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Autore: Ruta    26/02/2017    6 recensioni
Chi è stata davvero sua madre?
Rosamund se lo domanda spesso.
Sa che è esistita una donna e che il suo nome, il nome che aveva scelto per sé, era Mary Watson. Sa che l’ha amata teneramente e che avrebbe dato la vita per proteggerla. In un certo senso l’ha fatto.
Il fatto è che Rosie non sa. Non sa cosa voglia dire avere una madre, non realmente, non nel senso usuale del termine. Non ha avuto la fortuna di conoscere sua madre, ma la realtà di ciò che possiede le rende molto facile fantasticare su quello che avrebbe potuto aggiungersi a quanto ha già.
Genere: Fluff, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Molly Hooper, Rosamund Mary Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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come

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I ricordi battono dentro di me come un secondo cuore.
John Banville

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Passi echeggiano nella memoria,
lungo il corridoio che mai prendemmo,
verso la porta che mai aprimmo, sul giardino delle rose.
T.S. Eliot, Burnt Norton – Quattro quartetti

 

 

 

Come un secondo cuore.

 

(O meglio, aneddoti sulla madre che Rosamund Watson credeva erroneamente di non avere e di come, poi, scoprì di essere stata in torto)

 

 

 

 

 

Dedicata a Jawn Dorian e non serve un perché.

 

 

 

Chi è stata davvero sua madre?
Rosamund se lo domanda spesso.
Sa che è esistita una donna e che il suo nome, il nome che aveva scelto per sé, era Mary Watson. Sa che l’ha amata teneramente e che avrebbe dato la vita per proteggerla. In un certo senso l’ha fatto.
Sa che era temeraria e spiritosa e perspicace e maledettamente intelligente.
“E bella,” aggiunge Sherlock. Davanti alla sua espressione perplessa, lui rotea gli occhi e storce la bocca, agitando le mani di fronte a lui in quel modo concitato che si manifesta quando un particolare lo turba o lo innervosisce e che decreta il carattere spinoso della conversazione che stanno affrontando. “Non che abbia davvero importanza o che l’informazione possieda una qualche rilevanza, ma, come mi è stato spesso fatto notare, la mia opinione in merito alla natura di svariate situazioni è spesso errata. Perciò, Rosamund, ribadirò l’ovvio e celebrerò il superfluo, affermando che tua madre era bella. Per il resto del mondo lo era in modo canonico e noioso, per noi che l’abbiamo conosciuta era bella nell’unico modo che conti.” Lui si allunga per poggiarle l’indice contro la tempia, picchiettando delicatamente. “Qui dentro,” dice e poggia l’altra mano sul suo petto, all’altezza del cuore. “E qui.”

 

*

 

Tra tutti, Molly è quella con cui è più facile parlare di sua madre.
Con Sherlock risulterebbe altrettanto semplice, se non fosse per la sua (poco) sorprendente propensione a tergiversare o, peggio ancora, a fare lunghe digressioni che alla fine li fanno sconfinare dall’argomento iniziale.
Rosamund cerca di evitare il confronto diretto con suo padre perché le sue domande finiscono per trascinarlo in un turbinio di infelicità e depressione che tendenzialmente lo costringe a prendere il giorno libero dal lavoro.
Molly è un terreno fertile e sicuro; non ha mine nascoste al di sotto. Con lei non deve stare attenta a cosa dice o a come lo dice, non deve badare a non mostrarsi troppo interessata. 
“Com’era lei?” Rosamund le chiede una volta, di fronte ad una coppa di gelato - all’amarena per Molly, al pistacchio per sé.
Gli angoli della bocca di Molly si sollevano in un sorriso speciale, che è tipicamente suo. Rosamund non ha idea di come ci riesca, ma in quel sorriso lei riesce a compendiare un’infinità di emozioni contrastanti. Il sorriso di Molly è un’enciclopedia di sentimenti, così come Sherlock è un’enciclopedia e basta.
“Lei era proprio come te.” Braccia incrociate sopra il tavolino, la cortina di capelli che lei si è tagliata di recente e che le incorniciano il volto affaticato. “Stesso sorriso impertinente, stessa sfacciata curiosità, stessa tendenza a ficcanasare nei rapporti altrui,” conclude con uno scintillio machiavellico negli occhi scuri.  
Rosamund prende un’altra cucchiaiata di gelato, fingendo di non capire a cosa si riferisca (tutto sarebbe meno complicato, ricorda di aver pensato mesi addietro, se Sherlock e Molly semplicemente accettassero di notare quello che è già palese a tutti).
“Lei era come te,” Molly ripete e qualcosa nel suo tono, nel modo in cui ha pronunciato le parole, nell’atmosfera che le circonda è improvvisamente, fatalmente diverso da quello di pochi istanti prima. “Brillante e diversa da qualsiasi altra persona io abbia mai conosciuto. Lei era come te, come Sherlock, come tuo padre. Attratta da un certo tipo di vita, dal pericolo, dall’avventura, come una falena sedotta dal richiamo del fuoco. Allo stesso tempo era come me, aveva imparato a sue spese la fragile bellezza di una vita ordinaria e che il prezzo che viverla comporta è sempre più alto di quanto preventivato, ma, oh, se ne vale la pena.”
“Qual è stato il prezzo? Per la mamma, intendo. Che prezzo ha dovuto pagare?” lei chiede, anche se pensa di conoscere già la risposta. La deduce nella trazione delle spalle di Molly, nella tensione delle sue mani, nelle sue sopracciglia corrugate e nel modo in cui ha contratto le labbra.

Non è ovvio, domanda una voce dal retro della sua coscienza e la voce, inutile dirlo, è una riproduzione fedele di quella di Sherlock Holmes. 
Gli occhi di Molly sono pozzi di smisurata tristezza e per una volta non le lanciano il salvagente che potrebbe salvarla dall’annegamento. “Lasciarti,” dice e a Rosamund sembra di affondare nel pantano di tutto ciò che sta provando.
Affonda e affonda finché le mani di Molly si allungano sul tavolo, scansando la coppa di gelato, e afferrano le sue, riportandola a galla, sul pelo dell’acqua.  
“Tua madre era una brava persona,” Molly dice in tono fermo e pressante, ma anche rassicurante. “Era una buona amica, una moglie devota e se le fosse stato possibile sarebbe stata una madre fantastica. Cerca di tenerlo a mente, okay?”
Rosamund ripensa alla raccolta di fotografie che Molly le ha regalato quando era molto piccola, alle immagini che Sherlock conserva sulla memoria di un vecchio cellulare che ogni tanto emette un suono simile a un gemito, al volto radioso della donna nella cornice che suo padre tiene sul comodino e che sorride seraficamente all’obiettivo come il quadro della Gioconda, come se nascondesse un segreto.
Non è certa di capire, forse non sarà mai in grado di farlo, ma la vita è anche questo. Sbagliare e cadere, rialzarsi e scoprire.
Osserva Molly, i fili d’argento nei suoi capelli, le rughe da sorriso intorno alla sua bocca e annuisce, fiduciosa che, se anche fosse questo il caso, ci sarà sempre qualcuno disposto ad ascoltarla, a sbrogliare la sua confusione. “Okay.”     
Molly le stringe la mano un po’ più forte ed è lì, nero su bianco, quello che Rosamund ha cercato per tutta la vita. Non la madre che non ha, ma quella che ha.

 

*

    

Se c’è una cosa che Rosie detesta, più delle acciughe e dell’ipocrisia, è lo sguardo di commiserazione che gli adulti le rivolgono quando scoprono che è orfana di madre.
Non c’è davvero nulla per cui dispiacersi, nulla da compiangere.
Il fatto è che Rosie non sa. Non sa cosa voglia dire avere una madre, non realmente, non nel senso usuale del termine.
Immagina che significhi essere amati incondizionatamente, ricevere quei gesti di calore e affetto e comprensione e indulgenza che ha avuto modo di osservare – non senza invidia, lo ammette - negli scambi privilegiati tra le sue amiche e le rispettive madri, insieme a mille altre emozioni duttili e prive di circoscrizioni e perciò tanto più complicate da distinguere e afferrare.
Rosie non ha avuto la fortuna di conoscere sua madre, ma la realtà di ciò che possiede le rende molto facile fantasticare su quello che avrebbe potuto aggiungersi a quanto ha già.
Il sorriso selettivo di Sherlock, destinato al numero ristretto dei suoi rari riceventi; il suono roco della sua risata quando riesce a farlo divertire con una battuta da umorismo nero o particolarmente mordace; il senso di appartenenza e benessere che contraddistingue i pomeriggi trascorsi nella cucina disordinata del 221B di Baker Street a svolgere compiti ‘di dubbia utilità’ o a fare sperimenti; come si trova a proprio agio davanti a un microscopio o con un becco Bunsen tra le mani; le serate trascorse a declamare Shakespeare di fronte a Billy il Teschio, a leggere Robert Louis Stevenson ed Emilio Salgari, drammaturghi greci come Sofocle ed Eschilo; imparare a spegnere il frastuono del mondo con concerti per violino che l’hanno accompagnata sin dall’infanzia, un sottofondo costante dal retrogusto dolce e pastoso come sciroppo d’acero.     
L’espressione di soffusa dolcezza sul viso di Molly, così forte e coraggiosa e protettiva; la sensazione delle sue mani gentili e meticolose quando le pettinava i capelli e li legava nei buffi codini sbilenchi che lei adorava da bambina; le lunghe sessioni di acquisti sfrenati a Portobello, Brick Lane, Camden e al Rokit, per scoprire come sentirsi a proprio agio con un corpo che cresce e cambia, come amarsi anche quando lo specchio sembra mostrare soltanto difetti e imperfezioni; il secondo mercoledì del mese al Prince Charles Cinema, per sognare ad occhi aperti mondi impossibili, terribili e meravigliosi; le domeniche occupate a infornare dolci, a rubare assaggi dalla cucchiarella, a finire ricoperte da una pioggia di farina e a ridere fino ad avere mal di pancia; le magnifiche sette signore della letteratura inglese, Terry Pratchett  e il lato romantico e triste dietro le grandi storie tragiche e avventurose.      
Il contrasto di chiaroscuri che si rincorre in fondo agli occhi di suo padre quando, credendosi al sicuro e non visto, la osserva di nascosto e cerca nel suo profilo, nel modo in cui si muove, in cui parla, tracce della donna che ha amato e che tuttora gli riempie il cuore. Suo padre che al chiaro di luna, con un whisky tra le mani, parla di lei a un’ombra che nessun altro riesce a vedere; che va all’acquario una volta l’anno e che al suo ritorno piange in silenzio, quando è convinto che lei dorma; che deposita un piccolo bouquet (mughetto, calle, rose bianche, ortensie, nontiscordardimé) sulla tomba di sua madre nel giorno del loro anniversario. Suo padre che le ha insegnato a medicare piccole ferite superficiali e a riconoscere la gravità di una lesione ancora prima che lei imparasse ad allacciarsi le scarpe, il cui abbraccio un tempo ha delimitato la circonferenza e l’ampiezza del suo mondo, ma che non ha mai rappresentato un confine, solo una frontiera da attraversare ogni volta prima di affrontare le sue battaglie personali.
Molly è la pazienza, suo padre è l’impazienza, Sherlock è il compromesso.
Sherlock l’ha accompagnata al poligono di tiro per la prima volta, suo padre le ha comprato una pistola e le ha mostrato come mantenerla in buono stato, Molly l’ha convinta a partecipare a lezioni di autodifesa.
L’orgoglio di un bel voto, di una deduzione corretta, di un’azione altruista.  
La rabbia di una bugia, la punizione della loro delusione e la ricompensa del loro perdono perché ‘sbagliare è umano, Rosamund’.
Il modo unico e speciale in cui pronunciano il suo nome.

Rosamund, dice Sherlock e sembra uno scioglilingua, un incantesimo che scacci via gli spettri del passato che di quando in quando si riaffacciano sulle pendici della sua memoria infinita.
Rosie, dice Molly e nella sua voce c’è l’amore di una donna, dell’unica madre che ha conosciuto.
E poi c’è suo padre. Il suo ‘Rosie’ che è un rimprovero sbuffato quando rincasa con uno scarto di qualche minuto di ritardo e lui è in piedi nell’ingresso, ad aspettarla con il cappotto in mano, il cellulare all’orecchio e con un piede fuori dalla porta di casa, già pronto ad uscire a cercarla e ad allertare l'Ispettore Lestrade; ‘Mary’ per i momenti di maggiore tenerezza.
Definitivamente, Rosie non sa cosa significhi avere una madre, ma la verità, semplice e senza fronzoli e soltanto un po’ dolorosa, è che non sa neppure cosa significhi non averla. L’importanza di un padre e della famiglia che ha, per quanto singolare e non ortodossa, allontana da lei la malinconia di quello che sarebbe potuto essere.
E sua madre è lì, con lei.
In un certo senso le piace credere che sia stata con lei in ogni momento della sua vita.
Rosie sa dove cercarla, dove trovarla.
Mary è nello sguardo intenso di Sherlock, è nel sorriso luminoso e commosso di Molly, nei modi di fare apprensivi di suo padre.
Sua madre sopravvive in loro, oltre che nei loro ricordi, proprio come un secondo cuore che batte all’unisono con i loro, nell’amore che nutrono per lei.  

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