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Autore: AutumnLeaves98    18/02/2017    1 recensioni
"[...] Iniziò ad armeggiare con i comandi, senza volteggiare come suo solito, e ben presto la cabina blu si dileguò dalla stradina di Londra per comparire altrove. Si accostò alle porte e ci appoggiò una mano, per poi sospirare e tirare la maniglia, pronto a qualunque cosa ci fosse là fuori. La sua testa sbucò dalla cabina e un sorrisino gli spuntò sul viso. Era ancora a Londra, ma quasi un decennio prima. Balzò fuori dalla nave con un saltello da lepre e si sistemò il cravattino, poi iniziò a passeggiare guardando il Tamigi in lontananza, le mani intrecciate dietro la schiena. [...] Rose si schiarì la gola e gli chiese, centrando subito il punto per non perdere tempo: "Perché ti sei seduto qui?". Lui la guardò con una faccia stralunata, come a dire che era ovvio, e le rispose: "Tu stai piangendo... Non posso andarmene mentre tu piangi!"."
Il Dottore lascia Amy e Rory, distrutto, e il Tardis lo porta dove i suoi cuori possono guarire.
Post 6x11, The God complex.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 11, Jackie Tyler, Rose Tyler
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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eleven e rose
Questa fanfiction è rimasta sul mio computer per anni, e sebbene io non usi più efp tranne per seguire una singola fic, mi sono detta che era estremamente ingiusto lasciare questa storia a vegetare in una cartella su un computer. Quindi ho deciso di metterla su internet e semplicemente lasciarla andare. Buona lettura.

Running after you.

...aiuto Rose Tyler a fare i compiti...
(cit. Eleven, 6x13)

Lanciò un ultimo sguardo alla sua Amelia Pond, che gli sorrideva in lacrime di fronte alla casa dalla porta blu, ed entrò nel Tardis. Accarezzò la console con un sorriso malinconico e sussurrò: "Allora, sexy... li ho salvati. Adesso siamo di nuovo soli, io e te... Dove vuoi portarmi stavolta?". Iniziò ad armeggiare con i comandi, senza volteggiare come suo solito, e ben presto la cabina blu si dileguò dalla stradina di Londra per comparire altrove. Si accostò alle porte e ci appoggiò una mano, per poi sospirare e tirare la maniglia, pronto a qualunque cosa ci fosse là fuori. La sua testa sbucò dalla cabina e un sorrisino gli spuntò sul viso. Era ancora a Londra, ma quasi un decennio prima. Balzò fuori dalla nave con un saltello da lepre e si sistemò il cravattino, poi iniziò a passeggiare guardando il Tamigi in lontananza, le mani intrecciate dietro la schiena.


Sua madre era una rottura. Voleva solo dieci minuti di pace, era chiedere tanto? Era tornata da scuola con un'insufficienza e Jackie Tyler si era messa a sbraitare contro di lei -non aveva avuto neanche un attimo di pausa, quel giorno tutti le avevano dato contro. Di tutto il tempo che passava con Mickey in giro poteva fare migliore uso, in fondo non le era dato vivere e fare le sue scelte. Non gliene fregava nulla della fisica o dell'algebra o della storia, aveva sempre saputo che lo studio non era la sua strada.
Dopo il litigio, si era data poco dignitosamente alla fuga e dopo una ricerca accurata, si era appollaiata nell'angolo meno frequentato vicino al Tamigi, con ancora la borsa piena di libri e gli occhi lucidi per la frustrazione. Sbatté le lunga ciglia scure e le scivolò sulla guancia una lacrima, che si affrettò a spazzare via con un dito. A denti stretti, tirò fuori il libro di testo di fisica dallo zaino, con la mezza idea di gettarlo nel fiume. La scuola la stava mandando nel pallone e, secondo quanto il professor Jones le aveva ripetuto più volte, aveva bisogno di un tutor che la aiutasse a fugare la possibilità di una bocciatura. Era a metà anno scolastico, ormai, e non sapeva come recuperare il programma e riuscire anche a terminarlo con il resto della classe. Tanto valeva ripetere l'anno, no? Pensò alle lezioni di fisica senza Shareen che faceva commenti sulla parrucca posticcia del signor Harper, a tutte le cose che si sarebbe persa e cancellò quell'opzione dalla lista. Doveva trovarsi un bravo insegnante...



Il Dottore inspirò l'aria tranquilla e benedì la sua sexy per quell'attimo di pausa. Mangiò ad un fish-n-chips e dopo aver organizzato un coro nel locale, tornò difilato a passeggiare per le rive del fiume, assaporando il dolce sapore della calma londinese. Chissà che giorno era... Decisamente uno senza invasioni aliene da scongiurare e persone da salvare.
Si sedette su una panchina, quello strambo e vecchio e insieme giovane uomo col papillon, e sorrise a due bambini che si rincorrevano freneticamente con dei palloncini stretti nei piccoli pugni.
Si chiese se ai Pond mancasse già, come a lui mancavano terribilmente loro, da cui si era allontanato da neppure tre ore. La frizzante Amy e il sarcastico Rory non gli sarebbero ronzati attorno per un po'. Beh, forse per più di un po'. Prima aveva bisogno di scoprire, comprendere a pieno, sapere anche solo un particolare in più, sul perché doveva morire quel 22 aprile 2011. Magari ci starebbero state bene un altro centinaio di civiltà salvate, prima di raggiungere quell'obbiettivo...
Si batté le mani sulle ginocchia e balzò in piedi, per ricominciare la passeggiata con la sua andatura da papera strabica, e si comprò un gelato alla fragola.




Si era abbracciata le gambe e si era lasciata andare ad un pianto liberatorio. In quel momento era stata la sua unica valvola di sfogo. La situazione era tragica -o almeno così la vedeva lei.
"Stupida... fisica..." borbottò prendendo a pugni lo zaino. Si morse il labbro inferiore, si portò una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio e le sfuggì un'ennesima lacrima, stavolta piccola e tutta sola. Il rumore di passi inaspettati le giunse all'improvviso e fu istintivo sfregarsi il viso di nascosto. Però quando volse il capo per vedere chi mai stesse arrivando -pensava ad un Mickey ansioso di confortarla-, una di quelle bastarde le rigò la guancia e contemporaneamente i passi cessarono.




Aveva camminato a lungo, mangiando il suo gelato e chiacchierando con passanti a caso. Aveva raccontato ad un paio di undicenni ammaliati le grandezze dell'universo, ad una giovane madre come allattare (beccandosi uno schiaffo) e ad un paio di anziane signore della Penisola di Boenshane; aveva anche tentato di parlare ad un tizio vestito male di fisica quantistica e come risposta si era sentito rivolgere un epiteto parecchio sgarbato; il Dottore gli aveva borbottato: "Sarebbe bastato un 'no grazie', non credi?" con tutto un arcuare le sopracciglia e storcere la bocca che solo lui sapeva fare -tutto come al solito, insomma. Dopo una mezz'ora si era rassegnato alla solitudine, a cui più tardi pensò di compensare con un altro cono gelato, comprato in un allegro chioschetto relegato in un angolino poco frequentato sulle rive del famoso fiume londinese, appena vicino ad un grazioso ponte di legno adibito al passaggio da una riva all'altra. Con in mano il gelato, fece dietrofront e cominciò a passeggiare. Stava per dare un primo assaggio, quando notò che c'era una ragazza lì, a pochi metri da lui, che aveva una strana aria familiare. La ragazza si girò -vide che stava piangendo- e le sue gambe si fermarono istantaneamente. L'universo a volte era davvero sadico.




L'uomo sconosciuto stava boccheggiando e aveva un'espressione davvero buffa, quella che si ha quando si vede un fantasma. Beh, a dir la verità, a quello sguardo sarebbe stato più calzante associare la visione di un esercito di fantasmi. Poi iniziò a fare uno strano balletto: due passi avanti verso di lei, poi scuoteva la testa borbottando incoerentemente e con una giravolta faceva per andarsene, ma non gli riusciva e tutto ricominciava. Ad un tratto, però, sembrò che se ne stesse davvero andando, ma qualcosa lo spinse a frenare bruscamente e a fare definitivamente retromarcia, fino a lei, intimorita da quella che in lui sembrava una acuta pazzia. Le si sedette accanto e sbuffò.
"Non ci riesco, sul serio... se piangi, non ci riesco proprio" disse in tono d'accusa sventolando una mano al cielo, neanche gli avesse puntato una pistola alla tempia per farlo sedere lì. Sapeva che per sicurezza doveva trovare lo spray al peperoncino che sua madre le aveva messo in borsa in un momento di paranoia estrema dopo un'edizione speciale del telegiornale, ma chissà perché non riuscì a considerare l'idea che quel ragazzo potesse farle del male.
Rose si schiarì la gola e gli chiese, centrando subito il punto per non perdere tempo: "Perché ti sei seduto qui?". Lui la guardò con una faccia stralunata, come a dire che era ovvio, e le rispose: "Tu stai piangendo... Non posso andarmene mentre tu piangi!". Sembrava celarsi una misteriosa tristezza e una dose non indifferente di rammarico in quella frase e Rose si disse che per lui non sarebbe stata la prima volta, come se avesse lasciato sole un mucchio di ragazze in lacrime prima d'allora, senza poter far nulla. Il suo cervello a questo punto le avanzò l'ipotesi che quel ragazzo era pericoloso e avrebbe rischiato meno ad alzarsi e liquidarlo subito. Allora piantò per bene le mani in terra e lo squadrò per bene, con un'espressione cordiale. Il ragazzo si guardò le mani e notò il gelato alla fragola (che si stava sciogliendo) e glielo porse con un sorriso.
"Penso che tu ne abbia più bisogno di me" mormorò con malinconia inspiegabile, e proprio in quel momento il suo stomaco ruggì come un leone affamato. Non era saggio, sul serio, ma prese quel gelato, senza timidezza, e gli fece un sorriso interrogativo.
"Come ti chiami?" chiese e sembrò che con quella domanda lo avesse preso alla sprovvista. Sua madre sarebbe esplosa in una sfuriata e accecato quello sconosciuto da un pezzo, e questo la spinse a voler continuare la conversazione.
"Rory Pond" rispose lui ed era certa che avesse sparato il primo nome che gli passava per la testa, ma non le importò. La sua unica reazione fu sollevare le sopracciglia con scetticismo, per un secondo.
"Io sono Rose" si sentì rispondere e il ragazzo fece un sorriso che gli illuminò tutto il viso, quasi gli avesse fatto il regalo più bello del mondo. "Rose" ripeté con un sorrisino incredulo, guardandola e dandole la sensazione di essere una meravigliosa farfalla studiata dall'occhio esperto di un entomologo. Il ragazzo che diceva di chiamarsi Rory distolse lo sguardo per fissarlo sul fiume -cosa che le dispiacque, perché aveva degli occhi bellissimi- e si schiarì la gola.
"Allora, Rose, qual è il problema?".
Per tutta risposta, Rose iniziò a mangiare il suo gelato in un ostinato silenzio. Rory -o qualunque fosse il suo nome-  la guardò con aspettativa, poi, dopo qualche altro secondo di silenzio, disse impaziente: "Su, dimmi che c'è, altrimenti come faccio ad aiutarti?".
"E perché dovresti farlo?" ribatté mostrando per la prima volta diffidenza. Contrariamente a ciò che si aspettava Rose, il ragazzo sorrise ancor più apertamente e rispose: "Semplicemente perché posso, Rose". Abbassò lo sguardo, in imbarazzo per il modo caldo e dolce in cui lui aveva pronunciato il suo nome. E poi quello sguardo verde acqua iniziava a metterla in soggezione. Le sembrava di scorgerci qualcos'altro, oltre ad un'infinita gentilezza. Spinta da chissà quale forza superiore, pescò dallo zaino il libro di fisica, da cui sbucava il suo compito, con quel vistoso votaccio che spiccava nella sua malevola sentenza.
"Oh!" esclamò Rory, comprendendo al volo, "Allora sono proprio la persona giusta!" aggiunse con il suo sorriso radioso.
"Tu credi?" replicò, storcendo il naso scetticamente. Rory si alzò in piedi e cominciò a camminare. "Ovvio che sì, Rose Tyler!" le gridò aprendo le braccia al cielo e avanzando senza controllare se lo stesse seguendo. Rose rise; decise di fidarsi e andare con lui, qualunque fosse stata la meta.
E non si chiese come mai sapesse il suo cognome. Dopotutto, poteva averlo letto sul compito.




"Allora, Rose Tyler, pronta per la lezione più forte a cui tu abbia mai assistito?" aveva esordito Rory nel tono di chi promette la luna e poi te la porta in un pacco regalo, e Rose aveva annuito, fiduciosa.
Erano in un parco non molto lontano da casa sua, con il libro aperto e vari fogli sparpagliati ovunque, e da un'ora Rory camminava avanti e indietro, parlando e parlando con un'espressione estatica (sembrava tutto così semplice, spiegato da lui...), senza fermarsi a meno che lei non facesse una domanda, allora lui sorrideva indulgente e rispondeva, sempre gesticolando furiosamente come solo lui era in grado di fare. Rose aveva notato che, dall'inizio di quella stranissima lezione, si era sistemato il cravattino non meno di dodici volte. Poi, ad un tratto, Rose si sentì stanca di prendere appunti e guardare le sue bellissime mani mimare il moto di una formica o qualcos'altro. Posò i palmi sull'erba fresca e lo guardò da sotto in su, interrompendolo con tono capriccioso.
"Rory, ti prego, sono esausta!". Le arrivò un'occhiata interdetta accompagnata da un broncio, poi lui sbuffò e borbottò qualcosa che assomigliava terribilmente ad un: "Umani! Come vi stancate presto di me!". Sospettò che fosse solo un modo per farla sentire in colpa e allora pensò di ricambiare.
"Guarda l'ora, è tardi, mia madre si starà preoccupando e tutto perché tu non riesci a zittirti" bofonchiò stuzzicandolo con una familiarità incredibile, come se fosse suo fratello -no, immagine del tutto sbagliata.
Comunque, aveva toccato il tasto giusto, si disse quando Rory roteò il capo con un verso esasperato e le porse una mano per aiutarla a mettersi in piedi. Le sorrise e, senza lasciarle la mano, si chinò a raccogliere in una volta sola il libro e i fogli e carico di tutta quella roba, la portò fuori dal parco. Aveva una mano grande, notificò Rose, e la sua presa le sembrava più salda del necessario -ma non le saltò in mente di lamentarsi, mai.
"Allora, Rose" iniziò all'entrata del parco, in tono solenne, prima di scaricarle tra le braccia il materiale di studio, "la nostra lezione è finita". Rory -le sembrava così strano chiamarlo così, non gli si addiceva- si sistemò il cravattino dondolandosi sui talloni e rivolgendole il suo sorriso fanciullesco.
"La nostra prima lezione, spero" si lasciò sfuggire e allora incrociò le dita dietro la schiena, con un sorriso sfacciato, celando il suo inspiegabile nervosismo. Rory fece uno sguardo saputo e gongolante. "La seconda sarà ancora più fantastica, è sempre così". Le fece l'occhiolino e, mani in tasca, uscì di scena.




Era tornata a casa sorridendo e Jackie l'aveva guardata con perplessità. Per tutta risposta, le disse: "La fisica è meravigliosa, non trovi?" ed era saltellata in camera sua, compiaciuta per l'espressione stupefatta della sua genitrice. Si era seduta sul suo letto ed aveva sfogliato il libro di fisica, fantasticando sulla fatidica Seconda Lezione. Che non sapeva quando si sarebbe svolta! Oh, dannazione, come aveva potuto dimenticarsi di chiedere una cosa così importante? Sbuffò e si lasciò cadere sui cuscini maledicendosi; doveva solo sperare di ritrovarlo nel parco dopo scuola. Lo avrebbe aspettato.
E così fece il giorno dopo, e quello dopo ancora. Ogni volta, appena uscita da scuola, imboccava la strada di casa e deviava verso il parco. Spesso, andava anche a controllare nel luogo del loro primo incontro. Niente. Era sparito. Ma lei non demordeva, dovette aspettare e così il tempo passò.
Un giorno, circa tre settimane dopo, si ritrovò a riflettere a lungo mentre cercava di fare gli esercizi assegnateli quella mattina. Era sciocco, tutta la situazione era sciocca. Perché si era fidata così di un perfetto sconosciuto e perché contava così tanto sul suo ritorno? Lei per prima si sentiva una sciocca, a sperare a quel modo di rivederlo. Quando finalmente tornò era un pomeriggio piuttosto nuvoloso e la ragazza sperava solo che non iniziasse a piovere mentre era ancora in giro. Seduta sul muretto che delimitava il perimetro dell'intero parco, Rose mangiava patatine fritte. Non era tuttavia ungersi le dita il fine ultimo della sua presenza. Sua madre si era accorta oramai delle sue lunghe passeggiate solitarie e -avendo escluso la malavita grazie ai rapporti frequenti e quasi militareschi delle sue vicine- si era convinta di una sua depressione patologica. Era arrivata al punto di non ritorno telefonando ad uno psicologo (uno dei suoi ex) e facendoglielo trovare a cena, posizionato non su un vassoio come il tacchino che era ma a capotavola 'come ai vecchi tempi'. Rose li aveva odiati entrambi. Le sue parole buoniste e compiaciute le scivolarono addosso come pioggia fredda, ma ciò che realmente la infastidì di quella conferenza fu Jackie che annuiva diligente ad ogni sillaba. Si era coricata con una fitta di malcontento che le attanagliava lo stomaco e riuscì ad addormentarsi solo dopo aver scelto quale strada percorrere. Odiava trovarsi davanti al metaforico bivio che le poneva la situazione. Ovviamente, voleva ancora rivederlo. Se solo avesse potuto incontrare Rory, il problema non si sarebbe presentato. Ma lasciare tutto così, senza un finale, le avrebbe lasciato un vuoto nel petto. Era infatuata sebbene lo avesse visto un'unica volta e doveva farlo ancora. Tuttavia, sull'altra faccia della medaglia, questa sua attesa provocava preoccupazione in sua madre e Jackie era tangibile, era lì, con tutto il suo opprimente affetto e i dialoghi problematici. Non c'era bisogno di darle qualcos'altro di cui lamentarsi. Perciò si era data un ultimatum: quel giorno avrebbe segnato la fine delle passeggiate in cerca di Rory. Se non lo avesse trovato, si sarebbe arresa perché ciò avrebbe significato che semplicemente non era destino. E lei ci credeva. Eccome se credeva nel destino. Fu questo quindi a portarla su quel freddo muretto di mattoni rossi, a mangiare patatine fritte con le mani.
Fece emergere il libro di fisica dalla borsa traboccante e lo sfogliò attentamente, cercando di non sporcarlo di olio. Lesse un paragrafo che le era piuttosto ostico, masticando con circospezione. Non capì molto, così lo rilesse -e le parve di aver compreso qualche particolare in più. Poi, qualcuno picchiettò gentilmente sulla sua spalla. La bionda adolescente sussultò violentemente, strappata dalle sue considerazioni come un bambino dal ventre della partoriente, e balzò giù dal muretto guardandosi attorno. Ciò che vide le fece saltare un battito. Trattenne il fiato, di fronte ad un abbrustolito e sanguinante Rory, che le rivolse il sorriso più luminoso che avesse mai visto sul volto di qualcuno.
"Ci incontriamo di nuovo, Rose...".
"Ci saremmo incontrati di nuovo anche prima, se tu mi avessi cercato".
Non riuscì a controllarsi, quelle parole le sfuggirono dalla bocca come il controllo dalle mani.
"Chi ti dice che non lo abbia fatto?" ribatté lui. Rose roteò gli occhi, poi lo squadrò da capo a piedi, cercando di valutare i danni.
"Cosa ti è successo?" gli chiese con una nota d'ansia ben udibile. Rory -strano, strano, strano, strano, il suo cervello urlava quando lo chiamava così- sbatté le palpebre con un'espressione confusa, poi si rese conto che il taglio sul braccio stava ancora sanguinando, ci sbatté una mano sopra e sorrise ancora di più.
"E se ti dicessi che ho appena salvato il mondo da un rospo gigante?".
Rose lo fissò con la sua migliore espressione 'non sei divertente anche se pensi di esserlo' e continuò finché Rory non scrollò le spalle.
"Okay, non ti ho cercata, e okay, non era un rospo ma un alieno a sangue freddo con la lingua lunghissima e il doppio mento, da qui la somiglianza ad un rospo".
Il suo primo istinto fu quello di ridere, ma lo scacciò subito per sfoderare la sua arma più tagliente: il senso di colpa.
"Ti ho aspettato per quattro settimane..." lo accusò, stringendosi le braccia sotto il seno, cercando di sembrare arrabbiata, ma risultando solo enormemente sollevata. Pensava che non lo avrebbe mai più rivisto.
Rory si limitò ad uno sguardo colpevole e si dondolò sui piedi, come un bambino rimproverato dalla madre, e a Rose fece tenerezza. Così gli sorrise -non aveva la più minima forza di volontà, sì.
"A quanto pare è una mia abitudine fare tardi..." le sembrò sentirlo borbottare.
"Beh, sì, ma non è questo il punto. Ti ho aspettato e adesso che ti sei finalmente ricordato della mia esistenza non vuoi nemmeno dirmi la verità?".
Si sentiva infantile, ma non si fece fermare da un particolare così poco importante. Alla vista dell'espressione mortificata di Rory, sentiva qualcosa sbrogliarsi nel suo petto e dovette mordersi il labbro per tenere dentro cose di cui avrebbe potuto pentirsi se dette ad alta voce. Nonostante il suo tono petulante Rose notò che sembrava aver centrato il segno.
"Okay, okay... stavo aiutando un amico a sbarazzarsi di un'infestazione fastidiosa nel suo giardino, però le cose ci sono un po' sfuggite di mano e mi è caduto addosso con un punteruolo" -indicò la ferita ancora sanguinante-"E la mia giacca è andata a finire su un cumulo di foglie in fiamme, ecco perché è bruciacchiata. Non è stato esattamente un bel vedere, definirlo 'salvare il mondo' serviva a renderlo un po' più dignitoso".
Rory fece una smorfia e si sistemò il cravattino -sempre quel suo strano tic, era così tenero. Le prese la mano e la guidò nel parco. Fu così che iniziò la seconda lezione, all'improvviso e senza nemmeno aver avanzato la richiesta -un po' come il modo col quale i veri amori dovrebbero sbocciare. Era leggermente deludente nella sua banalità, dopo un'entrata in scena tanto sorprendente, ma Rose vide di farsene una ragione e si godette ogni momento di attenzione che Rory le riservò. La sua presenza era intossicante. Dopo tre lezioni, Rose arrivò alla conclusione che non si sarebbe innamorata mai più di nessun altro.





"Rose Tyler!". "Rory Pond!". Andavano avanti così da ben quattro minuti, urlando i rispettivi nomi, ridendo e girando sul posto veloci come una trottola. Quando Rose inciampò e cadde sull'erba, Rory la seguì bruscamente, le mani ancora unite.
"Ce l'hai fatta!" urlò Rory alzando le braccia al cielo con entusiasmo.
"Ce l'ho fatta" urlò ancora più forte Rose, sentendosi addosso tutti i suoi sedici anni e tutte le possibilità per il suo futuro. Tutto quell'ottimismo le metteva le vertigini.
"È la mia prima A in qualsiasi materia, Rory! Te ne rendi conto?". Rose rise e rise, sempre più forte, l'odore di erba bagnata che le riempiva le narici, una strana ilarità che le riempiva il cuore.
"Mia madre penserà che gli alieni mi hanno rapito e sostituito con una copia" singhiozzò tra le varie risate.
"Sono contento di vederti così entusiasta all'idea di essere rapita dagli alieni" disse Rory, con un sorriso che nascondeva dietro qualcos'altro, come se avesse fatto una battuta che solo lui poteva capire. Non era un comportamento insolito da parte sua, quindi Rose si sentì di poterlo ignorare tranquillamente per potersi concentrare meglio sul modo in cui le loro dita erano intrecciate ancora in alto sulle loro teste.
Con Rory tutto era fisico, tutto era agitato e in movimento, il mondo una massa in viaggio intorno al sole a 67000 miglia all'ora, con un diametro esagerato e un peso inimmaginabile, su cui capitava che ci fossero loro due, unici tra tanti, con le mani unite in una stretta labile che non poteva impedire a niente di dividerli, eppure era la cosa più forte che Rose aveva mai sperimentato nella sua vita.





In totale, Rose Tyler vide Rory Pond -o meglio, l'uomo che conosceva con quel nome- diciassette volte sparse in altrettante settimane. Un ammontare di circa centotrentuno ore passate insieme. Solo loro due. Nessuno vicino a Rose sapeva di lui e lei non aveva nessuna voglia di raccontarlo a qualcuno. Se lo tenne per sé, il suo segreto che riusciva sempre a farla sorridere.
Si tenne per sé la sfumatura di verde dei suoi occhi quando la guardava con affetto e quella di quando la guardava con malinconia inspiegabile, il modo in cui se le mani grandi avvolgevano la sua, il sorriso compiaciuto di qualcuno che sa di te qualcosa che tu non sai che lui spesso esibiva, i battiti accelerati che le riempivano le orecchie fino ad assordarla quando lui aveva il viso rivolto altrove, impegnato a pensare cose assurde mentre lei fingeva di svolgere un problema, calcolatrice alla mano -quelli erano gli unici momenti in cui Rose permetteva al suo cuore di impazzire, perché sapeva che lui non se ne sarebbe reso conto.





Non avevano un giorno prestabilito, o un orario fisso, ma Rose sapeva che una volta alla settimana lo avrebbe trovato ad aspettarla sulla strada di casa, seduto sul muretto o appoggiato a un muro o seduto su una panchina con le gambe ripiegate una sopra l'altra, oppure sarebbe apparso all'improvviso al suo fianco mentre camminava, come se stessero passeggiando insieme e fosse rimasto indietro per un attimo per poi raggiungerla di corsa, come se fosse sempre stato lì.





La quarta volta che si videro, la sorprese con un mazzo di fiori stranissimi, che non aveva mai visto. Avevano petali enormi e perfettamente rotondi, di un grigio pallido con venature blu acceso, e anche senza un filo di vento sembrava che ondeggiassero sempre. Rory li aveva chiamati "rose del Kreturi".
"Il mio secondo tipo di rosa preferito in tutto l'universo. Non so perché, ma mi fanno sentire triste e felice insieme e se presti abbastanza attenzione puoi sentirle cantare al vento"
A Rose parve di non aver mai sorriso così tanto.
La nona volta Rory era nervoso e le penne nelle sue mani andarono incontro ad una fine piuttosto violenta. Era come se non potesse evitare di stringere il pugno così forte da spezzarle. Una dopo l'altra. Più ne rompeva più era imbarazzato ed agitato e i suoi discorsi sempre più pazzi, come se cercasse di alleggerire l'atmosfera. Rose era così preoccupata che lo portò nel suo nascondiglio preferito vicino il London Eye, dove si sistemarono seduti per terra, gamba premuta contro gamba, spalla premuta contro spalla, la testa di lei nascosta nell'incavo del collo di lui e passarono il resto del pomeriggio in silenzio mentre Rory guardava di fronte a sé con un'espressione neutra, quasi vuota. Quando aveva iniziato a farsi buio, lui si era alzato e le aveva teso una mano con un sorriso grande come una casa (la sua casa, e Rose qui si imbarazzò infinitamente per i propri pensieri sdolcinati). L'aveva accompagnata fino al Powell Estate ed era la prima volta che lo faceva. "Ci vediamo la prossima settimana?" gli aveva chiesto, non allegra e spensierata come era solito chiedere, ma con un'ombra di preoccupazione proprio lì, nascosta nelle sopracciglia corrucciate e nella curva della sua bocca e nelle sue ciglia e dietro i suoi occhi.
"Certo"
"A volte ho paura che semplicemente non ti presenterai"
"A volte ne ho paura anch'io"
La decima volta Rory era più sé stesso, parlando mille all'ora e non smettendo mai di muoversi, un uragano di mani e braccia e l'occhio del ciclone era il suo sorriso, lì, pronto a risucchiarla e a metterla in uno stato di costante turbinio (però mentre se ne andava, Rose notò in lui una malinconia così acuta che quella notte non riuscì a dormire). L'undicesima fu delirante ma molto, molto dolce. La quindicesima segnò il ritorno del nervosismo, ma stavolta Rory non ruppe nulla, era solo un'agitazione che ribolliva sotto pelle, quasi invisibile, e Rose sapeva che sarebbe stata la loro ultima lezione, perché ormai la scuola stava finendo così come le sue scuse per vederlo. La sedicesima la colse di sorpresa, il giorno prima che uscissero i risultati del semestre, e Rory le comprò un gelato alla fragola. Mentre camminavano per le strade di Londra le disse che il gelato alla fragola era il suo preferito e fu con quelle parole banali che Rose si accorse che di Rory sapeva poco e niente, che nonostante quelle centotrenta ore sparse in quattro mesi non aveva idea del suo secondo nome -se ne aveva uno-, non sapeva quale fosse il suo lavoro, dove abitava, se aveva fratelli o perfino quanti anni avesse. Certo, era giovane, quello era ovvio, ma tutte le cose che sapeva facevano parte di una conoscenza che Rose avrebbe attribuito ad una persona più anziana di lui. Quella sedicesima volta Rose non toccò l'argomento, ma prese la decisione che alla prossima occasione si sarebbe fatta raccontare tutto di Rory Pond. Era così strano sentire di conoscere una persona così bene come Rose sentiva di conoscere Rory, esserne tanto innamorata, eppure non sapere quasi nulla della sua vita.
"Ci vediamo la prossima settimana?" gli chiese con un sorriso abbagliante, pensando ad un futuro pieno di lui.
"Certo, Tyler" le rispose con un sorriso tenue, quasi come se fosse spaventato (e lo era, tanto spaventato, un terrore paralizzante che lo conduceva sempre di nuovo a lei, perché non voleva che finisse, non voleva che finisse tutto, non voleva morire). Rose avrebbe voluto spazzare via tutte le sue paure come lui aveva fatto con lei.
Mentre si allontanava, si girò a guardarlo con un sorriso timido, convinta che (come tutte le altre volte) lui fosse già sparito, invece eccolo lì, le mani in tasca e la fronte aggrottata, a guardarla.
Dopo non si fece vedere per tre mesi, facendola preoccupare a morte.
Poi, di colpo, era già il suo compleanno, tutti venivano a farle gli auguri, tutti pretendevano una fetta di torta, e lui le aveva fatto una sorpresa, con un adorabile mazzo di margheritine di campo stretto nel pugno, e l'aveva invitata a passeggiare con lui.
"Rose, sono qui per dirti addio" annunciò all'improvviso, dopo circa un quarto d'ora, voltandosi verso di lei con le mani nelle tasche.
"Cosa?" sbottò Rose, colta alla sprovvista, ed inciampò nei suoi stessi piedi.
"Parto. Vado via. Molto, molto lontano da qui, e giuro che mi dispiace, mi dispiace tanto, ma è successo qualcosa che mi ha fatto capire quanto sia sbagliato quello che ti sto facendo e voglio dirti addio, per l'ultima volta, e sperare che non accada più, perché non sai quanto tutto questo mi spezzi il cuore, ancora"
"Rory, non... non capisco" sussurrò Rose.
"Non devi capire, infatti" replicò l'altro a bassa voce, gentilmente, "Devo andare via e... Non ti vedrò mai più, suppongo, quindi posso prendermi la libertà di dirti che sei stata fantastica. Assolutamente fantastica"
Rose serrò le labbra, certa che era uno scherzo -uno di quelli pessimi e crudeli di cui nessuno ride mai. Rory non riuscì a trattenersi e posò le mani sulle sue spalle chinando il viso appena appena, fissando i suoi grandi occhi scuri.
"Rose Tyler..." mormorò, guardandola con quella che non poteva definire altrimenti che con ammirazione -il che era assurdo- e capì. Capì che le era stato detto il vero, e le venne voglia di piangere.
"E come farò con la fisica?" -la sua voce era già sul punto di rottura e questo non riusciva a sopportarlo, non quando stava cercando di appigliarsi ad una scusa ridicola, un motivo futile per farlo rimanere- "Non ci hai pensato?"
Rory sorrise -pensò di odiarlo, come poteva sorridere??- e le accarezzò una guancia con gentilezza. Rose non ne poteva più di quella sua gentilezza.
"Ti inventerai qualcosa. Oppure potresti mollare. Diventare una commessa. La mia Rose Tyler, aiutante delle donne in cerca di una gonna ma piene di dubbi" era divertito, santo cielo, "Saresti una grande commessa"
"Rory-" stava per urlargli addosso una marea di insulti, perché non solo le stava spezzando il cuore, ma si stava anche prendendo gioco di lei come se nulla fosse.
"Rose... ci sarà un momento, in futuro, in cui dovrai scegliere se vivere veramente e correre via o lasciarti travolgere dalle quotidianità umane. Ma per ora... per adesso, per i prossimi anni, limitati a fare la commessa. Aiuteresti tua madre, così, sai? Promettimi..."
Rory non riuscì più a continuare, allora la abbracciò stretta e prese un respiro profondo, "Detesto i finali... non immagini quanto, Rose, ma lo faccio per te, sei troppo importante, non sopporterei di lasciarti qui a chiederti se mai-"si interruppe di nuovo e si schiarì la voce, la testa nascosta contro i suoi capelli, e ci fu un momento in cui non fecero altro che piangere l'uno sulla spalla dell'altra, "Speravo che questa volta sarebbe stato più facile per me... Oh, Rose non hai idea... Prometti. Promettimi che... che ti limiterai, che ti limiterai a fare la commessa"
Aveva l'aria di essere così importante per lui che si sentì costretta ad annuire.
"Brava ragazza" borbottò lui e lasciò la presa. Si allontanò di un passo da lei.
Rose singhiozzò -voleva solo tornare tra le sue braccia e lasciarsi cullare. Rory si sporse a lasciarle un bacio sulla fronte, indugiando quel poco in più che bastò a romperla definitivamente.
"Ci si vede, Tyler" brontolò mentre aveva ancora le labbra poggiate sulla sua pelle.
Da quel momento in poi, Rory Pond -o qualunque fosse il suo vero nome- sparì nel nulla e Rose visse la sua vita. Lasciò la scuola, iniziò a uscire con Mickey e a fare la commessa -alla mamma, il suo primo giorno di lavoro, aveva detto che stava mantenendo una promessa, ma non si riferiva a quella che aveva fatto a lei di aiutarla in tutti i modi. Custodì gelosamente il ricordo del suo tutor di fisica, con i papillon, le bretelle e le frasi senza senso, e amò i piccoli particolari che affioravano all'improvviso. La consistenza dei suoi capelli, la sua grande mano dalla presa salda, le tante sfumature di verde nei suoi occhi.
Ma un giorno incontrò un altro uomo -in verità era un po' lo stesso- che aveva una mano grande anche lui, e la sua presa era davvero ferrea, e i suoi occhi erano molto azzurri, che le disse "Corri", e lei fece la sua scelta. Correre.



Grazie per essere arrivati fino a qui, per me è già un traguardo. Commenti positivi, insulti, tutti ben accetti. Booyah.
  
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