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Autore: Princess_of_Erebor    12/03/2017    18 recensioni
May è una giovane donna che vive nel XXI secolo. Un giorno si ritrova magicamente nella Terra di Mezzo, vedendo così realizzato il suo sogno più grande. Si unirà alla Compagnia dei Nani di Thorin Scudodiquercia e combatterà al loro fianco; vivrà esperienze uniche e incontrerà l'amore della sua vita.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Fili, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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CAPITOLO II

Casa Baggins







Il delicato fruscìo dell’erba profumata che si piegava sotto il peso dei suoi passi, aveva fatto venir voglia a May di togliersi le scarpe da tennis e correre a piedi nudi su per il sentiero che conduceva a Casa Baggins. Era una splendida serata di fine Aprile; il cielo, un maestoso manto scuro puntellato di stelle.
La Contea era un posto incantevole persino di notte, con le lanterne che illuminavano le piccole strade e quelle innumerevoli luci rosse e dorate, che spuntavano dalle finestre tonde delle graziose dimore hobbit scavate in verdi collinette. Regnava un silenzio di pace nell’aria fresca, interrotto solo dal rumore di piatti e posate che giungeva da alcune finestre aperte o dagli usci; una “musica” tipica dell’ora di cena, considerò May. E lei sapeva bene quanto gli hobbit tenessero ai pasti! Dovano essere regolari, frequenti e abbondanti. Sorrise tra sé e sé: “Finalmente un sogno piacevole… Basta incubi sulla Terra di Mezzo!”.
Si rese conto che non stava affatto sognando quando, dopo aver dato due bei colpi – senza pensarci su e senza sapere perché – alla porta rotonda di Casa Baggins, si ritrovò faccia a faccia con Gandalf il Grigio, che non appena la vide inarcò le sopracciglia: “Sei in ritardo”.
Prima che May avesse il tempo di pensare o replicare, era già nel vestibolo; la porta tonda, chiusa alle sue spalle. Lo stregone la fissava coi suoi occhi azzurri e penetranti, che la fecero sentire più piccola di una briciola; egli non proferiva parola, eppure lei lo sentiva. Che strano: era come se Gandalf stesse comunicando col pensiero!
Improvvisamente, May credette di capire: gli incubi, le immagini dolorose e quella voce severa. Realizzò che doveva essere in quel posto, proprio quel giorno… Ma a quale scopo?

La voce de lo hobbit in persona la fece sobbalzare. “Bilbo Baggins, al vostro servizio!”.
Sembrava frastornato e affannato, ma ciò non gli impedì di inchinarsi, con un caldo sorriso stampato sul volto.
May ricambiò l’inchino e il sorriso: “Al vostro servizio e della vostra famiglia!”. Si era accorta di tremare, ma per lo meno aveva il buon senso di mostrarsi educata!

“Sarai infreddolita, mia signora! Lì puoi trovare abiti caldi e puliti. Ci starai un po’ stretta, sai, è roba hobbit (naturalmente era passato al “tu”, il che fece sentire May a suo agio)”. Bilbo indicò una piccola sedia vicino alla porta d’ingresso, ove erano appoggiate giacche, cappotti e altri capi di vestiario.
“Mi perdonerai”, sospirò, “Se non ho di meglio da offrirti… Siamo stati informati del tuo arrivo non più di mezz’ora fa!”.
Siamo? Dunque, Bilbo aveva ospiti! Un vago sospetto si fece strada nella mente di May.

“Ah”, proseguì lo hobbit notando i piedi nudi della giovane ospite, “C’è anche un paio di stivali: credo appartengano ad uno dei nani più giovani, sono stati preparati apposta per te. Coraggio, la cena ti attende!”. Bilbo sorrise di nuovo e May ringraziò.

Mentre lo hobbit si allontanava, la fanciulla fu sopraffatta dall’emozione: aveva appena conosciuto Bilbo!
E nell’altra stanza erano riuniti i nani al completo! Si trovava a Casa Baggins… Che scherzo era mai questo?!
No, tutto ciò non poteva essere reale… Stava ancora sognando, era ovvio! Per accertarsene, non esitò a sollevare con due dita uno spesso strato di pelle dell’avambraccio e stringerlo con tutta la forza che aveva: faceva male!
Dalla sala da pranzo provenivano risate sonore e schiamazzi; May riconobbe le voci dei nani e fu colta dal panico. Non si sentiva pronta ad affrontare tredici paia di occhi fissi su di lei, senza contare quelli di Bilbo e Gandalf… I nani non sapevano nulla sul suo conto, mentre lei conosceva molto o addirittura tutto di loro.
Cosa dire? Come comportarsi?
“Potrei sempre filarmela”, si disse. Sarebbe bastato afferrare la maniglia della porta e fuggire via… Già, ma dove? “Cosa ti viene in mente… May, sei una perfetta idiota!”.

Con indicibile stupore, la giovane si rese conto che il sogno della sua vita si stava magicamente realizzando e provò una paura folle. Si domandava come mai fosse stata catapultata in una realtà immaginaria, benché avesse la netta sensazione che non avrebbe ricevuto alcuna spiegazione da Gandalf, per lo meno non subito. Il suo destino le era ignoto, ma ormai era “in ballo” e doveva ballare. Non intendeva rovinare quel primo incontro con i suoi adorati eroi, perciò tirò un respiro profondo e gettò uno sguardo sulla poltrona.
Si affrettò a scegliere una giacca e raccolse gli stivali: non poteva certo presentarsi scalza o con le scarpe sportive! Il proprietario doveva avere un piede grande il doppio del suo, se non di più, ma per il momento si sarebbe adattata.
Infilò la giacca verde sopra la maglietta e indugiò nell’atrio; il cuore le martellava nel petto e non si sarebbe mossa di un millimetro, se Gandalf non le fosse venuto incontro per condurla nella sala da pranzo. Al suo ingresso, May fu accolta da un silenzio generale: ognuno dei presenti tacque, posando nel piatto la propria porzione di cibo (o ingoiandola intera all’istante, nel caso di Ori) e il proprio boccale di birra sul tavolo, per scrutare la nuova arrivata. Persino Bombur rimase col braccio sospeso a mezz’aria, scordando per un attimo il suo pollo freddo.
Dopo che Gandalf ebbe annunciato la fanciulla, i nani si alzarono in piedi inchinandosi uno dopo l’altro e presentandosi a loro volta… Tutti, tranne Thorin Scudodiquercia. Egli non aveva bisogno di presentarsi. May rivolse un timido sorriso a ciascun nano e un profondo inchino a Thorin, il quale rispose con un lieve cenno del capo.
Bilbo andava e veniva dalla sala da pranzo, borbottando sottovoce; era visibilmente seccato, ma nessuno pareva farci caso.
Il baccano iniziale non tardò a riprendere e May trasse un sospiro: l’attenzione dei nani si era spostata sul cibo, almeno per il momento. Non poteva evitare di sentirsi a disagio, in fondo non è piacevole essere scrutati da cima a fondo in quel modo, specialmente da loro.
Scherzi e scoppi di risa risuonavano tra i commensali, mentre il capo della compagnia consumava il suo pasto in silenzio, seduto a capotavola; egli non ruttava, né gridava, né parlava masticando cibo… Il suo atteggiamento era regale.
Gandalf, seduto accanto a lui, faceva grandi anelli di fumo con la pipa.
La giovane osservava rapita quei personaggi fantastici che ogni giorno, ormai da anni, sognava ad occhi aperti e che finora aveva ammirato solo tramite uno schermo… Era deliziata e una punta di commozione la colse impreparata. In quel mentre, Bofur si alzò per farle posto sulla panca e May sedette tra lui e Dwalin.

“E’ un po’ bassina per essere una donna”, bofonchiò Ori, tracannando il suo terzo boccale di birra da mezzo litro.
“E anche piuttosto magra!”, aggiunse Dori.
“Ve l’aspettavate grassa come Bombur?”, concluse Kili con un ghigno.
Seguì una risata generale. May non era per nulla offesa o infastidita: si sentiva a casa.
Gandalf la guardava di sottecchi: le labbra, curvate in uno scaltro sorriso.

La fanciulla aveva l’impressione di trovarsi in un mondo perfetto: il suo mondo. La Terra di Mezzo le apparteneva da sempre, senza tuttavia poterne far parte; si sentiva come un esiliato che si strugge ogni giorno dal desiderio di rivedere il suo paese natìo. Adesso che era lì, sentiva che niente avrebbe potuto renderla più felice.
Anche se… “No May, adesso non cominciare” si rimproverò, abbassando lo sguardo e giocando nervosamente con le mani. “Non rovinare tutto con le tue sciocche fisse, degne di un’adolescente!”.
Da quando aveva messo piede nella sala da pranzo, ella stava evitando in tutti i modi che i suoi occhi si posassero sull’unico membro della compagnia per il quale aveva un debole: Fili, nipote primogenito di Thorin e fratello maggiore di Kili. Durante le presentazioni, egli si era alzato in piedi subito dopo Balin e gli occhi di May avevano incontrato i suoi, per un attimo; le era mancato il respiro.
In tutta onestà, May non avrebbe saputo dire cosa le piacesse di Fili: se l’indole sensibile, o il suo essere premuroso verso il fratello minore… O ancora la sua innocente caparbietà… C’era purezza nei suoi modi di fare; bontà e dolcezza, nel suo sorriso. Forse era tutto questo insieme, o forse altro. Sapeva soltanto che, se per assurdo avesse potuto scegliere qualcuno da amare nella Terra di Mezzo, sarebbe stato lui.
Seduta alla mensa di Bilbo, May realizzò quanto fosse ridicola la propria infatuazione; rise di sé e alzò lo sguardo. In quell’istante, vide un nano che le porgeva un piatto con formaggio, frutta secca e miele: era Fili.

“Devi perdonarci, mia signora… Noi nani siamo alquanto chiassosi quando sediamo a tavola!” disse, sorridendo gentilmente. “Voglio sperare che questo non smorzi il tuo appetito… Sarai affamata, prendi!”.
May distinse a malapena le parole pronunciate da Fili: i suoi occhi erano fissi su quelli di lui. Oh, quegli occhi! Le ricordavano il blu intenso del mare d’estate e il cielo terso di primavera… E quelle trecce dorate erano raggi di sole accecanti, per occhi non avvezzi alla luce. E quel sorriso... Avrebbe dissipato qualsiasi nuvola di tempesta.
“T-ti ringrazio” balbettò May, afferrando il piatto e arrossendo. Si sentì sprofondare dall’imbarazzo e non riuscì a dire altro.
Fortunatamente per lei, Fili fu distratto da Ori che chiedeva cosa fare del suo piatto.
“Ci penso io, Ori. Dallo a me!”.
Con un’occhiata d’intesa al fratello, il giovane nano improvvisò un balletto lanciando il piatto in direzione di Kili, il quale lo afferrò prontamente intonando il primo verso; Fili cantò il secondo e tutti gli altri si unirono a loro, mentre le posate battevano ritmicamente sul tavolo e i piatti volavano allegramente per la stanza.

Spuntar lame neanche poco
Romper bottiglie e tappi al fuoco
Scheggiar coppe con tutto il resto
Questo Bilbo lo detesta!

May rideva di gusto: quello spettacolo era di un piacere impareggiabile! C’era chi lanciava un piatto e chi lo riprendeva ballando; chi lo faceva scivolare da un capo del tavolo e chi lo recuperava dall’altro; chi lavava e chi asciugava. Il tutto, condito da una frizzante armonia di voci e squisita organizzazione.
Il canto proseguiva tra l’allegria generale e lo sconcerto del povero Bilbo, che tirò un respiro di sollievo solo quando – a canzone terminata – vide le sue amate stoviglie sane e salve.
Poco dopo, Gandalf gli chiese di fare un po’ più di luce e lo hobbit obbedì. Allora i nani sedettero nuovamente attorno al tavolo, assumendo un’aria pensierosa e vagamente inquieta: May capì che era giunto il momento di discutere dei loro piani. Dal lato del tavolo in cui ella sedeva, lanciò una fugace occhiata alla mappa srotolata da Gandalf che conosceva in ogni dettaglio; sentì parlare della Montagna Solitaria, di Smaug il Terribile e della difficoltà nel portare a termine un’impresa che avrebbe richiesto un numero ben maggiore di nani guerrieri. Conoscendo il genere di pericoli che avrebbero presto sfidato, May provò una profonda pena, al punto che avrebbe voluto alzarsi e gridare a tutti di non partire, di tornarsene alle loro dimore sulle Montagne Azzurre e lasciare che la ricchezza del loro popolo restasse sepolta sotto le scaglie del drago.
Ma non poteva. Prima di tutto, essi non sapevano che ella sapeva, a parte Gandalf; inoltre, come avrebbe potuto permettersi di guardare negli occhi il grande Thorin Scudodiquercia e suggerirgli di rinunciare a qualcosa che gli spettava di diritto?

“Saremo pure pochi di numero, ma siamo combattenti! Tutti noi, fino all’ultimo nano!”.

Un pugno deciso battuto sul tavolo scosse May dalle sue riflessioni: la voce era quella di Fili e il suo cuore ebbe un sussulto. Sarebbe diventato un grande Re, se solo… No, non poteva nemmeno pensarci. Le tornò alla mente quel maledetto sogno in cui lo vedeva morire… Un’immagine orribile, che su di lei aveva un effetto simile a quello di una coltellata.
Trattenne le lacrime e si voltò a guardarlo: gli occhi di Fili erano fieri e dolci al tempo stesso. Egli si accorse che lei lo stava osservando e sorrise timidamente. May gli restituì il sorriso, dopodiché – non sapendo da che parte guardare – prese una fetta di formaggio dal piatto e si decise a cenare (o a far finta), benché non avvertisse affatto lo stimolo della fame.
Finché durò il convegno dei nani, May rimase immersa nei propri pensieri. Stava ancora piluccando la cena, quando una voce alla sua destra la fece trasalire.

“Allora, giovane straniera: qual è l’arma da combattimento che preferisci?”.

Thorin aveva preso il posto di Dwalin accanto a lei, sulla panca, e la scrutava con una certa curiosità.
Gli sguardi dei presenti erano tutti puntati sulla fanciulla, ma quello di Thorin era il più penetrante di tutti; impossibile sostenerlo senza sentirsi in soggezione.
May era consapevole del fatto che quanto stava per dire non sarebbe stato gradito, tuttavia le era stata posta una domanda e – volente o nolente – doveva rispondere.

“L’idea di maneggiare una spada non mi dispiace affatto, signore, benché io debba ammettere di non aver mai combattuto in vita mia”.

Thorin corrugò la fronte: “Lo immaginavo”.
May chinò il capo: aveva il viso in fiamme e, per la prima volta quella sera, si sentì fuori posto.

“Gandalf è stato chiaro: avremo bisogno sia della ragazza che del mezzuomo per portare a termine la missione”, intervenne Balin seduto all’altro lato del tavolo, reggendo in mano l’ennesimo boccale di birra.

May sgranò gli occhi: partire in missione? Lei?! Forse avevano inteso male.
Gandalf non aveva minimamente accennato alla cosa. Non che loro due si fossero parlati, in effetti... A proposito, dov’era andato a finire? Lui e Bilbo non erano più nella stanza e May se ne accorgeva solo in quel momento.

“Perciò, caro il mio Thorin, non abbiamo altra scelta che fidarci del nostro stregone… E di lei!”, concluse il Nano dalla barba bianca biforcuta indirizzando un occhiolino a May, che finalmente sorrise.

“Non preoccuparti, zio: posso insegnarle ad usare la spada! E dal momento che lei ha preso in prestito i miei stivali nuovi senza chiedere il permesso, è in debito con me e farà tutto ciò che le ordinerò!”.
La burla di Kili, che in un angolo della stanza fumava tranquillo la sua pipa seduto accanto al fratello, alleviò non di poco la tensione di cui l’aria era satura; il nano rivolse a May un gioviale sorriso rassicurante e lei si sentì davvero in debito con lui.
Le parole di Kili avevano infuso nel suo cuore una strana speranza.

Thorin sembrava messo alle strette. Gettò un’ultima, rapida occhiata alla giovane e sospirò.
“E sia. Dalle il contratto, Balin!”.

Spulciando le prime righe, May notò che era lo stesso tipo di contratto destinato a Bilbo.
“Non sei obbligata a firmarlo”, precisò Balin mentre glielo porgeva, “Né a firmarlo subito. Dormici su, ragazza mia!”.
Con un sorriso bonario il nano si allontanò, seguito da Thorin. May ne approfittò per dirigersi verso l’uscio, col contratto tra le mani: aveva bisogno di pensare. Ma voltato l’angolo del corridoio s’imbatté in Bofur, mentre chiudeva la porta di quello che doveva essere il salotto di Casa Baggins.

“Sai dove sono finiti Bilbo e Gandalf?”, domandò lei.
“Qui dentro. Sono venuto a vedere come sta lo scassinatore”.
“Perché, non si sente bene?”.
“Oh beh, ha avuto un problemino durante la lettura del contratto… E’ svenuto!”.

May si trattenne dal ridere. Sapeva che sarebbe successo, del resto leggere dell’incenerimento da drago sarebbe stato troppo per chiunque.

“Mi dispiace. Si sente meglio, adesso?”.
“Decisamente! Gli ho portato dell’acqua fresca, ora è seduto tranquillo sulla poltrona e sta chiacchierando con Gandalf”.
A May parve di scorgere una certa apprensione nel tono di voce del nano.
“Bofur, va tutto bene?”, azzardò a chiedere.
“Oh, certamente! Suppongo che il mio parlare di fornace con le ali e mucchietto di cenere abbia contribuito al malore del nostro piccolo anfitrione… Mi domando se questo hobbit sia davvero adatto alla missione…”.
“Esiste un solo modo per scoprirlo”.
Bofur annuì dandole un’amichevole pacca sulla spalla, prima di tornare dagli altri.

“E’ proprio un burlone dal cuore tenero”, osservò May.

Si fermò alla fine del corridoio; era sola, finalmente. Aveva appoggiato la schiena contro il muro, pronta a rivedere il contratto, quando un oggetto poco distante catturò la sua attenzione. La riconobbe all’istante: era una delle spade gemelle di Fili, poggiata su un’antica cassapanca di legno insieme ad altre armi. Evidentemente, il giovane nano l’aveva data in custodia al padrone di casa, fino al momento della partenza.
May si inginocchiò per osservarla da vicino; ne sfiorò la lama coi polpastrelli e ne ammirò l’elsa, di ottima fattura nanica. Amava quella spada. E amava il fatto che appartenesse a lui.
Chiuse gli occhi e, con dita tremanti, disegnò i contorni irregolari dell’arma. Vide Fili impugnarne l’elsa; lo vide affondare nel petto del nemico la lama scintillante al sole, spietato e impavido, con la chioma al vento. Ebbe un tuffo al cuore.
Improvvisamente, May sentì destarsi in lei il desiderio di impugnare una spada e avventurarsi sulle alte vette innevate, udire la melodia delle cascate, percepire la voce del vento, attraversare sentieri impervi e visitare paesi sconosciuti.

Lontano su nebbiosi monti gelati
In antri oscuri e desolati

La voce profonda di Thorin che intonava un canto la richiamò alla realtà di Casa Baggins.

Partir dobbiamo, l’alba scortiamo
Per ritrovare gli ori incantati.

I nani presero a cantare, uno dopo l’altro, imitando il loro capo; May tornò sui suoi passi e si fermò sulla soglia del salotto. L’atmosfera era solenne: quelle voci gravi parevano giungere dalle profondità della Montagna Solitaria.
La sua schiena fu percorsa da un brivido e il suo sguardo indugiò su Thorin, in piedi accanto al camino, gli occhi che contemplavano l’oscurità; gli altri formavano un cerchio attorno a lui, chi in piedi, chi seduto. Le candele erano spente, il buio aveva invaso la stanza. L’unica luce era quella del fuoco che, lentamente, andava spegnendosi.

Ruggenti pini sulle vette
Dei venti il pianto nella notte
Il fuoco ardeva, fiamme spargeva
Alberi accesi, torce di luce.






 
  
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