Si sentiva così anche adesso, davanti a Raphael, al centro del dancefloor di un locale alla moda, in una situazione che normalmente gli avrebbe messo i brividi ma che adesso – adesso che rabbrividire non gli era più possibile – sembrava semplicemente giusta.
Si domandò se davvero Magnus non gli avesse fatto un favore, con quella fattura. Forse era questo che provavano le persone carismatiche e sicure di sé, quella sensazione di essere nel giusto, poter dire quello che pensavano senza la paura di essere considerati stupidi o strani o fuori luogo. Magari lo stregone aveva davvero voluto aiutarlo e gli aveva regalato l'occasione di sentirsi a proprio agio qualsiasi cosa dicesse… oppure, più probabilmente, aveva solo voluto movimentare un po' in una serata noiosa lanciando incantesimi a caso giusto per vedere che effetto faceva.
 
Simon avrebbe saputo presto qual era la verità.
Proprio in quell'istante, gli si stava avvicinando una figura familiare, che di faceva largo fra la folla con la grazia di un felino che si avvicina furtivo alla preda. Era Magnus, con in mano un drink verde smeraldo e un'espressione soddisfatta dipinta sul viso. Lanciò prima un'occhiata a Simon, poi una a Raphael e poi di nuovo a Simon, prima di inarcare un curatissimo sopracciglio con l'aria di chi la sapeva lunga.
Rimase ad osservarli qualche secondo in disparte dietro ad una coppia di Seelie che ballava avvinghiata. Aspettò che Raphael si allontanasse con la scusa di andare a salutare una persona e sorrise a Simon in modo incoraggiante.
 
Ma il vampiro non aveva molta voglia di ricambiare il sorriso. Si scagliò con rabbia contro di lui: «Credebam te ivisse
 
Lo stregone scosse la testa.
«Perdendomi questo spettacolo? Mai. Ero solo andato a prendermi da bere. Te l'ho detto che questa festa non si regge da sobri.»
 
Se Magnus gli aveva risposto in inglese ad una domanda formulata in latino poteva significare una sola cosa: riusciva a capirlo.
Certo che riusciva a capirlo.
Vecchio com'era, doveva aveva preso un the con Cicerone ogni martedì.
Simon avrebbe quasi trovato la cosa divertente, se non fosse stato furioso per aver ricevuto una fattura in un momento in cui aveva già abbastanza problemi di suo.
«Quid fecisti?!»
 
«Non ringraziarmi.»
 
«Nolebam agere gratias!» ribatté lui, confuso e arrabbiato dall'espressione serena dello stregone. Come poteva pensare che volesse ringraziarlo?
 
«Non capisci?» gli rispose Magnus divertito «Sei nei guai. Raphael adora i guai e ancora di più adora risolvere i guai. Lo fa sentire in controllo. Quindi smettila di fare quella faccia, ti si forma una ruga d'espressione che non ti dona affatto.»
 
Non gli diede neanche il tempo di replicare, perché con la stessa fulminea rapidità con cui era comparso, scivolò di nuovo tra la folla e scomparve dalla sua vista.
 
Raphael intanto era tornato con due flûte da champagne pieni fino all'orlo di un liquido denso e scarlatto. Simon non ebbe bisogno di chiedersi di cosa si trattasse, perché sentì in bocca il sapore del proprio sangue, gentile promemoria del fatto che non sapesse ancora controllare i canini.
 
«Sangue di alcolista.» lo precedette Raphael, porgendogli con eleganza uno dei flûte. «Non è un gesto di gentilezza, sappilo. Solo una misura estrema. Nemmeno un chiacchierone come te potrebbe bere e parlare nello stesso momento.»
 
Raphael si abbandonò ad uno dei suoi rari sorrisi e Simon fu grato di esserne la causa, anche se a suo malgrado: se gli bastava sopportare qualche frecciatina sarcastica ogni tanto per vedere il volto di Raphael illuminarsi in quel modo, gli andava bene.
 
«Tibi ago gratias …» rispose un po' imbarazzato, ringraziando la mancanza di circolazione cardiaca per cui gli era impossibile arrossire. Prese il bicchiere e lo sollevò in un maldestro brindisi in cui,  – come sempre – disse la prima cosa che gli venne in mente.
(Che poi questa cosa fosse un romanzo distopico destinato agli adolescenti era solo un dettaglio)
«Possit Fortuna semper esse favore nostrum!»
 
In un sinistro tintinnio di vetro e sangue, Simon fece cozzare il flûte contro quello di Raphael.
La superforza da vampiro fece il resto.
I bicchieri si infransero sotto ai loro occhi, levando uno schizzo di liquido rossastro che imbrattò non soltanto la felpa di Simon, ma anche la giacca di Raphael.
 
Restarono entrambi a bocca aperta, il primo come sempre incapace di invocare il nome di Dio per l'ennesimo disastro, il secondo paralizzato dall'orrore di vedere rovinato quello che doveva essere uno dei suoi capi di abbigliamento preferiti.
 
Furono delle risate di scherno a riempire il silenzio fra loro.
Non che Simon non ci fosse abituato – del resto aveva fatto decine di figure peggiori – eppure l'ultima cosa di cui aveva bisogno era essere messo in ridicolo davanti al ragazzo che gli piaceva.
 
Per fortuna, trattandosi del capoclan, le risatine si esaurirono subito, eppure Simon continuò ad avvertire su di sé il peso dello sguardo di ogni altra persona presente al Pandemonium, cubisti Seelie seminudi inclusi. Tutti pronti a prendersi gioco di lui, che non sapeva nemmeno fare un brindisi senza mettere a repentaglio l'outfit di chi non si teneva a distanza di sicurezza-
 
«Ignorali.» gli disse Raphael, guardandolo intensamente negli occhi «Sei con me.»
Fulminò gli altri invitati con un'occhiata minacciosa, quasi fosse personalmente infastidito dai commenti degli altri vampiri: tormentare Simon sembrava essere un privilegio esclusivamente suo.
Con fermezza e a testa alta – perché non sembrasse una ritirata ma una trionfale uscita di scena – condusse Simon verso il bancone, lontano dal dancefloor.
 
Il mobile bar era completamente ricoperto da una superficie riflettente e Raphael ne approfittò per controllare l'entità del danno fatto dal loro maldestro brindisi, studiando la propria immagine con un espressione imbronciata.
 
Simon forse avrebbe dovuto fare lo stesso. Magari si sarebbe accorto dello schizzo di sangue alla Tarantino che aveva sulla felpa, magari se la sarebbe tolta prima di immergersi nelle vie di New York vestito come un serial killer - tuttavia la sua attenzione era completamente assorbita dal modo in cui Raphael si stava mordendo il labbro con espressione aggrottata.
 
«Era nuova…» stava brontolando, passando il pollice su una macchia come se potesse vederla sparire sotto al proprio tocco. La giacca era sporca in più punti, sui risvolti e sul colletto, eppure l'effetto era lontano dall'essere disarmonico. Forse perché il sangue aveva assunto un colore violaceo sulla stoffa blu notte, forse perché la giaccia damascata era tanto improbabile da essere soltanto migliorata da un tocco di colore.
 
«Tua tunica manicata est pulchrior nunc.» scherzò Simon a mezza voce, godendosi la prima e ultima volta in cui poteva prendere in giro l'outfit di Raphael Santiago e vivere abbastanza a lungo da raccontarlo.
 
Raphael infatti non rispose nulla. Rimase a studiare il proprio riflesso con solo un accenno di sorriso ad un angolo della bocca. Sfilò la giacca e la allungò la giacca macchiata ad uno dei suoi tirapiedi con la tacita minaccia di difenderla a costo della vita eterna se avesse voluto evitare rimostranze. Rimase solo in camicia. Simon notò che la portava sbottonata: il piccolo crocifisso brillava sulla sua pelle di madreperla con l'orgoglio di chi mostra agli altri le cicatrici di dolori a cui è sopravvissuto.
 
«Torniamo a ballare.»
Non era propriamente una domanda, quanto più un ordine – come la maggior parte di ciò che Raphael diceva, del resto.
 
Simon lo seguì senza ribattere.
Lo vide riprendere a ballare come se nulla fosse successo e Simon, che portava ancora la felpa, iniziò a sentirsi accaldato. Il che era insolito, almeno a quanto sapeva.
 
Gli avevano raccontato che per un vampiro non fosse possibile avere caldo, ma era evidente che chi gli aveva detto una cosa del genere non aveva ancora conosciuto Raphael Santiago e il modo in cui si muoveva perfettamente a ritmo con la musica, con movimenti sensuali ma mai spinti, velato suggerimento di un ben altro tipo di danza. Simon non si era accorto di quanto fossero stretti i suoi jeans. Aderivano ai muscoli delle cosce facendoli risaltare in modo quasi osceno. Raphael teneva gli occhi chiusi e quando raramente li apriva teneva lo sguardo fisso su Simon, un'espressione sicura e sfrontata che sembrava urlare Sappiamo entrambi come andrà a finire.
 
In effetti anche Simon sapeva come sarebbe andata a finire, ed era male.
Malissimo. Confidargli quello che provava avrebbe portato solo problemi -  derisione disprezzo, disgusto… Raphael era cattolico no? Come avrebbe potuto guardarlo nello stesso modo, dopo?
Inoltre, era meglio tenere a mente che, essendo il capoclan, Raphael avrebbe avuto potuto bandirlo per sempre dal DuMort e Simon non era certo che su Trip Advisor esistessero molti altri hotel vampire-friendly.
 
Però avrebbe voluto dirglielo. Dirgli che quella in sottofondo era la sua canzone preferita e che era bello ballarla con lui e che per una volta tutta quella gente intorno non gli dava fastidio. Dirgli che si sentiva già meglio a stargli accanto e dirgli che quella era la prima volta che si sentiva davvero vivo da quando era morto.
Ma Raphael non lo avrebbe capito, forse in tutto quel frastuono neanche lo avrebbe sentito. Simon iniziava a capire perché nei locali la gente si urlasse addosso parole che in altre circostanze avrebbe solo sussurrato, per pudore, dolcemente.
E forse fu questo  – la certezza che Raphael non avrebbe mai saputo cosa stesse dicendo, così come non lo aveva capito quando aveva citato Star Wars e Hunger Games – a spingerlo ad ammettere, forse più a se stesso che all'altro.
«Amore captus sum tibi.»
 
Era stato cosí facile dirlo, come le parole di una vecchia canzone conosciuta a memoria.
Gli aveva detto che lo amava e Raphael aveva continuato a ballare, gli occhi chiusi e quel sorriso sghembo che aveva ogni volta che faceva qualcosa di intensamente piacevole e colpevole, fosse sorseggiare del sangue fresco o suonare il pianoforte.
 
Lo vide protendersi in avanti.
 
Per un folle attimo Simon credette che Raphael volesse morderlo o baciarlo sul collo, fare quello che come tutti i vampiri nei teen movie avrebbero fatto, ma non accadde.
Con una voce di velluto, gli sussurrò all'orecchio: «Simon...»
 
Il suo respiro gli solleticò la pelle del collo, facendolo rabbrividire. Simon si ritrovò a sospirare pur senza averne bisogno.
«Sì…»
 
«Lo spagnolo è una lingua romanza. Deriva dal latino. Significa che ho capito tutto quello che hai detto.»
 
Simon si sarebbe sentito morire, se fosse stato vivo.
Credeva di aver già vissuto le peggiori gaffe della sua vita nei gloriosi anni del liceo, ma evidentemente un'eternità da vampiro imbranato gli avrebbe regalato molti altri momenti di puro imbarazzo.
 
Aprì e richiuse la bocca un paio di volte e senza emettere alcun suono, latino o inglese che fosse, aspettando che Raphael facesse qualche commento velenoso su quello che era appena successo.
 
Invece l'altro vampiro gli si avvicinò di nuovo e al suo orecchio, al suo orecchio soltanto, soffiò: «Rilassati, non dobbiamo parlarne per forza. Sarà il nostro piccolo segreto, dato che per stasera mi sento particolarmente magnanime e sono disposto a dimenticare tutto… tutto tranne il commento sulla giacca. Dovrai farti perdonare, per quello.»

 





Angolo dell'autrice
Premetto con il dire che non faccio latino da circa tre anni, quindi chiunque trovi errori o abbia migliori traduzioni da suggerire si faccia pure avanti, gliene sarò soltanto grata, mentre per tutti quelli che non lo masticano proprio per niente, ecco le traduzioni:

"Ave, Raphael": Ciao Raphael

"Nescio quod- quid accidit?": Non so di che cosa- che succede?

"Hoc solum experimentum erat": Era solo un esperimento

"Ego petivi id ab eo. Sicut te esse volebam": Gliel'ho chiesto io. Volevo essere come te

"Dimitte me. Non volebam tumultum excitere": Scusami. Non volevo creare un casino

"Fere me defendis? Tibi ago gratias... non scivi-": Di solito mi difendi? Grazie, non sapevo-

"Es meus amicus, Raphael": Sei mio amico, Raphael

"Canoa": non credo esistesse questo termine - forse le chiamavano in altro modo, tipo monobarca o qualcosa del genere. (Ho deciso che Simon avrebbe detto proprio "canoa" perchè adoro il modo in cui Alberto Rosende pronuncia la parola "canoe", quindi lo dichiaro Headcanon)

"Luke, pater tuus sum": qui non credo serva traduzione, anche perchè è abbastanza spoiler. Comunque, Luke, sono tuo padre

"Credebam te ivisse": Credevo te ne fossi andato

"Quid fecisti?": Che hai fatto?

"Nolebam agere gratias": Non volevo ringraziarti

"Possit fortuna semper esse favore nostrum": Possa la fortuna essere sempre in nostro favore

"Tua tunica manicata est pulchrior nunc": La tua giacca è più bella adesso. (Sembra che ci siano persone che si divertono a tradurre in latino parole che i romani non potevano conoscere, tipo facebook o giacca. Prendetevela con loro)

"Amore captus sum tibi": Sono innamorato di te


La seconda gif che avete visto all'inizio è opera mia. Nella serie, Raphel in quella scena stava dicendo tutt'altro, ma dato che in questo periodo sono in fissa con le immagini che si muovono (e quando dico "in questo periodo" intendo da quando ho visto in Harry Potter la famosa foto di James e Lily che sorridono e fanno giravolte), ho deciso di creare un minigifset solo per voi.

A parte questo, ringrazio chiunque sia arrivato a leggere fin qui.
Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate =)
Un abbraccio 
Itsamess

  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Shadowhunters / Vai alla pagina dell'autore: Itsamess