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Autore: Novizia_Ood    14/03/2017    6 recensioni
Sherlock e John si ritrovano a seguire un caso in un locale gay, ma la serata non va esattamente come si aspettavano...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Slipping into the night, love

 

 

“Dove stai andando?”

Erano stati fuori di casa per quasi tutto il giorno - tempo in cui Greg aveva urlato e imprecato più volte sia verso Sherlock sia verso la propria squadra che non faceva esattamente i salti di gioia nel vedere di nuovo il consulente investigativo sulla propria scena del crimine - rientrando miracolosamente solo da un’ora e mezza e adesso lui se ne stava già sull’uscio della porta mentre indossava il suo cappotto, aggiustandosi con entrambe le mani il bavero. La sciarpa blu stretta intorno al collo. I ricci spettinati sulla testa. John lo guardava dalla propria poltrona, in attesa di una risposta. Solo lui era così stanco che non si sarebbe alzato da lì nemmeno a pagarlo? 

“Non ho intenzione di restare ad aspettare un risultato balistico che conosco già. Devo andare sul posto di lavoro di Richard McLeary e saperne di più prima che la polizia cominci gli interrogatori e dica qualcosa che non deve, spaventando i miei testimoni.” John provò a star dietro alle sue parole, ma all’una passata di notte era sicuramente più difficile del solito. Si stropicciò gli occhi con l’indice e il pollice e poi tornò a guardarlo, con quegli occhi pieni di stanchezza, ma mai stanchi di incrociare quelli di Sherlock.

“E devi andarci adesso?” Il suo tono implorava una risposta negativa, perché in caso contrario si sarebbe alzato da lì e l’avrebbe seguito. Ovunque.

“Sì, devo andarci adesso.” Disse infilando i guanti e poi le mani nelle tasche grandi del cappotto. Si voltò nuovamente a guardare l’altro, “Sarò di ritorno tra un’ora… o due! Va’ pure a dormire, John.” Ma lui, al contrario, si alzò dalla sua poltrona e lo raggiunse alla porta, agguantando la propria giacca. 

“Non vai da nessuna parte senza di me.” 

 

Le ultime parole famose, perché vero era che John l’avrebbe seguito ovunque anche solo per il piacere di camminargli accanto o per guardare la sua silhouette da dietro, ma mai avrebbe pensato di arrivare fino a quel punto.

“Un locale gay. Davvero?!” Un sopracciglio era alzato mentre osservava un paio di ragazzi appoggiati al muro mentre ci davano dentro con almeno mezzo metro di lingua, senza minimamente preoccuparsi di tutta l’altra gente che era nei paraggi. 

“Sei stato tu a voler venire con me. Sei ancora in tempo per andare a dormire.” Commentò semplicemente, senza dilungarsi oltre prima di cominciare a mettersi in fila all’entrata. John scosse la testa, ma non riuscì a fare a meno di seguirlo.

Parlando con alcuni ragazzi durante l’attesa prima di entrare, Sherlock scoprì che fosse uno tra i migliori bar conosciuti e anche quello più affollato da come si poteva facilmente notare dalla gente lì ad aspettare da chissà quanto tempo solo per andare a bere un drink e a ballare. Quando la porta si aprì per lasciare uscire alcune ragazze appoggiate l’una all’altra, la musica assordante arrivò alle orecchie di tutti che cominciarono a muoversi a tempo prima che si richiudesse di nuovo, riempiendo l’aria solo di un suono ovattato. John si guardò per un attimo in giro prima di schiarirsi la gola e tornare a guardare il suo compagno che, con la schiena dritta, aveva gli occhi puntati sul buttafuori alla porta.

“Non vorrai fargli delle avance per entrare prima?” Scherzò il dottore, avvicinandosi di più in modo che non lo sentissero troppe persone. Quando Sherlock ricambiò la sua occhiata sembrava parecchio infastidito.

“Con quello lì? Assolutamente no, è chiaramente etero.” Rispose osservando di nuovo attentamente l’ingresso a qualche metro da loro. “Ha fissato la coppia di ragazze appena uscita per buoni quindici secondi, il tempo che sparissero dietro l’angolo insomma, non degnando nemmeno di mezzo sguardo quei due che sono lì ad amoreggiare da almeno un quarto d’ora.” Schioccò la lingua sotto il palato storcendo il naso. “Scommetto che se quelli avvinghiati al muro fossero state due donne, le avrebbe fissate per tutto il tempo dandoci anche tempo per entrare nel locale di nascosto senza problemi. Ah, quanta ipocrisia!” Commentò acidamente alla fine e John si ritrovò ad essere fiero del suo amico, sorridendo. Nonostante non passassero troppo tempo a scambiarsi idee su questioni politiche o sociali, John era sempre stato molto curioso di conoscere alcune sue posizioni, ma non aveva mai avuto il coraggio di chiedere niente di niente. Dopo la prima conversazione seria avvenuta da Angelo il primo giorno in cui si conobbero, John non aveva avuto nessuna intenzione di rimettersi in quella situazione imbarazzante. Dopo un anno di convivenza, comunque, aveva capito da solo che Sherlock fosse single e che non avesse nessun compagno nella vita, nessun amico in particolare. Se non John stesso, che da quel giorno cominciò ad imparare sempre di più a nascondere qualsiasi cosa fosse sbocciata nei confronti del suo partner. 

Si ritrovò a sospirare mentre ancora lo guardava e il sorriso gli morì sulle labbra, lasciando il posto a qualcosa di meno dolce, più amaro e quasi malinconico. Quando spostò lo sguardo su una coppia che era poco più avanti di loro, si ritrovò a corrugare la fronte per il modo in cui quei due lo stavano guardando, così sorridenti ed emozionati. Che lo avessero colto a fissare Sherlock e avessero pensato…? Divenne rosso tutto d’un tratto e scosse la testa, interrompendo il contatto visivo con quei due. 

“C-ci toccherà aspettare un bel po’ in fila allora?” Sputò fuori in un sospiro, incrociando le braccia al petto.

“Non ti facevo così desideroso di entrare, John!” Sherlock sorrise senza però scendere ad incrociare il suo sguardo, ma lasciandolo fisso sulla porta mentre contava le persone che entravano e quelle che uscivano, cercando di fare un calcolo approssimativo sul tempo che ci avrebbero impiegato ad entrare loro due. 

John gli lanciò un’occhiataccia. “Fa un freddo cane qui fuori,” sibilò tra i denti, spostando il peso del corpo prima da un lato e poi dall’altro.

“Pazienza, John. Serve pazienza.” Rispose mordendosi il labbro inferiore. Sulle punte dei piedi stava cercando di contare quanta gente li dividesse dall’ingresso. Non erano troppe, ma non erano nemmeno una decina. Sherlock aveva notato che quella sera non era particolarmente fredda, anzi, ne avevano passate di peggiori durante i casi eppure John non si era mai lamentato. Che fosse stata una frase di circostanza? E perché mai ricorreva ad una cosa simile con lui? Il detective preferì indirizzare le sue capacità deduttive altrove, mentre John provava a scollare lo sguardo dal suo profilo, mentre arrossiva leggermente. Non voleva essere beccato di nuovo a fissarlo.

Sospirò ancora una volta.

Quella sera sarebbe stato più difficile del previsto.

 

 .*.

 

I colori rosso e viola illuminavano quel posto che ora esplodeva di luci psichedeliche con l’aumentare del ritmo della musica a tutto volume. Le orecchie di John ci avevano messo qualche minuto prima di abituarsi a quel frastuono e al buio della sala, rispetto all’esterno. Lui e Sherlock se ne stavano seduti ad uno dei tavoli a bordo pista mentre alcuni camerieri (barra spogliarellisti, aveva notato Sherlock) continuavano a passare e ripassare davanti a loro, lanciando occhiate strane. Il medico ne ricambiò qualcuna, con tanto di fronte corrugata, mentre Sherlock se ne stava seduto sul bordo della sedia - come se fosse pronto a scattare in avanti da un momento all’altro - con ancora il cappotto addosso. Le mani unite tra le gambe leggermente divaricate. Era concentrato.

“Potresti toglierti almeno il cappotto, qui dentro fa un caldo bestiale.” Commentò poggiando da parte il suo giubbotto e poi si appoggiò con i gomiti sul tavolo. “Sherlock?” Lo chiamò inclinando la testa per cercare di incrociare il suo sguardo, ma nemmeno quella volta si girò a guardarlo.

“Vedo che la temperatura è l’unico argomento di cui ti interessa parlare questa sera. Non sono interessato.” Rispose pacato, mentre i suoi occhi scattavano da un volto all’altro delle persone che gli passavano davanti o semplicemente di quelle che erano a ballare a bordo pista. John sospirò di nuovo, questa volta scuotendo la testa e lasciando cadere la conversazione in un silenzio che durò a stento un minuto. “Richard non era fidanzato, né sposato, ma ho ragione di credere che avesse un cliente piuttosto abituale. Uomo, sulla quarantina.” Sherlock parlò, forse spinto da un minuscolo senso di colpa nell’aver zittito il suo amico in quel modo.

Cliente?” Chiese John seguendolo a ruota nel suo parlare. “Ma il locale non è il suo e anche se fosse, qui dentro di clienti ce ne saranno almeno un centinaio.”

“Oh, John, io non parlavo di assidui frequentatori di questo posto che vengono qui per bere o per ballare, piuttosto una tipologia diversa di cliente.” Fece una pausa seguendo qualcuno tra l’ammasso di gente che si era concentrato verso la sorgente di musica. “Era un cameriere qui e tutti i camerieri offrono servigi in più per arrotondare con soldi extra.”

“E tu cosa ne sai?!” Domandò immediatamente, allontanandosi di qualche centimetro dal tavolo. Sherlock percepì la sua sorpresa, accogliendola con un sospiro mentre alzava gli occhi al cielo, infastidito. John non riuscì a capire se fosse più seccato dalla sua incapacità di osservare oppure se lo fosse per l’allusione che gli era sfuggita. 

“Prima di tutto, da quello che noto, vengono assunti come camerieri solo dal metro e settanta in sù, il che coincide con l’altezza della nostra vittima. A parte le cameriere che invece vengono assunte per la formosità. Gli uomini sono alti, dall’aspetto curato e in prevalenza single.” All’improvviso John sentì, anche se solo per un attimo, la propria mascolinità minacciata da tutte quelle belle presenze. Non li aveva ancora veramente osservati per bene, ma ora che Sherlock parlava, stava lasciando che i propri occhi indugiassero un po’ di più su tutti i camerieri che vedeva passare davanti al loro tavolo: c’era un ragazzo alto, più magro degli altri ad occhio, con i capelli castani che sorrideva ad un altro ragazzo, appoggiandosi in modo flirtante al tavolo per parlare; Un altro, dai capelli rossi, stava con un braccio in alto mentre provava a comunicare con il barista per farsi preparare dei drink da portare a qualcuno. “Chiaramente offrono anche servizi di altra natura. Questo e in più potrei aver visto quello lì uscire dalla saletta privata che hanno sul retro. Più di una saletta oserei dire.” Fece spallucce, come se avesse appena concluso di mostrare l’ovvio al suo compagno che ancora faticava propriamente a seguirlo, troppo preso ancora a guardare i giovani che gli passavano davanti. Cavolo se erano belli, forse più di come Sherlock li aveva descritti. Quando però a quel pensiero John tornò con lo sguardo sul suo partner, qualcosa si riscaldò di più al centro del suo petto.

“Posso portarvi qualcosa da bere?” La voce di un cameriere attirò all’improvviso la loro attenzione, facendo voltare allo stesso tempo le loro teste. Era lo stesso ragazzo che era passato davanti al loro tavolo già tre volte, lanciando degli sguardi ambigui.

“No, grazie mille.” Rispose immediatamente Sherlock con un falso sorriso, mentre John spostava gli occhi dall’uno all’altro in silenzio.

“Mi dispiace, ma temo che qui la consumazione sia obbligatoria.” Ribatté l’altro, girandosi tra le mani il vassoio nero. Giustamente, l’ingresso era stato libero e sicuramente non avrebbero lasciato loro la libertà di restare lì seduti a non fare nulla.

“John?” Chiamò Sherlock e lui incrociò immediatamente il suo sguardo mentre pensava alla sua ordinazione.

“È possibile avere del whisky?” 

“Certo.” Rispose il ragazzo senza nemmeno segnare l’ordinazione.

“Con più ghiaccio possibile, grazie.” Aggiunse. Certo una persona che andava lì per ubriacarsi il ghiaccio avrebbe cercato di toglierlo del tutto, un whisky liscio era il minimo, ma John non era partito proprio con l’intenzione di perdere la testa quella notte. 

“Per te invece?” Chiese rivolgendosi a Sherlock e lui lo guardò prima per qualche secondo e poi rispose, “qualsiasi cosa. Scegli tu.” E a quel punto l’altro sorrise. Un sorriso fastidioso, almeno a detta di John che continuava a guardarli. 

“Perfetto, torno subito.” Poi svanì tra la folla. 

“Stavi flirtando con lui di proposito per caso?” Domandò guardandolo mentre cercava di tenere a bada la sorpresa. 

“John sono sorpreso che tu possa pensare una cosa del genere. Non ho assolutamente nessuna capacità di flirtare, non so come si fa e mi sorprende che tu possa anche solo azzardarti a credere che io abbia una stanza qui dentro - disse indicandosi la testa - in cui siano memorizzate certe… usanze.

“Beh per uno che non lo sa fare, ti veniva parecchio naturale.” Rispose più a bassa voce, tanto che Sherlock nemmeno riuscì a sentirlo, limitandosi a lanciargli un’occhiata torva. 


Dopo qualche minuto il ragazzo era tornato con un whisky liscio e … un Gimlet?

“Ecco a voi. Spero di aver fatto la scelta giusta per il tuo. Mi sono mantenuto sulle origini inglesi… va bene?” Si rivolse solo a Sherlock, posando l’altro bicchiere davanti a John, ma senza nemmeno degnarlo di uno sguardo. Chiaro, il detective intelligente flirtava accidentalmente e lui veniva snobbato in quel modo. Non sapeva se ritenersi offeso o sollevato. 

“Ti ringrazio, va benissimo.” 

“Se ti serve qualsiasi altra cosa, chiedi pure.” Lasciò il tavolo solo dopo aver salutato Sherlock con un occhiolino, al quale lui rispose con un sorriso tirato. Eppure non sembrava imbarazzato. Che fosse tranquillamente a suo agio? John lo osservò per qualche secondo di troppo, poi osservò il suo bicchiere. 

Quella sarebbe stata una notte ancora più lunga di quella che credeva. 

Dopo solo un paio di sorsi, qualcun altro si avvicinò al loro tavolo. Sempre dal lato di Sherlock, possibile? La cosa stava cominciando ad essere irritante per John che sembrava essere solo un altro oggetto in quel piccolo spazio vitale.

“Ti ho visto dall’altro lato del locale… mi stavi forse guardando?” Chiese l’uomo, poggiando una mano sul séparé dietro la sedia di Sherlock, mentre con un sorriso bianchissimo provava forse ad accecarlo o ammaliarlo. John non era sicuro quale delle due, così, nell’imbarazzo e nel fastidio, buttò giù un sorso di whisky.

Quando Sherlock alzò lo sguardo sull’uomo, con il corpo rimase perfettamente immobile mentre la sua ordinazione se ne stava ancora ferma sul tavolo, intoccata. 

“Come?” Domandò come se non avesse capito la domanda e l’uomo si mosse un po’ sul posto, ora una mano l’aveva portata nella tasca del jeans.

“Mi chiedevo se mi stessi guardando. Hey, va benissimo, perché ti avevo notato anche io!” Rise come se avesse fatto una battuta divertente. Peccato che non fosse nemmeno propriamente una battuta, ma un pessimo tentativo di abbordaggio. John lo aveva visto, Sherlock stava passando in rassegna tutta la pista da ballo da almeno cinque minuti e non aveva degnato nemmeno di uno sguardo l’altro lato della sala di cui quel tale parlava. A quel punto Sherlock sorrise all’uomo e nel cervello di John, per un attimo, passò l’idea che forse sarebbe stato capace di mollarlo lì per andarsene con qualcun altro.

Ma poi lo sentì parlare.

“Pensi davvero che io possa cadere ai tuoi piedi con questa mossa idiota?” Rise non troppo di gusto. E lo sguardo dell’altro s’incupì appena mentre il suo corpo si irrigidiva sotto il colpo del chiaro due di picche. “E non potrebbe mai funzionare tra noi. Malgrado il cliché, mi dispiace dirlo ma non sono io, sei tu.” Gli sorrise prima di vederlo allontanarsi senza rivolgergli più mezza parola né uno sguardo. Doveva essere rimasto veramente molto scottato!

“Beh, è stato decisamente molto imbarazzante!” John stava provando a non ridere, davvero, si era anche portato subito il bicchiere alle labbra, ma il liquido era entrato nella sua bocca attraverso un sorriso, non poteva negarlo.

“Fa’ finta di essere il mio appuntamento.” Gli disse Sherlock avvicinando un po’ di più la sedia verso l’interno e verso John. Così magari la gente avrebbe smesso di avvicinarsi in quella maniera a lui, dandogli il tempo di fare attenzione nell’individuare il cliente abituale di Richard e magari avrebbe potuto raggiungerlo per farci due chiacchiere informali.

“Oh non finirà bene. Questa sera decisamente non finirà bene.” Commentò John tra sé e sé, buttando giù un altro sorso più lungo.

“Sono quasi le due e di lui non c’è traccia. Sarà venuto qui tutti i giorni nelle ultime settimane, almeno quattro volte a settimana e proprio questa sera non si presenta? Non farmi rivedere la mia teoria, avanti. Non sei stato tu, ma ho bisogno di trovarti…” Sherlock ormai parlava da solo mentre continuava a guardare davanti a sé. “Di cos’hai paura?” Continuò muovendosi un po’ a destra e a sinistra, quando dopo un’altra decina di minuti videro un’altra persona avvicinarsi al loro tavolo. John alzò gli occhi al cielo prima di bere ancora, già sapeva di dover fare da candelabro ancora una volta, ma quando quel ragazzo si avvicinò, non era esattamente a Sherlock che aveva puntato.

“Ciao, siete nuovi di qui?” Domandò guardando John, mentre l’altro non si mosse nemmeno di una virgola, come se non avesse notato che c’era un’altra persona tra loro.

“Beh, sì. Prima volta.” Rispose John sbrigativo. Non era capace di far defilare quel tizio con la stessa maestria che aveva avuto Sherlock prima. Era semplicemente una persona più gentile lui, per quanto fosse stato infastidito da quel tipo di approccio, nemmeno poteva stupirsi visto il posto in cui le indagini lo avevano trascinato. No, Sherlock lo aveva trascinato. No, lui aveva voluto seguirlo per forza. Di chi era la colpa?

Il ragazzo lanciò un’occhiata al detective e poi sorrise nel vederlo così totalmente assente.

“Qualcosa mi dice che non ti riserva le attenzioni che dovrebbe, dico bene?” Disse con una risatina e un bel sorriso. Non era molto alto, probabilmente era della sua stessa statura, ma gli occhi erano gentili e castani. Niente a che vedere con quelli chiari di Sherlock, sicuramente. John non gli rispose, limitandosi a spostare per un attimo lo sguardo prima di trovare le parole. “Se è il primo appuntamento, puoi ancora recuperare e giocare d’anticipo. Se ti alzi da qui credo proprio che non se ne accorgerebbe nemmeno.” E chiaramente non aveva idea di cosa stesse dicendo, perché rapporto amoroso o no, Sherlock se ne sarebbe accorto eccome se si fosse permesso di seguire quell’uomo ovunque volesse.

“Beh-” cominciò, ma venendo interrotto immediatamente dalla voce profonda del suo partner.

“È veramente un peccato che nessuno abbia chiesto il tuo parere. Non trovi?” E fu la seconda volta nella serata che John dovette trattenersi dallo scoppiare a ridere. Il suo atteggiamento era sempre stato quello, lui non si era illuso nemmeno per un istante che potesse essere frutto della sua possibile gelosia, ma chissà perché applicato in quel contesto aveva un non sapeva che di esilarante. Dall’altro lato però John riconosceva il suo tono seccato, una spanna più sopra rispetto a quello che riservava ad Anderson quando non lo lasciava libero di fare il suo lavoro. 

“Allora parli!” Esclamò l’uomo, posandosi una mano sul fianco e guardandolo. 

“Solo quando le conversazioni sono interessanti, ecco perché sono stato zitto.” Nel guardare quello scambio di battute, solo una cosa passò nella mente di John che non faceva che spostare lo sguardo da uno all’altro: sono troppo sobrio per questo. Poi mandò giù un altro sorso.

“Ti ringrazio di… qualsiasi cosa. Ma stiamo benissimo così.” S’intromise John sorridendo al terzo incomodo. Quello lo guardò un po’ triste prima di far schioccare le labbra.

“Se cambi idea, sono nei paraggi.” Disse in fine prima di allontanarsi.

“L’uomo di Richard dev’essere per forza un cliente abitudinario.” Sherlock parlò subito dopo, come se non avesse nemmeno notato che l’altro se n’era andato.

“Perché?”

“Non vedi come trattano i nuovi arrivati? Si stanno lanciando su di noi come avvoltoi intorno ad un pezzo di carne.” Fece una pausa sospirando. “Siamo carne fresca, John.” 

A quelle parole il dottore si sentì attraversato da una scarica elettrica. Quelle parole sulle labbra di Sherlock gli avevano fatto un certo effetto… e quando guardò il bicchiere mezzo vuoto comprese perché. Si stropicciò gli occhi e poi gettò uno sguardo al drink di Sherlock. Non aveva bevuto nemmeno un sorso.

“Non bevi?”Chiese indicando con il mento il suo bicchiere.

“Sto lavorando.” Commentò secco.

“Beh io sto bevendo.”

“Chiaramente non stai usando il cervello quanto me.” Rispose incrociando il suo sguardo, come se avesse detto la cosa più normale e gentile di questo mondo. John sbuffò dal naso.

“Sappiamo entrambi che a pagare sarò io, quindi il minimo che tu possa fare è buttare giù quel drink. Non sprecherò sterline a vuoto.” Disse con voce un po’ trascinata, prima di prendere un altro sorso. Ma quanto whisky ci aveva messo lì dentro? 

“John-”

Bevi quel dannato drink!” Gli intimò alzando appena la voce e indicando il bicchiere. Sherlock lo guardò negli occhi, puoi osservò il liquido e poi di nuovo John. All’improvviso afferrò la sua ordinazione e, senza nemmeno prendere un respiro, lo buttò giù tutto d’un sorso.

“Sei contento? Ora posso tornare a lavorare?” I suoi occhi tornarono sulla sala, ma quelli di John erano bloccati sul bicchiere vuoto. Lo aveva bevuto tutto d’un sorso? Era impazzito? Probabilmente la sua voglia di sbrigarsela non gli aveva fatto riflettere troppo sul da farsi. Non avevano mangiato, erano stanchi e ora lui aveva appena bevuto un Gimlet intero. In meno di dieci secondi. Come aveva fatto? Si ritrovò a sorridergli.

“Cosa c’è?” Lo guardava senza capire perché avesse quell’espressione dipinta sul viso. “Che c’è, John?” 

“Oh niente, ma sappi che se dovessi ordinarti un altro drink io non ti fermerò.” Rise di nuovo prima di portarsi il bicchiere alle labbra per nascondersi. 

Anche lui bevve tutto d’un sorso.

 

 .*.

 

Le cose erano poi degenerate fin troppo in fretta. 

“Aveva un cap- cappotto.” La voce era tremante, andava quasi a singhiozzi tra una risata e un’altra. “John, penso che chi abbia il cappotto qui dentro, sia l’assassino!” Il dottore rise ancora più forte quella volta, piegato in due sul tavolo; ora con la sedia praticamente attaccata a quella di Sherlock, entrambi avevano la sala davanti e non la smettevano di indicare persone a caso tra la folla, tirando fuori le più assurde deduzioni. 

Sherlock si era finalmente liberato del cappotto e anche della giacca nera, rimanendo solo con la camicia bianca e i pantaloni scuri. Sembrava un uomo d’affari appena uscito dal proprio ufficio, pronto a spassarsela dopo una giornata difficile. I primi bottoni della camicia erano sbottonati, lasciando intravedere il collo e le clavicole. Aveva un colorito molto più acceso del solito e John non si fece domande sul perché.

“Ma non ha senso! Non ha senso quello che dici.” 

“Sta’ zitto, chi è il genio qui? Tra noi, chi lo è?” Chiese voltandosi a guardarlo da una lontananza piuttosto ravvicinata. Erano ormai spalla a spalla, appoggiati l’uno all’altro come se potessero accasciarsi all’improvviso e avessero bisogno di un sostegno. 

“Hai mandato giù quattro Gimlet, Sherlock. Eravamo nel bel mezzo di un caso!” 

Siamo. Siamo nel bel mezzo di un caso. Smettila di distrarmi!” Esclamò in risposta tornando a guardare la sala. Con gli occhi ridotti a due fessure per cercare di mettere a fuoco il più possibile, Sherlock scrutava i presenti o almeno ci provava, mentre John al suo fianco aveva lasciato andare la testa all’indietro contro il muro dietro la sua sedia.

“Non ti sto distraendo.” Rispose sorridente.

“Ripetimi, perché dovevo bere quel drink? Ora siamo ubriachi in due. Ti senti meglio così? Avrei potuto portarti a casa sano e salvo, invece adesso rischiamo in due.” A quelle parole John gli posò una mano sulla coscia sotto il tavolo e lo strinse appena. 

Perché gli inglesi diventavano subito dei tipi fisici una volta ubriachi?

“Sì, mi sento meglio. Meno solo. Ma tranquillo, non ti farò rischiare niente.” E non ritirò via la mano. Sherlock non riuscì a riconoscere se il calore che sentiva provenire da sotto il palmo di John fosse generato dalla sua stessa gamba o dalla mano dell’altro. Si voltò a guardarlo.

“Non guardarmi così, non è certo colpa mia!”

“Certo che lo è, se non mi avessi costretto a bere quel-”

“Non ti ho puntato una pistola alla testa. Smettila di essere drammatico.” Gli parlò sopra alzando appena la voce.

“Ma è come se l’avessi-”

 “Non mi pare.” L’interruppe ancora una volta, puntandogli contro l’indice.

“Tu dici le cose e io le faccio, anche se sono assolutamente idiote. Sono da idioti le cose che mi suggerisci, John.” Il dottore spalancò la bocca sorridendo, tornando in posizione normale e allontanando la mano, portandola sul tavolo ad incontrare l’altra. 

“Mi stai insultando? Come ti permetti!”

“I tuoi capelli sembrano veramente molto morbidi, John Watson. Lo sapevi?” Cominciò come se non lo avesse proprio sentito e John rise di nuovo lasciando andare la testa all’indietro prima di riprendersi e tornare a guardarlo.

“Sono veramente molto ubriaco o lo hai detto veramente?” Chiese portandosi una mano ai capelli, involontariamente. 

“Volevo solo farti un complimento,” disse tornando a fare due lunghi sorsi dal suo bicchiere, lo stesso fece John.

“Dopo avermi insultato? Non è comunque molto carino.” Puntualizzò con gli occhi che brillavano alle luci psichedeliche della sala. La musica si era abbassata un po’, per fortuna, ma nulla di troppo. Ancora gli rimbombava tutto nelle orecchie.

“Io penso che non troveremo mai l’uomo di Richard così.” Osservò Sherlock passandosi una mano sul viso e sospirando. 

“Meglio non trovarlo in queste condizioni!” Finì un altro bicchiere di whisky e poi lo fece strisciare di qualche centimetro sul tavolo, affinché fosse fuori dalla sua portata. 

“Basta. Io mi fermo qui altrimenti… potrei non sentirmi bene.” 

“Cosa?!” Domandò Sherlock avvicinando il suo orecchio alla faccia del compagno per sentire meglio. Poi scosse la testa. “Sai che ti dico? È meglio che questo sia l’ultimo. Perché così non acciufferemo nessun assassino!”

“Non urlarlo!” Esclamò John raddrizzandosi sulla sedia e provando a posargli una mano sulla bocca, ma la sfiorò appena. Quando un brivido lo attraversò, si allontanò immediatamente dal contatto e sospirò. “Finisci quello, che ce ne andiamo.” Disse cominciando a prendere il suo portafogli e dopo qualche minuto (e il numero del cameriere carino), finalmente uscirono da quel locale.

Sherlock aveva un braccio intorno al collo di John e lui lo abbracciava in vita, più per sorreggerlo che per altro, ma da quel contatto non si sarebbe mai allontanato.

“C’è la musica anche qui fuori?” Domandò il detective all’improvviso, ma John scosse la testa. Avevano la testa compressa in qualcosa che sembrava essere ovatta e le orecchie che pulsavano per il volume eccessivo di quella musica assordante. 

“Hai ricevuto molte proposte questa sera eh, anche il numero del cameriere! Complimenti Mr. Holmes!”

“Complimenti a te, John. Sei tu che mi stai portando a casa mi pare… quelli saranno molto gelosi di te.” Sorrise appoggiandogli le labbra sulla tempia, poco sopra l’orecchio, e lo strinse un po’ più vicino a sé.

“Ma tu non mi dai le attenzioni che meriterei, però!” Rise agganciandosi al discorso che si era permesso di fare uno di quegli spasimanti che si erano avvicinati al loro tavolo.

“E che attenzioni meriteresti?” Domandò soffiandogli all’orecchio. 

Quelle che sicuramente non puoi darmi, si ritrovò a pensare, con la mente un po’ annebbiata e il corpo indolenzito. Per un attimo faticò a mettere un piede davanti all’altro per camminare e Sherlock, notando quel piccolo tentennamento, sorrise, ma non commentò. Si limitò a lasciar andare la propria testa contro quella del compagno.

“Appena arriviamo a casa puoi farmi del tè se vuoi.” Rispose sospirando, mentre con lo sguardo cercava già un taxi libero da poter prendere.

Peccato che ciò che bevvero dopo, una volta tornati a casa, non fu esattamente tè. Non fu una bevanda analcolica in generale. Era solo altro whisky associato ad un ridicolo gioco che aveva voluto cominciare Sherlock.

John se ne stava affossato nella propria poltrona, gambe divaricate e piedi uniti, mentre osservava Sherlock che continuava a porgli domande con una voce trascinata e poco credibile. Quasi non sembrava la sua.

“Non posso crederci. Sono te!” Esclamò fintamente eccitato e con gli occhi ora più aperti.

“Me?! Ma che cavolo-”

“Ti sopportano in pochi, sei abbastanza intelligente, questo te lo devo!” Rispose interrompendolo mentre con una mano afferrava il proprio bicchiere per prendere un sorso, poi rise piegandosi in due e cercando di sedersi più composto sulla poltrona.

“Mi sopportano tutti, Sherlock, perché io piaccio alle persone. Diversamente da te, invece.” Commentò con uno sbuffò nasale mentre anche lui si allungò per prendere il bicchiere dal tavolino oltre il bracciolo della propria poltrona. Fece un paio di sorsi e poi incrociò lo sguardo di Sherlock, che rimase incatenato al suo per qualche secondo. Ingoiò la bevanda sotto il suo guardo attento, poi si sfilò il bicchiere dalle labbra e Sherlock poté giurare d’aver sentito indistintamente un brivido percorrergli la schiena e quello non aveva niente a che vedere con l’alcol.

“Non possiamo più continuare così,” disse improvvisamente e John quasi s’irrigidì sul posto. “È un gioco idiota e non riesci a vincere.” Afferrò il bigliettino che aveva attaccato in fronte e lesse Sherlock, poi si lasciò sfuggire un grugnito scontento. 

“Io ero Richard?! La nostra vittima?!” John suonò più squillante di come avrebbe dovuto, probabilmente era colpa della paura che aveva provato qualche secondo prima con quella frase inaspettata di Sherlock. 

“Sshhh, John. Non sta bene parlare dei morti e in più sono le tre e mezza di notte, stanno dormendo tutti.” Disse con un dito davanti alle labbra e piegato verso avanti, i gomiti appoggiati sulle ginocchia per sporgersi il più fuori possibile. “Forse avrei dovuto scriverti il nome del tizio che si è avvicinato a te al locale, lo avresti indovinato più facilmente!” Quella frecciatina incupì il viso di Sherlock e illuminò quello di John, che rise immediatamente a quelle parole prima di rispondere.

“Sei geloso?” Il bicchiere nella sua mano fece un mezzo giro mentre il medico muoveva attentamente il polso per scuotere il liquido all’interno; occhi fissi su Sherlock.

“Cosa?! Geloso? Ah certo, sicuramente ho una stanza nel mio cervello anche per tener conto di-”

“Sei geloso!” Ripeté mentre lo guardava alzare gli occhi al cielo. Sul viso del medico invece un sorriso enorme era dipinto e accompagnava il suo sguardo acceso e brillante nel buio di quella stanza. 

“Non sarei così ingenuo fossi in te,” lo canzonò l’altro. “Per di più, ti ho fatto entrare a casa mia per un drink, non penso ti chiederò di restare per la notte!” Disse corrugando la fronte e scuotendo la testa, mentre il bicchiere tornava sulle sue labbra. John rise ancora.

“Io vivo qui, Sherlock.” Puntualizzò e il detective parve perso per un attimo, confuso.

“Viviamo già insieme?” Domandò più perso nei suoi pensieri, senza guardare l’altro. “Fantastico.”

“Ciò non vuol dire che dormirò con te questa notte!” Esclamò scuotendo la testa e bevendo ancora. 

“Oh che peccato e io che credevo d’aver fatto centro al locale,” bevve ancora, poi gli scappò una risata. “Non dormirai su quella poltrona vero? Hai una stanza?”

“Potrei, questa poltrona è così morbida.” Disse scivolando ancora una volta dentro di essa, questa volta allungando le gambe davanti a sé fino a poggiare i piedi su quella di Sherlock e incrociare le caviglie. Sherlock lasciò cadere il suo bracciò destro dal bracciolo e con la mano raggiunse un piede di John, cominciando a massaggiarlo distrattamente.

“Obbligo o verità?” Chiese all’improvviso senza fermarsi. John aveva ormai gli occhi chiusi a quel tocco, il braccio sinistro lasciato molle oltre il bracciolo e quello destro piantato con il gomito sulla poltrona per reggere il bicchiere. 

“Hmh?” Non stava seguendo bene le sue parole, troppo preso a provare sollievo sotto la pianta del piede mentre il pollice di Sherlock la attraversava, scavando appena.

“Scegli, obbligo o verità.” Ripeté con fermezza mentre mandava giù l’ultimo sorso. Quella volta il bicchiere non lo avrebbe più riempito. 

“Verità,” e l’attimo dopo si morse il labbro inferiore mentre si malediceva mentalmente per quella scelta. Sapeva troppo bene che dalla sua bocca sarebbe uscita solo la verità da quel momento in poi, soprattutto in quelle condizioni. Il suo cervello e tutti i suoi sensi erano troppo rilassati per poter prepararsi a difendersi da qualsiasi attacco. Ma Sherlock non lo avrebbe attaccato, giusto? Era vulnerabile tanto quanto lui.

John H. Watson.” Pronunciò il detective con una voce cantilenante e l’altro lo guardò assottigliando gli occhi. Non capiva quale fosse la domanda. “L’H sta per…?” John si sentì improvvisamente sollevato. Tra tutte le domande più imbarazzanti, aveva scelto quella più facile da rispondere. 

“Hamish.” Fece una pausa guardandolo. “Avevi già avviato una ricerca, non è vero?” Chiese poi divertito e Sherlock inarcò gli angoli delle labbra verso il basso, facendo spallucce. 

“Potrei averlo fatto in effetti, sì. Ho provato con i tuoi superiori in tempo di guerra, ma il certificato di nascita era decisamente più semplice da reperire.” John scoppiò a ridere, ma senza scomporsi troppo. Sia mai che la mano di Sherlock abbandonasse il suo piede. 

“Avresti potuto giocare a questo gioco molto prima,” rise di nuovo e Sherlock scosse la testa. Non sarebbe mai sceso così in basso per scoprire il suo secondo nome. Ubriacarsi non era mai nei suoi piani da detective. Era controproducente. 

“Ok, ora tocca a me. Obbligo o verità?” Domandò John guardandolo con un mezzo sorriso.

“Obbligo,” sputò fuori immediatamente, senza nemmeno pensarci due volte. Interessante, pensò John. Avrebbe potuto fargli fare o dire qualsiasi cosa adesso. Era qualcosa di infinitamente allettante al momento, ma il medico optò per qualcosa di molto umiliante e sentimentale.

“Ti obbligo a chiamare Mycroft e dirgli quanto gli vuoi bene,” al solo pronunciare quelle parole John rise di nuovo. Già immaginava la scena e non vedeva l’ora di osservarla con i propri occhi e non solo nella propria mente. Sherlock invece non era proprio così divertito quanto l’altro, si lamentò per qualche minuto, ma dopo l’insistenza di John si ritrovò costretto a chiamarlo, con il cellulare tra le mani appoggiato all’orecchio ora aspettava che rispondesse.

Questa è la segreteria di Mycroft Holmes, se non potete proprio farne a meno, lasciate un messaggio dopo il beep. BEEP-” pronunciò la voce un po’ più metallica di suo fratello. Non aveva risposto, chiaramente, erano le tre di notte e nemmeno un cannone avrebbe potuto svegliarlo.

“Ciao Mycroft, ne avrei fatto veramente a meno di lasciare questo messaggio, credimi. Domani mattina me ne pentirò e cercherò un modo per non fartelo mai avere, ma per adesso… ti voglio bene. Okay? È una stupidaggine, non è vero-” prima che potesse finire la frase però John fu su di lui ad afferrargli il cellulare per strapparglielo dalle mani. 

“Hai già detto abbastanza!” Esclamò lasciando poi il cellulare lontano sul pavimento e tornando sulla propria poltrona. Gli mancava già il contatto con Sherlock, ma non si arrampicò più con i piedi sopra la sua poltrona.

“Scelgo obbligo anche io adesso.” Lo sfidò più per la paura di scegliere nuovamente verità che per altro. Non che con quell’opzione fosse completamente fuori dai guai, comunque. Si sentiva incredibilmente vulnerabile al momento, ma al tempo stesso non aveva nessuna intenzione di interrompere il gioco.

“Ti obbligo ad aprire il blog adesso e a scrivere che… in realtà ammetti di non saper scrivere.” 

“Stai gongolando,” gli fece notare John con un’espressione seccata. 

“Credimi, ti sto solo facendo un piacere. Almeno i tuoi lettori così sapranno che sei una persona obiettiva. Per quanto ti piaccia scrivere, sai benissimo che non eccelli.” Fece spallucce e si allungò con il busto per raggiungere il laptop sul tavolo alle sue spalle prima di porgerlo aperto al suo padrone. “Prego.” Disse aspettando che John lo prendesse.

Non ci volle molto tempo per scrivere “Mi dispiace tediarvi tutti con queste storie, non sono in grado di scriverle come si deve” e quando ebbe finito Sherlock si premurò di controllarne l’effettiva pubblicazione prima di rimettere il computer al suo posto. Lo sguardo di John irritato l’aveva seguito in tutti i movimenti. Certo l’obbligo l’aveva scelto lui e non poteva lamentarsi.

“Obbligo.” Disse di nuovo Sherlock tornando a guardare il compagno e a quel punto John ne approfittò per imbarazzarlo.

“Scrivi ad Anderson un messaggio: ‘sono un ignorante.’” Disse gesticolando appena, ma Sherlock scosse energicamente la testa. 

“Avresti potuto chiedermi qualsiasi cosa, ma probabilmente non questa. Con quelle persone, volente o nolente, ci lavoro e non posso permettermi scivoloni del genere. Ci manca solo che Anderson abbia un mio messaggio simile.” Sbuffò dal naso. Non sarebbe mai accaduto o avrebbe avuto ancora più problemi sulle scene del crimine. “Complimenti, hai perso un turno. Obbligo o verità?” John rimase a bocca e braccia aperte per quella ingiustizia.

“Scusa perché io posso scrivere sul mio blog quelle cose e tu non inviare un messaggio ad Anderson?!” Si lamentò sedendosi più in punta alla poltrona e sporgendosi appena verso l’altro.

“Partiamo dal fatto che tu davvero non sai scrivere e io invece non è vero che sono ignorante?” Cantilenò in risposta, ma prima che John potesse rispondere, chiese immediatamente. “Obbligo o verità?” Ripeté con nessuna idea di tornare sul discorso. Il medico lo guardò prima storto e poi, tornando a sedersi composto sbuffò.

“Verità.” Non si sarebbe più fatto umiliare in nessun modo anche perché a perdere la pazienza, in quelle condizioni, ci voleva un attimo.

“Hai mai avuto rapporti sessuali nell’esercito?” E per quella domanda Sherlock doveva essere sincero con se stesso: non sapeva se fosse nata dalla voglia di conoscere il passato personale di John o se dal piacere di immaginare una cosa del genere. Le divise, non solo da ubriaco, avevano sempre avuto un certo ascendente particolare su di lui. 

Ma John rimase in silenzio con gli occhi inchiodati nei suoi. Arrossire più di quanto non lo fosse già per colpa dell’alcol, era impossibile. Per fortuna almeno per quello poteva stare tranquillo.

“Sì, ho avuto rapporti sessuali durante il periodo dell’esercito.” Rispose poi velocemente, ma Sherlock inclinò appena la testa, come se avesse appena scoperto un trucco.

“Non ti ho chiesto durante il periodo, ma nell’esercito.” La domanda era stata chiarissima e John sapeva bene che Sherlock non aveva scelto delle parole a caso per porgliela.

“La mia risposta non cambia comunque.” Disse bagnandosi le labbra e sentendo la gola improvvisamente asciutta, mentre dall’altra poltrona Sherlock si era mosso sulla propria come per trovare una posizione più comoda. 

Certo, la domanda l’aveva posta e la risposta l’aveva ottenuta. Ora cosa sperava di fare? Immaginare John in divisa per il resto dei suoi giorni? Oh no, magari una volta riacquistata la lucidità avrebbe dimenticato quell’immagine e l’avrebbe cancellata dalla sua testa. 

“Obbligo o verità?” Chiaramente la risposta di John era conclusa e Sherlock storse il naso per un attimo.

“Obbligo.” E il medico a quella parola sbuffò.

“Non vale rispondere sempre obbligo, Sherlock!” Esclamò esasperato e un po’ frustrato. Voleva prendersi la sua rivincita.

“E questo chi lo dice? Ci sono regole scritte per caso?” Domandò contrariato con un sopracciglio alzato mentre lo guardava.

“Non vale e basta!”

“Tanto valeva che non mi ponessi la domanda all’inizio allora.” Doveva proprio lamentarsi e polemizzare per ogni stra-maledettissima cosa? C’era una cosa per cui Sherlock sarebbe stato in silenzio senza sentire il bisogno impellente di controbattere?

“Sherlock chiudi quella maledetta bocca prima che te la chiuda io!” Sputò fuori quasi esasperato, ma con una nota di malizia nella voce che Sherlock non faticò ad individuare. I suoi sensi si erano svegliati un po’ troppo dall’ultima risposta di John. 

Non andava per niente bene.

“Mi piacerebbe vederti provare.” Disse di rimando, accavallando di nuovo le gambe e appoggiandosi con un gomito al bracciolo di pelle nera, mentre con gli occhi non dava segno di voler lasciare andare il dottore.

Stava forse flirtando o John era estremamente ubriaco? No, Sherlock non era in grado di farlo. Eppure gli veniva maledettamente bene. Com’era possibile? Forse avrebbe scoccato una frase acida delle sue da un momento all’altro e, come aveva freddato quel suo pretendente al locale, avrebbe freddato anche lui, quindi John ci pensò due volte prima di sciogliersi in quelle parole. 

“Hai scelto verità?” Chiese in conferma e Sherlock fece spallucce.

“A quanto pare…” John rimase in silenzio per qualche secondo, con una domanda che gli ronzava in testa da un po’ senza sapere se fosse il caso di porla oppure no. Ma con quello che gli aveva chiesto prima Sherlock, ora tutto gli era concesso. Quel confine lo aveva superato lui per primo, ora per John era lecito seguire la sua scia.

“Sei mai stato con qualcuno? Sessualmente parlando.” Si affrettò a specificare perché non aveva assolutamente voglia di sprecare un’altra occasione del genere. Sherlock lo scrutò per un attimo e John si sentì osservato ad un livello più intimo del solito. Lo stava forse deducendo?

“No.” Rispose poi, senza esitazione. 

Mai?” Domandò ancora. “Ma com’è possibile?” John era assolutamente incredulo. Non era possibile che Sherlock se ne andasse in giro portandosi dietro tutta quella sensualità e che non avesse mai lasciato a nessuno la possibilità di sfiorarla, di assaporarla, di consumarla. Tutto quel flirtare che sembrava essere una dote naturale; i suoi sguardi penetranti e il suo essere così enigmatico. Anche il modo in cui si muoveva aveva un qualcosa di sessualmente intrinseco. Era indecente anche solo l’idea che nessuno lo avesse mai sfiorato.

Ma Sherlock era molto di più che un semplice premio da vincere, non avrebbe mai permesso a nessuno di danneggiarlo o di arrivargli tanto vicino da sfigurarlo. Sarebbe rimasto un uomo che apparteneva a se stesso e a nessun altro per sempre, probabilmente. 

“Una sola domanda John. E ho già risposto.” Il dottore sbuffò nuovamente, cercando una posizione più comoda su quella maledetta poltrona, ma non c’era. Optò nel puntare i propri gomiti sulle proprie ginocchia, sporgendosi così un po’ di più verso il suo compagno. “Obbligo o verità?” Disse l’altro e questa volta John rispose più velocemente e sicuro.

“Obbligo,” perché col cavolo che avrebbe scelto di nuovo verità dopo che anche lui gli aveva posto una domanda a sua volta così personale. Chissà poi che cosa sarebbe stato capace di chiedergli.

“Lascia che io ti tocchi il polso.” E fino a lì sembrava non ci fosse niente di eccessivamente strano se non per il fatto che Sherlock non faceva mai le cose per caso. In quel momento però non conoscerne il motivo era un bene, perché John si alzò il maglioncino senza problemi fino al gomito prima di liberare l’unico bottone al polso della camicia e alzando anche quella fino a su prima di concedere il suo braccio al detective. A Sherlock bastò allungare di poco la propria mano per afferrarglielo con estrema delicatezza.

Le sue dita lunghe e affusolate scorsero sul dorso del suo polso, mentre il pollice corse ad accarezzargli la pelle nella parte più interna e sensibile. John si ritrovò a lottare contro se stesso per evitare che dalle sue labbra uscisse un mugolio soddisfatto come risposta fisica a quel contatto. Non che tutto quello fosse colpa dell’alcol, ma sicuramente certi pensieri e desideri erano più scoperti adesso; erano lì in bella vista scritti su tutto il suo corpo, fino all’ultimo brivido. 

Sherlock era certo che anche per lui fosse così, ma la cecità di John lo avrebbe protetto per un altro po’ di tempo. Davvero il medico non riusciva a vedere come in quel momento Sherlock stesse lottando contro la propria mente che continuava a dargli delle immagini di loro due in posizioni tutt’altro che amichevoli?
Davvero John non riusciva a percepire la scarica di adrenalina che Sherlock sentiva crescere alla bocca dello stomaco mentre gli sfiorava la pelle del polso? Il detective aveva sotto la mano la prova che il battito del suo compagno fosse più accelerato e sicuramente poteva essere colpa dell’alcol che riduceva di poco i vasi sanguigni aumentando così la pressione, ma dall’altro glielo leggeva anche negli occhi che quello fosse desiderio. John invece non riusciva a leggere nulla, non vedeva nulla. Era però preso dai suoi occhi di ghiaccio che lo bruciavano come se fossero fiamme troppo calde. Com’era possibile che un colore così freddo lo accedesse in quel modo bollente?

Quando Sherlock avvicinò il polso al proprio viso, John seguì quel movimento con tutto il corpo e per un attimo gli parve quasi di volersi alzare in piedi, ma rimase ben ancorato alla propria poltrona. Sherlock inspirò il suo profumo e poi alzò gli occhi in quelli dell’altro nello stesso momento in cui John fece lo stesso. Rimasero in quella posizione per qualche secondo, giusto il tempo di avvertire il battito aumentare ancora e poi John tirò via il braccio. 

Quel contatto era diventato troppo tutto d’un tratto.

“Obbligo.” Disse direttamente Sherlock, senza che il medico si prendesse il disturbo di porgli la domanda. Lui non sembrava scosso da quello che era successo qualche istante prima e John si sentì incredibilmente a disagio tutto d’un tratto. Che cos’era stato quello che aveva fatto? Gli era servito a qualcosa o aveva semplicemente pensato che toccarlo in quel modo non avrebbe comportato niente? Sarebbe stato un completo ingenuo a pensarla in quel modo. 

“Ti obbligo a prepararmi la colazione per almeno una settimana, a partire da domani.” Disse senza battere ciglio, non appena riuscì a recuperare le proprie facoltà mentali. Avrebbe dovuto buttare il gioco su qualcosa di più leggero adesso e quella sembrava la scappatoia più semplice.

“Affare fatto.” Rispose velocemente, poi lo guardò di nuovo. “Obbligo o verità?” E nei suoi occhi c’era di nuovo qualcosa che non convinse John fino in fondo.

“Obbligo.” Scelse e Sherlock se l’aspettava che avrebbe scelto quello ancora, perché non si sarebbe azzardato a mettersi di nuovo allo scoperto in quel modo con una verità scomoda.

“Baciami,” disse il detective sporgendosi sulla poltrona e facendola strisciare per terra di qualche centimetro per avvicinarsi di più. A quelle parole, un brivido percorse per intero il corpo di John, il quale rimase a guardare il detective per qualche secondo con occhi sgranati. Aveva sentito bene? No, non poteva.

“Non puoi chiedermi questo.” Disse in risposta, scuotendo lentamente la testa. Dopo quella serata, dopo l’alcol che avevano bevuto, dopo il modo in cui scioccamente si era lasciato scoperto per farsi colpire, ora Sherlock lo stava colpendo nel modo più meschino possibile. Che avesse capito qualcosa? O si stava solo divertendo a prenderlo in giro?

“Non è una domanda, John.” Pronunciò fermamente e con voce molto più profonda. Seguire le sue labbra mentre si muovevano per formare frasi non era la cosa più intelligente da fare e John se ne accorse solo quando deglutì a vuoto dopo aver rialzato lo sguardo nei suoi occhi. No, l’alcol non poteva averlo lasciato così scoperto da cedere ad una cosa simile.

Ma se non avesse ceduto in quel momento, allora quando? Ne avrebbe mai avuto l’occasione di nuovo? 

“E se non volessi?” Riuscì a dire solo per temporeggiare, ma Sherlock non gli rese facile nemmeno quello.

“Davvero?” Pronunciò con voce incredula. Ora le sue mani erano sulle ginocchia di John e le avvolgevano con un tocco che aveva perso parte della morbidezza del contatto precedente. Era qualcosa di diverso. Sherlock si sporse verso di lui con il busto, fino ad arrivare a pochi centimetri dal suo viso, facendo ben attenzione a non sfiorare il proprio naso con quello dell’altro.

Lo stava forse invitando? Sherlock stava facendo chiaramente qualcosa, ma John aveva la mente troppo annebbiata da altri pensieri per riuscire anche solo a dedurre mezza cosa in quella situazione. L’unica cosa che voleva fare era avvicinarsi a lui e colmare quella distanza che c’era tra loro. Perché Sherlock lo stava inondando di quella sua sensualità tutto d’un tratto? Era giocare sporco.

John chiuse gli occhi mentre con la guancia sfregò contro quella dell’altro, inebriandosi per un attimo del suo profumo e della sua vicinanza. Un leggero capogiro lo colse alla sprovvista e non era per niente colpa dell’alcol, quello stava forse svanendo. 

Sempre con gli occhi chiusi inclinò la testa dall’altro lato, questa volta verso Sherlock e lasciò scorrere le proprie labbra dalla sua guancia verso la sua bocca, lentamente. Il detective sembrava immobile se non per il suo respiro che ora gli alzava e abbassava il petto in modo più irregolare. Dopo qualche secondo di frustrazione, Sherlock voltò di poco la testa, abbastanza per trovarsi faccia a faccia con John, ma non a sufficienza per imbrogliarlo e per farsi sfiorare le labbra. 

Adesso era lui ad aver bisogno di quel tocco? A quell’idea John non riuscì più a resistergli e dopo aver incollato il proprio sguardo sulla sua bocca, la baciò. 

Fu un bacio leggero all’inizio, ma non appena le mani di Sherlock sulle sue gambe si aprirono e scorsero a risalire la sua coscia, John lo approfondì all’improvviso, afferrando il suo viso tra le mani per tirarlo più vicino.

“Lo sapevo…” sussurrò Sherlock tra i baci, ma il medico non gli diede possibilità di dire altro perché si alzò senza staccarsi da lui e lo spinse con la schiena contro la poltrona facendolo sdraiare appena, prima di salirgli in grembo.

“Stai zitto, perché se questo è solo un gioco per te, allora te la vedrai brutta domani mattina.” Pronunciò a denti stretti mentre percorreva il suo collo con le labbra. Mani serrate intorno al colletto della sua giacca nera. Sherlock rovesciò la testa all’indietro per facilitargli l’accesso e intanto con le mani si allungò dietro la schiena di John, prima tirando su il maglione e poi sfilandogli la camicia dai pantaloni per infilarsi sotto a sfiorargli la pelle. A quel contatto la schiena di John si inarcò cercando di allontanarsi da quelle mani gelide, ma il risultato fu solo lo sfregare improvviso e più violento dei loro bacini che fece sobbalzare Sherlock per un attimo. Un suono roco e osceno gli scappò dalle labbra e John non ci pensò due volte a catturarlo con le proprie. Sherlock si stava davvero dando in quel modo a lui? La risposta a quella domanda lo avrebbe fatto impazzire e fu per quello che preferì non cercarla.

“Non mi sarei dovuto innamorare di te, Sherlock Holmes.” Disse risalendo sulla sua bocca mentre con le mani adesso gli sfilava la giacca dalle spalle, senza però pretendere di togliergliela completamente. Andava benissimo a metà gomito in quella maniera scomposta, come i suoi capelli; come un lavoro lasciato a metà perché completarlo sarebbe stato doloroso quanto allontanarsi da esso all’improvviso. 

“Ma non ho assolutamente intenzione di scusarmi per questo.” Continuò salendo verso il suo orecchio, mentre Sherlock sotto di sé era immobile ma perfettamente vigile e attento ad ogni punto del suo corpo in contatto con quello dell’altro, pronto a rispondere. “Immaginavo tutto ciò da troppo tempo.” Gli sussurrò sull’orecchio e il brivido che percorse il corpo di Sherlock fu così forte che anche John riuscì a percepirlo sulla propria pelle. Le mani del detective scesero sul fondo schiena dell’altro, ma non fecero di più se non provare a tirarselo di più addosso. Tornò sulle labbra prima di allontanarsi e di sedersi più indietro, quasi sulle sue ginocchia, lasciando ora scoperte le cosce che cominciavano a percepire la mancanza e il freddo. “Ma non posso fare più di questo.” Disse restando con il suo viso tra le mani. Sherlock aveva un’espressione persa, ma al tempo stesso sicura e attenta. I suoi occhi saettavano lungo tutta la faccia del medico che aveva davanti, pronto a cogliere in anticipo ciò che lui stava cercando di spiegare senza troppe parole. 

“Non ti stai approfittando di me.” Disse velocemente, con il timore che John potesse scegliere di alzarsi e di staccarsi da lui completamente. 

“Ah no?” Chiese John con una piccola risata, provando a rimanere lucido ancora per un po’. Si sarebbe ricordato tutto la mattina dopo, vero? Doveva ricordare tutto, non si sarebbe mai perdonato un’amnesia simile. Fece scorrere il pollice sul labbro inferiore di Sherlock come per cercare di memorizzarlo meglio sotto le dita.

“Approfittarsi di me vorrebbe dire che io sono in una posizione più debole rispetto alla tua e, scusami, ma questo non mi sembra assolutamente il caso.” 

“Sei ubriaco,” disse non volendo ascoltare scuse.

“Sono stato più sobrio di così in vita mia, è vero, ma sei ubriaco anche tu e ciò non cambia che questo è ciò che voglio adesso.” Rispose allungando il collo per avvicinarsi di nuovo e raggiungergli le labbra, ma John si fece ancora più indietro, rendendosi irraggiungibile, mentre Sherlock con le mani dietro la sua schiena provava ad avvicinarlo di nuovo.

“E domani? Che mi dici di domani? E dopodomani?” Chiese chiudendo gli occhi e poggiando la fronte sulla sua. “Non ce la faccio ad averti adesso e basta.” Aggiunse riaprendoli e guardando in quelli dell’altro.

Sherlock non aveva idea di cosa dire. Cosa avrebbe provato domani e il giorno dopo ancora? Non lo sapeva. Non sapeva nulla di rapporti del genere in realtà, sapeva solo che tutto quel desiderio era qualcosa di estremamente forte, nuovo ed era ciò che più riusciva a distrarlo al mondo. Era fastidioso a volte. Era una cosa negativa dunque? Si sarebbe consumato in fretta? Per un attimo la mente calcolatrice si fece avanti riprendendo il controllo di ciò che aveva perso sotto l’effetto dell’alcol. 

Non puoi sapere domani come sarà e cosa succederà.

John ha un modo così profondo di amare, non è destinato a te.

Eppure un lato di sé lo sentiva quel richiamo verso di lui. John aveva cominciato a chiamarlo dal primo giorno nonostante lui avesse sempre fatto finta di nulla, mascherandosi dietro l’uomo solitario. 

Le sue mani scivolarono via dalla sua schiena ormai mezza scoperta e andarono a posarsi sui braccioli della propria poltrona. La sua testa tra le mani di John ora era pesante e i suoi occhi non cercavano più quelli azzurri del medico. Non ce l’avrebbe fatta a guardarlo ancora.

John accolse quel distacco e lo assecondò, scendendo dalle sue gambe e mettendosi in piedi davanti a lui.

“Direi che il gioco è finito qui.” Disse stropicciandogli gli occhi, come per riprendere coscienza dopo una sbronza molto forte, ma in realtà stava già provando a cancellare il ricordo di quel bacio. Magari la mattina dopo sarebbe stato graziato e non ci sarebbe stata più traccia di nulla. “Buonanotte, Sherlock.” Concluse senza guardarlo e dirigendosi verso le scale. Aveva sbagliato tutto e Sherlock aveva giocato fin troppo sporco, ma non riusciva ad avercela con lui in quel momento.

Uno Sherlock confuso e scosso era rimasto solo sulla propria poltrona, testa appoggiata allo schienale, gambe allungate e caviglie incrociate. Cos’era appena successo? Aveva perso il controllo per qualche secondo, completamente scoperto si era lasciato sfiorare da John.

Lo stesso John che aveva ucciso per lui.

Lo stesso John che lo seguiva ovunque con l’unico scopo di tenerlo al sicuro.

Lo stesso John che lui stesso aveva salvato da un giubbotto pieno di esplosivo.

Per quanto Sherlock lasciasse che gli altri gli cucissero addosso la fragilità di una bambola di porcellana (intoccabile, vergine Sherlock!) e nonostante lui stesso indossasse la maschera dell’uomo freddo avvolto nel suo lavoro, una parte di sé chiamava John con la stessa intensità con cui l'altro chiamava Sherlock e lui lo sapeva. Quella voce non l’aveva mai ignorata, anzi, era ben consapevole che fosse lì, semplicemente non aveva mai pensato che rendere John partecipe di ciò avrebbe portato a qualcosa. Non fino a quella sera. Gli aveva toccato il polso, lo aveva guardato così da vicino come mai aveva fatto prima e il richiamo si era fatto più forte che mai. Si portò una mano alla testa e sospirò sonoramente.

“Non mi sarei dovuto innamorare di te, Sherlock Holmes”

Che cosa aveva detto? Lo aveva sentito, giusto? O l’aveva solo immaginato? Ora era così difficile dirlo… la sua testa stava cominciando a riassorbire tutta l’adrenalina e quello che gli restava era solo una gran confusione e un cerchio alla testa non indifferente. 

La sua stanza era a qualche passo e l’avrebbe raggiunta presto.

 

.*.

 

L’aspirina cadde nel bicchiere d’acqua che John si era appena preparato. 

Se ne stava in piedi davanti il bancone della cucina mentre con gli occhi ridotti a fessure provava ad evitare qualsiasi fonte di luce in quella stanza, ma era difficile evitare il sole proveniente dalle finestre, soprattutto a quell’ora della mattina. 

Erano circa le 11 quando con passi malfermi riuscì a scendere al piano di sotto. Aveva preparato il tè e lo avrebbe preso con tutta calma una volta mandata giù l’aspirina. Chiuse gli occhi e in un sorso ebbe finito. Sospirando, si appoggiò al lavabo, lasciando andare in avanti la testa che quella mattina sembrava più pesante del solito.

Con il ricordo dei baci di Sherlock per forza era più pesante. Era diventata un macigno che gravava sulle spalle già reduci da altre fatiche. La sbronza non era stata clemente abbastanza da fargli dimenticare tutto e quando Sherlock fece il suo ingresso in cucina, avvolto nella sua vestaglia blu da notte, John provò a non girarsi subito.

“Come stai?” La sua voce era così bassa e roca che il medico capì che si era appena svegliato anche lui. Probabilmente aveva aperto gli occhi nemmeno un minuto prima.

“Mhm…” la sola vibrazione di quel verso portò a John un fastidio alla testa. Non osava immaginare come sarebbe stato parlare. Sherlock semplicemente gli si avvicinò e con una mano si allungò a sfiorargli il fianco. Prima di arrivare, però, chiuse la mano in un pugno e la tirò indietro, cancellando quel gesto non ancora completo. 

Non poteva toccarlo adesso. 

Nonostante avesse passato tutta la notte a pensare a ciò che gli aveva detto e nonostante la sua voglia disperata di riaprire quel discorso per provare a dargli un’altra risposta invece del silenzio. 

“Q-quelle cose che hai detto ieri… le intendevi davvero?” Chiese all’improvviso alle sue spalle, alludendo all’innamoramento di cui aveva parlato.

“Non mi sarei dovuto innamorare di te, Sherlock Holmes”

Quelle parole lo avevano tormentato per tutto quel tempo, ora voleva una risposta. John si voltò lentamente, questa volta gli toccò incrociare il suo sguardo e per un attimo si trovò a sospirare senza niente da dire. 

“Io- mi dispiace. Scusa, io ero-”

“Non ti scusare. Non è questo il punto. Le intendevi veramente?” Interruppe bruscamente. Aveva assolutamente bisogno di riprendere quel discorso e di farsi vedere da John per ciò che era e per ciò che voleva. 

John rimase a fissarlo per qualche secondo, con la propria tazza tra le mani. Poi rise in uno sbuffo, abbassando lo sguardo sul proprio tè.

“C’è stato un momento in cui le reprimevo con tutte le mie forze, provando ad uscire con donne. Sai, l’idea che potesse piacermi un uomo mi era del tutto sconosciuta e, francamente, spaventava parecchio. Poi ho capito che non era il fatto che tu fossi un uomo a spaventarmi, ma che tu fossi tu. L’uomo a cui dei cecchini potrebbero sparare addosso da un momento all’altro e non solo,” disse rialzando lo sguardo su di lui, alludendo all’incontro con Moriarty in piscina. Non sarebbe mai stato capace di spiegare il panico che lo aveva invaso fino alla punta dei capelli non appena aveva visto quel pallino rosso sulla sua fronte. “E così ho provato a stare lontano da te anche dopo aver capito. Francamente per un po’ ho pensato che potesse essere la Donna il tuo interesse… strano comunque.” Fece una pausa sorridendo e guardando di nuovo nella sua tazza che ora era bollente tra le sue mani. “Ho provato a non innamorarmi di te in tante occasioni, ma mi dispiace… sì, ora le intendo veramente.” Pronunciò con una sicurezza che non aveva mai avuto. Ma ormai il danno era fatto e tanto valeva scoprire tutte le carte in tavola, almeno sarebbe stato capace di raccoglierle poi tutte per buttarle, senza lasciare che facessero parte di un carico nascosto dentro di sé. Non sarebbero state lì a marcire senza essere mostrate. “Mi dispiace per quello che ho fatto ier-”

“Oh John. Sei tu. Sei sempre stato tu.” La voce di Sherlock lo interruppe e lui si ritrovò a rialzare lo sguardo su di lui. Aveva il viso stanco ed era strano per uno come lui che passava più ore sveglio che a dormire la notte. Eppure… 

Le labbra di Sherlock gli furono improvvisamente addosso e lui dovette provare a restare il più immobile possibile per non rovesciare il tè tutt’intorno. Rispose al bacio senza pensarci due volte finché Sherlock non gli sfilò delicatamente la tazza dalle mani per posarla alle sue spalle sul bancone prima di tornare a baciarlo di nuovo. Gli avvolse le braccia intorno alla vita e John ci mise qualche istante a rispondere a quella vicinanza, allungando una mano dietro la sua nuca per accarezzarlo, ancora incerto su cosa volesse veramente Sherlock in quel momento. 

Ma tutti i suoi dubbi vennero spazzati via quando il detective interruppe il bacio per sussurrargli sulle labbra, “giuro che da oggi in poi ti vorrò sempre anche domani.” 









Angolo della scrittrice:
chiaramente figuratevi se io potevo mai pubblicare qualcosa di giorno come tutte le persone normali. Non esiste nemmeno lontanamente e quindi eccomi qui con questa OS notturna quanto le altre. Questa però ha un non so che di diverso che, devo essere sincera, non mi convince totalmente e nonostante ciò ho scelto di pubblicarla ora lo stesso perché troppo tempo sulla stessa ff per me diventa difficile e finisco per perdere il filo e l'ispirazione. È stata partorita in più volte, ma questa sera il finale è venuto tutto d'un botto e l'ho accolto senza troppe storie.
Sì, sono consapevole che mi sto addentrando sempre troppo lontano dall'angst ultimamente e anche a me questa cosa piace poco. Recupererò appena possibile, promesso. 

Intanto spero vi piaccia almeno un po' questa! :D 

(p.s. errori vari andranno corretti alla luce di domani mattina, come sempre! Spero siate tanto gentili da illustrarne qualcuno se lo scovate! :3 Grazie!)





 

 

  
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