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Autore: Hanji Phi    02/03/2017    12 recensioni
One Shot | [Victuuri - Victor x Yuuri]
La storia partecipa alla [Multifandom] AU challenge su Writer's Wing, prompt 6.
[Estratto dalla storia]
Tornando al dunque. Quel tipo era bello in modo naturale, senza l’ausilio di luci o atmosfere da film, dove il mondo rallentava intorno ad un unico individuo, tutti gli occhi puntati su di lui e sull’immensa perfezione dei suoi abiti, della sua camminata, dei suoi capelli, del suo sorriso -e via dicendo. No, era palese. E Yuuri non riusciva a spiegarsi come avesse fatto a non accorgersene fino a quel momento.
Poteva però distintamente elencare un certo numero di volte in cui determinati eventi o, più frequentemente, pensieri vaghi e imbarazzanti, inammissibili persino nella dimensione privata della sua psiche, avevano contribuito a fissare quel volto nella mente di Yuuri in via definitiva -per nessuna ragione davvero predominante su altre e, allo stesso tempo, per tutta una serie di motivi che, a mente lucida e con un certo distacco, avrebbe probabilmente colto persino lui.
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Mila Babicheva, Victor Nikiforov, Yuri Plisetsky, Yuuko Nishigori, Yuuri Katsuki
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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~Five times Yuuri noticed Victor
                   
and the one time he didn’t.

Non sapeva quando fosse iniziato.
Quando, di preciso, avesse acquisito consapevolezza della presenza di quella persona in particolare, lì, sul treno che condividevano inseguendo ognuno la propria routine.
Di certo attraeva l’attenzione con una certa facilità, con quello strano colore di capelli -non grigio, non platino, ma qualcosa di molto vicino, lunghi e raccolti in una coda all’altezza della nuca, ribaltati contro una spalla, scendevano sinuosamente fino a sfiorargli il fianco-, la pelle chiara, diafana, gli occhi vispi, di un azzurro che faceva invidia al cielo e-
Yuuuuuri, quand’è che ti sei trasformato in un poeta?!
Erano state quelle le parole della sua amica Yuko quando le aveva rivelato quanto fosse difficile non farsi beccare dallo splendido sconosciuto che prendeva la stessa metro, alla stessa ora e in alcuni dei giorni in cui Yuuri ne usufruiva. Non si era offeso davvero per la bonaria presa in giro da parte dell’amica, quasi tre anni più grande di lui e piuttosto intenerita dal primo barlume d’interesse che Yuuri pareva provare nei confronti di qualcosa che non fosse il ballo o i suoi due migliori amici -Phichit non era lì con loro, e aveva scelto di proposito il momento in cui Takeshi non era nei paraggi per dirlo a Yuko, o non avrebbe più visto l’alba di un altro giorno per la vergogna.
Tornando al dunque. Quel tipo era bello in modo naturale, senza l’ausilio di luci o atmosfere da film, dove il mondo rallentava intorno ad un unico individuo, tutti gli occhi puntati su di lui e sull’immensa perfezione dei suoi abiti, della sua camminata, dei suoi capelli, del suo sorriso -e via dicendo. No, era palese. E Yuuri non riusciva a spiegarsi come avesse fatto a non accorgersene fino a quel momento.
Poteva però distintamente elencare un certo numero di volte in cui determinati eventi o, più frequentemente, pensieri vaghi e imbarazzanti, inammissibili persino nella dimensione privata della sua psiche, avevano contribuito a fissare quel volto nella mente di Yuuri in via definitiva -per nessuna ragione davvero predominante su altre e, allo stesso tempo, per tutta una serie di motivi che, a mente lucida e con un certo distacco, avrebbe probabilmente colto persino lui.

La prima volta era stata sicuramente probabilmente il giorno dell’incidente in metro.
Yuuri lo chiamava incidente per via della modalità con cui si erano svolti i fatti, e ancora adesso il pensiero bastava a farlo agitare oltre ogni limite.
Erano le 14:23 di un mercoledì. Quella particolare fermata registrava solitamente un’alta affluenza di adolescenti e universitari, in quanto la frazione urbana che la ospitava vantava la presenza di due scuole medie e superiori e un campus universitario, per non parlare dei diversi uffici, e l’ora di punta non risparmiava nessuno.
Yuuri cercava sempre di velocizzare il passo uscendo da scuola, scendere quanto più rapidamente possibile i gradini che lo separavano dal percorso sotterraneo ed essere tra i primi a posizionarsi davanti alla striscia gialla, così da non dover spintonare troppe persone -cosa che non riusciva mai a fare davvero, Yuko lo accusava spesso di essere troppo riguardoso- per entrare.
Si trovava esattamente dove doveva -dietro la striscia gialla, in attesa che arrivasse la metro. Non avrebbe dovuto impiegarci molto, dato che i treni avevano una frequenza di circa 15 minuti e l’ultimo era passato, secondo la tabella elettronica sospesa a qualche metro da lui, giusto sette minuti prima. All’incirca il tempo che lui aveva impiegato per uscire da scuola e venire lì.
La fermata era già piena di gente e Yuuri non poté impedirsi un sorriso soddisfatto di fronte agli evidenti risultati del suo ingegnoso piano, che gli avrebbe permesso non solo di entrare per primo, ma, se fosse stato davvero fortunato, di trovare persino un posto a sedere. Le piccole conquiste della vita.
Non più di dieci minuti dopo, il treno frenò progressivamente di fronte ai suoi occhi fino a fermarsi. Non appena le porte si aprirono, Yuuri entrò nel vagone e, adocchiando un sedile vuoto, prese posto proprio di fianco alle porte scorrevoli, un fianco premuto contro il lato del vagone, l’altro rivolto alle persone rimaste in piedi intorno a lui. Sospirò, felice di potersi rilassare per il resto del viaggio, e afferrò il telefono per inviare un messaggio a sua madre, così da-
“Aspetta! Fermo, fermo!”
Yuuri lanciò un’occhiata fuori dal finestrino. C’era un ragazzo -senza dubbio un ragazzo, nonostante i lunghissimi capelli che si ritrovava- che correva a perdifiato lungo gli ultimi gradini della scalinata di fronte al suo vagone, tentando di divorare in pochi secondi i metri che lo separavano dalla sua meta.
Non dovette neanche rifletterci su. Si alzò di scattò e si parò di fronte alle porte scorrevoli un attimo prima che quelle iniziassero a chiudersi, dando così il tempo a quel tipo spericolato di bruciare l’ossigeno che gli rimaneva nei polmoni e raggiungere l’entrata del treno, ansimando come se avesse corso una maratona invece che pochi metri. Deve aver corso per un bel po’, pensò. Le porte si chiusero dietro di loro e la familiare sensazione del mezzo che accelerava lungo le rotaie scosse entrambi, ancora in piedi e senza alcun appiglio, verso le maniglie più vicine.
“Uhm, grazie per avermi aiutato!”
Yuuri alzò lo sguardo verso il ragazzo accanto a sé, sorriso radiante, curiosamente a forma di cuore, e occhi timidi ma sinceri, vispi, chiarissimi, come quelli di nessun’altro prima d’ora.

 (A ben pensarci era così ovvio che Yuuri si fosse preso una cotta per lui nell’esatto istante in cui l’altro aveva aperto bocca -o forse anche prima, quando l’aveva visto correre giù per le scale, lunghissimi capelli al vento e un’espressione al culmine della disperazione sul viso. Così tragico, aveva pensato, abbastanza da alzarsi e aiutarlo senza pensarci, come in un film.)

C’era un’aria nervosa, nevrotica intorno a lui, che gli faceva quasi venire voglia di consolarlo e rincuorarlo senza motivo.
“Ah, sì, nessun problema.”
Una replica timida, uno sguardo sfuggente per indicare che sì, l’aveva sentito e sì, apprezzava il suo ringraziamento, ma nulla di più, nulla che aiutasse l’altro ad incalzare una possibile chiacchierata o un semplice scambio di battute.
Yuuri voltò leggermente la testa verso sinistra, per nulla sorpreso quando vide che il sedile da lui fortuitamente occupato qualche minuto prima era stato reclamato da qualcun altro -si trattava di una vecchia signora, e anche volendo Yuuri non avrebbe trovato alcun tipo di soddisfazione nel rivendicarlo.
Il treno frenò all’improvviso -erano già arrivati alla fermata successiva?- e Yuuri perse la presa sulla maniglia, finendo addosso alla persona alla sua destra. Il ragazzo di prima.
Ovviamente, canzonò la sua mente, e arrossì fino alla punta delle orecchie.
“M-mi dispiace,” mormorò appena, ma il sorriso gentile dell’altro e il cenno che fece, come ad indicare che era tutto a posto, lo rincuorò un po’.
“Non fa nulla.”
Per tutta la durata della corsa, Yuuri non smise di lanciare occhiate di sottecchi al ragazzo accanto a sé, sperando ogni volta di non essere scoperto, e si rattristò un po’ quando, dopo svariate fermate, sentì annunciare quella successiva, la sua. Probabilmente non l’avrebbe mai più rivisto.
Quando scese dal treno, le porte si richiusero separandoli definitivamente e Yuuri si sforzò di non voltarsi.

- - -

“Dimmi di più! Non può essere tutto qui!”
“Che vuoi che ti dica, Yuko, sono sceso dal treno e sono andato da Minako, tutto qui. Mia madre si era persino preoccupata perché non l’ho avvisata quando sono uscito da scuola!”
“Awww, che tenero! Eri così preso dal tuo ruolo di eroe metropolitano che ti sei dimenticato di chiamare casa!”
Yuuri grugnì con totale mancanza di eleganza, e se Minako l’avesse sentito probabilmente avrebbe raddoppiato i suoi esercizi -nonostante la donna non fosse esattamente un modello di grazia al di fuori dello studio. Fortuna che era già uscito dall’edificio in cui seguiva le sue lezioni e si stava avviando verso la fermata.
“In ogni caso, è la prima volta che ti sento parlare di qualcuno da… beh, da sempre, credo! Wow, parlare di ragazzi con il tuo migliore amico è il massimo!”
“Se lo dici tu…” borbottò al telefono, arrossendo, nascondendo la parte inferiore del viso contro la sciarpa e pregando che la mano che sosteneva il cellulare non congelasse prima che arrivasse a casa. Non poteva certo dirle che la prima persona per cui Yuuri si fosse preso una cotta era lei.
“Lo dico io!” affermò decisa, e Yuuri non poté trattenersi dal sorridere.
“Sei sicuro che non sia qualcuno della tua scuola?” continuò, facendo tornare sul volto di Yuuri l’espressione corrucciata di poco prima, quando l’argomento della loro chiacchierata era improvvisamente virato sullo strano incontro-scontro di oggi. “Hai detto che non aveva l’aria di essere più piccolo di te, ma potrebbe comunque essere al quarto o quinto anno lì. Magari camminate per gli stessi corridoi e tu non te ne sei mai reso conto! Sarebbe tipico di te! O magari frequenta la nostra università! Terrò un occhio aperto per lui, promesso! Perché non chiedi a Phichit di coprire il suo liceo? Sono sicura che sarà estatico di darci una mano! In tre potremo coprire l’intera zona!”
Yuuri sospirò di fronte all’eccessiva esuberanza dell’amica, incapace di comprendere come l’imbarazzante incidente di quel pomeriggio si fosse trasformato improvvisamente in un incontro a nozze nella mente di Yuko. Non lo conosceva neanche!
Quando si rese conto di essere quasi arrivato alla fermata, la salutò velocemente, chiudendo la telefonata, e affrettò il passo, felice di poter finalmente tornare a casa dopo quella strana giornata. 

~ 

La seconda volta, ahimè, era con Yuko.
La sua amica aveva continuato a tirare fuori la cosa per tutta la settimana, chiedendogli se l’avesse più rivisto o se per caso gli fosse capitato di incrociarlo a scuola. Yuuri aveva risposto negativamente ad entrambe le cose 

(non poteva dirle di averlo intravisto spesso alla fermata, per giorni, come se la presenza del ragazzo fosse improvvisamente diventata un faro da cui Yuuri non poteva più distogliere lo sguardo, e allo stesso tempo non riusciva a fare a meno di chiedersi, se quel faro era stato lì per tutto quel tempo, come avesse fatto a non accorgersene)

tentando di convincerla che non era stato nulla di che e che non doveva darsi tanta pena per lui.

(non le disse neanche di aver cercato su google ‘colpo di fulmine’ per capire se i sintomi universalmente riconosciuti corrispondessero con quel che aveva provato in quei giorni -irrequietezza, improvvise ondate di rossore sulle guance, sudore alle mani, vari gradi d’aspettativa, rassegnazione, negazione, ritrovarsi a costruire castelli per aria, tutto al solo pensiero di parlargli di nuovo, dei suoi occhi gentili, del modo in cui gli aveva sorriso o di come potrebbe essere toccare i suoi capelli-

Yuuri, Yuuri!, hai diciotto anni, non dodici, si era ripetuto ogni volta. Era più facile far finta di nulla e aspettare che quella sensazione andasse via.)

In parte diceva sul serio. A dover essere sincero, Yuuri non si era impegnato poi così tanto per attirare l’attenzione dell’altro -aveva lasciato che fosse la sua immaginazione ad infatuarsi, alimentandola con occhiate sfuggenti e mai ricambiate, permettendo al resto di sé di essere realista.
Sì, aveva lanciato uno sguardo qua e là alla fermata nei giorni successivi, curioso di sapere se il treno delle 14:30 rientrasse nella sua routine o se quello fosse stato un caso (non lo era, come aveva scoperto in quelle due settimane; lo aveva preso spesso a quell’ora, anche se in giornate del tutto casuali). Ma la cosa era finita lì.

Bugiardo.
Ad un certo punto, però, Yuko era stata irremovibile. Diceva di avere trovato un possibile candidato che coincidesse perfettamente con l’identikit fatto da Yuuri, ma che prima di indicarglielo voleva essere sicura. Per questo motivo, la ragazza era riuscita a strappargli la promessa che per almeno una settimana -gliene avrebbe strappata un’altra e un’altra ancora finché non avesse raggiunto il suo scopo, ne era sicuro-, Yuuri l’avrebbe aspettata alla fermata e avrebbero preso il treno insieme. L’accordo sarebbe durato fino a quando non avessero incrociato nuovamente il ragazzo dai capelli argentei. 

(Yuuri aveva accettato alla sola condizione che Yuko non perdesse la testa o attirasse la sua attenzione nell’eventualità in cui se lo ritrovassero davanti, o non si sarebbe dato pace per la vergogna).

E quando accadde sul serio, il martedì a due settimane di distanza dall’incidente -appena due giorni dopo l’accordo con Yuko-, Yuuri non riuscì a frenare la sua estatica amica dall’attirare l’attenzione su di loro.
Erano appena saliti sul treno, pieno come al solito, diretti stavolta verso casa. Lui e Yuko abitavano ad una fermata di distanza l’uno dall’altra, quindi lei sarebbe scesa prima -una volta tanto la metro faceva comodo anche a lei, come aveva voluto puntualizzato. Yuuri lasciò correre e accettò la sua debole scusa.
Non avevano trovato posto a sedere, quindi si erano dovuti accontentare di rimanere in piedi per metà tragitto, quando i vagoni iniziarono finalmente a svuotarsi e il treno a dirigersi verso le zone periferiche dall’altro lato della città.
Si era guardato intorno, cercando di convincersi di non aspettarsi nulla -Yuko l’aveva persuaso ad ispezionare alcuni vagoni quando era stato possibile muoversi, ma invano; forse era uno di quei giorni in cui lui non aveva preso la metro-, ma incapace di farne a meno. E il corpo gli si era irrigidito per intero quando i suoi occhi erano riusciti ad individuarlo, attraverso le porte di vetro trasparente, seduto all’incirca a metà del vagone successivo, circondato da altri passeggeri.
Erano passati giorni (l’ultima volta che l’aveva visto era giovedì).
Aveva gli auricolari alle orecchie e guardava il pavimento del treno, la bocca serrata in una linea dritta -non come se fosse arrabbiato, piuttosto concentrato-, gli occhi chiusi, le palpebre strette con un po’ troppa forza.
Cosa lo stava impegnando tanto da disegnare una simile espressione sul suo viso? Stava ascoltando qualche canzone particolare? Era così bello, anche quando non sorrideva apertamente. L’aria intorno a lui era semplicemente… diversa. Il pensiero di avvicinare 

(uno sconosciuto, in un territorio aperto a qualsiasi variabile, in un contesto che Yuuri non poteva controllare, dinamiche che Yuuri non poteva prevedere, che non avevano il sapore della sicurezza e della familiarità che provava con Yuko o Phichit o la sua famiglia)

una persona simile, così irraggiungibile ed eterea, faceva crescere l’ansia che aveva più o meno imparato a tenere a bada.
Ti stai lasciando trascinare dalla fantasia, si disse. In ogni caso, sarebbe rimasto semplicemente il ragazzo fuori dal comune che avrebbe attratto la sua attenzione di tanto in tanto lungo il tragitto verso casa o lo studio di Minako.
Un altro dei suoi blandi ma potenzialmente distruttivi innocui castelli di sabbia, e l’ennesima dimostrazione della sua incapacità di fare il primo passo con le persone.
Idealizzarle e lasciarle andare era la sua specialità, d’altronde.
Ma Yuko aveva altre idee.
“Ooooh, mi chiedevo perché fossi arrossito di colpo! Avevi lo sguardo perso nel vuoto! E’ lui, vero?” aveva esclamato, sporgendosi e cercando di ottenere un’inquadratura migliore. “Ah, diamine, se solo si spos- oh. Oh! Yuuri, è lui! Sapevo di aver indovinato! E’ Victor Nikiforov, freq-“
Yuuri le si era tuffato addosso, tappandole la bocca e sperando di tutto cuore che qualsiasi cosa l’altro stesse ascoltando, non si fosse accorto di essere stato nominato.
E’ in un altro vagone, non può sentirvi, sta calmo, gli aveva fatto notare quel po’ di logica rimasta in lui.
“Andiamo!”
Si era sentito strattonare, e in un batter d’occhio erano alla porta, poi oltre la soglia, poi a qualche sedile di distanza da lui -come se qualcuno avesse impostato lo zoom nella sua mente senza che lui potesse controllarlo. Il cuore gli batteva alla velocità della luce e avrebbe voluto maledire Yuko, ma allo stesso tempo abbracciarla perché guardarlo quando a separarli c’era solo l’aria era molto meglio che sbirciare attraverso il vetro.
I posti a sedere erano tutti occupati, ma per lo meno le persone in piedi erano poche, e le maniglie quasi tutte disponibili. Yuuri ne aveva scelta una relativamente lontana da lui -Victor, pensò, non era il primo nome che gli sarebbe venuto in mente guardandolo, ma ne apprezzava la musicalità esotica, seriosa, rigida, così lontana dai suoni della sua lingua materna-, abbastanza da non attirare l’attenzione e, allo stesso tempo, poter sbirciare con il minor margine di rischio.
Un sospiro dalla sua sinistra. Si era voltato appena in tempo per vedere l’espressione spazientita di Yuko mutare in una sognante quando il suo sguardo si era poggiato sul ragazzo seduto più in là.
“E’ davvero bello. Ha quel tocco di carisma e fragilità che certe ragazze adorano! Frequenta l’università, come stavo cercando di dirti prima che mi interrompessi. E’ un anno più piccolo di me -e due più grande di te” aveva continuato, per fortuna a voce bassa, senza smettere di fissarlo, e i nervi di Yuuri urlavano alla ragazza di smettere di parlare di lui, come se facendolo rischiasse di evocare il suo sguardo su di loro. Quando Yuko si girò verso l’amico, parte di sé tirò un sospiro di sollievo.
“Se ne parla persino al nostro dipartimento, solo che non lo avevo mai visto dal vivo prima che me lo nominassi tu! Così ho fatto qualche ricerca. I ragazzi a Economia non lo sopportano -dicono che è troppo effemminato-, ma secondo me sono gelosi perché molte ragazze gli vanno dietro! Credo frequenti Lingue.”
Aveva assunto un’espressione pensierosa, rigirandosi in testa riflessioni che Yuuri poteva quasi vedere manifestarsi concretamente.
Le sue labbra si erano piegate in un sorriso riluttante. Yuko poteva non rispecchiare l’ideale di ‘discrezione’, ma la sua lealtà e dedizione verso gli amici erano impareggiabili -Yuuri era onorato di avere un simile legame con lei, e col senno di adesso non l’avrebbe cambiato con nulla di più dell’amicizia che avevano già.
“Parla benissimo Russo, Inglese e Francese, si è trasferito qui dalla Russia dieci anni fa, ha un’ottima media… ed è single! Una rarità per un tipo simile, quindi vedi di affilare gli artigli o perderai la tua occasione!” 

(Yuuri aveva lanciato un’ultima occhiata a Victor, e nella sua mente la sensazione insolita che gli dava scandire quel nome privo di familiarità era affiancata dalla sempre più radicata sicurezza che lì sarebbe rimasto, come una eco di possibilità a cui aveva voltato le spalle.
Aveva rivolto la schiena anche all’immagine reale di quel ragazzo perfetto, e il sorriso sul suo volto, stavolta, era consapevole.)

“Grazie per il consiglio” era tutto ciò che le aveva potuto offrire. 

~ ~

Yuuri aveva sottovalutato la possibilità che la routine di Victor potesse essere più complessa di quanto avesse creduto.
La terza volta erano le 20:57 e il sole era tramontato da un pezzo.
La linea della metropolitana di cui usufruiva aveva orari un po’ diversi rispetto alle altre -le aree che attraversava non erano più molto popolate dopo un certo orario e vi erano altri percorsi che potevano facilmente sostituirla per raggiungere il centro, il che la rendeva inutile-, pertanto Yuuri si apprestava solitamente a salutare Minako e lasciare lo studio verso le 20:30, così arrivare in tempo per la corsa delle 21:05, l’ultima della giornata.
Quando scese dal treno, stanco e affamato come sempre dopo le estenuanti ma soddisfacenti lezioni di ballo con la sua insegnante, la prima cosa che fece fu individuare il nascondiglio più vicino e usarlo per riempire i polmoni dell’ossigeno di cui si erano improvvisamente svuotati.
Lui era lì. Victor.
Era lì, era lì, eralì, eralìeralìeralì
Appena sceso dal treno, svariati vagoni più in là, e nonostante la distanza i suoi capelli e la grazia con cui si muoveva, come se scivolasse sulle piastrelle del pavimento anziché camminarci sopra, lo rendevano inconfondibile agli occhi di Yuuri
che non era assolutamente preparato a quella vista e cosa ci faceva alla fermata ad un orario diverso dal solito non capiva
e che non poté fare a meno di togliersi dal campo visivo dell’altro. Si appiattì contro quella che identificò essere una colonna di pietra abbastanza ampia da impedire all’altro di scorgerlo, palmi delle mani contro il muro ruvido, e cercò di ignorare gli sguardi confusi delle poche persone lì presenti per concentrarsi sulla respirazione.
Sei patetico, Katsuki.
Lo sapeva bene, ma si sentiva troppo consapevole della sua presenza. Se Victor l’avesse guardato, Yuuri ne era certo, avrebbe svelato in un batter d’occhio ciascuno dei pensieri che gli affollavano la mente. Le parole di Yuko del giorno prima bruciavano ancora nella sua mente, e anche Phichit aveva provato a dargli una spinta quando si erano sentiti per telefono la stessa sera (Yuko doveva avergli parlato).
Ma lui era Yuuri. Yuuri e basta. E Victor… 

(è davvero bello.
Ha quel tocco di carisma e fragilità che certe ragazze adorano!
Frequenta l’università
Se ne parla persino al nostro dipartimento!
…molte ragazze gli vanno dietro!
Parla benissimo Russo, Inglese e Francese
…ha un’ottima media… ed è single
…perderai la tua occasione!) 

…Victor doveva passare di lì, dall’altro lato della colonna, per raggiungere le scale, e Yuuri era troppo preso dal suo delirio interiore per rendersi conto che stava venendo nella sua direzione.
Si scostò leggermente, rimanendo nell’ombra del pilastro, aggirandola velocemente quando colse capelli color argento con la coda dell’occhio. Il cuore gli batteva velocissimo, sollevato per aver evitato di incrociarlo inavvertitamente e pentito per lo stesso motivo. 

(vedi di affilare gli artigli)

Forse poteva parlargli. Forse poteva raggiungerlo -lo vedeva ancora, la coda bassa che teneva i capelli lontano dal viso dondolava dolcemente al ritmo dei suoi passi, creando un’unica, elegante figura, luminosa e mozzafiato e perfetta-, poteva andargli dietro, dare qualche colpo leggero alla spalla non coperta dal manico dello zaino, aspettare qualche passo più indietro che si girasse, sorriso sul volto-

(che lo squadrasse da capo a piedi, notando al primo sguardo ogni piccola imperfezione, incrociando i suoi occhi mentre il sorriso di cortesia diventava una smorfia e sondando il suo animo -tetro, difettoso, sinistro, bugiardo, vigliacco, triste, non ne vale la pena, non guardare, non guardarmi, non sono alla tua altezza, basta bastabasta)

Meglio di no.
In ogni caso, poteva già vederlo sparire oltre la porta a vetri. 

(o perderai la tua occasione)

In ogni caso, era meglio così.

~ ~ ~

La quarta volta, era lunedì, Victor non era solo e Yuuri era abbastanza vicino da rischiare di essere scoperto.
C’erano due persone con lui, sul treno -una ragazza e un ragazzo, entrambi, forse, più giovani di Victor.
Non che fino ad allora Yuuri avesse creduto che lui non avesse amici -sarebbe stato impossibile. A detta di Yuko, era circondato da persone con cui sorrideva in continuazione o che lo ammiravano da lontano.
I primi tempi, aveva continuato sul treno la settimana scorsa, parlandogli delle “ricerche” fatte in facoltà, almeno una ragazza alla settimana lo avvicinava chiedendogli di andare a bere un caffè o di uscire insieme, ma lui declinava ogni invito con educazione, dicendo che era troppo preso con lo studio e la carriera sportiva. Non ricordo in quale disciplina, però.
Ma come fai a sapere che non sta con nessuno?, avrebbe voluto chiederle, magari ha rifiutato proprio perché ha già qualcuno. Ma le parole gli si erano bloccate in gola e non avevano voluto saperne di uscire di lì. Era rimasto in silenzio, annuendo di tanto in tanto, chiedendosi se avere orde di persone che ti volevano con sé e reclamavano la tua attenzione equivalesse davvero ad avere tanti amici. A non sentirsi soli.
Yuuri, che viveva in un equilibrio precario tra solitudine e isolamento, non poteva fare a meno di pensarci.

(solo perché tu sei così non significa che lo sia anche lui. Non proiettare il tuo bisogno di essere capito e di stare solo negli altri. Desideri davvero che lui sia miserabile come lo sei tu?)

Victor aveva sicuramente degli amici. Se li aveva lui, non c’era verso che uno come Victor non li avesse.
Ma vederlo interagire con loro, seduto in mezzo ad un ragazzino di non più di sedici anni, capelli biondi che sfioravano il collo e freddi occhi verdi, espressione perennemente irritata in viso, e ad una ragazza con corti capelli rossi, mossi, brillanti occhi azzurri e un sorriso bianchissimo, esuberante, fu la dimostrazione di qualcosa di più che una semplice ovvietà.
Victor era davvero bello quando sorrideva. Affascinante, anche, sicuramente carismatico. Quel tipo di carisma che ti saresti aspettato di trovare nelle persone circondate di attenzioni, che quando mettevano piede da qualche parte sorridevano senza esitazione e ricevevano educati cenni di saluto e attenzioni spontanee, genuine. E che probabilmente, all’apice della loro sinceramente modesta perfezione, meritavano pure.
Ma non era irraggiungibile. Mentre dialogava con i suoi amici, sembrava un po’ meno lontano, un po’ meno fuori portata, meno impossibile, più reale. Somigliava di più al ragazzo che correva a perdifiato giù per le scale della metropolitana, pregando di arrivare in tempo e raggiungere il treno prima che le porte si chiudessero, e meno al ragazzo perfetto descritto da Yuko, a quello bloccato nella mente di Yuuri.
Ciò bastò a riscaldare il suo cuore di qualcosa a cui non sapeva dare nome o forma, molto simile ad un senso di riconoscimento che lo portò a pensare ai suoi migliori amici, Yuko e Phichit -a come lui dovesse apparire in loro compagnia, scialbo e inappropriato, e a come, in quei momenti, non gliene importasse minimamente perché stare con loro era tutto ciò che desiderava e di cui aveva bisogno, e loro, dopo tanti anni, sembravano ancora ricambiare. 

(ma non li avrebbe trattenuti quando avrebbero deciso di lasciarlo indietro, se mai fosse diventato un peso per loro.)

Vedere Victor attraverso quell’ottica gli dava conforto. Nonostante dovesse ancora alzare lo sguardo per osservare di nascosto una persona così tanto più in alto di lui, ne sentiva il calore addosso -il calore della sua umanità, della sua normalità nel suo essere incredibile e pieno di talenti. Era quasi come una fonte di ispirazione; se lo fece bastare.
“Dovresti tagliarti i capelli, Vitya, sono davvero troppo lunghi adesso!”
Yuuri sbirciò verso di loro ancora una volta -non stava origliando, la ragazza aveva semplicemente parlato troppo forte-, cecando di nascondere il fatto che li stesse fissando sistemandosi la sciarpa sulla parte inferiore del viso.
Vitya. Doveva essere un soprannome. Sembra affettuoso, notò, con un tonfo al cuore. Magari quella era la sua ragazza. Mentre Victor era seduto in modo composto, il busto di lei era rivolto verso di lui, leggermente inclinato in avanti, ma non come se volesse attirare la sua attenzione o in modo volgare. Aveva preso una ciocca di capelli e se la stava rigirando tra le mani, guardandola con fare contemplativo. Yuuri si sarebbe sentito a disagio nei confronti di tanta vicinanza -un po’ si sentiva a disagio anche per Victor, che invece si limitò a mettere su una faccia imbronciata, per poi sorriderle senza darle una risposta precisa.
I suoi capelli non hanno nulla che non va! Lascialo in pace!, avrebbe voluto urlare, e si morse la punta della lingua fino a farsi venire le lacrime agli occhi quando si rese conto che era lì lì sul punto di farlo. Strinse le mani a pugno, affondò ancora di più la faccia contro l’indumento caldo e diede loro le spalle con uno scatto.
Avrebbe voluto osservarlo ancora, ma si impose di non farlo -neanche quando sentì la ragazza ridacchiare e Victor tentare di zittirla, insieme ad un grugnito infastidito che ipotizzò venisse dal ragazzo accanto, e per un lungo, terrificante istante pensò di essere stato beccato, che stessero ridendo di lui. Rimase immobile, tentando di sparire, desiderando che il pavimento si aprisse e lo inghiottisse il più velocemente possibile, per sottrarlo a quella catastrofica possibilità.
Per fortuna, pochi minuti dopo il treno si fermò e il trio si avviò verso l’uscita, superandolo mentre passavano. Probabilmente sarebbero andati in centro per passare un pomeriggio fra amici; Yuuri ricordava distintamente di essere sempre sceso prima di Victor, perciò doveva avere una differente destinazione quel giorno.
Meglio così, pensò, sospirando di sollievo, prendendo posto dove prima erano seduti loro. Si poggiò contro lo schienale, abbandonandosi al familiare movimento del mezzo che lo portava a casa. 

~ ~ ~ ~

Due giorno dopo, Victor lo stava guardando.
Non ne era sicuro, non poteva giurarci, non se avesse continuato a mantenere lo sguardo basso per il resto del tragitto, senza mai cedere alla tentazione e controllare almeno una volta.
Ma ne era quasi certo -gli aveva lanciato uno sguardo di sfuggita e si era accorto fissava qualcosa nella direzione in cui si trovava lui. In più, lo sentiva. Così come avvertiva le sue guance colorarsi di una sospetta tonalità di rosso che arrivò fino alle orecchie e giù per il collo. Gli sudavano i palmi delle mani e più volte dovette cambiare la presa sulla maniglia per asciugarle a turno contro i jeans.
La sua corsa durava dieci minuti circa, ma in quel momento parvero estendersi all’infinito davanti ai suoi occhi.

 (se n’è accorto. Visto? Sa che hai una cotta per lui e lo guardi sempre e lo stai infastidendo e adesso verrà qui e dovrai scusarti per essere stato tanto tanto raccapricciante)

Il treno era pieno, e questa volta nessuno dei due aveva trovato posti a sedere. Erano in piedi, relativamente vicini, in un piccolo cerchio di persone costrette in uno spazio limitato per via della confusione. Non si toccavano, né erano direttamente l’uno di fronte all’altro, ma potevano vedersi più o meno chiaramente, con soli due passeggeri a separarli.
Quella fu la quinta volta, e lo paralizzò sul posto come nessun’altra.
Fu investito dalla realizzazione improvvisa di quanto assurdamente cliché dovesse sembrare quella situazione -sebbene situazione sembrasse la parola adatta solo nell’eventualità in cui Victor lo stesse davvero guardando, come se in qualche modo fossero entrambi coinvolti in qualcosa di non-immaginario e reale, altrimenti si sarebbe trattato solo dell’ennesimo fallimento di Yuuri di essere una persona normale.
Parte di sé era chiaramente terrorizzata -non c’era altro motivo per cui Victor potesse volerlo tenere d’occhio se non che si fosse accorto dei suoi sguardi continui e voleva che la smettesse, chiaro e semplice.
Ma l’altra parte… non riuscì a sopprimere quel briciolo di speranza che cambiò la natura dei battiti del suo cuore, non più assordanti tamburi che scandivano l’avanzare dell’inevitabile, ma dolci battiti d’ali impazienti e curiosi.
Non riusciva ad alzare lo sguardo. Non ci riuscì per tutta la durata del percorso.
Quando scese, quella piccola parte ritrovata in sé gli urlò di raccogliere il coraggio che aveva, il rispetto per se stesso e la sicurezza che provava quando danzava o stava con Yuko, Phichit e la sua famiglia -raccolse tutto, e si voltò verso il treno mentre le porte si stavano chiudendo. E attraverso il vetro, esattamente dov’era prima, vide qualcosa che lo mandò del tutto in cortocircuito.
Victor, la mano alzata in movimento a mo’ di saluto, un grosso, luminoso sorriso che gli arrivò agli occhi non appena incrociarono quelli di Yuuri. E sebbene il treno se lo portò via, l’immagine di quel che era successo non sarebbe mai, mai più svanita dalla sua mente. 

~ ~ ~ ~ ~

Yuuri sbadigliò. Muscoli doloranti e pesanti come mai prima di allora lo trascinavano alla deriva di una giornata particolarmente strana e stancante. Victor gli aveva sorriso sul treno dopo essere rimasto a fissarlo potenzialmente per tutti i dieci minuti della corsa, e Minako si era stufata del suo essere continuamente distratto e lo aveva punito con una quantità infinita di esercizi eseguiti fino alla perfezione e ripetuti ancora e ancora fino a raggiungere il medesimo risultato, ragione per cui quel giorno era indolenzito come non si sentiva da tempo.
Sospirò. Se lo meritava e lo sapeva, così come sapeva che quello altro non fosse se non il modo in cui la sua insegnante si preoccupava per lui e gli offriva il suo aiuto -nulla rappresentava una migliore distrazione e consolazione della danza, per Yuuri, e Minako ne era consapevole. Aveva semplicemente fatto sì che Yuuri non pensasse ad altro.
Il ragazzo era sfinito, e fu con passo pesante, distratto, che si diresse alla fermata della metropolitana e attese il treno che l’avrebbe finalmente riportato alla placida, accogliente quiete della sua camera. Non avrebbe potuto chiedere di meglio.
Il treno arrivò puntuale.
Si trascinò oltre le porte scorrevoli e prese posto di fronte ad un uomo in completo da lavoro, una vecchia signora, accanto a due giovani donne e alcuni operai più in là. Nessuno di loro sembrava una grande minaccia, e lui non aveva con sé nulla di troppo prezioso -il suo zaino conteneva i vestiti con cui si esercitava nello studio di Minako, qualche spicciolo e il suo cellulare. L’odore di sudore avrebbe dovuto tenere a bada qualsiasi malintenzionato, pensò, sbadigliando ancora.
E poi avrebbe soltanto chiuso gli occhi. Non si sarebbe mica addormentato.

---

Qualcosa lo stava scuotendo.
Il treno non si era ancora fermato -lo sentiva distintamente correre sotto di sé, la stessa sensazione che lo accompagnava nei piccoli spostamenti di tutti i giorni, in giro per la città. Ma non era quello a farlo dondolare in quel modo insolito, a spingere le sue spalle dolcemente verso lo schienale e poi in avanti, indietro e avanti di nuovo, con un ritmo preciso che però non era abbastanza rude da infastidirlo -ma tanto da renderlo vigile.
Qualcuno lo stava scuotendo.
Yuuri aprì gli occhi, imbarazzato nel constatare che alla fine si era davvero addormentato e che qualcun altro si fosse preso il disturbo di svegliarlo.
Dopo qualche istante, gli si gelò il sangue.
Si tappò la bocca con entrambe le mani quando si rese conto di essere stato sul punto di chiamarlo per nome.
“Mi dispiace svegliarti così, ma il treno è quasi giunto al capolinea” disse Victor, lo sguardo gentile e gli occhi che ridevano di fronte allo spiacevole spettacolo che Yuuri doveva essere in quel momento.
Pensa a qualcosa di intelligente da dire. Subito.
“Come fai a sapere che scendo al capolinea?”
Diamine, Katsuki. Intelligente, non da quinto grado.
L’altro scrollò le spalle, senza perdere quel mezzo sorriso che in qualche modo riusciva ad illuminare il suo volto per intero.
“Ti ho visto lì altre volte. Scendo alla stessa fermata” spiegò, e poi, forse per rendere le cose meno strane, si presentò. “Mi chiamo Victor.”
Lo so.
“Oh. Io sono Yuuri.”
Calò il silenzio, e per un attimo entrambi tennero la testa bassa, senza dire nulla, sfiorandosi con lo sguardo alla ricerca delle parole giuste. Victor se ne stava lì, in piedi di fronte a lui, il busto appena inclinato che indicava chiaramente come, fino a poco prima, fosse rimasto sospeso su di lui nel tentativo di svegliarlo. Sembrava riluttante ad allontanarsi completamente da Yuuri, e al tempo stesso preoccupato di invadere troppo il suo spazio. Teneva una mano in tasca, l’altra sulla maniglia, come se fosse in attesa di qualcosa.
Yuuri era teso come una corda di violino e non osò alzare lo sguardo. La sua mente si era completamente svuotata.
“Uhm, grazie per avermi svegliato. Ero parecchio stanco.”
“Nessun problema.”
Il suo tono era ancora gentile.
Era quello che Yuuri gli aveva detto la prima volta, quando l’aveva aiutato il giorno dell’incidente. Uh. Chiamarlo in quel modo con Victor di fronte a lui lo rendeva nervoso, come se in qualche modo l’altro potesse leggere i suoi pensieri.
“Hai dormito tutto il tempo, ma ho vegliato io su di te, perciò puoi stare tranquillo”, aggiunse, tentando forse di alleggerire l’atmosfera. L’aveva detto con tanta nonchalance che Yuuri ci mise un attimo a registrare il contenuto della frase, e quando lo fece il viso gli scattò verso l’alto, in fiamme, la bocca aperta e lo sguardo sconvolto rivolto verso quello che, tentava di ricordare a se stesso, era pur sempre uno sconosciuto.
 “T-tu hai- io non-“
Victor scoppiò a ridere, un accenno di nervosismo nel movimento delle braccia e nel tremore della sua risata, ma quel po’ di tensione che era rimasta fra di loro parve sciogliersi lentamente in risposta a quel suono, melodioso, denso e al contempo intimo e delicato, come se quella particolare variante fosse riservata solo a lui e-
e stai esagerando. Yuuri non poté fare a meno di arrossire, e per tutt’altro che semplice sconcerto, questa volta.
“Mi dispiace, mi rendo conto di quanto suoni strano, detto in quel modo. Il fatto è che mi hai aiutato più di una volta e volevo in qualche modo ripagare il favore, perciò ti ho lasciato dormire fino all’ultimo e ho tenuto d’occhio il tuo zaino. Sembravi davvero sfinito” spiegò, lentamente, appianando il panico che Yuuri poteva già sentire strisciare su per la gola e appannargli la testa. Respirò profondamente, tentando di scrollarsi di dosso gli ultimi rimasugli di sonno e stanchezza, per poi incrociare nuovamente gli occhi dell’altro mentre il treno frenava verso la sua ultima fermata e tutto intorno a loro cessava di fare rumore.
“Allora ti sono davvero grato. Grazie di nuovo.”
Le guance di Victor si colorarono di un leggero rossore che non sfuggì all’attenzione di Yuuri, il quale prese a torturarsi le pellicine del labbro inferiore -un brutto vizio, Yuko lo rimproverava spesso- e intrecciare e stringere le dita delle mani fra di loro, alzandosi e abbandonando insieme a Victor il vagone vuoto. I due si fermarono poco più avanti rispetto alla linea gialla, non muovendo un passo di più per paura di spezzare quel qualcosa di flebile che, chissà come, si era creato fra di loro sul mezzo da cui erano appena scesi.
Yuuri diede qualche colpo di tosse, ruotando leggermente il busto verso l’altro.
“Hai detto- hai detto che ti ho aiutato più di una volta. Non sono sicuro di capire”, ammise, cercando di ricacciare indietro l’ennesimo cumulo d’ansia che andò raccogliendosi nel suo stomaco.
“Oh” mormorò Victor, e qualcosa, nel suo sguardo e nel suo modo di fissare Yuuri, si spense all’improvviso. “Non ricordi di avermi salvato, l’altra volta, alla fermata-“
“No no! Certo che ricordo!” si affrettò a puntualizzare, alzando e scuotendo le braccia come a cacciar via il malinteso che sembrava essere la causa dell’inaspettato senso di smarrimento che l’altro emanava. Si bloccò all’improvviso e fece un passo indietro, annaspando, tentando di mettere fisicamente spazio tra sé e il fervore con cui aveva appena risposto e sforzandosi di ignorare l’ennesima ondata di calore che assalì il suo viso udendo il verbo che l’altro aveva scelto di usare. L’aveva salvato?
“Qualche settimana fa ho tenuto le porte aperte per farti salire, è a questo che ti riferisci?” chiese timidamente.
A quelle parole, il volto di Victor riprese la sua consueta vitalità. Sembrava sollevato e incredibilmente felice, come se qualcuno gli avesse dato esattamente il regalo che desiderava invece di aver semplicemente fatto riemergere un ricordo condiviso.
“Esatto! Era una delle cose a cui mi riferivo! Quella non è stata l’unica volta, però,” disse, ricevendo un’occhiata sorpresa da parte di Yuuri, “ma non mi aspetto che ricordi! Eri stanco ed era sera, esattamente come adesso, ma hai comunque fatto in modo che le porte non si chiudessero. E’ così che la seconda volta ti ho riconosciuto!”
Parlava velocemente, muovendosi a scatti, e le parole lo animavano in modo insolito, come se stesse comunicando interamente con il suo corpo invece di limitarsi a ciò che gli usciva dalla bocca. Per qualche strana ragione, Yuuri si convinse che nemmeno Victor ne fosse consapevole. Aveva quell’aria di… innocenza, ecco, che glielo faceva credere.
Tenero, pensò, per poi scuotere la testa.
Non ricordava ciò a cui Victor stesse alludendo, e un po’ se ne vergognava, ma il modo in cui ne parlava… quasi come ci fosse stato altro, dopo quella seconda volta...
“Quindi hai tenuto il conto?”
Impallidì immediatamente quando si rese conto di quel che aveva appena detto. Registrò la reazione di Victor in ritardo -quella di chi era stato colto con le mani nel sacco, ma non sembrava sentirsi troppo colpevole. Stava sorridendo, quello stesso mezzo sorriso che gli aveva già visto fare troppo spesso perché il suo cuore potesse reggere.
Yuuri non aveva idea di cosa stesse succedendo. Lui non era così audace e non faceva battute e non faceva arrossire le persone e non aveva idea di cosa stesse succedendo.
“Mi hai beccato.”
L’ammissione fece ridere Yuuri, e Victor si unì presto a lui, senza smettere di guardarlo. Yuuri sistemò la propria sciarpa e si guardò intorno, rendendosi conto che entrambi erano rimasti fermi e che forse era il caso di avviarsi.
“Forse dovremmo, uhm-“
“Sì-“
“Le scale-“
“Sì, le scale, tu dove-“
“Giro a destra, vado avanti di qualche isolato lungo la strada principale.”
“Anche io.” L’ennesimo sorriso abbagliante, e questa volta, insieme alla tensione, Yuuri aveva la sensazione che stesse sciogliendo anche il suo cuore. “Camminiamo insieme, ti va?”
Yuuri annuì.
Il silenzio non pesò più di tanto, stavolta.
Si avviarono verso l’uscita, lasciandosi dietro la metropolitana e svoltando per immettersi nella strada che li avrebbe condotti a casa.
Forse Yuuri si sentiva a suo agio perché era talmente stanco da non riuscire nemmeno a pensare. Dormire in treno aveva aiutato, ma si sentiva ancora frastornato e le gambe non reggevano il suo peso come avrebbero dovuto.
“E’ tutto okay? Posso aiutarti a camminare, se vuoi.”
Voltandosi, Yuuri trovò lo sguardo curioso e divertito di Victor ad attenderlo, per nulla preoccupato di distoglierlo o tentare di guardarlo di sottecchi adesso che avevano in qualche modo instaurato un primo contatto. Victor era sicuramente più bravo di lui in tutta quella faccenda dell’attaccare bottone ed essere di compagnia, e Yuuri sperava solo di non rendersi ridicolo e farlo scappare troppo presto. Ancora un po’, pensò. Va bene volerlo, no?
“Tranquillo, è solo un po’ di stanchezza. La mia insegnante mi ha davvero distrutto, stasera” borbottò, sistemando ancora una volta la sciarpa, in parte per il nervosismo e in parte per il freddo che li aveva accolti una volta scesi dal treno.
“Insegnante?”
Ancora quello sguardo curioso. Yuuri pregò che i lampioni non fossero luminosi abbastanza da mostrare chiaramente la tonalità della sua pelle in quel momento.
“Sì, faccio- faccio danza classica” spiegò, a voce bassa, braccia rigide lungo i fianchi e pugni chiusi.
Non era che Yuuri non fosse abituato ad essere preso in giro per quello, 

(balli? Ma perché? È una cosa da femmine!
Beh, vedi di non smettere, così tieni il grasso sotto controllo.
Oh, ora si spiega perché sei gay!) 

ma, per qualche strana ragione, l’opinione di Victor in quel momento pesava più di qualsiasi altra avesse mai ricevuto in vita sua. Voleva fargli una buona impressione, far crescere, anche se di poco, l’inspiegabile bolla d’interesse che il più grande provava per lui senza farla scoppiare.
Yuuri strinse i pugni e attese.
“Oh! Danza classica? Amazing! Mi piacerebbe ritornare su quei passi, qualche volta, ma i miei allenamenti prendono già più tempo di quanto dovrebbero” mormorò, cambiando espressione mille volte durante quella sorta di scoppio emotivo -sorpresa, meraviglia, ammirazione, invidia, disappunto. Yuuri rimase meravigliato dalla capacità che aveva di mostrare così apertamente il suo stato d’animo. Lo affascinava.
Quando Victor si accorse che l’altro non era più accanto a lui, si voltò e lo scoprì a fissarlo in silenzio. Batté le palpebre una, due volte, inclinando la testa.
“Yuuri?”
Il suono del suo nome fu sufficiente per riportarlo con i piedi per terra.
Si rese conto di essersi fermato lì, in mezzo alla strada, gli occhi ancora puntati sulla figura fino a qualche attimo fa in movimento con il volto corrucciato, le mani in tasca e capelli a vento, legati come al solito.
Imbarazzato, riprese a camminare e lo affiancò nuovamente, a capo chino, la parte inferiore del viso immersa nella sciarpa. Victor lo seguì.
“Scusa, è solo che… uhm, facevi danza anche tu?”
L’altro annuì, gli occhi rivolti al cielo.
“Già. E’ stato solo per qualche anno, quando ero piccolo. Ho capito velocemente che non faceva per me. Ti ammiro molto! Serve davvero tanta dedizione!”, esclamò, puntando il suo sguardo sul profilo di Yuuri.
Il sangue continuava ad andargli alla testa, riscaldandolo al suono di ogni complimento o attenzione e in risposta ad ogni sguardo, e sperò che un possibile capogiro non lo mettese K.O. di fronte a Victor. Sarebbe stato terribilmente imbarazzante svenirgli davanti senza alcun apparente motivo -e la prima volta in cui stavano finalmente parlando, per di più!
“E’ vero”, concordò, “ma è una cosa che adoro. E’ molto utile per la concentrazione e mi calma nelle giornate stressanti” aggiunse, registrando con un certo distacco il modo in cui il suo corpo si stava lentamente rilassando, i pugni non più stretti contro i fianchi.
Con espressione seria, Victor annuì, sorridendo al nulla davanti a sé.
“Capisco cosa intendi. Per me è lo stesso quando pattino.”
“Pattini? Cioè, pratichi pattinaggio? Sul ghiaccio?” domandò con foga, il sonno improvvisamente dimenticato e l’entusiasmo che prendeva a scorrere nelle sue vene in reazione a quella notizia.
Ridendo alla reazione di Yuuri, l’altro annuì nuovamente.
“Esatto. Danzare non mi… rispecchia tanto quanto il pattinaggio, e quando l’ho capito non ho più smesso. E poi cadere milioni di volte ad ogni salto ha temprato il mio carattere!” disse ridendo, finendo per coinvolgere anche Yuuri, e per un attimo tutto parve un po’ più luminoso intorno a loro.
“Parli di salti, ma quando la mia amica Yuko mi ha trascinato su una pista la prima volta, sono caduto semplicemente perché non riuscivo a mantenere l’equilibrio” ammise, ancora preso dall’euforia della loro conversazione, un grosso e poco familiare sorriso a tirargli i muscoli del viso.
Victor lo stava fissando, occhi luminosi e ridenti che diventavano via via più contemplativi. Stava pensando a qualcosa?
“Dovresti venire alla pista dove mi alleno, qualche volta. Potrei insegnarti un paio di cose. Sono sicuro che ti piacerebbe, e con il tuo fisico ti metteresti in pari velocemente!”
L’invito sembrava autentico, il tono di voce con cui gli era stato offerto aperto e sincero, quasi speranzoso.
Yuuri voleva al contempo sprofondare e piangere dalla gioia.
“Uhm, non ti sarei d’impaccio? Hai detto che i tuoi allenamenti sono-“
Ma Victor stava già scuotendo la testa.
“Non dirlo neanche! Tra l’altro ti sto invitando io, non l’avrei fatto se fosse stato un problema.”
Non era sicuro del perché, ma Yuuri si sentiva stranamente commosso.
“Allora va bene.”
Si sorrisero, e non smisero di camminare finché, guardando avanti e prestando finalmente attenzione alla strada che avevano percorso fino a quel momento, entrambi si bloccarono. Avevano di gran lunga superato l’area residenziale, sconfinando nella zona in cui i pochi bar e piccoli negozi del quartiere si trovavano.
Yuuri arrossì fino alla punta dei capelli. Anche Victor sembrava a disagio.
“Uhm… dunque, credo che abbiamo superato il punto in cui avrei dovuto svoltare” ammise il più grande, chiaramente in imbarazzo. Ma tutto ciò che Yuuri provò fu sollievo. Scoppiò a ridere, deliziato quando si rese conto di quanto rosso fosse il volto di Victor.
“Lo stesso vale per me” si affrettò a chiarire, svelando con chiarezza l’ilarità della situazione. Non passò neanche un secondo che Victor si unì a lui, e le loro risa riscaldarono la fredda serata, testimone della loro complicità.

---

Furono costretti a separarsi prima di quando Yuuri fosse disposto a lasciar andare l’altro -non sapeva se il sentimento fosse reciproco, non ne era certo, ma una sempre crescente parte di lui lo sperava ardentemente.
Avevano raggiunto l’incrocio a cui Victor aveva accennato in pochi minuti. Yuuri avrebbe dovuto proseguire un altro po’ prima di girare a sua volta, ma non aveva importanza.
Per un attimo rimasero in piedi l’uno di fronte all’altro, studiandosi in silenzio, e la fastidiosa tensione che all’inizio aveva irrigidito i loro modi e portato cautela nelle battute scambiate sul treno tornò a farsi sentire. Ma il timido sorriso sul volto di Yuuri e l’espressione su quello di Victor -incantata, rapita, assorta, e Yuuri temeva che fosse frutto della propria immaginazione- promettevano qualcosa di buono. Di più, promettevano qualcosa.
Per Yuuri era già abbastanza.
Victor fu il primo a rompere il ghiaccio, ondeggiando sui talloni.
“Grazie per- beh, per la passeggiata? E’ stato divertente parlare con te.”
“Anche per me!” esclamò Yuuri, un po’ troppo rapidamente, tentando di comunicare all’altro quanto davvero avesse apprezzato il tempo passato insieme. In risposta, il sorriso di Victor si allargò, sfacciato.
“Spero di poterlo fare di nuovo. Possiamo!”
Yuuri rise di fronte all’impeto dell’altro, lusingato, per poi fermare le labbra in un sorriso sincero.
“Mi piacerebbe.”
Si scambiarono i numeri di telefono, e la foga con cui Victor condusse lo scambio aveva qualcosa di terribilmente dolce e adorabile, in un modo che Yuuri non aveva previsto. Niente di ciò che aveva immaginato quando aveva iniziato a seguire Victor con lo sguardo sulla metro si era rivelato fedele alle sue ansie e alle sue fantasie, e mai era stato più felice di essersi sbagliato.
Il cuore gli batteva rumorosamente in petto, eccitato e ansioso al tempo stesso, ma le parole che uscirono successivamente dalla bocca dell’altro lo mandarono in un irrefrenabile stato di tachicardia.
“Voglio essere sincero. Avrei voluto avvicinarti prima -sai, per ringraziarti” si premurò di aggiungere, per giustificarsi, senza smettere di agitare le mani o muoversi sul posto sotto lo sguardo stupito di Yuuri. “Ma tenevi sempre la testa bassa e avevo la sensazione che fossi parecchio a disagio in mezzo alla confusione. Ho pensato che se avessi provato a parlarti, essendo uno sconosciuto, avrei peggiorato la situazione. E poi c’è stata una volta, dopo che mi hai aiutato- eri con la tua ragazza-“
Yuuri ci mise un po’ a registrazione il malinteso implicito in quell’affermazione -doveva essere Yuko, non aveva mai preso il treno con nessun’altra-, e scattò come una molla in meno di un secondo.
“Y-Yuko non è la mia ragazza! Siamo amici!”
Victor batté le palpebre un paio di volte, schiudendo le labbra.
“Oh.”
Il sorriso che seguì gli tolse il fiato.
“Io, mh, non volevo insinuare nulla. Sembravate molto affiatati, così ho pensato-“
“Uh, non è un problema, ma non è- non siamo-“
“Certo, certo, non dovevo saltare a conclusione affrettate-“
“Ci conosciamo da tanto, ma siamo amici, nulla di più-“
“Okay, sì, amici. Grande. Magnifico.”
“Amici, sì.” concluse Yuuri.
“Insomma, spero che potremo diventarlo anche noi”, continuò Victor. “Amici. Intendo.”
“Oh” replicò Yuuri. “Amici. Certo.”
Non si era mai sentito tanto felice e in imbarazzo al tempo stesso in tutta la sua vita.
Si salutarono così -Yuuri con un cenno del capo, Victor con quel suo sorriso che avrebbe potuto illuminare qualsiasi cosa nella notte. Si girarono nello stesso istante, prendendo direzione diverse, e nonostante la lontananza crescente Yuuri sentiva un calore piacevole nel petto, accanto al suo cuore.
Era la promessa di qualcosa di più, qualcosa di buono e dolce e felice e ancora fragile che voleva abbracciare con tutto se stesso prima che dubbi, incertezze e la consapevolezza delle sue imperfezioni tornassero a tormentarlo.
Stare con Victor gli aveva dato l’impressione che tutto fosse giusto e normale, come se la sua presenza non fosse imbarazzante o fastidiosa, come se non fosse inadeguato o fuori posto. La sua pelle vibrava ancora dell’energia positiva raccolta, e non come se Yuuri stesse abitando un corpo a lui estraneo. Non voleva lasciare andare quella sensazione.
Per una volta, ottimismo e speranza alimentavano i suoi pensieri, schermandolo contro i suoi demoni.
Per una volta, forse, Yuuri non si sarebbe lasciato sopraffare e avrebbe abbracciato la possibilità di rendersi felice.

Giusto un saluto.
Ay! Chi non muore si rivede! Erano secoli che non pubblicabo qualcosa qui su efp, così ho deciso di aggiornare il mio poverissimo profilo con questa fluffosa one shot Victuuri. La fine del 2016 è stato un intenso periodo di fangirling per me, e mi sono unita a questo fandom non appena ha iniziato a definirsi, attendendo pazientemente settimana dopo settimana, episodio dopo episodio, il completamente di una serie anime che ho amato! Yuuri on Ice è splendido! E spero di aver reso giustizia alla bellezza di questa coppia almeno un po' c:
Baci,
Hanji Phi.

   
 
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