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Autore: ErinJS    15/03/2017    8 recensioni
Dopo l'addio ad Elsa, Anna e Kristoff, a Storybrooke tutto sembra essere tornato alla normalità. La quiete, però, non può durare per sempre e l’improvviso arrivo di una giovane ragazza di circa 17 anni porta con sè un'ondata di misteri e problemi. Nessuno sa da dove venga o chi sia, o perché quegli occhi verdi sembrino tanto familiari; quello che però è chiaro alla Salvatrice è che nasconde qualcosa e prima o poi riuscirà a scoprirlo. Ma se non fosse tanto importante il luogo da cui proviene la giovane, ma il…quando?!
Una nuova minaccia aleggia nella vita dei nostri eroi e questa volta il domani sembra proprio dietro l’angolo.
La ff presenta degli spoiler sulla quinta stagione.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Ciao a tutti,
scusate questa improvvisa intromissione ad inizio capitolo. Tranquilli non intendo farlo tutte le volte :P….solo che, vista la mia lunga assenza dell’ultima volta, immagino alcuni piccoli dettagli della storia si siano un po’ dispersi (credetimi…vi capisco, siete anche troppo bravi a ricordavi tutte le cose che sparo nei vari capitoli)….quindi volevo darvi un consiglio.
Nello scorso capitolo, Eva cita per un momento un sogno che ha fatto tempo prima, quando si trovava nel villaggio dei Cacciatori insieme a Jake, ma di cui ricorda ben poco (normale visto che il sogno in questione è stato fatto più di un anno prima dei fatti narrati); il sogno lo trovate al CAP 20.
Diciamo che non è obbligatorio leggerlo…anzi, mi verrebbe da dirvi “prima leggete il capitolo qui sotto e poi andate a rivedere il capitolo 20”…oppure “prima andate a rivedere il capitolo 20 (non tutto ovviamente, ma solo la parte del sogno) e poi proseguite con questo cap”. Non so davvero quale sia il consiglio migliore…ma forse qualcuno sa già di che sogno parlo quindi non serviva fare tutto sto caos.
Non so…sono la solita incasinata…portate pazienza!
Ultima cosa: se secondo voi può servire, più avanti posso fare un altro riassunto di questi capitoli; ditemi voi se può servire!
Buona lettura (a più tardi) ♥
 
Erin

 
 


 
“EVA….NOOOOO!”
La voce di Emma Swan riecheggiò tra le vaste acque di Storybrooke, riuscendo ad espandere quelle poche parole fino al limitare della città, sfiorando il famoso e insostituibile cartello “STORYBROOKE
I passi affrettati dello sceriffo, seguiti dalle tre donne dietro di lei, produssero un suono ovattato, in perfetta sincronia con quel richiamo colmo di allarme e paura.
Doveva raggiungere sua figlia, doveva farlo prima che fosse troppo tardi.
E, chissà perché, era sempre stato troppo tardi quando riguardava Eva.
Non era stata in grado ad impedirle di uscire dalla caffetteria durante il loro primo incontro con Morgana; non era riuscita a fermarla dal distruggere quello che sembrava essere il cuore di Ector; non era riuscita a trovarla prima che lo facesse quella maledetta strega.
Era sempre arrivata troppo tardi, nonostante fosse la Salvatrice.
Com’era possibile? Era questo il ruolo di un salvatore? arrivare sempre nel momento in cui la sua presenza era inutile e priva di alcun aiuto?
Perché non riusciva a fare la differenza? Perché il suo ruolo nel mondo delle fiabe sembrava non funzionare nei confronti di sua figlia?
“Eva….fermati ti prego!”
Colta alla sprovvista dalla presenza di sua madre, in maniera quasi meccanica, Eva chiuse le sue dita sottili attorno all’elsa della famosa spada, per poi alzarsi in piedi e puntare i suoi penetranti occhi verdi sulle tre figure a pochi passi da lei.
Nel momento in cui aveva impugnato la spada, la non-fata accanto a lei aveva emesso una sorta di sospiro; come se qualcosa l’avesse particolarmente soddisfatta; come se, finalmente, il destino avesse intrapreso la strada corretta. Quella sperata da tempo.
La giovane Jones, però, non ci fece caso, tralasciando quel piccolo e quasi insignificante dettaglio. Non riuscì, però, a fare a meno di avvertire una strana sensazione al centro dello stomaco, come se una piccola parte del suo spirito si fosse già pentita per quella profonda negligenza.
Ma la presenza di quelle persone, arrivate al molo con lo sguardo terreo e pallido, aveva completamente attirato l’attenzione della ragazza, facendo ammutolire qualsiasi segnale dall’allarme il suo subconscio stesse cercando di farle risuonare nella mente.
Era lì, parte della sua famiglia era lì davanti a lei.
Sua madre.
Sua nonna.
Regina. 
Avevano tutte il fiato corto e i capelli mossi dal freddo vento pomeridiano.
 “Eva…quella non è Nimue….”
Quelle parole, urlate da sua madre con tutto il fiato che aveva in gola, ebbero la forza di un proiettile, entrato nel perfetto centro del suo cuore.
Che cosa stava dicendo?
Quella….non era….Nimue?
Con lo sguardo sbarrato e confuso, Eva corrugò la fronte, spostando per un attimo lo sguardo dietro di lei, senza emettere un solo fiato, ammutolita dalla consapevolezza di aver commesso l’ennesimo errore della sua vita.
“Nimue si trova con tuo padre e tuo nonno…li ho sentiti un minuto fa…” la voce di Emma, spezzata dall’angoscia, apparve simile ad una sentenza.
Una rivelazione che, in fondo al suo cuore, la giovane Jones sentiva di conoscere già.
Ma com’era possibile?
Nimue non poteva trovarsi con suo padre; lei era lì, era proprio accanto a lei; era stata la sorella della Fata Oscura a metterle tra le mani l’unica arma in grado di uccidere definitivamente quella Strega. Era stata lei ad indicarle la via per impugnare la spada che ora stringeva tra le sue dita pallide.
E allora perché sua madre le stava dicendo il contrario? Perché il suo cuore continuava ad urlarle a gran voce di allontanarsi dalla donna alle sue spalle?
Improvvisamente il cuore della giovane dai lunghi capelli scuri, lasciati alla mercé delle lingue ventose dell’inverno, si congelò nel petto.
Cos’era quella fastidiosa sensazione di déjà-vu? Perché sentire il contatto di quella spada tra le mani non le dava la sensazione di potenza e gioia che aveva sempre immaginato di provare?
Perché lo sguardo di sua madre, in quel momento, era più vicino alla rabbia e non al sollievo che si era aspettata di vedere quando Nimue le aveva parlato di Excalibur?
Perché….perchè le sembrava di rivivere un sogno?
O forse avrebbe dovuto dire…un incubo?!
“Che dire…grazie di avermela portata…principessa!”
La voce cristallina della Nimue alle spalle della giovane Jones, aveva qualcosa di strano, qualcosa che incrinava terribilmente con quel volto elfico; lo stesso che, fino a poco prima, si sforzava di apparire dolce  e comprensivo.
Principessa.
Era la seconda volta che la chiamava a quel modo e, nonostante la prima volta avesse ignorato stupidamente quell’importante dettaglio, ora le sembrò impossibile fare a meno di corrugare la fronte, indurendo la mascella con fare nervoso.
Nessuno la chiamava così, nessuno che non fosse….
“Morgana…” un nome a mala pena sussurrato a fior di labbra.
Eva alzò lo sguardo sulla donna accanto a lei, i cui occhi, fino a poco prima simili al colore della nocciola, ora erano divenuti due biglie gialle, così agghiaccianti da far impallidire il più valoroso dei cavalieri.
Soddisfazione. Era quello lo stato d’animo stampato in quel volto simile delicato.
Nel momento in cui Eva pronunciò il nome della Strega, questa iniziò via via a lasciare che il suo vero aspetto prendesse il sopravvento, dando conferma a quelle che erano le peggiori paure della giovane Jones.
I lunghi capelli neri, simili a vipere ricolme di odio, inghiottirono le ciocche castane appartenenti alla sorella, circondando il volto pallido della strega, come un intricato nido di rovi. Tutto apparve in perfetta sintonia con il lungo abito nero, oscuro come l’anima di chi lo indossava.
I tratti elfici fecero via via spazio ad un volto allungato e il piccolo e delicato neo sullo zigomo sinistro sparì, ingabbiato dalla pelle bianca simile a porcellana. Solo la bocca sembrò rimanere immutata, elegante e perfettamente disegnata, ma ora contorta in un ghigno sprezzante da apparire totalmente diversa da quella della non-fata.
“Ciao topolino…ti sono mancata?!”
Un’improvvisa rabbia, impossibile da contenere, si impossessò dell’animo di Eva, il cui cuore aveva ripreso a martellarle in petto, dando l’impressione di volerle uscire dal torace.
Quella maledetta pazza si era presa gioco di lei, di nuovo, come faceva ormai da un decennio.
Com’era riuscita ad arrivare lì?
 
“…grazie al tuo sangue principessa potrò raggiungerti ovunque tu sia…e arrivare qui indisturbata…senza tutti i vincoli che la tua magia ti ha imposto!”
 
Già, come aveva potuto dimenticarlo.
La sera in cui Morgana aveva preso in ostaggio suo padre per farla uscire dal diner della Nonna, quella donna era riuscita a prendere una goccia del suo sangue, sbarrandosi la strada verso qualsiasi universo temporale avesse scelto pur di raggiungerla.
Se avesse chiuso gli occhi avrebbe potuto risentire quella voce cristallina e agghiacciante rimbalzarle nella mente.
 
“[…] Qualsiasi cosa tu sia venuta a fare nel passato Eva…smetti di farla e spendi quel poco tempo che ti rimane per restare con la tua cara e misera famiglia…”
 
La Fata Oscura aveva atteso nell’ombra, in attesa che arrivasse il momento adatto, il momento esatto per sferrare il suo perfetto e inarrestabile attacco.
Non aveva lasciato nulla al caso, com’era solito nel suo stile. Quella donna, sempre se la si poteva considerare tale, aveva fatto della sua smania di potere, la linfa della sua stessa esistenza. Non vi era nulla di più importante; nulla, neppure la famiglia.
Si era dimostrata pronta a sacrificare la sua vita e quella di sua sorella pur di ottenere il potere necessario a vincere; era arrivata ad imprigionare lei stessa e Nimue in una sorta di prigionia temporale, dove nessuna di loro aveva il potere di salvare la propria versione, pur di vedere realizzarsi il suo destino.
Qualsiasi errore di Morgana sarebbe stato l’ultimo, perché nessuno, neppure lei stessa sarebbe potuta andare nel passato a salvarsi. Ma questo, in fin dei conti, non importava.
La vera potenza di quella strega stava nella sua costanza, nel suo sacrificare ogni cosa, compreso il tempo, per realizzare il suo piano.
In questo caso la distruzione degli eroi.
Eva, in cuor suo, aveva sempre saputo che quell’assenza nascondeva qualcosa. Lo aveva immaginato in ogni istante.
Si era semplicemente lasciata offuscare, quasi ingannare, dall’idea di poter sconfiggere la Fata Oscura, solo perché per un breve momento era riuscita ad attaccarla con l’aiuto di Regina.
Morgana poteva anche cadere, ma avrebbe sempre trovato il modo di rialzarsi, ancora più forte e folle di prima. Perché, lei, non aveva nulla da perdere.
Lei era invincibile.
Nonostante quella consapevolezza, nonostante una piccola voce dentro di sé le stesse urlando che ormai era tutto inutile e che la cosa più intelligente da fare era quella di lasciar cadere la spada e scappare, Eva si preparò a dar finalmente libero sfogo alla sua rabbia.
Se c’era una cosa che aveva ereditato dalla sua famiglia era il coraggio di battersi fino alla fine, anche quando le cose parevano propense verso la parte avversaria.
Lei non si sarebbe mai arresa. Non avrebbe permesso a nessuno di scrivere la parola fine o di spegnere il piccolo barlume di speranza che, coraggioso, continuava a brillare dentro di lei.
Lo doveva alla sua famiglia.
Lo doveva a Jake.
Stringendo la mascella, la figlia del Capitano Jones si preparò ad usare la spada che teneva in pugno.
Era lei, dopotutto, ad impugnare Excalibur e Morgana si sarebbe pentita di averle messo tra le mani l’unica arma in grado di ucciderla.
Nell’esatto istante in cui la giovane figlia del pirata si preparò a sferrare il suo attacco carico di astio e rancore, gli occhi della Strega davanti a lei parvero illuminarsi, come due carboni ardenti, arrivati al culmine del loro bruciare.
Simile al sogno che aveva fatto quella lontana sera nel villaggio dei Cacciatori di Orchi, Eva sentì la mano che impugnava la spada farsi improvvisamente libera dal peso dell’oggetto sorretto fino a quel momento. Excalibur non era più nella sua mano destra.
Con la stessa improvvisa e inspiegabile magia con cui era apparsa, l’arma sparì dal suo palmo, come se, richiamata da una magia silenziosa, avesse scelto di venire stretta tra le grinfie dell’ultima donna che avrebbe dovuto e potuto impugnarla.
Con lo sguardo sconvolto, Eva spostò gli occhi verdi dalla sua mano a quella di Morgana.
“N-no…” un sussurro, quasi impercettibile “…tu non puoi…”
Non poteva essere. Quella era l’arma prediletta, l’arma che solo una persona dal cuore puro, dall’animo valoroso e impavido, avrebbe potuto impugnare. Era la spada in grado di uccidere Morgana, forgiata in nome del coraggio, dell’onore e dell’amore, tutti sentimenti estranei a quella donna dal cuore di pietra.
Ma allora…
“Ti stai chiedendo perché riesco ad impugnare Excalibur…vero principessa?” la voce carica di astio e soddisfazione, simile ad un sussurro “…ti stai chiedendo come sia possibile che io, l’essere più oscuro che abbia mai toccato il suolo della Foresta Incantata, riesca ad impugnare la spada più eroica mai esistita. Bè…vediamo…come posso spiegartelo?!” esclamò, fingendo di cercare le parole adatte “Beh…perché io e te ora…siamo uguali?!”
Tutto accadde così velocemente da non lasciare il tempo ad una foglia innalzata dal vento di toccare di nuovo terra.
Lei. Era. Uguale. A. Morgana.
Lo aveva detto poco fa.
Accetto di essere oscura…e di avere l’animo colmo di odio…dolore e rancore…
Lo aveva detto.
Aveva scelto l’oscurità, spianando così la strada alla Fata Oscura.
Lo aveva fatto convinta di scegliere la strada giusta, quella che l’avrebbe condotta alla vittoria.
Con il volto carico di consapevolezza, Eva spostò lo sguardo dietro di lei.
Sentiva le urla di sua madre, i passi ovattati degli stivali a contatto con il terreno asfaltato.
Sembrava che tutto si stesse muovendo a rallentatore.
I passi delle donne dietro di lei. Le onde del freddo oceano. L’aria che le circondava le ciocche scure.
Maledizione…quanto era stata stupida.
Aveva permesso a Morgana di ingannarla. Di nuovo.
Se Jake o Regina, la sua Regina, l’avessero vista le avrebbero dato dell’idiota senza troppi giri di parole.
Nel momento in cui la giovane Jones tornò a posare lo sguardo su Morgana, questa si avvicinò di un passo a lei, posandole una mano sulla sottile spalla ricurva.
Come l’abbraccio infido di un serpente velenoso, la strega avvicinò la sua bocca all’orecchio della giovane, sussurrandole le stesse parole che aveva sentito in quel suo strano sogno, quello di cui solo ora ricordava il finale.
“Tu…non sei…la Salvatrice!” esclamò soddisfatta “…sei solo Eva Jones…l’eterna ed inutile orfana!”
Parole fredde, taglienti, come la lama a contatto con la sua stessa carne.
Con la bocca aperta, un po’ per lo sgomento e un po’ per il dolore acuto all’addome, Eva si ritrovò a specchiarsi in quegli occhi gialli, più simili a quelli di un demone che non a quelli di una Fata nata nella Foresta Incantata.
Faccia a faccia con la sua nemesi.
Con la stessa grazia agghiacciante con cui solitamente si muoveva, Morgana si allontanò dal corpo della giovane Jones, estraendo Exalibur da quel corpo così a lungo odiato.
“Evaaaaa noooooo!” l’urlo carico di un terrore, che solo una madre poteva provare, sembrò far tintinnare ogni vetro nelle vicinanze “Maledetta allontanati da l….”
Pronta come forse non lo era mai stata ad usare il suo potere contro quella pazza dai capelli corvini, Emma alzò entrambe le braccia, in perfetta sintonia con l’affluire del suo incontenibile potere, non del tutto alla sua mercé ma comunque pronto a dare una bella lezione alla strega.
La voce della Salvatrice, però, si bloccò sul colpo, come il suo corpo e quello delle donne dietro di lei, a loro volta allarmate da ciò che avevano appena visto.
Con la spada insanguinata stesa lungo il suo fianco e con l’altra mano alzata davanti a sé, Morgana si lasciò andare ad una risata priva di controllo e di alcuna sanità mentale.
Emma cercò con tutta sé stessa di liberarsi, di ritrovare il controllo della sua magia, del suo corpo fermo in una posizione quasi innaturale.
Si trovava lì, a pochi passi dal corpo morente di sua figlia, bloccata contro la sua volontà.
Avrebbe dovuto fare solo un piccolo sforzo e sarebbe stata in grado di aiutarla, di raggiungere Eva.
“Oh…non riesci a muoverti vero Emma?!” la voce calma di Morgana echeggiò nella testa di Emma, la quale non riusciva a vedere nulla che non fosse sua figlia, riversa a terra, immobile, come lo era lei in quel momento.
Perché non si muoveva? Perché era caduta in maniera così scomposta?
-Killian….Killian ti prego…-
“…vedi…Emma…” Morgana apparse improvvisamente davanti a lei, sovrapponendosi alla visuale di sua figlia stesa a terra “…questo è…il giorno…più bello…della mia…vita*!” un sorriso così esteso da sembrare quasi innaturale “E non posso permettere che tu ora rovini tutto andando a salvare la tua bambina. Tutti che cercano di salvarla…quel maledetto pirata, quella specie di ladro ribelle, Regina….ma nessuno che pensa a quali siano i miei sentimenti!” parole pronunciate con una naturalezza quasi agghiacciante “Sai da quanto sogno di ucciderla? Da quando immagino il suo corpo esalare l’ultimo respiro?! Bè sono….mmmm vediamo….” esclamò, fingendo di contare come un bambino, muovendo le dita della mano libera dall’impugnatura della spada “Ah sì…dieci anni. Dieci anni, o forse più, che merito di vedere morto quel…topo di fogna. E ora…ce l’ho fatta!”
Ancora quella risata, ancora quell’assenza di delicatezza, di emozioni sane.
“Ora…sono invincibile. Non c’è più nulla che possa fermarmi…nessuna profezia…nessun atto di Vero Amore o come diavolo vogliate chiamarlo!” continuò quasi collerica “Ho vinto io!”
All’improvviso, la figura della Strega sparì dalla visuale della Salvatrice, comparendo dinanzi alla a Regina, immobile come la bionda davanti a lei, con le mani strette a pugno e il volto colmo di rabbia.
“E tu, Regina, da brava ex assassina, starai pensando: Perché non l’hai uccisa prima?!” le chiese, sfiorandole il volto con le dita e porgendole uno sguardo corrucciato “…ma perché prima non potevo, sciocchina! Come avrei potuto uccidere l’unico mezzo in grado di farmi impugnare questa….” spiegò, sollevando leggermente la pesante spada leggendaria “L’unica arma in grado di segnare la mia fine, ora è diventata il tramite della mia vittoria”
Priva di alcun controllo, Morgana continuò ad utilizzare la sua magia, comparendo dinanzi alle presenti, impossibilitate anche solo a muovere le pupille in direzione di quel volto segnato dalla follia.
Con la stessa velocità con cui era comparsa dinanzi alle due donne più potenti di Storybrooke, Morgana si materializzò dinanzi a Biancaneve, il cui volto sembrava privo di alcuna espressione, di alcuna emozione, con le penetranti iridi color nocciola puntate su un punto imprecisato davanti a sé, come a voler ignorare lo sguardo innaturale della strega.
“Lo so Regina che una parte di te mi sta invidiando” esclamò, rivolgendosi alla sovrana nonostante i suoi occhi fossero puntati sulla giovane Mary Margaret “…dopotutto l’invidia è una caratteristica di famiglia no?!!” la derise, volgendo lo sguardo verso di lei, come se potesse aspettarsi una qualche risposta diversa dall’immobilità “Io sono riuscita ad ottenere la mia vendetta…da sola, senza bisogno di alcun aiuto. E lo sai perché? Perché io sono una persona paziente. Io so aspettare anni…e anni ancora prima di guadagnarmi ciò che mi spetta. So fare dei sacrifici…Ma alla fine raggiungo sempre quello che voglio. E tu non puoi dire lo stesso!” aggiunse, sfiorando il volto pallido e perfetto di Biancaneve, per poi stringere la mandibola della donna con la mano pallida.
“Lo sai Biancaneve…sei stata una delle prime che ho ucciso. Non è stato poi così difficile. Eravate tutti così impegnati a difendere i vostri figli che non avete prestato, nemmeno per un attimo, attenzione a voi stessi. Che cosa sciocca da fare…sacrificarsi per qualcun altro ...” sibilò la Fata Oscura, non riuscendo a controllare il tono rabbioso, quasi velato da una sorta di tristezza e paura “…morire per il bene della tua…famiglia! Suona mieloso perfino per una come te…!”
Di colpo, un sorriso comparve sul volto della donna dai capelli simili a lingue di fuoco nere come la notte, come se la rabbia di poco prima fosse svanita, portata via dal vento dell’oceano.
Con fare teatrale si voltò, lanciando per un’ultima volta uno sguardo sprezzante in direzione delle donne dietro di sé “Mia sorella mi ha delusa…allearsi con voi…con i perdenti. Non è stata una scelta così intelligente. Ma dopotutto, cos’altro aspettarsi da lei?! Un’anima…disperata…come voi.” esclamò, soddisfatta, dando definitivamente le spalle alle ultime tre arrivate.
“Tutti voi pensavate che la spada fosse stata nascosta da Merlino…non sapendo che quello stregone è morto da così tanto tempo da non aver lasciato più nulla…nemmeno ai vermi!” esplose in una risata, del tutto fuori luogo e per questo ancora più spaventosa “Non vi siete posti il minimo dubbio sulla validità delle informazioni in vostro possesso. Quanto sapete essere stupidi…e avete il coraggio di chiamarvi eroi
Senza servirsi nuovamente della sua magia oscura, Morgana continuò a camminare in direzione del corpo di Eva, cullando la spada che aveva tra le mani come se si fosse trattato di un piccolo bisognoso delle sue attenzioni e delle sue personali cure.
Le scarpe alte echeggiavano a contatto con il suolo, creando una sorta di ticchettio simile all’incedere della morte.
Tutto intorno a loro sembrava immobile, silenzioso, come i corpi di Emma, Regina e Biancaneve.
“Mentre voi pensavate di fare un passo avanti verso la mia distruzione…io mi godevo la vostra imminente sconfitta…comodamente seduta sul mio trono, attorniata da chi mi sostiene.”
Arrivata ai piedi della giovane Jones, la strega si inginocchiò, osservando la ragazza sanguinante come un qualcosa di estremamente curioso e inspiegabile, piegando la testa di lato come era solito fare agli animali.
E forse era proprio quello a rendere Morgana tanta terrificante. Quel suo essere estremamente imprevedibile, priva della coscienza umana e ricolma di un senso di pazzia che la portava a fare scelte unicamente dettate dall’istinto e dalla rabbia.
Con fare quasi gentile, la Fata Oscura allungò una mano verso il viso stanco di Eva; le palpebre chiuse di quest’ultima impedivano al verde brillante dei suoi occhi di donare a quel volto la solita aria di sfida che la caratterizzava; che caratterizzava tutta la sua famiglia.
“Devo ammettere che...quando Tremotino si è intromesso e ti ho vista impossessarti di tutti gli ingredienti…ho temuto il peggio. Ho temuto di averti persa….e che fosse davvero arrivata la mia fine! Non sapevo dove fossi e sentivo scivolarmi dalle dita la possibilità di mettere le mani su di te…” sussurrò, facendo delicatamente scendere la mano verso la ferita allo stomaco, da cui sgorgava così tanto sangue da aver inzuppato lo spesso cappotto invernale, lo stesso che, poco prima, la difendeva dal freddo ma che ora sembrava rappresentare una sorta di macigno sul suo corpo pallido e via via sempre più debilitato.
“E invece…eccoci qui…insieme.” sorrise, sfiorando, con le dita simili ad artigli, la ferita di quel corpo già ricolmo di dolore “Alla fine ti sei domostrata la loro rovina principessa….e la mia…salvezza. Chissà come reagirà Lui…quando glielo dirò!”
Con lo sguardo attraversato da una nota di follia, Morgana si preparò ad inserire la mano nel petto della ragazza, pronta a suggellare la fine di quel tanto agognato momento.
 “Metti. Giù. Le. Mani. Da. Mia. Figlia….”
Un’improvvisa voce calda, leggermente roca e carica di un disprezzo impossibile da non cogliere, bloccò il movimento della mano di Morgana, la quale si fermò a mezz’aria, come se fosse controllata da un potere più grande.
Nel momento in cui la strega si apprestò a voltare lo sguardo dietro di sé, la fredda punta di una spada entrò a contatto con la sua pelle, obbligandola a fermarsi.
Dopotutto non c’era bisogno di voltarsi. Chiunque avrebbe riconosciuto quella voce. Quel modo di fare sicuro e arrogante, anche di fronte alla più temibile delle streghe mai esistite; anche con la consapevolezza che una misera spada poco avrebbe potuto contro la sua magia.
“Killian…Jones…” esclamò la donna, colma di ironia, alzandosi lentamente in piedi e stringendo ancora di più la presa sulla sua elsa “Non ci vediamo da un po’…o forse no!” rise, divertita dalla sua stessa frase “Ma dimmi…pensi davvero di poter far qualcosa con quella?!” esclamò sarcastica, puntando uno sguardo di sottecchi alla spada del Capitano.
“Io no…ma lui sì…”
A nulla servì lo sguardo stupito di Morgana; a nulla servì il suo voltarsi di scatto per controllare a chi il pirata avesse lanciato uno sguardo soddisfatto; a nulla servì vedere il Principe Azzurro inginocchiato ai suoi piedi, con tra le mani un piccolo pugnale, lo stesso che poco tempo prima aveva usato per liberare il fidanzato della figlia dal ghiaccio in cui la Regina delle Nevi lo aveva imprigionato.
Tutto accadde in maniera estremamente veloce, quasi irreale.
Nel momento in cui gli occhi giallo paglierino si posarono sulla figura aitante del padre di Emma Swan, questi calò la lama del pugnale sul suo piede destro, rendendo il grido di dolore della strega simile a quello leggendario di una banshee, portando su di sé un richiamo di morte e dolore.
 
 
 
***
 
 
“È questa la grotta?!”
“Credo di sì…Trilli ha indicato questa zona e non mi sembra di vedere molte grotte qui intorno!”
Fu la prima volta che, principe e principessa, si rivolsero nuovamente la parola dopo l’ultimo scontro, avvenuto davanti ad alla fata, piuttosto famosa, dai toni verdolini, qualsiasi fosse il reame in cui la si nominasse.
Solitamente Eva Jones non era il genere di persona che cercava di riappacificarsi; al contrario, si sentiva più il tipo incline a tenere il broncio, anche nel caso in cui la ragione non protendesse particolarmente dalla sua parte.
In fin dei conti, però, non aveva mai trascorso abbastanza tempo con qualcuno che non fosse suo padre, o suo fratello, per riuscire a testare la cosa. Loro la conoscevano e sapevano come prenderla, lasciandola, il più delle volte, a sbollire la rabbia senza troppe cerimonie.
Ma ora non era insieme a loro e, per di più, doveva ammettere che la lite la vedeva quasi del tutto come parte colpevole.
Jake si era fidato di lei; aveva rischiato tutto pur di tornare al castello e salvarla; si era dimostrato pronto a sacrificare la sua vita per lei e l’unico ringraziamento che ne aveva ottenuto era stata l’ennesima bugia.
Essere arrabbiato con lei era, probabilmente, il più logico degli atteggiamenti.
Con il cuore pesante, la giovane Jones sapeva di non essersi comportata nel migliore dei modi. Avrebbe dovuto parlagli del veleno e del particolare alquanto scomodo nascosto dietro all’accordo stretto con Tremotino.
Ma lei, per quanto odiasse ammetterlo, non riusciva a fidarsi.
Non riusciva a lasciarsi totalmente andare, a lasciare che un altro essere umano entrasse nel suo cuore.
Come si imparava a donare a qualcuno l’immenso potere di occuparsi di una piccola parte di te?
Da quasi diciassette anni, l’unico che aveva ricoperto quel ruolo era stato suo padre. Ed ora, probabilmente, era troppo tardi per cambiare per un tipo come lei.
Sarebbe diventata una vecchia scorbutica se non avesse fatto qualcosa per cambiare.
“Tu aspetta qui…entro io!”
La voce grave del ragazzo accanto a lei, riuscì a zittire le voci di quei sottili pensieri, riportandola alla quasi invisibile grotta dinanzi a lei.
Non era il genere di grotte che, solitamente, la giovane Jones aveva incontrato nei suoi numerosi viaggi nei territori della Foresta Incantata; sembrava piuttosto simile ad un piccolo foro, dal quale sì o no ci sarebbe potuta passare una figura maschile, preferibilmente lontana dal soffrire di claustrofobia. Una tana di qualche animale abbandonata da secoli e solidificata dalle rocce del luogo.
Certo, i deboli raggi dell’alba le donavano un aspetto invitante, simile alla tana del coniglio di Alice nel Paese delle Meraviglie, o almeno quella che era la versione raccontata nella realtà in cui si trovava Storybrooke; ma qualcosa le diceva di non fidarsi e che, solitamente, le prime impressioni erano anche le più lontane dalla realtà.
“Perché devo essere io quella che aspetta. Sono più magra di te…ci vado io…tu aspetta qui!” esclamò la mora, apprestandosi a superare Jake, il quale, però, non perse tempo a posare una mano sopra la sua spalla sottile, trattenendola.
“Sarai anche più magra…ma ricordati che sei silenziosa come un elefante in una cristalleria. Sai com’è…preferirei evitare di far conoscere la nostra posizione alla megera!” le sorrise, sbruffone, superandola a sua volta.
Una parte di Jake, però, sapeva di dover attendere poco meno di qualche secondo prima che quella voce inconfondibile ritornasse a rivolgersi a lui, con parole sicuramente ricolme di dolcezza e amore.
“Sei proprio un grande st…”
“Ehi ehi ehi…” la fermò, voltandosi verso di lei e puntando i suoi penetranti occhi scuri su quel volto ormai così familiare “…tu poi vorresti baciarmi con quella boccaccia?!”**
Le guance della giovane Jones, solitamente rosee, assunsero di colpo un colore vermiglio, il quale pareva sposarsi alla perfezione con il colore verde giada dei suoi occhi.
Rimase di sasso.
Lei, sempre scaltra e pronta all’azione, si ritrovò ad aprire e chiudere la bocca, non riuscendo a riordinare il flusso di pensieri che, improvvisamente, cominciò a riempire la sua mente.
-B-baciarlo?...io non…io non…- nemmeno nella sua mente riusciva a controllare il balbettio dettato dall’imbarazzo.
Se suo padre l’avesse vista l’avrebbe presa in giro per il resto dei suoi giorni.
Ovviamente subito dopo aver eliminato il pretendente.
-Pretendente…maledizione…che diavolo vado a pensare…- si riprese da sé Eva, consapevole di avere il volto sempre più in fiamme.
“Che fai Jones?...non dirmi che hai deciso di rimanere qui fuori e di darmi ascolto?!”
Maledicendolo con la sola forza dello sguardo, Eva si affrettò a raggiungere il figlio di Regina, il quale se ne stava fermo davanti all’entrata della grotta, con quella sua aria strafottente e arrogante da far concorrenza ai suoi predecessori.
Lanciandole un’occhiata carica di soddisfazione, Jake si apprestò ad entrare per primo, ben consapevole dell’effetto che le sue ultime parole avevano avuto sulla giovane dietro di lui.
Per quanto faticasse ammetterlo, sapeva di non essere più così adirato con lei. Non sentiva più la rabbia dovuta alla sua ennesima bugia farsi largo nel suo cuore e il farla arrabbiare non era assolutamente un qualcosa dettato dal rancore o dalla voglia di farla soffrire.
Sentiva, piuttosto, il forte bisogno di vederla arrossire, di vedere come i suoi occhi si allargassero quando avvicinava troppo il suo viso al suo. Ma questo accadeva da sempre; dal compleanno di Alex, ad essere precisi.
Gli piaceva sapere di avere una sorta di potere sul suo umore e, forse, era l’unico modo per accettare il forte potere che lei stessa aveva su qualsiasi cosa lo riguardasse.
La sentì sbuffare alle sue spalle e, con un sorriso lievemente accennato, Il giovane Mills entrò nella grotta.
L’unico modo di proseguire era in fila indiana e, con Eva dietro di lui, Jake si addentrò in quel cunicolo di oscurità, sperando che le pareti su cui stava appoggiando le mani non cominciassero a cambiare consistenza.
Era in luoghi come quello che gli ritornavano alla mente le scene di uno dei pochi film che ricordava di aver visto in compagnia di Henry; il nome aveva qualcosa a che fare con Indiana…e forse il cognome di Eva, ma non ne era certo.
Era piccolo quando aveva guardato quel film con il fratello, di nascosto da sua madre e, per quanto tempo fosse trascorso da quel pomeriggio di tanti anni prima, c’era una scena in particolare che non avrebbe mai scordato, nemmeno se lo avesse voluto.
Non era una scena particolarmente spaventosa e, probabilmente, se qualcuno lo avesse saputo lo avrebbe deriso.
Era quella in cui la donna della storia entrava in una sorta di nascondiglio segreto, simile alla grotta in cui si trovavano in quel momento. Camminava disgustata, illuminando ciò che le stava davanti con una banalissima lampada ad olio. Quando, improvvisamente, sentì qualcosa sulla sua pelle e, puntando il fascio di luce sulla sua mano, si ritrovò tra le mani un’immensa mantide religiosa.
Ovviamente non era l’unico insetto presente in quel luogo. Millepiedi, rane, blatte, vermi di indubbia forma e provenienza. Un’immagine disgustosa.
Per quanto fosse poco virile ammetterlo, il solo pensare a quella donna mentre infilava la mano in quel buco pieno di insetti viscidi e rivoltanti, con l’intento di tirare una sorta di leva, e i millepiedi le si infilavano nei suoi vestiti, gli faceva venire ancora la nausea.
All’epoca era solo un bambino, e chiunque lo avrebbe compreso, soprattutto suo padre; ma la cosa preoccupante era che aveva mantenuto quella sorta di incubo ad occhi aperti anche ora che di anni ne aveva quasi venti.
Certo, se vedeva un insetto non si metteva ad urlare come una donnetta; ma non avrebbe mai resistito nel trovarsi in una grotta simile a quella del film e, purtroppo, quel posto e i rumori che produceva glielo ricordavano particolarmente.
Lui era uno tosto, lo sapeva e lo sapeva pure chi aveva avuto il piacere, o il dispiacere, di conoscerlo; ma se c’era una cosa che la disgustava, e di cui non andava affatto fiero, era l’accoppiata oscurità e creature piccole, viscide e rivoltanti.
Non poteva farci nulla e, ovviamente, nessuno sarebbe mai venuto a conoscenza di quella sua stupida debolezza. Men che meno la ragazza dietro di lui.
Già immaginava la sua comprensione.
“Oddio…la senti questa puzza?!” esclamò Eva tappandosi da bocca con la mano, consapevole dello strano effetto prodotto dalla sua voce coperta dal suo palmo.
“Beh…non mi lavo da un po’ in effetti. Rimedierò dopo aver fatto visita a mia zia…!” le rispose con tranquillità, dimostrando di non essere così disturbato dall’odore in questione.
“No…è…è l’odore di qualcosa andato a male…tipo di…” Eva di interruppe di colpo, non riuscendo a trovare le parole “…di qualcosa di…morto!”
“Non credo ci siano molte cose vive qui dentro!”
Quasi a voler controbattere a quella risposta così sicura e arrogante, il corso degli eventi sembrò improvvisamente cambiare le carte in tavola, riuscendo a far congelare sul petto il cuore pulsante del giovane Mills.
Eccola lì.
La sensazione più orribile che esistesse. L’unica che, nel più dettagliato degli incubi, si sposava alla perfezione con l’oscurità di quella grotta.
La sensazione di qualcosa di viscido, sotto i loro piedi.
Cercando di respirare e di non perdere neanche per un istante il controllo sui suoi nervi, Jake cercò di non saltare a conclusioni affrettate.
Eppure, il rumore di qualcosa di scricchiolante e, al contempo, viscido sotto le suole delle scarpe si faceva via via sempre più vivido. Sembrava che il pavimento fosse improvvisamente divenuto morbido, viscoso; simile alla colla liquida mescolata all’acqua.
Jake si bloccò di colpo, indeciso se tentare un’arrampicata su quelle pareti, o fare direttamente dietrofront e uscire all’aria aperta, dove il sole e l’ossigeno facevano da padroni.
D’istinto il giovane iniziò ad indietreggiare, andando ben presto a sbattere contro il corpo di Eva, poco lontano da lui.
“Ehi…che ti prende?”
“C’e qualcosa sotto i nostri piedi…vero?!”
Aveva un tono lapidario, privo di quel consueto velo di arroganza e presunzione che, solitamente, lo caratterizzava.
“Penso di sì…e penso sia pure viva…e…disgustosa!” gli rispose la giovane, esortandolo a continuare “…quindi meno rimaniamo fermi qui meglio sarebbe”
Ma il ragazzo non si mosse. Nemmeno quando Eva posò le mani sulla sua schiena atletica.
“Jake…”
“Potresti usare la magia…” esclamò improvvisamente, in tono serio e alquanto nervoso.
“La magia? E per cosa?”
“Per illuminare quello che abbiamo sotto i piedi. Sento qualcosa salirmi sulla gamba e vorrei sapere di cosa si tratta…” il tono sempre più nervoso, così come doveva esserlo il suo volto.
Per un momento Eva rimase in silenzio, non sapendo se essere più sconvolta dal fatto che Jake potesse aver perso improvvisamente il controllo per qualcosa che doveva avvicinarsi a degli insetti rivoltanti, o per averle chiesto personalmente di usare la magia.
Sorrise al pensiero che un ragazzo forte e coraggioso come Jake si lasciasse sopraffare da una cosa tanto piccola. Ma forse era proprio quello ad averglielo, improvvisamente, reso più caro.
“Non userò la magia per una cosa del genere…” gli rispose “…Morgana potrebbe vederci…”
“Non ci vedrà…usala…ti prego!”
La stava pregando. E con un tono così…così…
Maledizione.
“E va bene…ma mi devi un favore!”
Senza concentrarsi troppo nell’usare la magia, Eva lasciò che la sua mano divenisse un emissario di luce, in grado di illuminare ciò che avevano davanti a loro.
Come entrambi avevano immaginato, lo stretto corridoio in cui si trovavano era lungo circa nove metri, dopodiché sembrava terminare nel buio più assoluto, dove nemmeno la magia di Eva sembrava riuscire a penetrare. Ma non era quella la cosa più preoccupante; bensì, ciò che aveva preso il posto del pavimento sotto i loro piedi.
Una miriade di insetti, dai più svariati, componeva una sorta di tappeto vivente, da cui proveniva un suono simile all’albume d’uovo, mescolato con le mani.
Consapevole dell’espressione che doveva aver dipinto in volto, Eva posò lo sguardo su Jake, aspettandosi di vedergli la stessa faccia e lo stesso disgusto. Al contrario delle sue aspettative, però, l’arciere dai capelli scuri, se ne stava con gli occhi chiusi e il volto così pallido da apparire quasi sofferente come lo era il giorno prima, con la spada di un troll puntata alla gola.
“Ehi…stai…stai bene?!” gli chiese la ragazza, posando la mano libera sulla spalla di Jake.
“Io…”
“O-ok…senti…vado avanti io…” esclamò, cercando di apparire tranquilla e per nulla preoccupata da quell’improvviso terrore dipinto sul suo volto.
Bene. Jake aveva una sorta di fobia con gli insetti.
Però, visto che lei era un’asociale, bugiarda e priva di tatto, non poteva di certo sentirsi nella situazione di poter giudicare.
Lo avrebbe preso in giro una volta usciti da lì. Ovvio.
Nell’esatto istante in cui la Jones si apprestò a superare la figura di Jake, qualcosa di viscido calò sulla testa di Eva, posandosi prima sui suoi capelli per poi raggiungere il suo volto.
Era qualcosa di solido, ma imperniato di una sostanza melmosa, simile alla bava delle lumache, ma dall’odore così acre da impedire alle narici di respirare.
Eva emise un urlo di disgusto, attirando su di sé gli occhi scuri di Jake.
“Maledizione…che cos’è…puzza da morire…”
Cercando di togliersi l’insetto dalla pelle, Eva si accorse che questi si era incollato sul suo collo, rilasciando quell’odore pungente e insopportabile che andò a finire dritto sotto il suo naso.
Come se fosse bastato il vederla in difficoltà per vincere una piccola parte della sua paura, Jake si avvicinò al corpo della ragazza e, senza prestare troppa attenzione alla morbidezza dei suoi gesti, strappò l’insetto attaccato alla pelle ormai livida della Jones, notando solo in quel momento un dettaglio fino a quel momento tralasciato.
“Eva…che stai dicendo?!...non c’è nessuna puzza.”
La giovane non fece in tempo a rispondere che, improvvisamente, una pioggia di quelle creature fece capolinea dal soffitto, tutte principalmente attirate dalla figura di Eva, la quale cercò di trovare riparo inginocchiandosi a terra, coprendosi il capo con le braccia.
Gli insetti viscidi non persero tempo a posarsi sui suoi vestiti, sul suo volto, ignorando volutamente il giovane figlio di Robin, mentre Eva cercava di allontanare quei vermi dalla sua bocca, tenuta disperatamente chiusa nonostante la voglia di urlare fosse quasi incontrollabile.
Attraversata da conati di vomito e dall’istinto di tossire, la giovane Jones usò una mano per coprirsi le labbra mentre, con l’altra, cerava di liberarsi da quelle orribili creature.
Il raggio di luce emesso dalla sua magia aveva ormai smesso di illuminare il corridoio, facendo ripiombare nell’oscurità i due giovani figli degli eroi.
Cercando di aiutarla come meglio poteva, Jake si inginocchiò a sua volta, posando una mano sui capelli voluminosi della ragazza, guardandosi al contempo intorno alla ricerca di una via di fuga.
Ma come si poteva trovare qualcosa in un corridoio immerso nell’oscurità più totale, dove l’unico rumore proveniva da quelle creature disgustose?
“Eva…dobbiamo tornare indietro…”
Senza aspettare una risposta, Jake aiutò l’amica ad alzarsi in piedi ma, dopo solo alcuni passi, la loro ritirata venne interrotta dall’ennesimo conato di vomito di Eva, la quale si ritrovò nuovamente a terra.
Le creature non arrestavano per un solo attimo la loro avanzata, usando gli arti della giovane come appiglio per raggiungere ogni tratto scoperto del suo corpo.
“Maledizione…” imprecò a gran voce il giovane Mills.
La situazione stava sfuggendo di mano e le condizioni di Eva peggioravano a vista d’occhio.
Quasi spinto da una forza invisibile, Jake posò nuovamente lo sguardo alla sua destra, verso la strada poco prima abbandonata, per sfuggire a quell’imprevedibile attacco a sorpresa.
Improvvisamente, come se qualcuno fosse silenziosamente passato da quelle parti, una torcia sembrò essere comparsa dal nulla, attirando su di sé lo sguardo del ragazzo; si trovava a qualche metro di distanza dalla posizione di Jake, appesa ad una parete in roccia, ben diversa da quella ricoperta di insetti accanto a loro.
-Le fiamme….spaventano le creature- pensò tra sé e sé Jake, senza mai allontanare la sua mano dalla schiena di Eva.
Quanto distava quella torcia? Sei o sette metri? Forse più?
Deglutendo a fatica, Jake cercò di allontanare dalla mente l’idea di dover attraversare a piedi, nella semioscurità, un tratto non indifferente di pavimento in movimento; consapevole che le mantidi giganti del film che aveva visto sarebbero state decisamente migliori di qualsiasi cosa si trovasse ai loro piedi in quel momento.
Ma doveva aiutare Eva e la sua maledettissima e imbarazzante paura avrebbe dovuto farsi da parte.
Per quella ragazza dal carattere impossibile avrebbe fatto qualsiasi cosa.
“Eva…Eva ascoltami…”
Aiutandola ad alzare leggermente il volto, Jake puntò i suoi profondi occhi scuri su quelli di Eva, la quale faticava a tenerli aperti, debole com’era.
“Torno subito ok? Non ti muovere…”
Consapevole di non potersi aspettare una risposta da parte della ragazza, Jake si alzò da terra, cominciando a camminare in direzione della torcia.
Il viscidume sotto i suoi piedi sembrava aumentare via via che i passi veloci e nervosi del giovane si posavano sulle creature a terra. Gocce di sudore imperlavano la fronte di Jake, facendo appiccicare alcune ciocche di capelli scuri sulla pelle.
Non doveva pensare a cosa aveva sotto i piedi.
Non doveva pensare a cosa stava toccando la sua mano posata alla parete.
Non doveva pensare a cosa sarebbe potuto crollare dal soffitto da un momento all’altro.
Doveva solo pensare ad Eva e a quella maledetta torcia a quattro metri da lui.
Quell’oscurità sotto i suoi piedi avrebbe finalmente lasciato spazio alla luce e alla cara e familiare roccia del pavimento, la quale poteva essere intravista già a quella distanza.
Con il fiato corto, Jake voltò il capo dietro di sé, per dare un’ultima occhiata alle condizioni di Eva prima di dedicarsi completamente all’oggetto apparso magicamente su quel muro.
La ragazza, che sembrava detenere un ruolo non indifferente sul suo cuore, era ancora seduta a terra, con le mani davanti alla bocca.
Per lo meno respirava ancora.
Lasciandosi andare ad uno stanco sospiro, Jake volse nuovamente il volto verso il corridoio che si appresta a ad attraversare quando, all’improvviso, il pavimento sotto ai suoi piedi apparve stranamente privo di alcuna creatura viscosa, scricchiolante o in movimento.
Non vi erano più insetti sotto su di lui, nulla che si muovesse o che riuscisse a renderlo nervoso.
Sarebbe stato tutto a dir poco perfetto, se solo l’assenza di insetti non fosse stata accompagnata dal vuoto magicamente apparso ai piedi del ragazzo, facendolo sparire da quell’insolito corridoio, accompagnato unicamente da un urlo di stupore e da un’imprecazione.
 
 
***
 
 
Il corpo longilineo di Evangeline Jones, era steso su di un classico letto d’ospedale, dove tubi e monitor facevano da padroni in quella stanza illuminata dal sole.
Erano trascorsi due giorni dall’incontro ravvicinato con Morgana ma le condizioni della figlia della Salvatrice non potevano ancora dirsi fuori pericolo. La potenza della lama di Excalibur, così famosa da essere riuscita ad attraversare vari regni, aveva mantenuto alto il suo valore, rendendo la ferita allo stomaco della ragazza decisamente grave, apparentemente irreparabile perfino con la magia presente a Storybrooke.
Il volto di Eva, fino al giorno prima cereo e con profonde occhiaie nere sotto gli occhi, ora appariva leggermente più roseo, ma il respiro ancora affannoso non sembrava vedere grandi miglioramenti. Fortunatamente la mascherina, sistemata poco prima dal dottor Whale, sembrava riuscire ad alleviare quella respirazione affannosa, nonostante i suoi accesi occhi verdi non sembrassero voler dar cenno di aprirsi.
Seduta su una delle sedie messe a disposizione dalle infermiere, Emma finse di sistemare la coperta azzurro oceano posta sulle gambe della figlia, quando in realtà desiderava unicamente tenere le mani su quei lunghi e morbidi capelli scuri, così simili a quelli dell’uomo che amava da perforargli il cuore.
Sembrava così indifesa in quel momento, così piccola e bisognosa dell’amore di qualcuno.
Alle volte, sentiva Eva lamentarsi nel sonno e chiamare qualcuno. Spesso chiedeva di Killian o di lei; ma non poteva ignorare il nome che ogni tanto sussurrava a fior di labbra; un nome che, non appena raggiunse le orecchie di Regina, riuscirono a far congelare il sindaco di Storybrooke sul posto.
Jake.
Regina, nonostante non lo avesse mai conosciuto, si ritrovava a convivere con la consapevolezza che suo figlio sarebbe morto, privo del suo aiuto, come lo era stato Daniel prima di lui.
Anche il sindaco di Storybrooke sembrava non poter mai vivere un periodo di pace.
Prima l’allontanamento forzato di Robin, ora la notizia di un figlio non ancora nato ma destinato ad una morte precoce.
Aveva un limite il dolore di una persona? C’era un livello oltre il quale il cuore non avrebbe più retto, o il destino aveva la piena libertà di giocare fino alla fine con la loro gioia, la loro speranza, facendoli sentire dei deboli individui la cui felicità veniva rinchiusa in uno scrigno, privo di qualsiasi chiave in grado di riaprirlo?
Allontanando quei sentimenti dal cuore, Emma posò nuovamente lo sguardo sulla figlia, sfiorandole il volto con le dita.
Se chiudeva gli occhi poteva nuovamente ritornare al molo, immobilizzata dalla magia di Morgana, mentre quest’ultima si apprestava a mettere fine alla vita della sua secondogenita.
Ricordava di essersi sentita, per la prima volta, davvero inutile, debole, priva di quella magia di cui si era ormai abituata, grazie all’aiuto e al sostegno delle persone che amava.
Eppure, in quel momento, sotto l’immensa magia della Fata Oscura, Emma non era riuscita a ribellarsi, ritrovandosi inerme davanti ad una serie di eventi che avrebbero nuovamente sconvolto la sua vita.
L’arrivo di Killian, quasi fosse stato richiamato dal suo silenzioso grido di aiuto, e di suo padre fu alquanto tempestivo.
Dopo che il Principe Azzurro aveva piantato il suo pugnale sul piede della strega, l’incantesimo di quest’ultima aveva allentato la sua morsa sui loro corpi, rendendo finalmente libere sia lei che Regina e sua madre.
Controllata da una rabbia quasi accecante, perfino lei, la Salvatrice di Storybrooke, si era ritrovata ad usare il suo potere per fare del male a quella donna; voleva farle provare il dolore che continuava a far dilagare nel mondo, duplicato un migliaio di volte.
Purtroppo, però, né il suo intervento né quello di Regina fu abbastanza tempestivo per frenare la fuga di Morgana, la quale non perse tempo a smaterializzarsi, non prima di aver promesso ad ognuno di loro la fine che meritavano.
Il volto di quella donna, di quel mostro, sembrava sempre più instabile, ad ogni occasione in cui si incontravano.
Cosa l’aveva resa così furiosa? Cosa l’aveva portata ad odiarle Eva e tutti loro con così tanto ardore?
Possibile che fosse tutto dovuto ad una semplice e stupida profezia? Non poteva essere; una persona non poteva desiderare dolore e lacrime solo perché qualcun altro aveva deciso per lei.
Non appena il corpo era svanito dietro una nube nera, Emma e Uncino si erano inginocchiato sul corpo della figlia, entrambi con il cuore così tachicardico da sembrare in sintonia l’uno con l’altro.
Come sempre, Killian aveva dimostrato una totale fiducia in lei e, con uno sguardo carico d’amore, l’aveva spronata ad usare la sua magia per curare la figlia. Non servì alcuna richiesta da parte della bionda perché Regina l’aiutasse a salvare la vita di Eva e, insieme, fecero il possibile per migliorare le condizioni della giovane stesa a terra.
La magia aveva chiuso la ferita e fermato l’emorragia, ma nonostante ciò Eva aveva continuato a rimanere in quella sorta di sonno profondo, il quale pareva via via rendere sempre più disteso il suo volto, come se stesse sognando.
Osservandola come solo una madre poteva fare, Emma si chiese cosa stesse sognando la figlia, sperando con tutto il cuore che, almeno per una volta, fossero qualcosa di bello.
Un rumore alle sue spalle, fece sobbalzare la giovane Swan che, non appena si accorse di chi si trattava, si lasciò andare al primo accenno di sorriso della giornata.
“Come sta?” chiese la voce preoccupata del Capitano della Jolly Roger.
Lasciandosi toccare la spalla sinistra, Emma alzò gli occhi su quelli blu mare del padre di sua figlia, consapevole di quanto fosse prossima alle lacrime.
Lei la Salvatrice, la cacciatrice di taglie dal cuore forte e risoluto, non riusciva a trattenere le lacrime. Se qualcuno glielo avesse riferito qualche anno prima avrebbe faticato non poco a crederci.
Oramai, però, la cosa non la sconvolgeva più così tanto.
Killian Jones era riuscito dove tanti avevano fallito, convincendola ad abbassare dei muri che, da sempre, l’avevano salvaguardata dalla sofferenza e dal rischio di una qualsiasi delusione.
Amava il modo in cui lui riusciva a farla sentire; amava il potere che aveva un suo semplice tocco, un delicato gesto su una spalla, come se riuscisse a leggere il dolore e la sofferenza ben nascosti dentro di lei.
“Nessun peggioramento…e nessun miglioramento…” gli rispose, volgendo nuovamente la sua attenzione sulla figlia “Io e Regina abbiamo provato di tutto. Il fatto che non ci siano le fate non aiuta…ma secondo Regina nemmeno loro saprebbero cosa fare. Sembra non ci sia nulla per aiutarla ad uscire dal coma…”
Era impossibile non ignorare il fatto che quel luogo, quell’ospedale e, molto probabilmente, quella stessa stanza, rappresentassero il primo posto dove loro due si erano incontrate, madre del passato e figlia del futuro.
Erano trascorse settimane da quel giorno; dai sogni che avevano legato lei a quella ragazza venuta da chissà dove, mostrandole stralci di quello che sembrava essere un loro futuro insieme.
C’era voluto tempo per lasciare che anche lei, sangue del suo sangue, riuscisse a fidarsi di loro; avevano dovuto bere una pozione della memoria ritardante per conoscere dettagli del loro domani così oscuro; avevano dovuto leggere nel suo cuore, dietro ad un milione di bugie che sembravano prossime a consumarla.
Col tempo, però, erano riusciti a costruire qualcosa, come una famiglia, anche se, purtroppo, nulla di così duraturo.
Dopo giorni e giorni trascorsi insieme, si trovavano ancora punto e a capo, con Eva priva di sensi e lei, la Salvatrice, colma di mille domande senza alcuna risposta.
Il destino aveva davvero un senso dell’umorismo incredibile.
“E Belle? Ha trovato niente in biblioteca?” chiese il pirata, sedendosi ai piedi del letto e posando una mano sulla gamba coperta della figlia, a sua volta con lo sguardo puntato su quest’ultima.
“Credo di no…ora è al negozio di Tremotino insieme a Nimue...”
“Pensate ci si possa fidare di lei? Dopotutto è imparentata con quella maledetta strega!” si ritrovò a chiedere Killian, stringendo la mascella al ricordo di come Morgana si fosse nuovamente presa gioco di loro assumendo le sembianze della sorella.
“Non è stata lei a consegnare Excalibur ad Eva…è stata Morgana. Nimue sembra essere l’ennesima vittima della pazzia di quella donna…” esclamò la Salvatrice, spostando lo sguardo sul volto serio di Killian “…ma da qui a fidarsi di lei la strada è lunga.”
Limitandosi a scambiare un’occhiata con la donna che amava, Killian tornò a concentrarsi sul volto di Eva, quasi irriconoscibile con tutti quei tubi intorno al volto.
Dal mondo in cui proveniva lui, non vi era una simile tecnologia, ma solo magia e antiche tradizioni di famiglia, dove ci si affidava quasi esclusivamente ad erbe e vecchie pozioni invece che a tubi ed a macchinari dal suono irritante.
Erano trascorsi due giorni, ed Emma non accennava a volersi staccare da sua figlia.
Come se si sentisse in colpa; come se, con la sua vicinanza, riuscisse a riparare agli anni di solitudine a cui la sua versione futura aveva costretto la sua famiglia, senza alcuna via di scampo.
Quella donna era davvero un libro aperto per lui e, per un attimo, la cosa lo fece sentire bene.
“Non è stata colpa tua…”
La voce roca del pirata echeggiò in quella stanza vuota, apparendo quasi diversa da com’era solitamente.
A differenza di come faceva in passato, Emma non scelse di evitare la domanda, e nemmeno rispose con il suo consueto modo di fare sfuggente, fingendo di non capire cosa le stessero chiedendo.
“Penso di avere abbastanza colpe in questa storia…”
“Perché Morgana è più forte di quanto pensavamo? O perché è quasi riuscita ad uccidere nostra figlia?! Non potevi prevederlo Emma…”
Quel nostra, pronunciato con tanta naturalezza, riuscì a scaldare il cuore della Salvatrice, la quale si ritrovò a chiedersi come avesse fatto a rimanere per così tanto tempo lontana a quell’uomo.
“Non potevo prevederlo è vero…ma potevo evitare di nascondere l’ennesima cosa ad Eva…” esclamò la giovane Swan, cercando di controllare il tremore alla voce “Ha scoperto che mi sono uccisa nel peggior modo possibile…e, a dirla tutta, potevo benissimo evitare di abbandonarla sacrificandomi per il bene di tutti!”
“Ma non sei stata tu Emma…non hai ancora fatto nulla…”
“Hai detto bene…non ho ancora fatto nulla…ma lo farò!” sbottò la bionda, alzandosi in piedi “Per quanto io creda di poter cambiare le cose, al momento non c’è nulla che stia andando per il verso giusto. Morgana probabilmente sarà tornata nel futuro a fare chissà cosa; noi siamo bloccati qui con più domande e meno risposte rispetto a quando tutto questo è iniziato!…e se Eva…se Eva dovesse…” sentendo improvvisamente la gola chiudersi, Emma lasciò che una lacrima le rigasse il volto, con gli occhi così lucidi da non riuscire a mettere a fuoco il volto di Killian “…se dovesse morire…noi dimenticheremmo ogni cosa di quello che sta accadendo….per colpa di quella maledetta pozione…” aggiunse, sentendo nello stomaco il peso di quella scelta “Noi due non ricorderemo di avere una figlia Killian; non sapremo nulla di Morgana e di quali siano i suoi piani. Torneremo all’esatto punto in cui Elsa e Anna se ne sono andate. Tutto…tutto resterà invariato…e il futuro non cambierà di una sola virgola. Eva sarà perduta…e io…io mi ritroverò di nuovo ad abbandonare i miei figli…la mia famiglia. Abbandonerò perfino te…”
Le lacrime continuarono a scendere, rendendo quel suo volto costantemente fiero, colmo di una tristezza in grado di riempire i cuori di tutti gli abitanti di Storybrooke.
Non lasciando scorrere un solo istante in più, Killian si alzò a sua volta, avvicinandosi al corpo di Emma e avvolgendola in uno dei suoi abbracci, senza dire una parola.
Era impossibile ignorare il calore e l’amore proveniente da quelle braccia forti e insostituibili.
Forse fu quello a dare il coraggio alla Salvatrice di lasciarsi andare; a darle il coraggio di piangere le lacrime fino ad allora trattenute, portatrici di un dolore devastante.
Il Capitano della Jolly Roger, usò la sua unica mano per accarezzare i capelli biondi della donna, in un gesto così simile a quello compiuto poco prima da Emma nei confronti della figlia che, se qualcuno l’avesse colto, avrebbe probabilmente sorriso di fronte a quella chimica dettata unicamente dall’amore.
“Emma…guardami…” le disse il pirata, alzando leggermente quel volto arrossato, così perfetto da riuscire a farlo innamorare ogni giorno di più “…lei non morirà. È forte…e lo ha dimostrato tante volte. È più forte di quanto lo siamo mai stati noi…soprattutto ora che ha ritrovato la sua famiglia!” esclamò, sottolineando con una certa enfasi l’ultima parola “Troveremo qualcosa…troveremo un modo per guarirla…e quando si sarà svegliata prepareremo un piano per eliminare Morgana una volta per tutte. Tu sei Emma Swan…e riuscirai a fare qualsiasi cosa tu voglia, anche cambiare un futuro già scritto. Ne sono convinto!” aggiunse, in tono serio “Riuscirai a salvare la tua famiglia. E vedrai che insieme faremo vedere a quella donna ciò di cui siamo capaci. La faremo pentire di essersi messa contro di noi. È una promessa Swan!”
Guardandolo dritto in quegli occhi dello stesso blu profondo delle acque che aveva solcato, Emma riuscì a leggervi un’unica cosa: verità. Persino il suo super potere, come amava chiamarlo Henry, impallidiva di fronte alla sincerità di Killian, quando si trattava dei suoi sentimenti e di ciò che pensava di lei.
Quell’uomo avrebbe fatto qualsiasi cosa per salvare la sua famiglia.
Famiglia.
Era incredibile che loro, i due orfani sfuggiti e costantemente rincorsi da un destino meschino e autoritario, si fossero ritrovati a condividere la stessa strada, lo stesso cuore. Perché, per quanto fosse incredibile da ammettere, Emma aveva la sensazione che il suo cuore battesse all’unisono con quello del pirata, com’era accaduto quel giorno al molo, di fronte al corpo ferito della figlia.
Aveva la sensazione che, i sentimenti che provava per lui, riuscissero ad amplificarsi grazie alla vicinanza di quel corpo e di quell’anima, così colmi di amore da aver reso le sue paure dei semplici e fragili fantasmi del passato.
Aveva ragione.
Insieme avrebbero trovato il modo per sconfiggere Morgana e di salvare la loro famiglia. Non avrebbe più dubitato di questo.
Stringendo le labbra, la giovane Swan si sforzò di porgere al Capitano della Jolly Roger uno dei suoi sorrisi, inconsapevole di quanto fossero dolci e di quanto potere avessero nei confronti di quell’uomo dalla barba leggermente incolta e dalla mascella quasi costantemente contratta, soprattutto nei momenti più difficili.
Lentamente, Killian delineò con lentezza quel volto bagnato dalle lacrime. Le sue dita da marinaio accarezzarono la guancia rosea della sua anima gemella, rimanendo in silenzio, senza dire nulla.
Il tempo sembrava aver improvvisamente cessato di svolgere il suo compito, anche lui troppo impegnato a guardare quelle due anime toccarsi.
Con la stessa delicatezza con cui aveva accarezzato quel volto, il Capitano Jones posò la mano sulla nuca della donna, vicino al suo orecchio e, lentamente, avvicinò i loro volti, dischiudendo le labbra, in un gesto quasi meccanico.
Richiamata da gesto, Emma si ritrovò a ripetere quel lieve movimento di labbra, socchiudendo lievemente gli occhi e non riuscendo a distogliere lo sguardo da Killian.
I suoi sensi sembravano essersi improvvisamente accesi, all’unisono, come richiamati da una tempesta impossibile da cogliere ad occhio nudo.
Non trascorsero molti istanti prima che le loro bocche si incontrassero, divenendo un’unica cosa.
Era in momenti come quello, quando sentiva il corpo della donna che amava a stretto contatto con il suo, che il cuore di Killian si ritrovava a rivivere il momento in cui era stato imprigionato nel labirinto di Morgana, costretto ad assistere a parti del suo futuro.
Era in momenti come quello, quando lei gli lasciava il potere di dischiuderle le labbra per sentire le loro lingue a stretto contatto, che Killian Jones riviveva il momento in cui lei lo aveva accolto in quello che sarebbe stato il loro letto, dopo che si era occupato della loro figlia, addormentata nella stanza accanto.
Era in momenti come quello che Killian sentiva di non avere più molto controllo sui suoi istinti, tanto era il bisogno di vivere realmente attimi appartenenti al loro futuro insieme.
Voleva di più. Molto di più e il suo corpo aveva ormai esaurito i segnali a tal proposito.
A differenza della delicatezza con cui era iniziato quel loro bacio, il giovane Jones allontanò di scatto il suo volto da quello della Salvatrice, lanciandole un sorriso che lasciava ben poco spazio all’immaginazione.
“Bene…penso sia il caso di fermarci qui…” esclamò con voce decisamente più roca rispetto a poco prima.
Emma si limitò a sorridere, ritrovandosi a stringere nuovamente le labbra.
Sapeva cosa si muoveva dentro a quel cuore da pirata e lei non poteva dirsi estranea a quelle sensazioni. Al contrario, la sua mente e il suo corpo non riuscivano a fare a meno di pensare alle mani di Killian su di lei e al modo in cui non smetteva di esprimerle, con estrema chiarezza, come avrebbe speso parte del loro tempo insieme.
Era decisamente arrivato il momento di cercare una casa tutta sua.
Magari con vista sull’oceano.
Prendendo con una mano l’uncino e con l’altra la mano destra di Killian, Emma gli sorrise, spostando per un attimo lo sguardo sul corpo addormentato della figlia.
“Rimani tu qui?...vado a casa a fare una doccia e poi faccio un salto a vedere come sta Henry!”
“Ti aspetto qui!” le rispose l’uomo, forzandosi di sorridere.
Con dolcezza, Emma si avvicinò nuovamente al volto di Killian, porgendogli un leggero bacio sulla guancia, per poi soffermarsi per un attimo sul suo orecchio.
“Quando le cose si sistemeranno…passeremo più tempo insieme…da soli!”
“È una promessa Swan?!” le chiese il pirata, porgendole uno dei suoi sorrisi provocatori.
La giovane donna dai lucenti capelli biondi, però non riuscì a sorridere di fronte a quella familiare sfrontatezza, richiamata dall’improvviso suono emesso dal suo cellullare.
Sfilando l’oggetto dalla tasca, Emma lesse velocemente il nome di Regina sul display.
“Regina…tutto bene?”
Osservando in silenzio il volto della donna farsi serio, Uncino si ritrovò a sperare con tutto il cuore che non vi fossero altre brutte notizie all’orizzonte. Una figlia, non ancora nata, stesa su un letto d’ospedale a causa di Excalibur era una di quelle notizie in grado di riempire tutta la giornata.
Dopo aver annuito un paio di volte, Emma chiuse la telefonata, per poi puntare i suoi penetranti occhi verdi sul volto di Killian.
“Era Regina…”
“…è successo qualcosa?”
“Ha detto di sapere cosa sta succedendo ad Eva…”
 
***
 
 
Cadere da altezze spropositate, oramai, era divenuto una sorta di passatempo per il giovane Jake Mills di Locksley.
Prima un burrone, poi la finestra di un castello ed ora…ora un precipizio apparso improvvisamente nell’oscurità.
A differenza delle volte precedenti, però, il corpo non subì alcun danno in seguito alla caduta, come se qualcuno o qualcosa avesse, in qualche modo, attutino l’impatto con il terreno.
Non trascorse molto tempo prima che Jake riacquistasse coscienza di cosa fosse appena accaduto.
La grotta. Gli insetti. La puzza inesistente.
Ed ecco che, celere e arrogante, il pensiero di lei invase completamente la sua mente, rendendo il suo corpo un involucro troppo stretto per contenere il suo cuore.
“Eva!” urlò a pieni polmoni il giovane ribelle, alzandosi da terra e puntando lo sguardo verso l’alto.
La luce proveniente dalla torcia che aveva cercato di raggiungere poco prima, ora appariva simile ad un piccolo puntino giallo completamente circondato dall’ombra, a metri e metri di distanza.
Nessuno sarebbe mai potuto sopravvivere cadendo da una simile altezza. Eppure lui era lì, illeso come forse non lo era mai stato da quando tutta quella storia era iniziata.
E pensare che, qualche giorno prima, il suo più grande pensiero era quello di mollare Diletta nel modo più indolore possibile.
Sembrava trascorsa un’eternità da quando Rowan, il fratello che stravedeva in maniera incondizionata per lui, lo aveva avvisato del prossimo arrivo di Killian e della figlia.
Quel giorno, era appena tornato da una battuta di caccia e il solo sentire il nome di lei aveva reso la semplice presenza di Diletta un qualcosa di estremamente fastidioso. Voleva così tanto vederla e, al tempo stesso, voleva così tanto cacciarla e non posare nemmeno per un attimo lo sguardo su di lei che la sua mente sembrava voler scoppiare da un momento all’altro.
Incredibile quante cose fossero successe da quel giorno; quante cose fossero cambiate e quante, invece, fossero rimaste le stesse.
Velocemente, Jake spostò lo sguardo intorno a sé, cercando di studiare il luogo in cui era precipitato.
Era un luogo umido e freddo, come del resto ci si sarebbe aspettato dovesse essere una grotta.
Nessun insetto pareva adornare le pareti, perlomeno non un numero elevato come quelli visti poco prima al piano superiore.
Ad una prima occhiata Jake pensò di trovarsi all’interno di una sala; una sorta di sala principale a forma circolare, dove la principale fonte di luce proveniva da varie torce appese alle pareti, simili a quella vista poco prima dal giovane.
“Eva….Eva….sei lì?!” urlò nuovamente a perdifiato il ragazzo, con il volto alto e le mani strette a coppa davanti alla bocca, come se potesse bastare quel semplice gesto per raggiungere le orecchie della sua Jones.
“La vuoi smettere di urlare…sto cercando di rilassami!”
L’improvvisa voce femminile alle sue spalle, obbligò Jake a voltarsi di scatto, andando involontariamente alla ricerca dell’arma al fianco che, ovviamente non possedeva.
Eppure Trilli aveva dato un pugnale sia a lui che ad Eva, in attesa di qualcosa di più efficace con il quale difendersi.
Tuttavia il pugnale era scomparso e il giovane dai capelli scuri non aveva nulla con il quale contrattaccare in caso di necessità; nulla al di là della sua sola forza fisica.
“Chi sei?” chiese Jake, con voce imperiosa, cercando di mettere a fuoco quella figura nascosta nell’ombra.
“Beh…a dire il vero dovrei essere io a farti questa domanda…visto che sei entrato in casa mia!”
Senza lasciarselo chiedere due volte, la donna, fino al quel momento rimasta nascosta nell’ombra, si lasciò illuminare dalla luce emessa dalle torce, fermandosi al centro della grotta.
Era impossibile non riconoscere quella figura: occhi glaciali, capelli rosso fuoco, bocca carnosa e sorriso esteso.
Mancava solo la pelle color verde foresta e chiunque avrebbe pronunciato il suo nome, accompagnata da un aggettivo alquanto impareggiabile: perfida.
“Z-Zelena?!”
Jake si ritrovò quasi a sussurrare quel nome, abbassando le mani poco prima sollevate e allargando i suoi penetranti occhi scuri, incredulo nel trovarsi di fronte proprio la persona che stava cercando.
“Ci conosciamo?!” esclamò Zelena mal celando il disprezzo insito nella sua voce.
Per un attimo Jake rimase in silenzio, consapevole di quanto tempo stesse trascorrendo dall’ultima volta che aveva posato il suo sguardo su Eva.
Non poteva perdere tempo, non in quel momento, con la figlia di Emma Swan nei guai fino al collo.
“S-sì…” le rispose, stringendo le mani a pugno “…ci conosciamo ma io devo…”
“La tua amica non può passare…” lo interruppe Zelena, posando entrambe le mani sui fianchi, con fare autorevole “….la magia di sangue non permette a nessuno di entrare qui dentro. Nessuno che non sia della famiglia almeno…” aggiunse, sospettosa.
Gli occhi freddi e calcolatori della donna si posarono con ancora più insistenza sul volto di Jake, il quale non riuscì a fare mano di trattenere un respiro.
Ecco perché gli insetti di poco prima avevano attaccato solo Eva; la vedevano come un’intrusa; non sentivano in lei il sangue della famiglia di sua madre e quindi l’avvertivano come un pericolo.
Ma perché Trilli non li aveva avvertiti di un simile pericolo? Perché aveva permesso ad Eva di entrare nella caverna, dove Zelena era tenuta prigioniera, sapendo che non avrebbe potuto proseguire?
“Questa non è opera delle fate!?” concluse il giovane, più rivolto a sé stesso che alla donna di fronte a lui.
“Ovvio che no! Quegli sciocchi insetti con le ali non sanno fare niente di buono con la loro sciatta magia di luce. Devo a mia sorella il tocco di famiglia!” il tono di voce quasi annoiato fu accompagnato dal gesto di controllare lo stato delle unghie; unghie stranamente poco curate “…ma tu non mi hai ancora detto chi sei. Non ti conosco e non ho idea di come tu abbia fatto a passare...La mia famiglia vanta quattro componenti…e sono certa tu non sia uno di loro!”
Il tono di voce di quella che era niente di meno che sua zia, sembrava apparire sempre più seccato e prossimo allo spazientirsi.
Non aveva mai avuto molti contatti con lei.
Quand’era piccolo, a Storybrooke, l’aveva vista spesso insieme a Rowan, nonostante suo padre non fosse affatto felice della cosa. Li vedeva in gelateria o a fare passeggiate nel bosco; e il fatto che la Strega Verde portasse il figlio nei meandri del bosco, chissà perché, faceva pensare a chiunque cose del tipo: magia nera, malvagità e perfidia.
Forse era per questo che suo padre risultava sempre piuttosto nervoso a riguardo.
Tuttavia Row era anche figlio della Perfida Strega e, nonostante la sua influenza non fosse delle migliori, nessuno poteva impedirle di vederlo o di stare con lui tanto quanto il padre.
L’arrivo di Morgana, però, cambiò le cose e l’improvvisa scomparsa di Zelena lasciò il piccolo dai capelli rossi privo di una figura materna.
Come sempre, Regina seppe fare la cosa giusta, dando anche a quello che non era suo figlio l’amore che meritava; com’era accaduto anni prima con Roland.
Nonostante sua madre fosse stata una delle più temibili cattive mai esistite, era stata in grado di attuare gesti d’amore quasi impossibili da replicare.
Lui, per esempio, sapeva di non essere altrettanto amorevole e la sola consapevolezza riusciva a procurargli un profondo senso di vergognava.
Se non ricordava male, trascorsero diversi anni prima che Regina ritrovasse il corpo della sorella, nascosto da qualche parte nella Foresta Incantata, a non poca distanza da quello che era stato il loro castello.
Quando furono abbastanza grandi, lui e i suoi fratelli vennero informati del destino di Zelena, di come fosse caduta vittima di un sortilegio di Morgana e di come, al momento, non vi fosse nulla in grado di risvegliarla. Ovviamente, solo sua madre e Trilli sapevano dov’era stata nascosta e il tenere all’oscuro la progenie fu una delle idee più geniali che avessero potuto avere. Non trascorse molto tempo, infatti, prima che Rowan pretendesse di andare dalla madre, una figura che, a suo dire, non gli aveva mai fatto mancare nulla, men che meno l’amore e la protezione.
Rowan era diverso da Zelena, così diverso che, a volta, si faticava non poco a pensare che condividessero lo stesso sangue; Jake appariva molto più vendicativo e facile alla rabbia di quanto lo fosse il fratello.
Se non fosse stato per la profonda somiglianza con la madre, avrebbe pensato di essere lui il figlio della Perfida Strega, al posto di Rowan. Ma, fortunatamente, così non era e l’influenza di Zelena non aveva intaccato l’animo di nessuno.
Chissà, forse nemmeno lei era così cattiva come si ostinava a dare a vedere; o forse Rowan rappresentava la parte migliore di lei.
Dal canto suo, Jake doveva ammettere che il rapporto tra lui e il fratello non era mai stato dei migliori e, di certo, non per colpa di Rowan; ma, nonostante ciò, il giovane Mills si era ritrovato a promettere al fratello che, una volta sistemate le cose con i Ribelli e ritrovato Henry sano e salvo, sarebbero andati insieme alla ricerca di Trilli e del luogo dov’era tenuta nascosta Zelena.
In fondo al cuore, chissà se credeva davvero alla promessa che aveva fatto.
E ora, dopo anni, eccolo lì.
Davanti alla madre di Rowan.
A sua zia.
Strano, da quanto gli avevano riferito sua madre e Trilli, Zelena doveva trovarsi in una sorta di coma, addormentata come lo fu a suo tempo Biancaneve.
Allora perché se ne stava in piedi davanti a lui, rivestita della sua consueta sicurezza?
“Credimi…sono uno di quei quattro componenti della famiglia…zia!”
Sottolineando il legame di parentela che intercorreva tra loro, Jake fece un passo avanti, mettendosi a sua volta al centro della stanza, per nulla intimorito dal corpo pallido e stanco di quella che, un tempo, era stata una delle peggiori minacce capitate a Storybrooke.
Indossava un vestito a brandelli, molto più simile a quello che aveva indossato durante la sua vita insieme alla sua famiglia affidataria, se così la si voleva chiamare, piuttosto che a quelli seducenti a cui si era abituata dopo essere divenuta la Perfida Strega dell’Ovest.
“Impossibile…” lo derise, sprezzante, la donna, lasciandosi andare ad una delle sue consuete risate amplificate “…l’unico che può chiamarmi così, a tutti gli effetti, è il figlio di Regina…e l’ultima volta che l’ho visto era solo un…”
Quasi qualcuno avesse usato la magia chiudendole la gola, Zelena si ritrovo soffocata dalle sue stesse parole, impossibilitata a concludere quella frase.
Eppure nessuno stava usando la magia in quel luogo, nessuno al di fuori di lei.
Con lo sguardo chiaro sbarrato, la donna dalle intense ciocche ramate puntò lo sguardo sul volto di quel ragazzo, improvvisamente non più così estraneo.
Quegli occhi, profondi e neri, quasi quanto lo erano i suoi capelli, dopo un attento esame potevano riflettere la stessa immagine appartenente ad un bambino molto più piccolo, più magro e più indifeso. Quei tratti del volto, riconducibili tanto a sua sorella quanto all’uomo che gli aveva, involontariamente, dato un figlio, le apparvero improvvisamente familiari; così familiari da lacerarle il cuore.
“T-tu sei…Jacpob?!”
Non provando minimamente a nascondere lo sconvolgimento, Zelena allungò una mano, quasi a voler toccare la spalla di quel ragazzo. Ma, a discapito della lentezza di un’istante prima, la strega allontanò di scatto la mano, non sfiorando nemmeno il corpo di quello che, era ormai certa, fosse suo nipote.
“Sì…”
“Non puoi essere Jacob” lo interruppe nuovamente Zelena “lui…lui è solo un bambino…”
“Ero…un bambino!”
Silenzio.
Il volto di Zelena, sempre più pallido, si colorò di una consapevolezza che forse, da tempo ormai, le attanagliava l’anima.
“Da quanto tempo sono rinchiusa qui dentro?”
“Da…tanto…”
“Mio figlio…Rowan…l-lui sarà anche più…più grande di te. Perché nessuno lo ha portato qui?” chiese irata, lasciando che il suo labbro superiore si arricciasse come accadeva ogniqualvolta perdesse il controllo “Perché non avete fatto nulla per aiutarmi?!”
La voce acuta, resa ancora più importante dall’eco emesso dalla grotta, arrivò dritta al cuore del ragazzo, il quale solo in quel momento si era lasciato andare ad una simile consapevolezza.
Perché nessuno si era chiesto come dovesse sentirsi Zelena rinchiusa in quel luogo da così tanti anni, lontana dal suo unico figlio? Perché nessuno aveva trovato il tempo per salvare lei, una cattiva?
Forse stava proprio lì la risposta, dietro a quella piccola quanto incisiva parola, così pesante da apparire come la più indelebile delle etichette. Una di quelle parole che, una volta avvicinata accanto ad un nome, finiva per condizionare costantemente la vita del proprietario, senza lasciare alcuna via di scampo al malcapitato.
Era per questo che una persona, raramente, abbandonava la strada del male per quella del bene?
Era perché nessuno si prendeva la briga di salvarla?
Per Zelena sembrava essere proprio così.
Lasciandosi completamente possedere dall’odio e dalla collera, la donna dai capelli rossi si avvicinò minacciosa al corpo del nipote, con il preciso intento di afferrare il colletto dei suoi vestiti.
Voleva fargli del male, voleva dar libero sfogo a tutta la collera che aveva represso fino a quel preciso istante.
La cosa che lasciò senza parole il ragazzo, però, non fu l’aria furibonda della rossa o la preoccupazione di quello che avrebbe potuto fargli, intrappolata in quel luogo; no, a sconvolgerlo fu il modo in cui le dita affusolate di Zelena oltrepassarono le sue vesti, in maniera inconsistente come sarebbero state le dita di un fantasma.
Arricciando ancor di più le labbra, quasi fosse un gesto involontario, Zelena non smise un attimo di perforare il volto del nipote col suo sguardo adirato, inspirando ed espirando così velocemente da dar chiaramente l’idea della voragine di emozioni che si stavano scontrando all’interno del suo cuore.
“Che c’è caro nipote…? Mai vista una proiezione?!”
“Tu…non sei qui?!” riuscì finalmente a chiederle Jake, corrugando la fronte, alla ricerca di una spiegazione.
“Ovvio che no…altrimenti me ne sarei andata da questo inferno già da un po’!” esclamò, come se stesse parlando con una persona incapace di afferrare un concetto alla prima spiegazione “Aspettare l’aiuto di qualcuno non si sta rivelando molto promettente!” aggiunse piccata “Sono laggiù…mi vedi?…in una versione che purtroppo mi ricorda fin troppo bene la moglie del Principe Babbeo…” borbottò, riferendosi alla ormai compianta Biancaneve.
Solo in quel momento Zelena si fece da parte, dando la possibilità al giovane Mills di vedere la parete opposta di quell’immensa grotta.
Lì, stesa in un giaciglio di pietra ed erba, verde come solo la primavera sapeva donare, vi era il corpo addormentato di Zelena.
La donna indossava gli stessi abiti che Jake vedeva addosso a quello che, a suo dire, era la chiara rappresentazione magica di un fantasma.
I capelli, lunghi e setosi, le ricadevano in una cascata di lingue di fuoco così simili a quelle, sebbene corte, di Rowan da rendere inconfondibile il collegamento. Madre e figlio si assomigliavano moltissimo, molto più di quanto Rowan assomigliasse a Robin.
Chissà se era dovuta a quella fisionomia l’antipatia che provava per il fratello; nonostante non avesse mai avuto un particolare rapporto con la donna di fronte a lui.
Rowan era un ragazzo di buon cuore, dopotutto, molto più di quanto lo fosse lui; poco importava a chi assomigliasse.
Consapevole dell’eco emesso dai suoi passi, Jake si avvicinò al corpo della zia, senza mai posare lo sguardo sulla sua proiezione.
“Come…come hai fatto ad uscire dal tuo corpo?!”
“Non sono uscita dal mio corpo….sei tu ad essere entrato nella mia mente, ragazzino!”
“Sono nella tua mente?!”
“Esatto…in realtà non sei precipitato da nessuna parte, sei ancora lassù con il corpo probabilmente ricoperto di insetti in zone dove raramente batte il sole!” sogghignò la rossa, consapevole del turbamento improvvisamente creatosi nel cuore del giovane “Hai semplicemente attivato l’incantesimo di sangue che ha collegato la tua mente alla mia!” aggiunse, indicando con l’indice la sua tempia bianca.
Era nella mente di Zelena?
Quindi, quella dove si trovava in quel momento, non era la stessa grotta di poco fa; bensì un luogo creato dalla mente di Morgana.
La sola idea riusciva a congelargli il sangue nelle vene.
“Quindi…è grazie a mia madre se ora stiamo parlando?” le chiese, con tono sicuro.
In risposta, Zelena non riuscì a fare a meno di alzare gli occhi al cielo, come se la sola idea di un aiuto da parte di sua sorella riuscisse ad infonderle la nausea.
“Pensavo che tra di voi le cose si fossero sistemare. Non mi ha mai parlato particolarmente male di te…”
“Già…a quello ci ha pensato il tuo caro padre vero?” esclamò piccata la donna “…dimmi, è finalmente felice di avere Rowan tutto per sé? Immagino si stia divertendo a fare il padre di famiglia con Regina…Qualcosa mi dice che l’assenza di aiuto da queste parti sia dovuto a quello!”
Ecco a cosa era dovuto quell’astio e quell’eccessivo tono velenoso.
Pensava che sua madre avesse immediatamente approfittato della sua assenza per fare da madre a Rowan, come se non avesse già un figlio da accudire.
“Mio padre è morto!”
Lo disse così, senza troppi giri di parole e nemmeno ostentando una voce sofferente.
Non sopportava di venire compatito per la perdita di suo padre. L’unica persona con cui si era sentito in grado di aprirsi era stata Eva. Non importava se quel giorno lo avesse fatto inizialmente dettato dagli eventi che li vedeva prossimi ad una morte precoce; parlare con lei di suo padre e di come si fosse sentito, e continuasse a sentirsi ogni giorno della sua vita, gli era sembrata la cosa più naturale del mondo. Come respirare. Come vivere
Era proprio quella la sensazione che gli donava la giovane Jones; il solo pensare a lei, lo spendere parte del suo tempo ad immaginarla, a ricordare tratti del suo volto, per alcuni forse impercettibili, era qualcosa di estremamente naturale.
-Eva….devo tornare da lei…- pensò, sentendo il tono allarmato perfino nei suoi pensieri.
“Allora nipote…perchè nessuno ha portato qui Rowan?!” esclamò Zelena, interrompendo il corso dei suoi pensieri.
“Perché avremmo dovuto portarlo?”
Era consapevole di chi si trovava davanti e di quanto fosse importante usare saggiamente le sue carte.
“Perché è l’unico che può risvegliarmi…idiota!” sbottò la donna, alzando le braccia al cielo, frustrata “Guardandoti saranno più di dieci anni che aspetto…e nessuno ha pensato che Rowan fosse la soluzione a tutto questo?!”
Era arrabbiata. Terribilmente arrabbiata.
E come darle torto? Da dieci anni nessuno si era preso il disturbo di aiutarla.
Certo, sua madre aveva sempre e comunque pensato al bene di Rowan, trattandolo come uno dei suoi figli; ma perché nessuno aveva preso in considerazione il fatto che proprio il figlio della strega avrebbe risolto l’enigma del suo eterno sonno?
-Perché la volevano lontana da qui- ragionò tra sé e sé il ragazzo, il cui sguardo si fece sempre più serio -né sua madre né le fate volevano altri pensieri oltre a Morgana. Così l’hanno tenuta qui dentro…prigioniera…-
Disgustato da quello che, perfino un eroe, arrivava a fare pur di salvaguardare ciò che riteneva giusto e proteggere i suoi cari, Jake si ritrovò a stringere le mani a pugno.
Sapeva che sua madre e Trilli si erano comportate in maniera ignobile; ogni fibra del suo essere glielo urlava a squarciagola, ma nonostante ciò non riusciva a fargliene una colpa.
Morgana si era dimostrata una piaga imbattibile, in grado di piegare davanti a sé anche il più valoroso degli eroi, come Re David; rischiare che anche Zelena potesse causare qualche problema non era decisamente un’opzione valida.
In fin dei conti non l’avevano abbandonata a sé stessa, ma rinchiusa in un luogo in attesa che vi fossero tempi migliori.
Già…ma se non vi fossero mai stati tempo migliori? E se il piano suo e di Eva si fosse rivelato l’ennesimo buco nell’acqua?
Dopotutto, da quando aveva scoperto quali erano le intenzioni della figlia di Uncino, Jake non era riuscito a fare a meno di pensare che nemmeno quello avrebbe risolto le cose.
Con molta probabilità avrebbero trovato gli ingredienti, forse nemmeno tutti, per poi scoprire che qualcosa non andava e che tornare nel passato era qualcosa di altamente impossibile.
Per quanto si sforzasse di credere nella causa, lui non riusciva a farlo, non del tutto almeno. Fidarsi di un simile piano era da illusi e lui non lo era più da tempo.
Jake era lì solo per Eva, solo perché aveva promesso a lei e a sé stesso che non l’avrebbe mai e poi lasciata sola.
Per questo avrebbe preso le lacrime di Zelena e per nessun altro motivo.  
Il vero problema, al momento, era il grado di collaborazione della Strega Verde di fronte a lui.
Zelena, la donna abbandonata da tutti per più di dieci anni, avrebbe davvero collaborato con loro senza ricevere nulla in cambio?
Persino pensarlo suonava ridicolo.
“Abbiamo bisogno del tuo aiuto zia…” esclamò il ragazzo, con voce tenue, cercando di testare il livello di sopportazione della sorella di sua madre.
“Che cosa?” un’improvvisa ristata colma di disprezzo riecheggiò all’interno della grotta “avete bisogno del mio…aiuto? Ma davvero?!”
“Sì…”
“Tu sei pazzo…”
“Zia…”
“Non chiamarmi così…credimi non so cosa mi trattenga dall’ucciderti qui e adesso. Ah già…non posso…”
Seccata dalla sua stessa risposta, Zelena diede le spalle al nipote, fingendosi più interessata a fare due passi all’interno dell’area priva di vie di entrata e di uscita, che ad ascoltare un’altra sola parola uscire da quella dannatissima bocca.
Beh, il livello di rabbia sembrava più alto di quanto immaginasse.
“Ci serve il tuo aiuto. Morgana sta diventando sempre più forte e noi…”
“E dimmi…perché dovrebbe importarmene. Mi avete abbandonata…”
“Non ti abbiamo abbandonata…non sapevamo che…” cercò di spiegarle il ragazzo, avvicinandosi di un passo.
“Non mi importano le tue inutili spiegazioni…” lo interruppe, lanciandogli un’occhiata a dir poco feroce, senza mai interrompere quella sua sorta di passeggiata a vuoto“….ma posso proporti….come dire….”
“Un accordo?!” finse di indovinare il ragazzo, sapendo il grado di influenza che il vecchio Signore Oscuro aveva avuto sulle sue giovani allieve.
“Esatto….sì….ti propongo un accordo!”
Bloccandosi sul posto, Zelena volse nuovamente lo sguardo su Jake, caricando quelle sue parole di un’enfasi a dir poco inequivocabile.
“Tu portami qui Rowan…e avrai il mio aiuto. Un accordo chiaro e semplice…privo dei classici trucchetti degni del caro Tremotino!”
Jake stette in silenzio, riflettendo su quella che, a prima vista, poteva essere una richiesta del tutto comprensibile.
Zelena, dopotutto, voleva solo venire liberata da una prigionia che la vedeva schiava da fin troppo tempo; voleva soltanto rivedere suo unico figlio, la sua unica e reale fonte d’amore.
Non vi era nulla di sbagliato in tutto ciò.
Già, ma per quanto in cuor suo Jake volesse davvero far riunire Rowan a sua madre, sapeva di non poterselo permettere.
Erano a giorni di distanza dal campo dei Ribelli, sempre che ve ne fosse ancora uno a cui fare ritorno. Lui ed Eva avevano una missione da compiere e, per quanto poco credesse in una sua riuscita, non poteva concedersi il tempo di ritrovare suo fratello.
L’ultima volta che lo aveva visto, il villaggio dei Ribelli si trovava sotto l’attacco di Diletta e degli uomini di Morgana e, per quanto ne sapeva, Rowan poteva anche non far parte più di quel mondo, come sua madre.
Chi gli dava la certezza che Rowan, Roland, Alex e gli altri fossero ancora vivi? Nessuno. E affidarsi unicamente alla speranza, ultimamente, non si stava rivelando un’idea così geniale.
Allontanando quei pensieri dalla mente, Jake si ritrovò a fare l’ennesima cosa priva di cuore.
Lui aveva bisogno di quell’ingrediente e doveva uscire da quel limbo prima che fosse troppo tardi per Eva.
Era lei l’unica cosa che contava.
Al diavolo tutto il resto.
Al diavolo la purezza del suo cuore.
Non aveva tempo da perdere. Non con Zelena.
“Io…vorrei accettare…davvero…ma…”
“Ma…cosa?” gli chiese, imperiosa.
“Non posso fare un accordo di cui so già non riuscirei a rispettare i patti…”
“Perché? Perché tua madre te lo impedisce? Perché anche tu sei così vigliacco da volermi prigioniera qui…da lasciare tuo fratello senza la sua vera madre?”
“No…” le rispose quasi imbarazzato “non è per questo…” si dilungò Jake, guardandosi gli stivali macchiati di terreno.
“Allora perché? Perché? Parla!” urlò la donna, priva di controllo.
“Perchè…perché ormai non ho nessun fratello da lasciare senza madre!”
Silenzio.
Tutto nella caverna sembrava aver cessato di emettere il minimo rumore. Persino il gocciolio proveniente da una delle pareti della grotta sembrava essersi zittito di fronte a quella dolorosa rivelazione.
Con lo sguardo sbarrato, Zelena sembrò svuotarsi all’improvviso, come se tutto l’ossigeno presente in quella stanza fosse stato risucchiato dall’esterno, lasciandola prossima alla morte.
“Che-che intendi…dire?!” la voce impastata e la gola priva di alcun fiato.
“Mi dispiace tanto ma…Rowan…è morto qualche mese fa…” il tono grave di chi non sa come alleviare una brutta notizia.
“No….” un sussurro simile al vento che precedeva una tempesta, forte ma delicato, leggero ma dirompente “non può essere…”
Barcollando all’indietro e tenendo una mano stretta sul petto, nell’esatto punto in cui si trovava il cuore, Zelena rimase con la bocca semiaperta, allontanando i suoi occhi dal volto serio del nipote.
Suo figlio…era morto.
“No….no no no no!”
Lasciandosi andare ad un urlo straziante e carico di dolore, quella che un tempo era la Perfida Strega dell’Ovest si inginocchiò a terra, portando entrambe le mani sulla testa, scompigliando quei folti e ricci capelli rossi.
Si sarebbe lasciata andare, se solo avesse potuto. Avrebbe pianto, se solo ne avesse avuto la possibilità.
E invece, si trovava prigioniera del suo stesso corpo, impossibilitata a dare libero sfogo a tutto il dolore che una madre avrebbe provato di fronte alla morte del figlio.
Rowan, il suo dolce e unico Rowan, era morto.
Perché nessuno glielo aveva detto prima? Perché non aveva provato nulla? Una crepa al cuore, la mancanza di un battito; qualsiasi cosa che la preparasse alla fine del suo lieto fine.
Forse fu proprio quello a distrarla e a tenerla lontana dall’ovvietà di un particolare che mai, in un’altra occasione, si sarebbe ritrovata a tralasciare.
A causa dell’immenso dolore esploso all’interno del suo cuore, Zelena stava tralasciando il fatto che un corpo lo possedeva e che ai suoi piedi, in quel momento, se ne stava inginocchiato il suo stesso nipote, intento a mantenere un’ampolla in vetro vicino al suo volto.
“Che…che stai facendo?!” gli chiese la donna, alzando lo sguardo, insospettita.
“Raccolgo queste…”
Alzandosi in piedi e fissando con aria compiaciuta l’ampolla donatagli da Trilli il giorno prima nella foresta, Jake si lasciò andare ad una smorfia soddisfatta.
All’interno dell’oggetto, accuratamente sigillato, vi era il primo ingrediente in grado di riportarli a casa.
Il primo ingrediente enunciato da Tremotino.
Le lacrime della persona che Regina più odia e con cui più condivide: le lacrime di Zelena.
“Ti sei…preso gioco di me?!”
“Sì…mi dispiace, ma non mi hai dato molta scelta…”
“Quindi Rowan…è vivo?!”
Il dolore, fino a poco prima unico padrone di quel volto pallido, svanì all’istante, rendendo Zelena portatrice della stessa ira incontrollabile che, fino a poco prima, aveva fatto da padrona dentro di lei.
Stringendo le mani a pugno, la Perfida Strega si avvicinò minacciosa al ragazzo di fronte a lei, il quale però non sembrava mostrare alcun segno di paura di fronte al velo di una sua qualche minaccia.
“Non devo essere io a ricordarti che non puoi farmi nulla…vero zia?” esclamò Jake, sogghignando alla stessa maniera in cui aveva fatto poco prima la donna di fronte a lui.
Assottigliando lo sguardo con mal celata ostilità, Zelena strinse entrambe le mani a pugno, consapevole che le parole del ragazzo, seppure la disturbassero, non si allontanassero minimamente dalla verità.
“Hai ragione. Ma è anche vero che tu non puoi uscire da quest’incantesimo senza che lo voglia anch’io…”
“E vorresti tenermi chiuso qui?! Per sempre” le chiese Jake, fingendosi disinteressato.
“Oh non per sempre…diciamo giusto il tempo che la cara figlia della Salvatrice tiri le cuoia!”
“Cosa…?!”
Al solo sentire pronunciare quelle parole, il volto di Jake lasciò improvvisamente andare quel velo di spavalderia di cui si era fatto portatore, lasciandosi completamente dominare dalla preoccupazione.
“Ahhhh un giovane amore…potrei sciogliermi in lacrime se solo non mi avessi fatto versare le uniche che mi erano rimaste!”
“Che cosa vuoi?!” ringhiò Jake, stringendo ancor di più l’ampolla che teneva nella mano destra e sentendo un improvviso macigno posarsi sul suo cuore.
“Mi sembrava di essere stata piuttosto chiara!” esclamò seccata Zelena, fermandosi a pochi centimetri di distanza dal volto del nipote “Voglio mio figlio. Voglio che tu e la principessa degli Azzurri lo portiate qui. È l’unico in grado di tirarmi fuori da questa prigione…altrimenti…rimarrò qui per l’eternità…o meglio, fino a quando Morgana lo reputerà abbastanza divertente!” aggiunse, sputando fuori il nome della Fata Oscura come se fosse veleno “Se accetti ti lascerò andare…con le mie preziose lacrime per giunta!” concluse, fingendosi magnanima.
“E chi ti dice che rispetterò i patti…”
“Oh lo farai…lo farai perché se mi tradirai troverò il modo di vendicarmi e sai meglio di chiunque altro quanto sappiamo essere pazienti e distruttivi nella nostra famiglia…”
Già lo sapeva, fin troppo bene.
In fin dei conti lui stesso faceva parte di quella famiglia e, probabilmente, era solo grazie al sangue di suo padre se non si lasciava dominare dalla stessa sete di vendetta.
“Ok…una volta uscito da qui informerò Rowan di questo posto…e lo farò portare qui!”
“No…dovrai essere tu a farlo!”
“Potrei non averne la possibilità.” le rispose di getto, cercando in tutti i modi di non rivelare nulla riguardo il piano di tornare nel passato.
“Bene. Allora giuralo sul tuo sangue. Farai arrivare qui Rowan…e lascerai che mi liberi!”
“Lo giuro!”
E quel giuramento sembrò raggiunsero ogni reame esistente.
 
 
***
 
Erano trascorsi venti minuti dalla telefonata del sindaco di Storybrooke e l’impazienza di Killian aveva iniziato ad invadere tutta la stanza.
Dopo aver camminato su e giù, apparendo più simile ad un leone in gabbia piuttosto che ad un lupo di mare, alla fine il pirata aveva finito con l’appoggiarsi allo stipite della finestra, osservando un punto imprecisato al di là della vetrata.
Emma strinse la mano a pugno con fare nervoso, posando l’altra sulla spalla della figlia, il cui volto pallido sembrava più sereno di quanto non le fosse mai apparso.
Anche in quel momento il guardarla le dava la strana sensazione che stesse sognando qualcosa; qualcosa di piacevole.
Glielo avrebbe chiesto, una volta sveglia.
Pochi istanti prima, un’infermiera era entrata per informarli delle condizioni di Eva, le quali parevano migliorare a vista d’occhio.
La ferita causata dalla spada era guarita del tutto, permettendo un totale recupero dei parametri vitali. Anche la respirazione era ormai migliorata, raggiungendo livelli accettabili.
Chissà se la magia aveva aiutato, permettendole una guarigione più celere.
Proprio in quel momento, Regina entrò nella stanza dove si trovava la famiglia Jones-Swan quasi al completo.
“Regina…” esclamò Emma, non riuscendo a trattenere una certa urgenza nel tono di voce.
La donna dai capelli scuri si limitò a lanciare uno sguardo di intesa alla bionda, per poi guardare velocemente il pirata, il cui sguardo sofferente e preoccupato non le permetteva di lasciarsi andare ad una delle sue solite frecciatine.
“Sapevo di aver letto qualcosa a proposito di quella spada…” esclamò dal nulla, come se quella discussione fosse iniziata ore prima nella sua testa “…ma non riuscivo a ricordare dove se ne parlasse nel dettaglio!” esclamò Regina, aprendo un vecchio libro dalla copertina in pelle marrone scuro.
“Io ho visto il film…” sussurrò Emma, mal celando l’imbarazzo e guadagnandosi un leggero sorriso da parte dell’uomo che amava.
Di certo non si poté dire lo stesso di Regina, la quale non perse tempo ad alzare gli occhi al cielo, spazientita.
“Ricordavo di avere questo libro da qualche parte…ma temevo di averlo lasciato nella Foresta Incantata.”
“Di che libro si tratta?” chiese la giovane Swan, alzandosi dalla sedia e avvicinandosi a Regina, seguita ben presto dal pirata.
“Era un libro che, si pensava, fosse appartenuto all’apprendista di un grande mago…”
Per un momento Emma stava per dire il nome di Semola, uno dei suoi personaggi preferiti della sfera animata; ma non serviva un super potere per immaginare la reazione di Regina di fronte all’ennesima interruzione.
“…secondo questo libro Excalibur non è una spada qualunque…”
“E fin qui eravamo già tutti d’accordo!” si lasciò sfuggire Killian, guadagnandosi l’occhiata truce della sovrana, a fatica risparmiata alla Salvatrice.
“Come stavo dicendo…” riprese seccata “…la spada in questione, dotata di un potenziale magico fuori dal comune, è in grado di far svanire la magia oscura di una persona!”
“I-intendi dire…”
“intendo dire che chiunque in possesso di un potenziale magico di oscurità, se in contatto con la lama della spada, perde qualsiasi tratto di magia possegga!” specificò Regina, in tono serio, spostando lo sguardo da Emma alla ragazza sul letto davanti a sé “Penso che sia quello che sta accadendo a vostra figlia. Si sta…liberando!”
“Ma non è possibile! Eva non è oscura. Lei…lei è venuta qui per salvarci…lei è buona e lo ha dimostrato varie volte”
Non comprendendone a pieno la ragione, Emma si ritrovò a provare un improvviso calore al centro del cuore; un calore simile alla collera.
Sua figlia non era malvagia, come poteva permettersi proprio Regina a fare una simile insinuazione. Quella ragazza era arrivata dal futuro solo per salvarli; aveva sacrificato la sua vita, il suo futuro per loro.
Quello era il comportamento di un eroe, non di un cattivo.
“Lo so…” esclamò rattristata la Mills “…ma ha anche dimostrato di non saper controllare la sua magia Emma. Quando eravamo a casa mia, giorni fa, ha quasi rischiato di uccidere qualcuno!”
“Era sconvolta…” continuò a giustificarla Emma, il cui volto sembrava andare in fiamme “…lo sarei stata anch’io se avessi scoperto che i miei genitori mi hanno mentito per anni!” ***
“Tesoro…”
Ed eccola, la voce in grado di acquietare il suo animo tempestoso.
Peccato che a lei in quel momento non andava affatto di essere calmata. Voleva arrabbiarsi; arrabbiarsi come avrebbe fatto una qualunque madre.
“Regina ha ragione…” esclamò il capitano della Jolly Roger, non riuscendo a nascondere la tristezza su quel tono basso e profondo “…non è la prima volta che Eva si ritrova ad usare la magia oscura, è stata lei stessa a dircelo!”
“Lo so…ma questo non la rende…cattiva!”
“Nessuno ha mai detto questo!” intervenne Regina “…ma è pur vero che vostra figlia non era destinata ad avere la magia e questo deve, in qualche modo, aver complicato le cose. Eva ha dimostrato di saper controllare la magia oscura meglio di quanto abbia mai fatto io in tutta la mia vita. Qualcun altro, al suo posto, si sarebbe limitato a cedere all’oscurità, invece di combatterla in tutti i modi. Dovresti essere orgogliosa di lei!”
“Lo sono…” esclamò Emma, sentendo la collera scemare, con la stessa celerità con cui si era presentata “Lo sono ma…non riesco a sopportare questa situazione. Questo sentirmi…inutile di fronte a quella donna che sembra conoscere ogni nostra mossa!”
Con fare stanco, la giovane Swan si lasciò cadere nuovamente ai piedi del letto, posando lo sguardo sulla figlia, la quale pareva totalmente estranea a quella conversazione.
Possibile che quel suo volto sereno dipendesse dalla mancanza di magia?
Se Regina aveva ragione, la ferita inferta da Morgana si era dimostrata la via verso la salvezza di Eva. Una salvezza da cui lei stessa l’aveva privata per anni.
“Da quando ho saputo che nel futuro…avrò figlio, non riesco a fare a meno di chiedermi come sia possibile che io, con il mio potere, non sia riuscita a salvarlo…”
Le parole di Regina sembrarono provenire da lontano, come se la donna non si fosse realmente trovata in quella stanza, insieme a loro
“Com’è possibile che non abbia trovato un modo per evitarlo in qualche modo?! Io, dopotutto, sono l’ex Regina Cattiva…e non una streghetta da due soldi venuta da chissà dove” il tono graffiante, come se quelle parole si forzassero di rimanere nascoste nel cuore della donna “Eppure è andata così…e il modo in cui Eva pronuncia il suo nome mi fa capire che nemmeno lei ha avuto molta scelta a tal proposito. Quindi…significa che io non posso cambiare le cose? Significa che mio figlio morirà…nonostante io ora lo sappia?”
“Certo che no!” esclamò di getto Emma “Faremo di tutto per salvarlo!”
“Esatto…quello di Eva è solo un futuro ipotetico…non vi è niente di indelebile. Se fosse impossibile riscriverlo, vostra figlia non sarebbe qui e Morgana non si sarebbe di certo presa la briga di seguirla o di cercare di ucciderla se non esistesse una minima possibilità di cambiare le cose!”
“Basta solo capire come fare…” si aggiunse il pirata, avvicinandosi a sua volta al letto di Eva “…e sperare che il libro dica il vero!”
E con un gesto secco, Regina richiuse il tomo impolverato.
 
 
***
 
 
“Maledizione...” si lamentò il giovane Mills, risvegliato da un leggero solletichino alle labbra.
Un dolore insopportabile che, a tratti, gli ricordava quello che aveva provato alla spalla qualche giorno prima, sembrò improvvisamente invadergli la testa, conferendogli una sorta di boato ininterrotto.
Forse qualcuno aveva trascorso le ultime ore ad urlargli nelle orecchie, infondendogli la fastidiosa sensazione che la testa gli stesse per implodere dall’interno, rendendo difficile perfino alzarsi da terra.
A complicare ulteriormente le cose vi era il sole che, con il suo consueto accecare, sembrava provare una certa soddisfazione nell’illuminare ogni angolo del luogo in cui Jake si era risvegliato.
Nonostante fosse il genere di persona più incline ad una giornata di sole che al freddo dell’inverno, il Ribelle ebbe l’insolita sensazione di sentirsi risucchiato da quell’eccesso di luminosità, come se qualcuno lo avesse alzato troppo presto dal suo letto.
Letto. Da quanto non ne vedeva uno.
A fatica, Jake si mise in ginocchio, posando una mano a terra e l’altra al centro della fronte, come ad assicurarsi che ogni parte del volto fosse ancora al suo posto.
Non si era sentito in quel modo nemmeno dopo la peggiore delle bevute con Roland, il quale rappresentava una sorta di primato nelle gare di birra alla radura; come facesse un tipo così magro tenere così bene l’alcool era qualcosa di inspiegabile.
Con le palpebre ancora chiuse e la mente leggermente annebbiata, Jake cercò di alzarsi, accorgendosi solo in quel momento di un dettaglio a dir poco visibile. Si trattava di qualcosa di strano, di una sensazione decisamente diversa a quella a cui si era abituato fino a quel momento.
Aprendo gli occhi scuri, Jake fissò la mano che teneva posata al terreno, ritrovandosi così a sbarrare lo sguardo: erba; un alto strato d’erba ricopriva completamente le sue dita, rendendogliene quasi impossibile la vista. Ecco cosa lo aveva risvegliato poco fa.
Che fine aveva fatto la roccia delle pareti? Il terreno del pavimento?
Che fine aveva fatto la grotta e l’odore pungente dell’umidità proveniente da ogni angolo della prigione di Zelena?
Ma, sopra ad ogni cosa, che fine aveva fatto Eva?
Dimenticandosi all’istante di ciò che, fino a quel momento, gli dava fastidio, Jake si alzò di scatto, provando delle improvvise vertigini in tutto il corpo.
Con urgenza si guardò in torno, riconoscendo ben presto il luogo in cui si trovava; lo aveva attraversato con Eva poco prima di raggiungere la grotta.  
Si trattava di una piccola valle, nascosta nei meandri della foresta; i raggi del sole mattutino, si intrufolavano tra i rami folti degli alberi, donando a quel luogo un non so che di paradisiaco.
Ma, per quanto quel luogo potesse apparire incantevole e celestiale, Jake non riusciva a scrollarsi di dosso l’urgenza che si era impossessata del suo cuore.
Quanto tempo aveva sprecato svenuto a terra? Com’era uscito dalla caverna se, fino a poco prima, si trovava faccia a faccia con lo spirito della Strega Verde?
Zelena gli aveva spiegato di averlo fatto entrare nella sua mente, quando in realtà il suo corpo si trovava ancora svenuto a pochi metri da dove aveva lasciato Eva, probabilmente ricoperto di insetti.
Eppure non vi era traccia di larve o animali del genere sul suo corpo e il suo corpo era stato stranamente riportato all’esterno. Che fosse opera della magia di sangue?
Ricordava di aver ingannato sua zia per avere una delle sue lacrime e di averle promesso di portare Rowan da lei, ma poi cos’era successo? Per quanto tempo aveva abbandonato Eva dentro quella caverna?
L’ultima volta che l’aveva vista una miriade di insetti cercava in tutti i modi di soffocarla, aiutati da un odore nauseante che solo lei poteva avvertire.
Ricordava di aver provato un terrore indescrivibile nel notare il pallore del suo volto. Voleva aiutarla; voleva farla uscire da lì ad ogni costo.
E se fosse….
Interrompendo bruscamente quell’orribile pensiero, Jake corse velocemente in direzione della grotta, sentendo le vertigini e la debolezza abbandonare il suo corpo.
L’entrata della grotta era lievemente visibile dal punto in cui si trovava, ma nonostante ciò ai suoi occhi appariva sempre troppo lontana, quasi irraggiungibile.
Non poteva essere trascorso molto tempo.
Erano entrati nella grotta che era quasi l’alba e ora, vista la posizione del sole, non doveva essere che tarda mattinata.
-Quindi sono passate delle ore da quando siamo entrati…ore interminabili per lei- pensò allarmato il ragazzo, stringendo con forza le mani, come se bastasse quel gesto a deviare la rabbia e la frustrazione di quel momento.
Maledizione.
Senza guardarsi mai alle spalle, il giovane cominciò ben presto ad accelerare il passo ritrovandosi a correre e infischiandosene del rumore emesso dai rami spezzati.
Chiunque avrebbe potuto avvertire i suoi passi e il suo fiato corto; ma non importava. Pensare che, poco prima di entrare nella caverna, aveva deriso Eva proprio per la sua mancanza di grazia.
Improvvisamente, qualcosa lo obbligò ad interrompere la sua corsa, finendo quasi per scivolare sull’erba bagnata.
“Ehi…ma lo sai da quanto ti sto cercando?!”
Una voce proveniente dalla sua destra. Ecco la causa del suo arresto.
Una voce impossibile da confondere.
Non avrebbe avuto nemmeno bisogno di posare lo sguardo sul suo viso per assicurarsi di avere ragione, ma il bisogno era così impellente che il giovane Mills non fece trascorrere un solo istante in più prima che i suoi occhi scuri si posassero su quelli verdi di lei.
Aveva il volto sporco di terra e il fiato corto, come lui del resto. I vestiti, nonostante fossero scuri, apparivano sporchi e strappati in più punti.
Se ne stava in piedi, a pochi passi di distanza, con le mani stese lungo i fianchi e con una mano armata di un pugnale, come se fosse bastato quel piccolo arnese a difenderla da qualcosa di minaccioso.
Ma Eva era così; orgogliosa e dall’aria prepotente, come se niente e nessuno avesse il potere di scalfirla.
Eppure poco prima sembrava così debole, così vicina alla morte che, al solo pensiero, il cuore di Jake si fermò di un battito.
“Sei qui…” sussurrò, quasi incredulo.
“Già…ti ho cercato dappertutto…” confermò la ragazza, voltando il volto verso un punto della foresta, cercando quasi di apparire insofferente nonostante non lo fosse affatto “…tralasciando la tua fobia per gli insetti che penso ti rinfaccerò per il resto dei tuoi giorni, ma ti sembra normale sparire così? Ho pensato di morire dentro a quella malede…”
Le parole le morirono in gola.
Improvvisamente un paio di braccia le avvolsero il corpo, lasciandola letteralmente senza fiato.
“Non volevo abbandonarti…mi dispiace”
Quelle parole, sussurrate a fior di labbra a pochi millimetri dal suo orecchio, le procurarono una sensazione indescrivibile; una sorta di scossa elettrica, in grado di propagarsi lungo tutta la spina dorsale.
Con lo sguardo sbarrato e la fronte al di sotto di quel mento ricoperto da un delicato strato di barba scura, Eva si ritrovò a lasciare andare il pugnale che stringeva tra le mani.
Non era mai stata abbracciata a quel modo, sicuramente non da Jake almeno.
Il cuore della ragazza sembrava volerle esplodere dal petto e pure la sua mente pareva correre a briglia sciolta, completamente invasa da una miriade di sensazioni in grado di farla sentire su di giri.
Sentiva le mani bloccate, come se il suo corpo non fosse abbastanza all’erta da permettere qualsiasi tipo di movimento.  
Voleva abbracciarlo a sua volta, ma una piccola, quanto vigliacca, parte di lei continuava a divertirsi a deriderla, a dirle che lui si sarebbe staccato, allontanandola come aveva fatto tempo prima ai piedi del dirupo che li aveva allontanati da Diletta.
Quella volta lui non aveva voluto nemmeno sfiorarla, allontanandola come la peggiore delle disgrazie.
Ma erano cambiate così tante cose da quel giorno.
Era cambiata lei. Era cambiato lui.
Erano cambiati loro.
Ancora bloccata in quell’abbraccio così caldo, Eva riusciva a sentire il cuore di Jake martellare nel suo petto.
Riusciva ancora a vedere lo sconvolgimento nei suoi occhi nel rivederla davanti a lui, sana e salva; una sorta di panico misto a speranza.
Doveva essersi davvero preoccupato per lei.
Era rimasto inerte a guardarla per alcuni istanti, come se temesse un rimprovero; e lei non era riuscita a fare niente di meglio che mostrarti offesa.
Lui, il ribelle che non perdeva tempo per stuzzicarla o per prenderla in giro alla prima occasione. Proprio lo stesso ragazzo, ora se ne stava con la testa nascosta tra i suoi lunghi capelli, così scompigliati da farla assomigliare più ad una siepe che ad una ragazza.
Solo in quel momento si accorse che i capelli di lui erano più lunghi rispetto a quando lo aveva visto per la prima volta alla radura; forse era solo sua sensazione. Li ricordava più in ordine e meno sbarazzini. Ma a lei piacevano di più così, quasi selvaggi nel loro essere ondulati e folti; così neri da apparire simili alla notte.
Per la prima volta, Eva sentiva l’effetto che avevano quelle ciocche a contatto con il suo viso, posato su quella spalla così forte dove avrebbe potuto trovare conforto ogni qual volta ne avesse avuto bisogno, ne era certa.
Lo sapeva e, forse, una piccola parte di lei lo aveva sempre saputo.
Con la fronte leggermente al di sotto della spalla di Jake, la giovane Swan si accorse di quanto era alto; possibile che non se ne fosse mai resa conto?
E possibile che si ritrovasse a fare simili pensieri proprio ora che lui la stava abbracciando?
Sì, forse era la cosa più normale da fare in un momento come quello.
“Avevo paura di averti persa…”
Ancora quella voce sussurrata.
Nel sentirla, Eva sentì il cuore fermarsi.
Si era preoccupato per lei. Per lei.
Perché la cosa la faceva sentire così dannatamente felice?
La giovane Jones si mosse lentamente, ritrovandosi a posare le mani sulla schiena del ragazzo che strinse ancora di più l’abbraccio.
Avrebbe voluto dirgli mille parole.
Avrebbe voluto dirgli che, una volta notata la sua assenza nella grotta aveva dato di matto, facendo l’impossibile per raggiungerlo ma ritrovandosi scaraventata fuori da lì, da una magia invisibile agli occhi.
Avrebbe voluto dirgli che anche lei aveva temuto di perderlo.
Avrebbe voluto dirgli che lo aveva cercato dappertutto, senza fermarsi un solo istante.
Ma non fece nulla di tutto ciò.
“Non lasciarmi più da sola…”
Scelse quelle semplici parole, forse le più sincere che si fosse mai ritrovata a pronunciare, lasciandosi avvolgere da quel profumo riconducibile solo a lui, quel profumo di bosco e di legno di ciliegio.
Rimasero così.
Per la prima volta. Consapevoli, l’uno dell’altro.
 
 
 
 
 
*Riferimento a Rapunzel, quando esce per la prima volta dalla torre (sì lo ammetto…la stessa frase pronunciata da Morgana ha un effetto un po’ diverso :P)
** Il fandom CS sa bene a chi fa riferimento questa battuta xD
*** Anche in questo caso qualsiasi riferimento è puramente “casuale” (scherzo…mi riferisco alla stagione 4B, quando Emma scoprirà il segreto dei Charming riguardante la figlia di Malefica)
 
 
 
 
 
 
Rieccomi 😊
Scusate l’intrusione ad inizio capitolo, ma ho pensato potesse esservi d’aiuto (anche se, probabilmente, ho solo peggiorato le cose come sempre xD).
Inizio ringraziando con tutto il cuore chi continua a leggere e recensire questa ff, nonostante gli aggiornamenti non arrivino mai troppo velocemente. Questa volta mi sono impegnata a postare ad una distanza decente dall’ultima volta. Per farmi perdonare, inoltre, ho allungato un po’ il capitolo…spero di non averlo reso troppo pesante.
Ovviamente vi chiedo scusa in anticipo per tutti gli orrori grammaticali che troverete. Ultimamente sono andata a rileggermi parti dei vecchi capitoli e mi si sono rizzati i capelli in testa.
Una volta terminata la ff mi dedicherò ad una bella revisione approfondita…promesso! 😝
Allora…le cose si stanno muovendo. Eva e Jake hanno finalmente trovato il primo ingrediente ed ora non gli rimane che trovare una delle sette perle della Regina Bianca e l’Atto di fede di chi non crede. (Preparate i fazzoletti gente…stiamo per arrivare al punto cardine della storia di questi due fanciulli!).
Emma e Killian….adoro scrivere di loro e non vedo l’ora di raggiungere un determinato punto della storia che li vede particolarmente coinvolti ♥ (CAPTAINSWAN SEMPRE E COMUNQUE!)
Morgana ha ottenuto ciò che voleva, Excalibur, ed ora non le rimane che tornare nel futuro per sistemare le cose una volta per tutte (anche se ovviamente non ha dimenticato il suo caro Ector che l’ha “leggermente” delusa...).
Sicuramente qualcuno ha notato una certa “frase” pronunciata da Morgana mentre cerca di uccidere Eva………non vedo l’ora di legere le vostre teorie a riguardo.
Ok dai, non mi dilungo troppo.
Ovviamente, come la maggior parte di voi, sono del tutto presa dalla 6B di OUAT e non vedo l’ora di sapere come si evolveranno le cose…ma non dico niente, non vorrei fare spoiler.
Grazie ancora per tutto quello che fate per me; per continuare a spronarmi, per darmi fiducia e, soprattutto, per apprezzare questo passatempo e dedicarmi parte del vostro tempo leggendo e commentando.
Un grazie particolare a: anubis, Sere, Tweetycs, marty, k_Gio, Kerri, Ibetta e Julia. Grazie di cuore per i vostri commenti e il vostro costante e insostituibile sostegno!
Ovviamente grazie anche a chi legge soltanto e inserisce la storia nelle varie categorie.
Non vedo l’ora di sapere cosa ne pensate del capitolo.
Un grosso abbraccio
A presto con l’aggiornamento (già iniziato…sto migliorando dai 😝).
 
Un bacione
La vostra Erin ♥
   
 
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