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Autore: Chiisana19    19/02/2017    8 recensioni
“Stai ferma, in silenzio, e ascolta il tuo cuore. Quando poi ti parla, alzati e va’ dove lui ti porta”.
Kagome, giovane ragazza che vive tutti i giorni la propria vita, si ritroverà catapultata in un luogo da sempre ritenuto leggendario, con un importante compito da portare a termine. Per farlo, dovrà contare sulla bontà del proprio cuore, fiducia verso nuovi amici e la protezione di un ragazzo dagli occhi color ambra che, diversi anni prima, era protagonista dei suoi sogni, o meglio.. incubi.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Freedom Hearts
 
 

 
Questa è una storia semplice, eppure non è facile raccontarla,
come in una favola c’è dolore,
e come una favola, è piena di meraviglia e di felicità.
Cit. film - La vita è bella
 
 
 

 
Capitolo 1 – La leggenda della Terra di Furi
 

La leggenda parla di Izanagi, fratello e compagno della Dea Izanami, insieme, essi, decisero di creare la leggendaria Terra di Furi, un luogo libero e ricco di pace. Col tempo la Terra di Furi si popolò, e tra questi nacquero i Yamabushi, uomini dotati di grandissima forza spirituale, tanto che assunsero il nome di monaci. Vivevano come eremiti tra le alte montagne e usavano il loro dono per il bene del prossimo, ma col tempo si fecero corrompere dal potere in loro possesso. Divennero egoisti e superbi, inquinando la Terra di Furi con l’odio ed il male.

Per questo motivo Izanagi e Izanami, decisero di inviare sulla Terra di Furi la loro figlia femmina, Dea del Sole, Amaterasu, per riportare la pace che aveva sempre regnato. Grazie alla sua bomtà, Amaterasu si fece rispettare dal popolo e divenne la prima donna Yamabushi mostrando un grande potere spirituale che nessun essere aveva mai posseduto. Per anni, aiutò e servì il popolo, ottenendo così la loro fiducia e devozione. Ma intanto, il fratello maschio, Dio della Luna, Tsukuyomi, divenne invidioso e decise di uccidere i padri fondatori della Terra di Furi e sua sorella.

Però devi sapere che...
 

«Mamma mi passeresti il sale?» la ragazza indicò cortesemente l’oggetto appena richiesto, posto dall’altra parte della tavola apparecchiata, interrompendo così suo nonno.

Questo tossì appena, riprendendo seriamente il discorso «Devi sapere che Amaterasu, poco prima di morire, rivelò una profezia: dopo la sua morte ci sarebbero state cinquanta  delle sue reincarnazioni, nonché, guardiane della famosissima sfera dei quattro spiriti» terminò soddisfatto e ad occhi chiusi, mentre il bambino seduto al suo fianco, lo esaminò con sguardo fanciullesco, finendo di masticare la sua pallina di riso.

«Guarda che non ti sta ascoltando» disse con tono calmo, per poi tornare a mangiare, mentre sua sorella maggiore finiva di versare il sale sul suo piatto.
Alle parole del nipotino, l’uomo aprì gli occhi, trovando la ragazza intenta ad assaporare soddisfatta il proprio pranzo appena condito «Kagome hai sentito quello che ho detto?»

Sentendosi chiamare in causa, Kagome prestò, per la prima volta, attenzione al vecchio, osservandolo annoiata «Si nonno, la conosciamo tutti questa storia» borbottò la nipote, poggiando il mento sul palmo della mano.

«Non è una storia, ma una leggenda! Ed è scritta proprio qui, su questa antichissima pergamena che è sempre rimasta custodita nel tempo Higurashi!» recitò fiero, alzando in aria l’oggetto come se fosse una coppa, e asciugandosi con l’altra una lacrimuccia.

«Papà, posa lontano quell’oggetto, è pieno di polvere! Kagome, togli il gomito dal tavolo» li brontolò amorevolmente la signora Higurashi, poggiando al centro della tavola un piatto ricco di higashi.

«Scusa mamma» la ragazza, accennando un sorriso, fece come richiesto, annusando emozionata i dolcetti dalle forme più strambe, mentre l’uomo, sempre tenendo in aria la pergamena rovinata, aprì la bocca sconvolto.

«Ormai non c’è più rispetto per la saggezza e le persone anziane..» borbottò abbattuto. Il bambino lo guardò, ingoiando l’ennesimo boccone.

«Nonno, non ti stanno ascoltando..» nuovamente, alzò lo sguardo sulla figlia e la nipote, che iniziarono a parlare animatamente.

«Mamma è buonissimo!» esclamò entusiasta Kagome, non appena addentò un dolce a forma di fiore.

«Mi fa piacere tesoro» sorrise la donna, soddisfatta del proprio operato.

Al nonno, non restò che piangere abbattuto da tale insensibilità.

Improvvisamente Kagome posò lo sguardo sull’orologio appeso al muro e per poco non si strozzò «Oh Kami, sono in ritardo! Scusa mamma devo andare!» gridò agitata, alzandosi in piedi e sbattendo contemporaneamente le mani sulla tavola apparecchiata, per poi correre via.

Il nonno e suo fratello Sota saltarono sul posto, spaventati, mentre la signora Higurashi rimase impassibile, sorseggiando tranquillamente il suo tè verde «Kagome ricordati il libro. Oggi scade il prestito» le ricordò.

Una saltellante Kagome riapparve in cucina, con addosso un semplice cappotto rosso scuro e una sola scarpa a coprirle il piede, intenta a mettersi l’altra «Grazie mamma!» esclamò con fatica.

Dopo essersi all’allacciata la scarpa posò un tenero bacio sulla guancia della madre, scosse i capelli al fratello e afferrò un altro dolcetto, portandoselo subito in bocca.

«E a me nulla?» si lamentò il più anziano della famiglia, quando si accorse che Kagome era pronta ad uscire dalla cucina. Questa alzò divertita gli occhi al cielo, e, finendo di masticare il biscotto, lasciò un rumoroso bacio sulla testa del proprio nonno, ormai del tutto priva di capelli, fatta eccezione del codino. Questo sorrise soddisfatto.

«Ci vediamo stasera!» urlò la ragazza uscendo di casa, non prima di aver acciuffato, rischiando di ruzzolare per terra, il libro posto sul tavolino del salotto.

Un venticello primaverile colpì piacevolmente il suo volto bianco, ondeggiandole appena la sua lunga chioma scura, mentre il suo naso percepì chiaramente il buonissimo profumo dei petali appena sbocciati del grande albero che ornava il giardino di casa Higurashi.

Suo nonno aveva detto che quell’albero aveva almeno cinquecento anni, risalente al periodo Sengoku. Quando era piccola non si era mai interessata alla storia, ma soprattutto alle leggende che ogni giorno le profilava quel brontolone..

Con un balzo saltò gli ultimi due scalini della grande scalinata, rischiando di slogarsi una caviglia, e iniziò a correre, tenendo con una mano la lunga sciarpa a motivi floreali che le ornava il collo.

Una volta raggiunto il fondo del viale dovette fermarsi, sia per riprendere fiato, sia per aspettare lo scattare del semaforo per attraversare la strada, dove si trovava un parco. Ogni volta che ci passava, Kagome non poteva fare a meno di trattenere un brivido.

Qualche anno prima aveva ufficializzato a sua madre che la paura era scemata, ma in realtà non era così. Le aveva mentito un po’ perché ormai era grande e avere il timore di un banale parco era ridicolo, un po’ per il semplice fatto che non voleva preoccuparla.

All’età di cinque anni la piccola Kagome iniziò a mostrare i primi sintomi di sonnambulismo. Alla signora Higurashi capitò di svegliarsi diverse volte nel cuore della notte non appena l’urlo isterico di sua figlia le colpiva le orecchie. Dopo un anno decisero di portarla dal pediatra che ipotizzò che la bimba soffriva di semplice sonnambulismo, somministrandole così una serie di farmaci dal sapore disgustoso, da prendere prima di andare a letto.

Ma, poco dopo aver compiuto sei anni, Kagome capì che forse il motivo era ben altro: cattivi sogni. Ricordava ancora quella sensazione di risveglio col cuore in gola, le lacrime agli occhi e il corpo coperto interamente di sudore, ma sua madre quella notte non arrivò, per il semplice fatto che non si mise ad urlare come suo solito.

Da quel giorno fu sempre così. Aveva talmente paura di addormentarsi che una volta provò persino a non dormire, ma fu inutile. Gli incubi non smettevano mai di disturbare il suo sonno e così decise di raccontare tutto a sua madre che, come suo nonno, aveva pensato per un attimo che i farmaci che prendeva funzionassero davvero.

‘Cos’è che sogni tesoro?’ le aveva chiesto amorevolmente sua madre. Bella domanda.. in realtà non lo sapeva neppure lei, l’unica cosa certa era che si trovava in un bosco buio, dove un forte odore di sangue e morte le colpiva le narici, come se fosse realmente lì. E vi erano anche delle persone, mai viste prima.. ma questo non l’aveva mai raccontato a sua madre.

«Signorina è verde» la voce gracchiante, ma allo stesso tempo affettuosa di una signora anziana la risvegliò. Kagome alzò lo sguardo, costatando effettivamente che lei e la donna erano le uniche rimaste ferme sul ciglio della strada.

«Grazie» mormorò, accennando un sorriso riconoscente, mentre la vecchia rispose con un cenno del capo. Kagome iniziò ad attraversare, ma questa volta non si mise a correre perché una leggera fitta colpì il fianco sinistro.

“Sarà la milza.. forse ho esagerato a correre in quel modo” ipotizzò, posando la mano sul punto che continuava a pulsare, ma una volta raggiunto il marciapiede dovette bloccarsi. Gli alti alberi del parco le fecero ombra, mentre un lungo brivido passò lungo la sua schiena fino alla nuca.

Dandosi coraggio riprese a camminare. Era in mostruoso ritardo e passare lungo il parco le avrebbe permesso di risparmiare almeno cinque minuti, ma la paura era più forte di lei. Cercando di non badare al dolore ch continuava a colpirle il fianco riprese a correre, con l’intenzione di raggirare l’intero parco.
 
“Questa volta il signor Hayashi mi licenzierà” pensò nel panico, entrando trafelata dentro il piccolo supermercato. Guardandosi attorno circospetta raggiunse la porta con su scritto ‘divieto d’accesso’, per poi entrare. Con un sospiro poggiò la schiena sull’uscio, asciugandosi col palmo della mano il lieve sudore formatosi sulla fronte. Con passo lento giunse ad un piccolo armadietto grigio, aprendolo con la chiave che teneva in borsa, afferrando il proprio grembiule verde scuro da lavoro.

Dopo esserselo messo si legò i capelli sbarazzini su una coda alta e chiuse l’armadietto, non prima di aver messo dentro la borsa. Soddisfatta aprì la porta, pronta ad un uscire, ma dovette bloccarsi. La figura di un uomo alto quanto lei, ma leggermente più pesante le bloccò l’uscita, mentre teneva le tozze mani sui fianchi e lo sguardo assassino su lei.

“E io che pensavo di essermela cavata..” pensò affranta, pronta a ricevere l’ennesima batosta dal proprio capo.

«Higurashi.. sei in ritardo di quasi mezzora» sottolineò minaccioso e assottigliando i suoi occhietti scuri e vispi. Quando odiava quello sguardo.. non a caso non lo guardava mai negli occhi.

Kagome ingoiò con difficoltà un po’ di saliva, iniziando a torturarsi le mani «Mi dispiace signor Hayashi. Non capiterà più» si giustificò, mormorando dispiaciuta e senza smettere di osservarsi le sue mani, che poverine, cominciavano a diventare rosse a forza di grattarsele con le unghie.

«Questa è la quarta volta in un mese e tu usi sempre la solita scusa! Dovrei licenziarti» sbraitò ostile. A quelle parole Kagome alzò lo sguardo, sgranando gli occhi.

«La prego non succederà più, glielo prometto!» lo pregò, cercando di usare il più possibile un tono deciso.. si certo, peccato che fosse più che altro tremante. Infatti l’uomo alzò un sopracciglio, poi sciolse le mani lungo i fianchi.

«Ultima possibilità, altrimenti ti caccio fuori!» senza cambiare espressione indicò rabbioso dietro di se col pollice, seguito da un gesto col capo «E ora vai a lavoro, cassa tre»

Inchinandosi grata, Kagome tirò un sospiro di sollievo e si allontanò senza dire nulla. Anche quella volta se l’era cavata, ma non poteva rischiare di perdere quel lavoro dannazione!

Stringendosi con entrambe le mani la coda di cavallo leggermente allentata raggiunse la cassa, dove a sedere stava una ragazza intenta a porgere lo scontrino ad una donna di mezza età. 

«Ciao Eri. Grazie di avermi sostituita» sospirò la mora, portandosi una mano sulla fronte e chiudendo gli occhi, mentre la ragazza con i capelli a caschetto si alzò, sorridendole.

«Tranquilla ormai è diventata un’abitudine» scherzò, regalandole una leggera pacca sulla spalla, facendo scappare un sorriso anche a Kagome, che prese posto.

«Comunque vedi di stare più attenta, altrimenti il signor Hayashi ti licenzierà sul serio» la informò in un sussurro, con una mano poggiata al lato della bocca, in modo tale che solo loro potessero sentire cosa aveva appena detto.

Kagome annuì soltanto, afferrando il concetto. Si che lo sapeva.. quel nanetto le aveva dato praticamente un’ultima possibilità! Cercando di non pensarci sorrise alla donna che era appena arrivata con la cesta piena, mentre il bambino al suo fianco continuava a tirarle la maglia.

«Mamma ti prego, posso prendere un cioccolatino?» la implorò, indicando l’oggetto vicino a Kagome, mentre la madre iniziò a poggiare la spesa sul banco scorrevole. Alle parole ingenue del bimbo a Kagome fuggì un sorriso, mentre registrava il prezzo della busta di shirataki sul lettore automatico.

«No tesoro. Ti ho già comprato i gelati» lo rimproverò questa, mentre il bimbo lasciò andare la maglia ed abbassò il capo dispiaciuto. Kagome, a quella visione, si intenerì e dopo aver finito di registrare tutta la spesa prese il cioccolatino che fino in quel momento stava indicando il piccolo.

«Tieni, te lo regalo» le sorrise, porgendolo al bambino che, dopo aver guardato  il cioccolatino, Kagome e poi la madre, che grata annuì, lo accettò entusiasta.

«Grazie signorina» esclamò felice, iniziando a saltellare sotto lo sguardo divertito delle due adulte. Dopo aver pagato e messo tutto in una busta la donna ringraziò ancora Kagome che ricambiò con la mano il saluto dei due. Se il signor Hayashi avesse scoperto che aveva appena offerto qualcosa l’avrebbe messa a pulire tutto il giorno i bagni pubblici.

Era un tipo fissato coi soldi e la perfezione nel lavoro. Certo, poteva capire che arrivare tardi era sbagliato, ma cavolo offrire un piccolo cioccolatino ad un cliente, per lo più un bambino, non c’era nulla di male! Sospirò; detestava quel tipo di persona..

Improvvisamente curvò la schiena e il fiato si mozzò, non appena una nuova fitta al fianco si fece viva “Ma che diavolo..” pensò confusa. Strinse i denti e continuò a lavorare, quando un uomo poggiò sul banco un numero esagerato di bottiglie alcoliche.

“Che giornataccia” pensò, registrando la spesa del cliente, sempre tenendo la mano sulla parte indolenzita.
 

***
 

Quando Kagome uscì dal piccolo market, la tenue luce rossastra del tramonto incantò i suoi occhi. Quella di oggi era stata veramente una giornata stressante. Per tutto il tempo quel fastidioso dolore non era mai scemato, solo da mezzora prima della fine del suo turno, sembrava essere scomparso del tutto.

«Ciao Kagome, ci vediamo domani» la salutò Eri con la mano, iniziando ad incamminarsi, mentre lei ricambiò il gesto avviandosi nella parte opposta rispetto alla collega. Si strinse meglio che poteva la sciarpa, dato che quella sera il vento era leggermente forte e fresco. Eppure il sole aveva scaldato per tutto il tempo la città di Tokyo..

Con molta calma alzò lo sguardo verso l’alto, dove innumerevoli nuvole tinte di rosso ricoprivano il cielo pronto ad oscurarsi. Aveva sempre amato i colori del tramonto. Quando era piccola, esattamente quando cominciarono a presentarsi i suoi attacchi notturni, suo padre decise una sera di portarla su un grattacielo della città, esattamente dove lavorava. Il suo ufficio era maestoso e una grande vetrata gli permetteva di vedere tutta la capitale.

Rimasero lì, in silenzio, a guardare il sole tramontare, mentre pian piano l’oscurità diventava padrone di quello che a lei sembrava un grande mondo, mentre un insieme di luci colorate illuminavano il tutto come un cielo stellato.

‘Vedi Kagome, il buio ci sarà sempre, ma tu puoi sconfiggerlo, proprio come ha fatto Tokyo’

‘Tokyo ha sconfitto il buio? E come?’

‘Con la luce ’

Sorrise, nel momento in cui i suoi ricordi tornarono al suo defunto padre. Quando Sota aveva solo un anno, lui e sua madre si erano separati, per un motivo a lei sconosciuto, e che non aveva mai voluto sapere, e dopo soli due mesi la famiglia Higurashi ricevette la chiamata che annunciava la sua morte.

Quello fu il periodo in cui i brutti sogni divennero più insistenti.. 

«Higurashi!» alzando lo sguardo, Kagome si rese conto di essere arrivata al parco, ma dovette voltarsi dato che qualcuno la stava chiamando.

Un ragazzo dai capelli castani e una mano alzata in aria la stava raggiungendo. Kagome, stressata, accennò un sorriso tirato.

«Ciao Hojo» mormorò, non appena il ragazzo, poco più alto di lei, la raggiunse.

Hojo aveva la sua stessa età e avevano frequentato insieme sia la scuola media che superiore. La sfortuna aveva voluto di beccarselo per tutti gli anni nella stessa classe. Era un ragazzo solare ed educato, peccato che.. fosse peggio di una piattola!

Quando aveva diciassette anni le arrivò la voce, da parte delle sue compagne di classe, della sua cotta per lei e solo in quel momento capì il motivo dei numerosi regali senza senso che le donava. Una volta le aveva portato la zampa imbalsamata di un animale strano, dicendole che portava fortuna.. com’è che l’aveva chiamato? Ah si, kappa!

E dopo cinque anni di rifiuti eccolo ancora lì! Sempre il solito temerario.. possibile che non sapesse farsi una vita?

«Higurashi ti avevo cercato al market, ma tu eri già andata via» spiegò allegro, iniziando a cercare qualcosa dentro lo zaino che teneva sulle spalle.

«Tieni, ho preso questo per te!» esclamò, porgendole a trentadue denti quello che sembrava.. una bambola?

Esitante la prese tra le mani, osservandola con difficoltà «Grazie Hojo, non dovevi» sorrise, appena, cercando di guardare il meno possibile quell’oggetto inquietante. Hojo invece sorrise raggiante, senza neanche accorgersi del suo disagio.

«E’ una musha ningyo*, una bambola portafortuna» spiegò soddisfatto, mentre la ragazza la nascose subito dentro la borsa. Tornata a casa l’avrebbe data a suo nonno, solo lui poteva apprezzare un cosa del genere.

«Sei stato molto gentile» ammise, seriamente. Alla fine Hojo non era un cattivo ragazzo, era solo.. strano? «Comunque mi dispiace, ma devo tornare a casa, devo aiutare mia madre con la cena» utilizzò la prima scusa che le venne in mente.

«Ma certo, però prima volevo chiederti.. beh ecco, ti va di uscire un giorno di questi?»

Sospirò. Lo sapeva, sempre la solita storia.. perché dopo cinque anni Hojo non aveva capito o almeno percepito il suo non interesse nei suoi confronti?
«Mi dispiace Hojo, ma questo mese devo lavorare.. magari un’altra volta»

Perché non gli dici una volta per tutte di lasciarti in pace?

“Perché non è carino..”

Ma così lui non smetterà mai di provarci’

In effetti la vocina della coscienza non aveva tutti torti, ma era più forte di lei.. Hojo era sempre così solare e pieno di speranza che non ce la faceva a trattarlo a pesci in faccia.

Sorridendo Hojo annuì, senza mostrare alcun scoraggiamento «Ci conto. A presto Higurashi!» la salutò con una alzata di mano, per poi andar via, sotto lo sguardo sbigottito dalla ragazza.

“Ma come fa ad essere sempre così allegro?” pensò invidiosa. Improvvisamente il lampione si accese automaticamente, illuminando così il marciapiede in cui si trovava. Solo in quel momento Kagome si rese conto che si era fatto già buio.

“Maledizione dovevo passare in biblioteca!” pensò nel panico.

Beh, infondo non era la prima volta che consegnava in ritardo un libro. Tenerlo un giorno in più non avrebbe ucciso nessuno e poi.. non si sentiva molto bene.

Senza pensarci affrettò il passo per tornare a casa e cercando di non badare ai brividi di terrore provocati dalle chiome degli alberi del parco che si muovevano per colpa del vento.
 
«Sono a casa!» annunciò Kagome, non appena aprì l’uscio di casa, togliendosi le scarpe. Immediatamente vide suo fratello intento a giocare con i videogiochi sul divano, mentre suo nonno, vicino a lui, seguiva la televisione poco interessato.

«Ciao tesoro, com’è andata?» disse sua madre, che sbucò immediatamente dalla cucina, con addosso un grembiule e la guancia sporca di farina.

Kagome alzò le spalle, accennando un sorriso «Come al solito» rispose, aprendo la borsa e afferrando un oggetto «Tieni nonno, questa è per te» disse la ragazza, porgendo all’uomo la bambola che qualche minuto prima le aveva regalato Hojo.

Lui la prese tra le mani, osservandola accigliato «Che oscenità è questa?»

Kagome si portò una mano sulla testa, che, da quando aveva salutato Hojo, aveva cominciato a pulsare, per non parlare del dolore al fianco.. poggiò la borsa sul tavolo, avviandosi verso le scale «Kagome dove vai? La cena è quasi pronta..» la richiamò la signora Higurashi.

La ragazza si fermò non appena salì sul primo scalino, voltandosi verso di lei «Scusa mamma, ma non mi sento molto bene.. preferisco andare a letto» spiegò brevemente, cercando di nascondere il forte malore che stava provando da tutto il giorno.

«Vuoi che ti prepari un tè?» domandò premurosa, avvicinandosi e toccando in una carezza la guancia lievemente pallida e fredda della figlia.

«No tranquilla» negò col capo, sorridendole, per poi salire le scale e raggiungere la camera da letto, non prima di aver percepito il grido fanatico di suo fratello.

«Siii, ho vinto!»

«Nipote ingrato» borbottò il nonno, toccandosi dolorante l’orecchio sinistro.

Kagome chiuse la porta e accese la lampada che stava sul comodino e, senza neanche cambiarsi, si mise sotto le coperte, mentre una serie di brividi colpirono interamente il suo corpo. Se per caso le stava salendo la febbre era un bel guaio.. dopo il ritardo di oggi il signor Hayashi non avrebbe mai accettato un giorno di malattia.

Si mise a pancia in su con difficoltà, osservando senza interesse il soffitto, mentre, piano, piano, il suo corpo cominciò a sudare. Si portò una mano sulla fronte completamente bagnata, stringendo gli occhi.

“Che mi sta succedendo?” si domandò preoccupata.

All'istante un grido rischiò di uscire violento dalla sua gola nel momento in cui il dolore al fianco diventò ancora più intenso. Sembrava che qualcuno la stesse trafiggendo con un coltello. Strinse con forza i pugni e i denti, cercando di trattenere il più possibile quella maledetta sofferenza che l’aveva attanagliata tutto il giorno.

Provò addirittura a mettersi in posizione fetale, ma nulla. La fitta non accennava a diminuire e il sudore le stava completamente bagnando tutto il corpo. Con difficoltà si tolse le coperte di dosso e si mise in piedi, guardando attorno a sé la stanza illuminata unicamente dalla lampada.

Il suo sguardo cadde sullo specchio dell’armadio e senza pensarci si avvicinò, guardando il suo riflesso. I suoi capelli erano spettinati e la sua frangia era attaccata alla fronte. Gli occhi lucidi e il viso bianco come un cencio.

L’ennesima sofferenza la obbligò a piegarsi in avanti, facendole sfuggire stavolta, un lamento. Per fortuna suo nonno teneva la televisione accesa.
Poi rialzò lo sguardo e per poco non sentì il cuore uscirle dal petto.

Dal fianco sinistro proveniva quella che sembrava una luce rosea. Il panico si impossessò di lei; che cosa stava succedendo? Con timore alzò in un tempo che a lei parve infinito, la maglietta chiara scoprendo che quel chiarore proveniva.. da dentro il suo corpo!

Rimase a guardarla a lungo. Il bagliore era talmente intenso che le illuminava addirittura una parte del volto, poi, con timore, decise di avvicinare la mano su quel punto. Nel momento in cui le sue sottili dita sfiorarono la sua pelle la luce divenne ancora più forte, costringendola a chiudere gli occhi.

Poi, tutto divenne buio.
 

***
 

Sbarrò gli occhi.

Questa sensazione.. da quanto tempo non la percepiva? Si guardò attorno, cercando di capire se quanto avvertisse fosse reale, e non frutto della sua immaginazione.

Si, non c’era alcun dubbio. Finalmente, dopo cinquant’anni era finalmente tornata!

Si voltò velocemente alla sua destra, alzando poi il braccio e aprendo la mano, come se stesse cercando di afferrare qualcosa. In quello stesso istante un’ombra minacciosa fece capolino nella stanza oscura.

«Portala da me» mormorò.

L’ombra non se lo fece ripetere e, così com’era arrivata, scomparve, mentre un sorriso sadico e soddisfatto dipinse le fredde labbra dell’uomo. 






Angolo autrice
 
*Musha ningyo: è uno dei tanti oggetti portafortuna giapponesi. Sono praticamente delle bambole guerriero (a me sinceramente fanno abbastanza impressione xD).
Nella mitologia giapponese Izanami (madre delle isole del Giappone) e Izanagi (padre di tutti i Kami) sono due grandi divinità. Loro abbandonarono il Regno del Cielo e stabilirono la loro nuova dimora sulla Terra e dalla loro unione nacquero trentacinque esseri sacri e tre figli nobili. Due di questi sono Amaterasu (Dea del Sole) e Tsukuyomi (Dio della Luna).
(Naturalmente io ho ripreso tutti questi nomi mitologici per creare la trama, ma prima mi sono sentita in dovere di spiegarvi i loro veri “ruoli”).

Ed eccomi qua! Salve a tutti gente, se siete riusciti ad arrivare fin qui, beh.. non so come abbiate fatto, ma ne sono felice! Questa storia mi è uscita un giorno qualsiasi, avevo voglia di scrivere qualcosa con più action e dopo tante letture su Wikipedia e simile mi è uscita ‘sta roba xD (è stato più forte di me, io AMO la mitologia giapponese).
Non ne ho idea se possa piacere o meno, quindi, speriamo! Voglio dedicare questo piccolo inizio alla mia più che conosciuta Beta e amica Miyu87! Mi ha supportato tanto e dato molti consigli; non avrei fatto nulla senza di lei, perciò grazie infinitamente cara
Fatemi sapere se questo piccolo esperimento piaccia, mi farebbe tanto piacere! Statemi bene, un bacione :*
Marty
  
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